1

— Figuratevi — disse il nostro visitatore col tono di un orsacchiotto affabile. — È stato un piacere. — Si guardò attorno con interesse. — Mi piacciono le stanze dove la gente lavora. Questa è simpatica e accogliente.

Ero sorpresissimo. Quel brav’uomo somigliava davvero a un minatore o almeno all’idea che mi ero fatto io di un minatore, ossatura potente, pelle segnata dalle intemperie, mani che sarebbero state a meraviglia attorno al manico di un piccone. Eppure non mi pareva verosimile che il presidente delle Miniere Continentali Riunite avesse il compito di maneggiare un piccone. Anche il suo tono mi sorprendeva. Il giorno precedente, una voce mascolina mi aveva chiesto, in modo piuttosto perentorio, quando poteva passare nel suo ufficio Nero Wolfe per un consiglio, e io avevo dovuto spiegare, forse per la milionesima volta in vita mia, che il mio signore e padrone esce rarissimamente di casa e "mai” per lavoro. Subito dopo avevo chiamato Lon Cohen della "Gazette” per chiedergli informazioni sull’eventuale cliente, ed ero venuto a sapere che James U. Sperling non mangiava il naso alla gente solo perché preferiva divorare le sue vittime al completo, con le ossa e tutto. E adesso il signor Sperling era là, amichevole come un cucciolo di bracco, sprofondato nella poltrona rossa, a un capo della scrivania di Wolfe, e dichiarava che per lui era stato un piacere attraversare mezza città per venire a trovarci.

— Grazie — mormorò il mio principale con aria soddisfatta. Era seduto nella sua poltrona speciale garantita per sostenere un quarto di tonnellata, e destinata, in un giorno non lontano, a crollare miseramente sotto il peso del suo proprietario. — Speriamo proprio che la vostra passeggiata si concluda in un buon affare.

Sorrisi ironico. Il nostro conto in banca era più che florido e noi non avevamo bisogno di agganciare un cliente a tutti i costi. Wolfe si comportava come una montagna di zucchero, solo perché Sperling aveva parlato bene dell’ufficio. Il mio principale non ama la sua stanza di lavoro: la adora, letteralmente; ed è un bene che sia così, perché ci passa l’ottanta per cento della giornata quando non è in cucina a congiurare con Fritz, o nella serra a intralciare Theodore, convinto di aiutarlo. Il mio sorriso ironico, fu spento sul nascere da una domanda esplosiva di Sperling.

— Voi vi chiamate Goodwin, vero? Archie Goodwin.

Risposi di sì, e lui tornò a rivolgersi a Wolfe: — È una questione privata.

— Molte delle questioni discusse in questo ufficio sono private — affermò il mio gran capo annuendo.

— È una cosa che accade tutti i giorni agli investigatori privati. Io e il signor Goodwin ci siamo abituati.

— È un affare di famiglia.

Wolfe corrugò la fronte e io feci altrettanto. "Scommetto venti contro uno che ci chiede di pedinargli la moglie, e il principale lo sbatte fuori" pensai, ma James Sperling continuò, deponendo sulla scrivania una busta rigonfia: — Da questi rapporti capirete il perché. Vengono dall’agenzia privata Bascom. La conoscete?

— Conosco il signor Bascom in persona. — Wolfe era ancora accigliato. — Non mi piace continuare il lavoro cominciato da un altro.

_ Mi ero servito di quell’agenzia per certi affari della mia Società e ne ero rimasto soddisfatto. Così le ho sottoposto anche questa faccenda — continuò Sperling senza badare all’interruzione. — Volevo un'informazione su un certo Rony, Louis Rony, ma è passato un mese e Bascom non me l’ha procurata. Io ne ho urgente bisogno. Ieri finalmente ho deciso di rinunciare ai suoi servigi e di provare con voi. Mi sono informato e, se è vero anche solo a metà quel che si dice, voi siete il primo investigatore del paese. — Sorrise come un angelo, sorprendendomi di nuovo, e concluse: — A quanto pare non avete uguali.

Wolfe emise un suono strano, cercando di non mostrarsi soddisfatto.

— Veramente… ci sarebbe un investigatore a Marsiglia… ma è abbastanza distante e non sa l’inglese. Che informazioni desiderate sul signor Rony?

— Voglio la prova che è comunista. Se la trovate, e la trovate in fretta, potete mandarmi la parcella che volete.

— Non assumo incarichi a queste condizioni — ribattè il principale scuotendo il capo. — Voi non sapete che il signor Rony è comunista altrimenti non mi fareste un’offerta così alta per avere la prova. Se non lo è, non posso darvi una dimostrazione palpabile del contrario. E quanto alla parcella… io chiedo sempre quello che voglio. Però mi faccio pagare per i risultati che ottengo, e naturalmente non posso ottenere una cosa che non esiste. Quel che scopro scavando, dipende, necessariamente, da ciò che è stato sepolto a prescindere dall’entità dei miei sondaggi…

— Voi parlate troppo — fece Sperling con tono impaziente, ma non scortese.

— Davvero? — Wolfe gli strizzò lievemente un occhio. — Allora parlate voi. Prendete il taccuino, Archie.

Il minatore cominciò col darmi una lezione di ortografia.

— Scrivete: Rony, L-o-u-i-s R-o-n-y. L’indirizzo di casa e quello dell'ufficio si trovano sulla guida telefonica di Manhattan. A ogni modo è tutto qui. — Mi indicò la busta dei rapporti di Bascom. — Io ho due figlie: Madeline, che ha ventisei anni, e Gwenn che n ha ventidue. Gwenn è una ragazza intelligente, e si è laureata a pieni voti l’anno scorso all’Università Smith. È una ragazza come si deve, ma è maledetta mente curiosa e arriccia il naso di fronte a tutte convenzioni. Non è ancora riuscita a liberarsi dalla stupida idea che a questo mondo non si ha diritto all'indipendenza se non la si è guadagnata. Naturalmente è giusto essere un po’ romantici alla sua età, ma lei esagera, e io ho l'impressione che si sia lasciata affascinare soprattutto dalla fama di Rony, di campione dei deboli e degli oppressi. Tra parentesi, questa fama se l’è creata strappando una quantità di criminali dalle mani della giustizia.

Mi par di aver sentito il suo nome — mormorò Wolfe. — L'abbiamo già sentito, Archie?

— Sì. È stato lui che ha fatto scarcerare la Non-mi-ricordo-più… La trafficante di neonati. Sta incamminandosi rapidamente verso gli onori delle cronache.

— 0 verso la galera — intervenne aspramente Sperling e nel suo tono non c'era nulla di angelico. — Temo di aver condotto male la faccenda e mia moglie ha seguito il mio esempio. Abbiamo commesso un classico errore: sa Iddio perché i genitori continuano a farlo… Insomma, abbiamo messo alla porta il giovanotto e potete immaginarvi la reazione. Siamo riusciti solo a strappare a Gwenn la promessa di non incontrarsi mai con Rony dopo il tramonto.

— È in stato interessante? — s’informò Wolfe.

Sperling s’irrigidì.

— Che cosa avete detto?

In quel momento la sua voce batteva in durezza tutti i metalli delle sue miniere. Senza dubbio Sperling voleva indurre il mio principale a far finta di non aver parlato, ma non ci riuscì.

— Vi ho chiesto se vostra figlia sia in stato interessante. Se la domanda non ha basi fondate, la ritiro, ma sicuramente non mi pare assurda, a meno che la signorina non arricci il naso di fronte alle leggi naturali.

__ È mia figlia — dichiarò Sperling con la stessa aria adamantina. Poi, improvvisamente, scoppiò a ridere. Fu una risata sincera e fragorosa, che per qualche secondo gli impedì di parlare. — Avete sentito quel che ho detto? — domandò infine.

— Se posso credere alle mie orecchie — fece Wolfe dubbioso.

— Potete. — Sperling sorrise. — È un po’ il punto debole di tutti… però io dovrei ricordarmi che non sono un uomo qualunque… A quanto mi consta, mia figlia non è in stato interessante, e avrebbe tutti i diritti di meravigliarsene se lo fosse. No, questo non centra. Circa un mese fa, io e mia moglie abbiamo deciso di rimediare all'errore che avevamo commesso, e abbiamo informato Gwenn che Rony sarebbe stato il benvenuto in casa nostra. Quello stesso giorno gli ho messo Bascom alle calcagna. Comunque, voi avete ragione: non sono riuscito a provare che è comunista, altrimenti non sarei venuto qui. Però sono fermamente convinto che lo sia.

— Su che cosa basate la vostra convinzione?

— Ma… il suo modo di parlare, di ragionare… D’altronde leggete anche i rapporti di Bascom.

— Il signor Bascom, però, non ha trovato prove.

— No, accidenti.

— Chi considerate comunista, voi? Un liberale? Un intellettuale con tendenze vagamente rosee? Un membro del partito? Un anarchico? A che punto comincia la sinistra, per voi?

— Dipende dalla persona con la quale sto parlando — dichiarò Sperling sorridendo. — In genere considero comunista chiunque abbia opinioni politiche diverse dalle mie. Ma in questo caso adopero il termine in senso proprio. Credo che Rony sia iscritto al partito.

— Va bene. Ma se e quando ne avrete la prova, che ne farete?

— La mostrerò a mia figlia. Ma dev’essere una prova solida. Lei sa già quel che penso: gliel’ho detto molto tempo fa. Naturalmente si è precipitata a riferirlo a Rony, che per poco non mi ha riso in faccia.

— Correte il rischio di buttar via tempo e denaro Chi vi dice che vostra figlia non consideri una tessera del partito comunista come un’ottima credenziale per un amore romantico?

— Sono sicuro di no. Durante il secondo anno di università, si era interessata a idee progressiste, ma poi ha cambiato parere. Mi ha detto che la visione marxista della vita non la convince dal punto di vista ideologico.

— Accidenti, mi piace! — sbottai. — L’università è una gran cosa. Io, quando mi sento reazionario, riesco a dire soltanto: "Accidenti a baffone!" o qualcosa di simile.

Sperling mi diede un’occhiata sospettosa, decise che evidentemente avevo le tarme nel cervello, e tornò a occuparsi di Wolfe.

— Come stanno le cose, attualmente? — stava chiedendo il mio principale. — Esiste la possibilità che vostra figlia abbia già sposato il signor Rony?

— Gran Dio, no!

— Fino a che punto ne siete sicuro?

— Al cento per cento. A voi sembrerà assurdo, naturalmente, ma non la conoscete. È una ragazza fin troppo franca… Se decidesse di sposare Rony, lo direbbe in faccia a me e a sua madre, ancor prima di avvertire il giovanotto. — Sperling strinse minacciosamente le mascelle. — Temo appunto che accada qualcosa di simile da un momento all'altro. Se Gwenn gli dà la sua parola, non c’è più niente da fare. Vi dico che non abbiamo un minuto da perdere!

Wolfe si appoggiò allo schienale della poltrona e chiuse gli occhi. Sperling lo osservò per qualche istante, aprì la bocca, poi la richiuse e mi guardò con aria interrogativa. Io scossi il capo, lasciai passare un altro paio di minuti, poi lo rassicurai.

__ Va tutto bene. Non dorme mai durante il giorno, ma, se non mi vede, gli funziona meglio il cervello.

Finalmente Wolfe riaprì gli occhi di un millimetro.

— Se mi assumerete — dichiarò — devo sapere esattamente perché lo fate. Non posso impegnarmi a procurarvi la prova che il signor Rony è comunista se in realtà non lo è, posso solo promettervi di trovarla "se esiste”. Questo sono disposto a farlo, ma mi pare una restrizione inutile. Non potremmo definire la questione un po’ meglio? A quanto mi è parso di capire, voi vorreste che vostra figlia rinunciasse all’idea di sposare il signor Rony e smettesse di invitarlo a casa vostra. Questo è il vostro scopo, no?

— Precisamente.

— E allora, perché dovrei porre delle restrizioni alla mia strategia? Posso cercare la famosa prova, d’accordo, ma se non esiste? 0 se una volta trovata, vostra figlia non la ritenesse soddisfacente? Perché concentrarvi unicamente su questo punto, soprattutto dopo che il signor Bascom ci ha lavorato per un mese senza venire a capo di niente? Perché non mi assumete per aiutarvi a raggiungere il vostro obiettivo con qualsiasi mezzo… naturalmente entro i limiti permessi all’uomo civile? Mi sentirei la coscienza più a posto nell'accettare la vostra caparra, vale a dire un assegno per cinquemila dollari.

Sperling pensava, corrucciato.

— Accidenti, ma è davvero comunista!

— Lo so: questa è la vostra idea fissa e bisogna darvi corda. Studierò questa possibilità per prima. Ma volete che lasci perdere tutto il resto?

— No, no, anzi!

— Benissimo. E poi… Che c’è, Fritz?

Il nostro tuttofare era apparso sulla soglia.

— È arrivato il signor Hewitt, signore. Dice che ha un appuntamento per discutere su alcune orchidee. L'ho fatto accomodare nella sala di soggiorno.

— Ditegli che sarò da lui fra qualche minuto.

Fritz uscì, e il mio principale continuò, rivolto a Sperling: — Quanto a noi, siamo d’accordo. Appena avrò letto i rapporti del signor Bascom vi telefonerò. Buongiorno, signor Sperling; mi fa piacere che il mio ufficio sia di vostro gusto…

— Ma è urgente! Non dovete perdere un minuto!

— Lo so. — Wolfe stava facendo sforzi erculei per mantenersi cortese. — Ecco un’altra caratteristica delle questioni che si discutono in questo ufficio: l’urgenza. Ora ho un appuntamento, poi devo far colazione, e dalle quattro alle sei mi occuperò delle mie orchidee. Ma le indagini che v’interessano potranno cominciare un po’ più presto. Il signor Goodwin leggerà immediatamente i rapporti, e nel primo pomeriggio verrà nel vostro ufficio per raccogliere tutti i particolari necessari… Vi va bene alle due?

James U. Sperling inghiottì il rospo a fatica. A quanto pareva, era deciso a devolvere l’intera giornata al salvataggio di sua figlia da un Fato peggiore della morte, senza nemmeno prendersi un breve intervallo per i pasti. Rimase così dispiaciuto del nostro contegno così frivolo e leggero che, quando lo salutai sulla soglia di casa, mi rispose con un acidulo suono gutturale. Quando rientrai, cominciai subito a leggere i rapporti di Bascom. Dalla porta aperta della sala di soggiorno, giungevano fino a me le voci vibranti di Wolfe e di Hewitt, che discutevano in tono lirico sui fertilizzanti più efficaci per le orchidee.

2

Alle due meno cinque precise Nero Wolfe posò nel piattino la tazza del caffè vuota, respinse la sedia, si alzò in tutta la magnificenza della sua mole e abbandonò la sala da pranzo, diretto al suo ascensore personale. Io lo seguii, e gridai rivolto al suo chilometro quadrato di schiena: — Che ne direste di far tappa per un paio di minuti in ufficio?

— Credevo che voi doveste andare a trovare il padre di quella figlia — ribattè il principale, voltandosi indietro.

— Sto per andarci, infatti, ma avrei qualche domanda da farvi, e siccome voi mi proibite di parlare d’affari durante i pasti…

Il principale lanciò un’occhiata alla porta dell'ufficio, stabilì che la distanza che li separava era incommensurabile e borbottò: — E va bene: venite di sopra.

Il mio principale ha le sue regole fisse, ma io non sono da meno. Uno dei miei principi più radicati, per esempio, è quello di non urtare mai i sentimenti di un ascensore di proporzioni normali che contenga già Nero Wolfe imponendogli anche la mia presenza. Così salii i tre piani di scale facendo i gradini a due a due e arrivai alla serra, sul tetto. Poiché eravamo in giugno, erano state abbassate tutte le avvolgibili, ma le tinte dei fiori erano così luminose e sgargianti che quasi facevano male agli occhi. Io li vedevo tutti i santi giorni e, per di più, in quel momento ero preoccupato; tuttavia mentre passavo davanti a una fila di Dendrobium bianche e gialle, fui costretto a rallentare il passo.

Il mio grasso padrone era nella stanza dei trapianti, intento a togliersi la giacca, e aveva già un cipiglio tempestoso in serbo per me.

— Due cose — dissi brevemente. — Primo: non solo Bascom…

Wolfe mi batté in brevità.

— Il signor Bascom ha trovato indizi che puntavano verso il partito comunista?

— No, ma…

— Allora lasciamo correre. Discuteremo i rapporti dopo che li avrò letti. Aveva usato dei buoni agenti?

— Sicuro: i migliori del mazzo.

— Allora, perché dovrei ingaggiare un esercito, per dar la caccia allo stesso fantasma? Sapete bene che guaio è cercare di identificare un comunista, specialmente se è necessario ottenere prove solide e credibili. Be', questo è un fuoco fatuo. Per fortuna il signor Sperling ha acconsentito a lasciarmi lavorare a modo mio. Andate a trovarlo e fatevi dare i particolari, poi convincetelo a invitarvi a casa sua, come un ospite qualsiasi. Fatevi presentare al signor Rony e formatevi un opinione sul suo conto. Meglio ancora, formatevi un opinione sulla famosa figlia, leggetele nell’animo il più profondamente possibile. Datele qualche appuntamento. Attirate la sua attenzione e mantenetela fissa su di voi. Dovreste riuscire a soppiantare il signor Rony in una settimana, quindici giorni al massimo… Questo è l’obiettivo da raggiungere.

— Che Dio vi benedica! — scossi il capo con aria di rimprovero. — In parole povere, mi ordinate letteralmente di sedurla.

— Questi vocaboli sono esclusivamente vostri. Io preferisco i miei. Il signor Sperling ha detto che sua figlia è pazzamente curiosa, vi ordino di trasferire la sua curiosità dal signor Rony a voi.

— Mi ordinate di spezzarle il cuore.

— Potrete senza dubbio evitare questo epilogo alla tragedia.

— Sì, e posso anche evitare il prologo, se è per questo — assunsi l’espressione della Virtù oltraggiata. — Siete andato troppo in là. Mi piace essere un investigatore e mi piace essere un uomo, in tutti i sensi della parola, ma rifiuto di degradare il mio fascino…

— Archie!

— Presente.

— Con quante ragazze che avete incontrato per mezzo mio, per ragioni di lavoro, avete stabilito una relazione personale?

Cinque o seicento, direi. Ma questo non è…

— Io vi suggerisco unicamente d’invertire il procedimento e di stabilire la relazione personale prima. Che c’è di male?

— Tutto — mi strinsi nelle spalle. — 0 forse niente, Dipende. Però prima voglio vederla.

__ Benissimo. Vi avverto che arriverete in ritardo.

Il mio monumentale superiore tese una mano verso uno scaffale. Io alzai un po’ la voce: — Ciò nonostante, ho ancora una domanda da farvi; o, meglio, due domande. Gli uomini di Bascom ne hanno passate delle belle, cercando di pedinare Rony. La prima volta, mentre tutto sembrava andare liscio come l'olio, lui ha fiutato la situazione ed è svanito come una nuvoletta. Dopo quell'incidente hanno dovuto usare solo gli uomini migliori, ma spesso nemmeno quelli sono stati all'altezza della situazione. Rony conosce a menadito tutto il manuale Come si elude un pedinatore ed evidentemente si è inventato qualche capitolo supplementare. Probabilmente non è comunista; però questa roba non l'ha imparata alla scuola domenicale.

— Be’, è un avvocato, no? — Wolfe era sprezzante. Prese una lattina di soluzione contro i parassiti delle piante, e cominciò ad agitarla. — Lasciatemi in pace, maledizione!

— Sarete servito fra un minuto. Volevo avvertirvi che tre volte, quando non hanno perso le sue tracce gli uomini di Bascom hanno seguito Rony fino al negozio di animali di Bischoff nella Terza Avenue. Ogni volta si è fermato per un’ora abbondante, sebbene, a quanto pare, non possieda né cani, né gatti.

Il mio principale smise di agitare la lattina, la studiò per un momento, come se non l’avesse mai vista prima, poi tornò a deporla sullo scaffale e mi fissò.

— Oh! — disse. — Davvero?

— Sì.

Wolfe si guardò in giro, scorse una poltrona di convenienti dimensioni e andò a sedersi. L’idea di avergli fatto colpo, però, non mi mandò ai sette cieli, anzi, avrei preferito di gran lunga sorvolare su quel punto, ma non me la sentivo di correre un rischio simile. Ricordavo anche troppo bene una voce… una voce dura lenta, precisa, fredda come un iceberg, che avevo sentito solo due volte, al telefono. E ancor meglio ricordavo il tono del mio principale quando mi aveva detto, dopo aver deposto il ricevitore: “Avrei dovuto farvi segno di riappendere. Di quest'uomo non vi voglio parlare, perché è meglio che restiate all'oscuro di tutto. Dovete dimenticare anche il suo nome. Se mai nel corso del mio lavoro mi troverò in campo aperto contro di lui, sarò costretto a distruggerlo; lascerò questa casa, cercherò un posto dove si potrà lavorare, dormire e mangiare… se ci sarà tempo… e rimarrò là finché non avrò finito".

Da che ero con Wolfe, l'avevo visto impegolarsi con un bel campionario di tipi pericolosi, ma questo li batteva tutti messi insieme: Il principale, intanto, continuava a fissarmi come se gli avessi messo l’aceto nel caviale.

— Che ne sapete voi, del negozio di animali di Bischoff? — mi domandò aggressivamente.

— Niente di speciale. So solo che, quando Bischoff è venuto da voi per incaricarvi di un’indagine, gli avete detto che avevate troppo da fare, mentre non era vero e, quando io vi ho chiesto una spiegazione, mi avete risposto che non ci tenevate a lavorare né per Arnold Zeck, né contro di lui. Non mi avete spiegato come mai sapevate che quel negozio di animali era un avamposto dell’organizzazione del nostro amico, e io non ve l’ho chiesto.

— Vi ho già ordinato una volta di dimenticare quel nome.

— Allora non avreste dovuto ricordarmelo. E va bene: cercherò di dimenticarlo di nuovo. Comunque ora andrò a telefonare a Sperling, per dirgli che siete troppo occupato. Lui non ha…

— No. Andate da lui. Siete già in ritardo.

— Ma come diavolo…? — chiesi stupefatto. — Dov’è l’errore nelle mie deduzioni? Se Rony è andato tre volte in un mese e forse più in quel negozio di animali senza possedere animali di sorta, vuol dire, almeno secondo me, che lavora per un signore del quale ho dimenticato il nome, e…

— I vostri ragionamenti sono impeccabili. Ma la situazione è diversa. Quando il signor Bischoff è venuto da me io ero al corrente, non importa come, dei suoi peccatucci, e ho rifiutato di lavorare per suo conto. Ma al signor Sperling ho già dato la mia parola e non posso rimangiarmela — disse Wolfe sospirando. Bisogna pur pagare il prezzo del nostro amor proprio.

Tolse per la seconda volta dallo scaffale la lattina di liquido antiparassitario e cominciò ad agitarla, con tutti i sentimenti.

3

Questo avveniva il giovedì alle due. Alle due di sabato, esattamente quarantotto ore dopo, io mi trovavo su un trampolino di marmo bianco, grande come la mia camera da letto, e agitavo un asciugamano blu, largo come il mio stanzino da bagno, per allontanare una mosca importuna dalle gambe nude di Gwenn Sperling. Non c’era male, per la carriera di un libertino, anche se mi trovavo là sotto falso nome. Il milionario-minatore, infatti, non aveva fatto storie quando gli avevo chiesto di invitarmi a casa sua (naturalmente senza rivelargli i reconditi scopi di Wolfe), però mi aveva pregato di cambiar nome perché sua moglie e i due figli maggiori mi conoscevano di fama. Io avevo dichiarato modestamente che ne dubitavo e avevo insistito per conservare almeno il mio cognome, a scanso di papere. Però avevo acconsentito a chiamarmi Andrew invece di Archie. Questo per non smentire l’A. G. inciso sulla valigia che Wolfe mi aveva regalata per il mio compleanno, una valigia di renna, fatta apposta perché il mondo l’ammirasse.

Ufficialmente io ero il figlio di un socio d affari del signor presidente. Mi interessavo di fotografia, e volevo riprendere una serie di istantanee di Villa Sperling per una grande rivista. Questo per due ragioni: innanzitutto, qualcuno dovevo pur essere, e, in secondo luogo, desideravo prendere una bella e somigliante fotografia di Louis Rony.

Ero partito lasciando il principale occupatissimo a dare istruzioni a Saul Panzer, Fred Durkin e Orrie Cather, per un esame a fondo del passato, del presente e dell’eventuale futuro del nostro uomo. Un modo come un altro per pagare il prezzo del suo amor proprio coi denari del signor Sperling.

Quattro ore più tardi, dopo aver fatto la conoscenza della famiglia dei miei ospiti al completo, dopo aver fatto colazione e aver usato entrambe le macchine fotografiche, con l’aria più professionale possibile, mi trovavo sull'orlo della piscina, occupato a scacciare le mosche dalle gambe di Gwenn. Eravamo appena usciti dall'acqua e sgocciolavamo come fontane.

— Ehi — protestò la donzella — i colpi di salvietta mi fanno più male delle mosche… se pure Ce n’erano! Non vorreste piuttosto ripetere quel tuffo dall’ultimo trampolino?

Gwenn era stata una piacevole sorpresa. Se le parole del suo genitore mi avevano fatto immaginare un quintale di materia grigia dentro a un recipiente di scarto, quando l’avevo incontrata avevo constatato con piacere che l’involucro era abbastanza attraente da distogliere l'attenzione dal contenuto. Gwenn non era una donna fatale, non si poteva negare che il suo naso fosse costellato di lentiggini, e il suo viso, sebbene grazioso, era un po’ più rotondo di quanto avrei richiesto se avessi dovuto ordinarlo su misura. Però, nel complesso, faceva bene agli occhi guardarla e i particolari che aveva messo in mostra, quando si era presentata in costume da bagno, avevano appagato completamente il mio senso artistico. In effetti non avrei mai visto quella mosca, se non fossi stato occupato a contemplare il luogo ove si era posata.

Mi tuffai, rischiando per un pelo una spanciata maiuscola e, quando tornai sul trampolino, Madeline:

Sperling mi si avvicinò, chiedendomi: — Ma Andy, volevate rompervi l'osso del collo? Oh, che scioccone!

— Sto cercando di far colpo — ribattei. Non ave te un trapezio da qualche parte? Sono capace di appendermi ai soli alluci.

— Non ne dubito! Conosco il vostro repertorio, molto meglio di quanto non immaginiate. Venite con me vi preparerò un cocktail.

Cominciavo a sospettare che, se avessi cercato eseguire gli ordini di Wolfe nei confronti di Gwenn Madeline mi avrebbe messo numerosi bastoni fra le ruote Era un tipo più vistoso di sua sorella: era alta e molto snella, benché fosse provvista dl tutte le curve necessarie al punto giusto; aveva un morbido viso ovale e un po' bruno e due enormi occhi neri che di solito teneva socchiusi, e che poi spalancava in faccia agli ignari, senza preavviso, con effetti disastrosi sulla loro pressione sanguigna. Mi aveva già informato che suo marito era morto in guerra, che in fatto d amore il suo cuore era morto, ma non era impossibile che si trattasse solo di catalessi, che le piaceva il mio nome Andy e che non era aliena dal lasciarsi raccontare barzellette da me, se per qualche miracolo ne avessi sapute un paio che lei non conosceva ancora. Dal che si arguisce come e perché temevo difficoltà su quel fronte. Andai a sedermi con lei su una panchina, al sole, ma dovetti rinunciare a bere, perché c erano già tre persone attorno al carrello dei rinfreschi. Da barista fungeva Jimmy Sperling. Era un bel ragazzo, di poco maggiore di Madeline e non somigliava affatto all'autore dei suoi giorni. La sua figura alta e agile, la sua pelle morbida e abbronzata e la sua bocca da ba boccio viziato non facevano certo pensare a un indurito minatore. Lo vedevo per la prima volte, ma ricordavo vagamente che era pieno di oneste ed esemplari idee a proposito di rendersi utile nella Società del paparino, e che andava spesso nel Brasile, nel Nevada o nell’Arizona a vedere come funzionavano le miniere.

Ma si stancava molto facilmente e doveva ritornare a New York per riposarsi: niente di male, dal momento che a New York conosceva una quantità di gente disposta ad aiutarlo in questa impresa.

Gli altri due uomini, accanto al carrello, erano ospiti: teoricamente non avrei dovuto occuparmi di loro, ma dati gli ultimi sviluppi della situazione pensai che mi sarebbe convenuto esaminarli un po’ più da vicino. Uno era un tipo molto decorativo: aveva quattro o cinque anni più di me e si chiamava Webster Kane. Era uno studioso d’economia, che aveva svolto alcuni importanti lavori per le Miniere Continentali e si comportava come il classico amico di famiglia. Era alto, aveva una testa massiccia e ben fatta, e, a quanto pareva, non possedeva nulla. Si vestiva con elegante trascuratezza, e di lì a dieci anni avrebbe potuto comodamente farsi passare per senatore. Quanto al secondo ospite, avevo gradito molto l’opportunità di vederlo da vicino, perché più di una volta avevo sentito Wolfe tritarlo e ridurlo in polpette con la sola forza dell’eloquenza. Alle sei e trenta per cinque giorni alla settimana le Miniere Continentali presentavano sulla rete nazionale il Commento ai Fatti del Giorno di Paul Emerson. Almeno una volta alla settimana Wolfe lo ascoltava e regolarmente, mentre premeva il bottone per spegnere l’apparecchio radio, coniava nuovi termini e metafore alate per esprimere il suo parere sui commenti e sul commentatore, e generalmente si trattava di termini che non richiedevano un interprete per chiarirne il concetto. L’idea fondamentale del mio superiore era che Emerson si sarebbe trovato perfettamente a suo agio solo ai tempi dell'Inquisizione di Spagna in compagnia di Torquemada. Fui perciò ben lieto di poter studiare da vicino quel portentoso signore, ma i miei sentimenti si confusero un po’ quando scoprii che somigliava come una goccia d’acqua al mio professore di chimica del, ginnasio, che con me era stato sempre largo di manica. Inoltre era chiaro che aveva l’ulcera allo stomaco (intendo Paul Emerson) e che l’ordinamento dell’universo non era di suo gusto. In costume da bagno era una visione pietosa, e io scattai numerose istantanee della sua pancetta floscia e gelatinosa, per appagare gli istinti sadici del mio principale.

Quanto a sua moglie Constance, Connie per amici e nemici, aveva tutta l'aria di volermi dare un valido aiuto per raggiungere l’obiettivo indicato da Wolfe. Se mai avevo visto una signora "fare il filo” a un uomo, quella era Connie Emerson. E l’oggetto delle sue attenzioni era Louis Rony, nientemeno. La gentile signora aveva solo quattro o cinque anni da trascorrere prima di mettere in pratica il proverbio secondo il quale la vita comincia a quarant’anni; però, devo ammetterlo, poteva ancora largamente mostrarsi in costume da bagno, in pieno sole, in presenza di uomini di sane tendenze. Era una di quelle rare bionde che si abbronzano in maniera uniforme; le sue gambe, da un punto di vista squisitamente obiettivo, erano migliori di quelle di Gwenn e di Madeline e, anche dall’altro capo dell’enorme piscina, vedevo scintillare i suoi occhi azzurri. In quel momento stava insegnando a Rony una complicata presa di judo. Era una tecnica nuova per farsi cadere un uomo ai piedi, ma presentava numerosi vantaggi. In ogni caso, Connie aveva parecchie frecce al suo arco. A colazione, per esempio, si era preoccupata di imburrargli le focacce. Ora io mi domando… Se Gwenn ardeva di virginale gelosia, lo nascondeva molto bene. C’era, sì, la possibilità che l’interesse dimostrato per me e per la mia arte fotografica facesse parte di un piano ma chi può sospettare d’inganno una bella ragazzina con le lentiggini sul naso? Madeline aveva fatto un paio di commenti sul solito stile di Connie, ma era chiaro che se ne infischiava. Quanto a Paul Emerson, il marito, continuava ad avere l’aspetto di un bidone di latte acido e c’era poca probabilità che gli eventi potessero cambiarlo, in meglio o in peggio. Louis Rony, invece, era un bel problema. Se veramente era lanciato a corpo perso alla conquista di Gwenn, sia per amore, sia per ragioni sue personali, che cosa significavano le svenevolezze con la stagionata bellezza al platino? Aveva intenzione di ingelosire la sua bella? Naturalmente me l’ero studiato ben bene, e conoscevo a memoria il contrasto tra i suoi lineamenti energici e duri e il suo corpo dalle linee morbide dove il grasso e i muscoli erano impegnati in una lotta all’ultimo sangue, con risultato per ora incerto ma abbastanza prevedibile per il futuro. Dalle ricerche che avevo svolto sul suo conto, non limitate ai rapporti di Bascom, mi risultava la sua fama di clamoroso salvatore di banditi. Ladri, grassatori e farabutti di ogni specie, però non ero riuscito a farmi un’opinione molto chiara sul suo conto, cioè non sapevo se si trattava di un comunista provvisto di malintesi istinti generosi, di un luogotenente della divisione di Zeck o di un semplice idiota che andava a mettersi nei pasticci senza accorgersene.

Il problema che mi assillava nei suoi confronti, però, in quel momento era di ordine più immediato. Non mi importava, cioè, di sapere che cosa avrebbe concluso con Connie Emerson, o che cosa frullava nella sua strana zucca, ma mi sarebbe piaciuto vedere da vicino il portacarte impermeabile che si era infilato con tanta precauzione dentro i calzoncini da bagno. Avevo già notato che, per quattro volte, facendo finta di niente, era andato a controllare se si trovava ancora al suo posto, ma ora la mia curiosità era aumentata del mille per cento perché dopo gli esercizi di forza con la signora Emerson era arrivato fino a tirarlo fuori, a controllarne il contenuto e a riporlo con precauzione infinita. Naturalmente non approvavo il suo modo di agire. Sulla spiaggia o anche in una piscina pubblica, dove gira gente di tutte le risme, è una prova di lodevole avvedutezza infilare gli oggetti di valore dentro una busta impermeabile e tenerseli vicini alla pelle, ma quando si è invitati da una distinta famiglia… be', non è gentile sospettare i nostri ospiti di volerci sgraffignare gli spiccioli! E poi Rony avrebbe potuto benissimo nascondere i suoi tesori nella camera che gli era stata assegnata, invece di tirarseli dietro con quell’aria da cospiratore. Il suo contegno era un insulto per tutti, me compreso. Era ben vero che il baldo avvocatino nascondeva egregiamente le proprie preoccupazioni tanto che solo il mio occhio professionale le aveva notate, ma in ogni caso mi ritenevo ferito nel mio amor proprio e avevo intenzione di far qualcosa di drastico in proposito.

Le dita di Madeline mi sfiorarono il braccio. Bevvi un sorsetto di cocktail che finalmente mi era arrivato tra le mani e voltai il capo lentamente.

— Sì?

— Sì, che cosa? — chiese lei spalancando gli occhi.

— Mi avete toccato.

— No, davvero? Non volevo niente.

Era uno dei sistemi più classici per far venire delle idee a un giovanotto, ma in quel momento arrivò un’interruzione nei panni di Paul Emerson che si era accostato a noi trascinando i piedi e ora grufolava al mio indirizzo: — Ah, Goodwin, mi ero dimenticato di avvertirvi: niente fotografie senza la mia autorizzazione… niente foto per la stampa, intendo.

— Volete dire niente fotografie in genere o “vostre” fotografie?

— Mie. Per favore non dimenticatevene.

— Farò del mio meglio. Non posso biasimarvi per questo, comunque.

Quando l’insigne personaggio fu giunto sul bordo della piscina e vi fu ruzzolato dentro (di proposito, a quanto mi parve di capire) Madeline osservò: — Come mai un illustre ignoto come voi si permette di strapazzare una persona tanto famosa?

— Perbacco, se conosceste il mio repertorio tanto bene come dite non dovreste esserne sorpresa, ma perché quelle allusioni ironiche alla mia qualità di oscuro cittadino?

— Dovrei parlar meno — sospirò lei. — A ogni mo do quando rientreremo vi mostrerò qualcosa.

Dall’altro capo della piscina Jimmy Sperling mi gridò se volevo un altro drink e Webster Kane si precipitò a prenderlo. Subito dopo Gwenn, tutta scintillante d’acqua venne a piantarmisi dinanzi e mi invitò a giocare a rincorrersi con lei. Tutto considerato si trattava di uno dei lavori più confacenti al mio carattere che mi fosse capitato da anni, e se non ci fosse stato di mezzo quell’antipatico portafoglio impermeabile di Rony, senza dubbio mi ci sarei dedicato tutto, anima e corpo.

4

Qualche ora più tardi nella sontuosa camera da letto che mi era stata assegnata, mi lustrai, mi tirai a pomice, e indossai l’abito da sera. Poi recuperai il mio portachiavi da dietro un libro dove lo avevo nascosto, trassi dalla valigia il necessaire da pronto soccorso e l'aprii. Questo non aveva niente a che vedere con le esibizioni di cattive maniere date da Rony nel pomeriggio, poiché la mia era una spedizione d'affari, e il genere dei miei affari richiede che nella cosiddetta cassettina di pronto soccorso io tenga alcuni oggetti insoliti, imprevedibili. Da una scatoletta di vetro trassi un oggettino leggero e minuscolo, color caffellatte, e lo infilai con la massima cautela nella tasca interna della giacca. Dovetti maneggiarlo con le molle, per evitare che una eventuale ombra di sudore sulle dita lo sciogliesse. Dopo di che richiusi a chiave il necessaire e lo riposi di nuovo con cura nella valigia. A questo punto sentii bussare discretamente alla porta, e dissi: — Avanti.

Sulla soglia apparve Madeline, avvolta in un abito bianco vaporosissimo, vistosamente privo di spalline. In tutto quel candore il suo viso sembrava più piccolo e gli occhi più grandi.

— Vi piace il mio vestito, Archie? Sì. Non è precisamente adatto per una festicciola all’oratorio parrocchiale, ma… — m’interruppi e la guardai negli occhi. — Mi era parso di sentirvi dire che vi piace il nome Andy. Mi sono ingannato!

— No. Ma Archie mi piace ancor di più.

— Allora sarà meglio operare un piccolo cambiamento. Quando mai papà ha riposto la sua fiducia in voi?

— Papà non mi ha confidato nulla. — Madeline spalancò gli occhi al diametro massimo. — Voi siete convinto che io mi ritenga una donna sofisticata e impenetrabile, vero? Forse lo sono, ma non lo sono da sempre. Venite con me, voglio mostrarvi una cosa.

Fece dietrofront, s’incamminò e io la seguii in un complesso di atrii e corridoi. Arrivammo a una camera grande il doppio della mia, il che è tutto dire, profumata dall’odore della sera estiva, e da una quantità di vasi di rose, disposti artisticamente un po’ dappertutto. Mi sarebbe piaciuto guardarmi in giro con maggiore attenzione, ma Madeline mi condusse a un tavolino e aprì un grosso album rilegato in cuoio.

— Vedete? — chiese in tono drammatico indicandomi una fotografia. — Tutti ricordi di quando ero giovane e spensierata!

Mi riconobbi immediatamente perché avevo a casa un ritratto identico. Era stato ritagliato da un numero della "Gazette” di alcuni anni prima. La mia fotografia non compare sui giornali spesso come quella di Churchill, di Nero Wolfe o di Rocky Graziano, ma quella volta avevo avuto la buona idea di far saltare di mano la rivoltella, con un colpo ben centrato, a un signore in procinto di fare un massacro, e persino i cronisti avevano dovuto trattarmi con tutti gli onori.

— L'immagine di un autentico eroe — dichiarai gravemente.

— Avevo diciassette anni — sospirò Madeline. — Sono stata eternamente innamorata di voi per quasi un mese.

— Non c’è da meravigliarsene. L'avete mostrata a qualcuno, questa foto?

— No! Ma… accidenti, dovreste esserne toccato!

— Certo che ne sono toccato, ma meno realisticamente di un’ora fa. Allora speravo che amaste il mio naso, i miei capelli e il mio torace apollineo o qualcosa di simile… Invece, guarda un po’, ero solo un ricordo d’infanzia.

— E se io sentissi rinascere in me l’antica fiamma?

— Non cercate di indorare la pillola. In ogni caso, ora, ho un problema: quanta gente si ricorderà questa fotografia oltre a voi?

— Gwenn, forse, ma ne dubito — disse meditabonda. — Quanto agli altri, nessuno, penso. E se voi avete un problema, io ho una domanda da farvi. Perché siete qui? Per Louis Rony?

Fu il mio turno di rimanere meditabondo; e mentre consideravo gli avvenimenti regalai alla bella un sorriso completamente privo d’espressione.

— Allora le cose stanno proprio cosi — sorrise lei con aria provocante.

— Forse sì, forse no. E se anche…?

Madeline mi venne vicino e afferrò con le manine delicate il risvolto della mia giacca.

— Datemi retta, "autentico eroe” — disse con voce un po’ incerta. — A prescindere dai miei sentimenti personali, vi raccomando di fare attenzione con mia sorella. Ha ventidue anni… alla sua età io ero già sposata e al corrente di tutti i segreti della vita, ma lei è pura come una rosa… santo cielo, non volevo dire un “rossa” ma avrete capito, spero. Condivido le idee di papà su Louis Rony, ma vorrei che faceste le cose con garbo. Forse l’unico sistema, per non far troppo male a Gwenn, consisterebbe nell’eliminare quel noioso avvocatino a revolverate. Non ho mai capito che cosa rappresenti veramente per lei. Però sto cercando di farvi entrare in testa che in questa faccenda non hanno importanza i sentimenti di papà, di mamma, di Rony, e nemmeno i miei. È mia sorella che conta, dovete credermi.

Fu una congiura delle circostanze. Madeline era così vicino, l’odore delle rose era così forte, l'espressione del suo viso era così onesta e sincera che il mio gesto fu inevitabile. Quando, dopo un paio di minuti, lei mi respinse debolmente, allentai la stretta, presi l’album e andai a deporlo sul piano più basso di uno scaffale. Quando ritornai da Madeline notai che era ancora un po’ accaldata, ma in grado di parlare.

— Stupidone — protestò, e sentì il bisogno di schiarirsi la gola. — Guardate come mi avete ridotto il vestito! — Passò le dita tra le pieghe della gonna. — Sarà meglio che raggiungiamo gli altri.

Mentre scendevo con lei l’ampia scalinata cominciai a pensare di aver fatto una piccola confusione. A quanto pareva, avevo stabilito delle magnifiche basi per una relazione personale, ma non con la persona designata, ahimè.

Cenammo sulla terrazza di ponente, alla luce del tramonto, ed ebbi l’onore di sedere alla destra della padrona di casa, probabilmente in omaggio alla mia posizione di figlio di un socio danaroso. Quando arrivammo al dolce, ormai tutti mi chiamavano per nome e mi trattavano con una cordialità da Giovani Esploratori.

Dopo cena venni invitato a fare il quarto a bridge, ma rifiutai dichiarando che avevo un appuntamento col caro signor Sperling per discutere di fotografia. Il che, almeno in parte, era vero. Il mio ospite mi condusse in una parte della casa che non avevo ancora visto, e si chiuse con me in un enorme studio tappezzato di libri (ce n'erano quattro o cinquemila a occhio e croce), dopo di che mi fornì la quarta o la quinta occasione di rifiutare un sigaro, mi invitò a mettermi a sedere e andò a piantarsi a sua volta dietro una scrivania che sosteneva, tra l’altro, un dittafono e cinque telefoni. Con me si comportava come il capo di una grande azienda verso un giovanottino di belle speranze che ha la lontana probabilità di entrare un giorno a far parte del Consiglio d'amministrazione.

— Vostra figlia Madeline ha scoperto chi sono — annunciai senza tergiversare. — Ha visto una mia fotografia anni fa, e a quanto pare ha buona memoria.

— Un'ottima memoria, infatti. Perché? È importante?

— No, se la signora Madeline non andrà a riferirlo, ma ho pensato che fosse meglio avvertirvi. Sta a voi decidere se volete darle o meno qualche spiegazione.

— Non credo… be’, vedrò — Sperling aveva corrugato la fronte, ma non Ce l’aveva con me. — E con Rony, come andate?

— Abbiamo fatto una lunga chiacchierata, ma in linea di massima lui aveva molto da fare altrove. Comunque io ho chiesto di vedervi per qualcos’altro. Ho notato che le camere degli ospiti sono provviste di chiavi proprie: è un'idea che approvo di tutto cuore. Disgraziatamente, però, io ho lasciato cadere la mia chiave nella piscina e non ne ho un’altra che possa servire. Quando andrò a letto sentirò il bisogno irresistibile di chiudere la mia porta a chiave, perché ho un temperamento nervosissimo, quindi nell’eventualità che possedeste una chiave universale sareste tanto gentile da prestarmela?

Il re delle miniere era tutt'altro che corto di comprendonio. Prima che io finissi di parlare aveva già abbozzato un sorrisetto, poi scosse il capo.

— Non mi pare opportuno, vi sono certe regole di buona creanza che… Oh, al diavolo la buona creanza! Ma lui è qui come ospite di mia figlia e col mio permesso; preferirei proprio non aprire la sua porta. Perché poi…

— Stavo parlando della "mia” porta, non di quella di un altro. La vostra insinuazione mi ha profondamente offeso. Andrò a riferirla a mio padre, che possiede tante azioni della vostra Società, così si offenderà anche lui. Cosa posso farci, se sono nervoso?

Aspettai pazientemente che Sperling terminasse di ridere. Finalmente il mio ospite si alzò e si diresse a una grande cassaforte incassata nel muro; armeggiò a lungo con manopole e bottoni, aprì, richiuse e venne verso di me con una chiave dalla dentellatura complicatissima.

— Già che ci siete, potete spingere il cassettone contro la porta per maggior sicurezza — mi consigliò.

— Sì, grazie mille, lo farò senz'altro — dichiarai afferrando la chiave, e presi congedo.

Quando ritornai nel soggiorno, che era grande poco meno di una piazza d’armi, scoprii che il torneo di bridge era morto prima di nascere e che Gwenn e Rony erano rientrati in seno alla famiglia. Avevano acceso la radio e stavano ballando davanti alla terrazza. Jimmy Sperling e Connie Emerson facevano altrettanto. Madeline era al piano, occupatissima a seguire sui tasti il motivo della radio e Paul Emerson contemplava le sue dita che vagavano sulla tastiera, con un’espressione più biliosa che mai. Subito dopo cena l’avevo visto prendere tre pillole di tre tipi diversi e, a giudicare dalla sua faccia, c’era da sospettare che avesse scelto le pillole sbagliate. Invitai Madeline a fare quattro salti e dopo una dozzina di passi scoprii che ballava bene e la "relazione personale” si approfondì a vista d’occhio.

Poco dopo ci raggiunse la signora Sperling seguita dal consorte e da Webster Kane. In breve le danze cessarono, qualcuno fece chiare allusioni al letto e io cominciai a sospettare che non sarei riuscito a mandare a destinazione la mia bella capsuletta color caffelatte. Qualcuno andò ad attingere nuove fonti di energia al mobiletto bar, ma Rony rimase rigorosamente astemio e io stavo per imprecare alla mia cattiva fortuna, quando, Webster Kane si infervorò all’idea di un bicchiere della staffa e andò in giro a prendere ordinazioni. Scelsi cognac e acqua ghiacciata, perché Rony nel pomeriggio aveva dimostrato una spiccata preferenza per quel malinconico beverone, e mi sentii pervadere da una santa letizia quando vidi la mia vittima ricevere dalle mani di Sperling un bicchiere identico al mio. Tutto andava secondo i miei desideri, come se gli interessati avessero studiato la parte prima. Rony bevve un sorso, poi depose il suo bicchiere sul tavolo, quando Connie Emerson reclamò entrambe le sue mani per insegnargli un passo di rumba. Bevvi un sorso anch'io, per portare il mio cognac allo stesso livello. Trassi di tasca la capsuletta, la lasciai cadere nel mio bicchiere, poi feci qualche passo con aria noncurante, e lo deposi sul tavolo accanto a quello di Rony. Naturalmente allo scopo di avere entrambe le mani libere per accendere una sigaretta. Dopo di che, ripresi il bicchiere… ma non il mio. L’operazione era andata a meraviglia, ed ero. matematicamente certo che nessuno all’intorno si era accorto di niente. A questo punto però, la mia buona fortuna mi voltò le spalle. Quando finalmente Connie lo lasciò andare, Rony tornò fedelmente al suo cognac, ma invece di berlo, continuò a gingillarsi con aria idiota. Dopo un po' persi la pazienza e decisi di tentare il metodo di suggestione. Mi avvicinai all’uomo-problema, in animata conversazione con Gwenn e Connie, e cominciai a mandar giù lunghi sorsi con aria beata. Arrivai persino a far commenti sull’eccellenza del cognac, ma quello non mandò giù nemmeno un goccio per sbaglio. Maledetto cammello! Mi venne voglia di farlo immobilizzare da Connie con una delle sue prese di lotta giapponese e di fargli mandar giù il liquore senza scampo, a costo di dovergli turare il naso come ai bambini. Qualcuno venne a darmi la buonanotte, e io mi diffusi in cerimonie. Quando mi voltai di nuovo, mi accorsi che il bicchiere di Rony era vuoto. Che il mio amico avesse cambiato improvvisamente parere? Non mi sembrava verosimile. Deposi il mio bicchiere, mi chinai per prendere un biscotto dal piatto di portata e indugiai un poco nella scelta, finché non ebbi la possibilità di dare una buona fiutatina al contenuto del secchiello del ghiaccio. Il cognac di Rony era andato a finire là senza dubbi possibili.

Spero di aver avuto la buona creanza di augurare la buona notte ai presenti, ma per quanti sforzi faccia, riesco solo a ricordare di essere andato diritto in camera mia. Ero furioso con me stesso per aver fatto fiasco, e mentre mi spogliavo studiai gli eventi con attenzione. Era ovvio che Rony non mi aveva scorto scambiare i bicchieri, e l'intraprendente Connie, che gli stava di fronte, era troppo piccola per vedere al di sopra della sua spalla. Riesaminai la questione per la terza volta e conclusi che "nessuno” poteva avermi visto compiere un gesto sospetto… tuttavia ero molto soddisfatto che il principale non fosse presente a chiedermi spiegazioni. In ogni caso, decisi, a metà di un formidabile sbadiglio, che qualsiasi fosse stata la ragione che aveva indotto Rony a buttar via il suo cognac, e non C’erano dubbi che l’avesse buttata via, questo significava che non solo era sveglio come un fringuello, ma stava anche in guardia… ragione per cui… ragione per cui, qualche cosa, ma che cosa?… Ragione per cui… l’idea era di un’importanza vitale… ma continuava a sfuggirmi.

Feci per infilare il pigiama, ma dovetti fermarmi di nuovo per sbadigliare e improvvisamente uscii dai gangheri perché non avevo il diritto di sbadigliare quando non ero nemmeno stato capace di narcotizzare a dovere un seccatore… solo… solo… che non ero affatto fuori dai gangheri, avevo troppo sonno, troppo sonno…

Ricordo di essermi detto a voce alta, digrignando i denti: “Sei narcotizzato tu, maledetto idiota, e se hai un po’ di buon senso, adesso chiudi quella porta a chiave… ” ma non ricordo di averlo fatto. Il mattino dopo, però, trovai la serratura chiusa a tre mandate.

5

Il giorno seguente, domenica, fu un incubo. Piovve in continuazione, senza un attimo di sosta. Riuscii a buttar giù le gambe dal letto alle dieci passate, ed ebbi immediatamente l’impressione che la mia testa si fosse trasformata in un barile stipato di piume bagnate. Cinque ore più tardi era ancora delle dimensioni di una damigiana e le piume non accennavano a voler asciugare. Gwenn mi seguì coscienziosamente con riflettori ed esposimetri, per aiutarmi a fotografare gli interni, e dovetti cercare di compiacerla. Il caffè nero fortissimo a dosi da cavallo mi faceva l’effetto dell’acqua fresca. Quanto al cibo avevamo rotto i rapporti diplomatici. Sperling ebbe il forte sospetto che io stessi smaltendo gli effetti di una sbornia e non si dimostrò disposto a sorridere quando gli restituii la chiave universale, rifiutando di raccontargli come erano andate le cose. Madeline mi informò che le sembravo "strano”, ma un aggettivo come quello ha troppi significati (alcuni dei quali poco lusinghieri) perché io potessi capire che cosa intendeva esattamente. Per completare l’opera, Kane decise che avevo urgente bisogno di iniziare un corso di economia e dedicò un’ora abbondante a impartirmi la prima lezione. Nonostante fossi nello stato d’animo meno indicato per stabilire relazioni personali, con uomini, cose o animali, nel pomeriggio Madeline mi bloccò in un angolo e mi fece subire una lunga e complicata intervista, riguardante principalmente gli scopi e le intenzioni di Nero Wolfe nei riguardi di sua sorella. Dopo di che, desiderosa di contraccambiare, mi fornì svariate notizie che non mi interessavano né tanto né poco. A quanto pareva, in casa Sperling, l’unico nemico giurato di Rony era il capo famiglia. La signora e Jimmy in principio avevano preso a benvolere il giovanotto, poi erano passati dalla parte di papà e in seguito, da un paio di mesi, su per giù, avevano cambiato di nuovo opinione e avevano deciso che spettava unicamente a Gwenn di decidere in merito. Era stato per questo che Rony aveva ottenuto il permesso di insozzare di nuovo l’onesta soglia. Connie Emerson aveva apparentemente deciso di trasferire l’interesse di Rony su un’altra persona, vale a dire su di sé. Emerson marito era insofferente col pretendente conteso, né più né meno che con il resto dell’umanità, e Webster Kane, il cui atteggiamento pareva rivestire una grande importanza, data la sua posizione di amico di famiglia era semplicemente obiettivo. Rony non gli andava a genio, ma gli pareva ingiusto condannarlo a priori. Aveva avuto una discussione molto violenta con Sperling in proposito, dimostrando, una volta di più, che l’obiettività scontenta tutti.

In quanto alla faccenda del narcotico mi ero processato, mi ero difeso e alla fine mi ero assolto. Non era possibile che avessi bevuto il mio stesso sonnifero: avevo operato lo scambio con troppa eleganza. Inoltre Rony non mi aveva visto e non era stato avvertito da nessuno: anche questo era positivo. Quindi dovevo concludere che la bibita di Rony era stata condita da qualcun altro e l’interessato se nera accorto o almeno l’aveva sospettato fortemente. Mi sarebbe piaciuto sapere chi aveva combinato quel grazioso scherzetto, ma C’erano troppi candidati: Webster Kane aveva preparato i cocktail, aiutato da Connie e da Madeline, e Jimmy aveva fatto da cameriere e aveva dato a Rony il bicchiere incriminato. Senza contare che mentre l’avvocato ballava, la bevanda se n’era stata sola soletta su un tavolo, senza che io le badassi. Mentre mi trascinavo sulle orme di Gwenn carico di due macchine fotografiche e con le tasche traboccanti di flash ero tormentato dalla visione di Louis Rony che versava allegramente nel secchiello del ghiaccio il liquore drogato da me, mentre il sottoscritto ingurgitava al suo posto, come un meraviglioso somaro, il liquore drogato da un altro. Sentii che se non mi fossi vendicato non avrei mai più potuto guardare negli occhi il mio principale.

Questa volta le circostanze mi furono favorevoli. Venni a sapere che Rony, arrivato col treno, doveva rientrare in città in serata e nessuno dei presenti pareva disposto a compiere l’opera meritoria d accompagnarlo. Decisi di tentare la sorte: avrei aspettato fino alla sera, per viaggiare al fresco, poi gli avrei offerto un passaggio. Senza dubbio Rony avrebbe preferito un’automobile ben molleggiata, anche se guidata da me, a un treno sovraffollato.

Mi feci indicare un telefono senza derivazioni, e chiacchierai a lungo con Saul Panzer in santa pace. Erano le sei del pomeriggio. Mi rimanevano ancora quattro ore di sofferenza perché avevo fissato la partenza per le dieci. La giornata però volle terminare in bellezza. Non solo le nuvole si diradarono, ma prima di andare a riposarsi, il sole venne a darci un’occhiata. Senza contare che, cosa ben più importante, riuscii a mandar giù un sandwich di pollo, una fetta di torta di mele e un bicchiere di latte senza disastrose conseguenze. A questo punto la signora Sperling mi batté maternamente una mano sulla spalla e Madeline dichiarò con un sospiro che finalmente avrebbe potuto dormire sonni tranquilli.

Erano esattamente le dieci e sei minuti quando mi sedetti al volante, domandai a Rony se non aveva dimenticato lo spazzolino da denti e avviai la macchina verso i cancelli del parco.

— È un modello quarantotto? — chiese il mio passeggero.

— No, quarantanove — rettificai.

Al che Rony appoggiò la testa al sedile, chiuse gli occhi. Fra le nuvole si intravedevano molte stelle, ma non la luna. Percorremmo alcuni chilometri su una strada statale alla quale una mano di bitume avrebbe fatto un bene infinito e arrivammo ai margini di un bosco. Al di là di una curva molto brusca era ferma una macchina, col cofano puntato nella nostra stessa direzione. Mentre stavo rallentando per voltare, una donna balzò in mezzo alla strada e mi fece segno di fermarmi agitando una torcia elettrica. Mentre frenavo mi gridò: — Avete un crick, per favore? — E una voce d’uomo soggiunse: — Il mio si è rotto, potete prestarmi il vostro?

Per non bloccare la strada feci un mezzo giro ed entrai in un praticello a marcia indietro. Rony mugolò un "accidenti!" molto sentito e io brontolai in risposta: — Solidarietà umana. — Mentre i due passeggeri della macchina in panne si avvicinavano balzai a terra e dissi a Rony: — Mi spiace, ma dovete alzarvi. Il crick è sotto il sedile.

La donna che stava cinguettando qualcosa intorno alla nostra squisita gentilezza, si portò dalla sua parte e gli aprì la portiera: Rony balzò fuori. Scese all’indietro, guardando verso di me, e appena mise piede a terra un oggetto imprecisato si abbatté con violenza sul mio cranio e io mi afflosciai al suolo. L’erba era morbida e folta; rimasi sdraiato, in ascolto. Pochi secondi dopo udii sussurrare: — Tutto bene,, Archie.

Balzai in piedi, spensi il motore dell’automobile e girai dall'altro lato del cofano. Rony era a terra, dritto come un fuso, con gli occhi sigillati e l’aria di essersi addormentato senza bisogno di ninnananna. Non ritenni necessario controllare se tutto si era svolto a dovere perché Ruth Brady avrebbe potuto tenere un corso di lezioni universitarie sull’uso dello sfollagente. In ogni caso quella benemerita ragazza stava esaminando pensosamente il suo pollo alla luce della torcia.

— Mi duole di aver interrotto le vostre vacanze domenicali, mia dolcissima Ruth.

— Compiacervi è una gioia, Archie del mio cuore. Ma non rimanete in mostra così, in questa landa solitaria.

— Giusto concetto. — Mi rivolsi a Saul Panzer: — Come stanno la signora e i pupi?

— Meravigliosamente.

— Porgete loro i miei rispetti. Sarà bene che vi diate da fare dall’altra parte della macchina, in caso che arrivi qualcuno.

Dopo tutti i fastidi che si era preso con il portacarte impermeabile immaginavo che Rony se lo tenesse sul cuore o nei paraggi e non mi ero sbagliato. Se ne stava in una busta di cellophane dentro al suo elegante portafoglio di coccodrillo. Quando lo vidi feci tanto d’occhi.

— È inutile che vi fingiate sorpreso… — rise Ruth.

— È vostra e la rivolevate indietro. L’avevo sempre detto io. Riverisco, compagno.

— Fate silenzio.

Ero notevolmente seccato. La tirai fuori dal cellophane, l'esaminai in lungo e in largo ma non ci trovai nulla di strano. Era una semplice tessera del Partito Comunista Americano, numero 128/394 intestata a William Reynolds e priva di data. Che noia! Il nostro cliente aveva insistito tanto per convincersi che Rony era un nipotino di Baffone, e appena io gli mettevo le mani addosso ecco che saltava fuori una tessera! Naturalmente il nome non aveva importanza. Mi sentivo defraudato. È così irritante dover annunciare a un cliente che aveva ragione fin dal principio! Tirai fuori a precipizio dalla valigia la macchina più grande e alcuni flash e mi misi all’opera. Feci tre foto della tessera, una in mano a Saul, una appoggiata alla valigia, una contro il roseo orecchio di Louis Rony, indi tornai a riporla nella busta di cellophane, l’infilai di nuovo nel portafoglio del dormiente e introdussi con cautela il portafoglio in tasca al suo proprietario.

Mi restava ancora una cosa da fare, ma non ci misi molto perché ero molto più esperto nell’arte del prender calchi di cera che in quella della fotografia. La cera era nella mia cassettina di pronto soccorso, e le chiavi, otto, erano in tasca di Rony. Non fu necessario contrassegnarle, perché erano tutte diverse una dall’altra.

— L’amico si sveglierà tra cinque minuti circa — annunciò Ruth.

— Abbiamo tempo da vendere. — Richiusi la valigia e misi in mano a Saul un rotolo di banconote. — Questa roba viene dal portafoglio del nostro amico. Non so quanto è e non me ne importa però non voglio tenermela addosso. Compratevi un cartoccio di noccioline… o che so io… datele alla Croce Rossa se vi fa piacere. E ora vi conviene andarvene.

I miei colleghi non persero tempo. Saul balzò in macchina annunciando: — Chiamerò in ufficio più tardi — e s’avviò a rotta di collo.

Tornai al mio posto, sul ciglio della strada, mi sdraiai sull’erba e cominciai a gemere debolmente. Quando mi accorsi che non succedeva nulla, sospesi la rappresentazione. L'umido dell’erba stava penetrandomi attraverso i vestiti e io ero sul punto di iniziare un rosario mentale di imprecazioni quando sentii un fruscio dalla parte di Rony. Emisi un altro gemito pietoso, mi rizzai sulle ginocchia, borbottai un paio di osservazioni espressive, gemetti di nuovo e mi alzai faticosamente afferrandomi alla maniglia della portiera. Dopo di che accesi i fari e vidi Rony, seduto sull'erba che ispezionava il proprio portafoglio.

— Meno male che siete vivo — sospirai.

Lui non aprì bocca.

— Che animale! — borbottai.

Lui continuò a non aprir bocca. Gli ci vollero altri due minuti abbondanti per decidersi a rizzarsi in piedi. Devo ammettere che un’ora e cinquanta minuti più tardi, mentre lo depositavo sul marciapiede di fronte a casa sua, nella Trentasettesima Strada, non ero ancora riuscito a capire che opinione si era fatta di me. Durante il percorso aveva detto meno di cinquanta parole, aveva lasciato a me decidere se dovevamo o no denunciare l’accaduto al posto di polizia stradale, e io avevo deciso di fare il bel gesto, dato che ormai Saul e Ruth erano sani e salvi, fuori della Contea. Non potevo aspettarmi che un gentiluomo "lavorato" da Ruth Brady fosse garrulo e loquace, tuttavia mi sentivo molto irritato all’idea di non poter stabilire con sufficiente sicurezza se Rony taceva perché afflitto da sofferenze personali o perché aveva deciso di darmi il fatto mio in un momento più opportuno.

Quando salii la scala esterna di casa, avevo però la coscienza più leggera. Ero pronto ad affrontare il principale e pregustavo con delizia una lunga sosta in cucina, sapendo quel che potevo aspettarmi da un frigorifero costantemente e amorosamente rifornito da Wolfe e Fritz Brenner.

Girai la chiave nella serratura ma la porta si aprì solo di pochi centimetri. Rimasi sorpreso, perché quando mi aspetta, di solito Wolfe non fa chiudere la catena di sicurezza. Suonai il campanello, un istante dopo si accese la luce sul pianerottolo esterno e la voce di Fritz domandò cautamente: — Siete voi, Archie?

Anche questo era strano, perché dal vetro, trasparente da una parte sola, poteva vedermi benissimo. Comunque risposi che ero io, e ottenni l’ambito permesso di entrare. Appena arrivai nell’atrio ebbi la terza sorpresa. Era passata da un pezzo l’ora solita in cui Wolfe va a letto, ma il mio principale era ancora in ufficio, e dalla porta spalancata mi occhieggiava con ferocia. Gli diedi la buonasera.

— Una bella accoglienza, ho avuto — soggiunsi in tono lamentoso. — Perché le barricate? Qualcuno ha cercato di soffiarvi un’orchidea? — Mi rivolsi a Fritz. — Ho una fame tale che sono disposto a mangiare persino quel che cucinate voi.

Feci per incamminarmi verso la cucina ma il principale tuonò: — Venite qua, Fritz. Volete portargli la cena su un vassoio?

Un’altra stranezza. Andai a sedermi dietro la mia scrivania. Il principale, come seppi in seguito, mi aveva aspettato alzato per discutere una questione di vita o di morte. Ma il mio annuncio che toccava il sacro argomento del cibo, lo costrinse a soprassedere.

— Come mai avete tanta fame? — mi chiese in tono bellicoso. — Il signor Sperling non nutre i suoi ospiti?

— Per nutrirli li nutre — spiegai. — Non Ce niente da dire, ma ogni tanto nei beveraggi va a finire qualcosa che toglie l’appetito, è una storia lunga, volete sentirla questa sera?

— No. — Il mio capo guardò l’orologio. — Ma "devo sentirla ugualmente”. Avanti, parlate.

Obbedii senza discutere. Stavo ancora descrivendogli i personaggi, quando Fritz arrivò con un vassoio. Affondai i denti in un tramezzino e continuai. Alle due antimeridiane il mio racconto e il contenuto del vassoio erano terminati e Wolfe sapeva tutto quello che sapevo io, esclusi alcuni irrilevanti particolari di carattere personale. Versai le ultime stille di latte nel bicchiere e osservai: — Dunque, Sperling aveva ragione e Rony è un pupillo del Piccolo Padre. Ma dato quello strano nome sulla tessera noi non possiamo far indagini presso il Partito, per avere la sicurezza assoluta.

— Certo che possiamo. — Il mio principale vuotò d’un fiato un bicchiere di birra. — Ma sprecheremmo inutilmente il denaro del signor Sperling. Anche se quella tessera appartiene al signor Rony, come è molto probabile, sospetto che da parte sua si tratti di una finta, per chissà quali scopi misteriosi. Non posso rimproverarvi per il vostro modo d’agire. E stato perfettamente in carattere con voi, e ormai dovrei conoscervi. Non posso dire che avete disobbedito alle istruzioni perché vi avevo lasciato fare di testa vostra… Però avreste potuto almeno telefonarmi, prima di assumervi il rischio di un atto di banditismo.

— Ma davvero! — dissi in tono ironico. — Vogliate scusarmi, ma da quando in qua pretendete un rapporto ogni mezz’ora, mentre eseguo un lavoretto da poco, quando per esempio sto dando lo sgambetto a un futuro sposo?

— Non l'ho mai preteso, infatti. Ma voi non ignoravate che nella vostra impresa era sorto un nuovo fattore, sotto forma di congettura, almeno. Ebbene, ora non si tratta più della congettura. Voi non mi avete telefonato, ma in compenso mi ha chiamato qualcun altro. Un uomo… una voce che conoscete…

— Volete dire Arnold Zeck?

— Non sono stati fatti nomi. Ma la voce era quella. Come ben sapete è inconfondibile.

— E che cosa aveva da dire?

— Nemmeno il nome del signor Rony è stato fatto, e neanche quello del signor Sperling. Ma il mio interlocutore non ha lasciato adito a dubbi. Mi ha invitato a troncare le indagini sulle attività del signor Rony, altrimenti l’avrei pagata cara.

— E voi? Che cosa avete risposto?

— Io… ho cercato di tergiversare. — Il mio principale cercò di versarsi la birra ma s’accorse che la bottiglia era vuota e la depose. — Il suo tono era più perentorio dell’ultima volta, e anch’io non ho dissimulato del tutto il mio risentimento. Ho spiegato che posizione intendevo prendere, e in termini piuttosto forti. Il colloquio è terminato con un ultimatum. Mi sono state date ventiquattro ore di tempo per richiamarvi dalla vostra missione.

— L’amico sapeva che ero dagli Sperling?

— Sì.

— Perdiana! — emisi un fischio prolungato. — Il caro Rony è di un’attività impressionante! Ed è pericolosetto, anche. Quando penso che gli ho messo le mani addosso, e altrettanto hanno fatto Ruth e Saul… Accidenti! Sarò costretto… A che ora avete ricevuto quella telefonata?

— Ieri nel pomeriggio. — Wolfe alzò gli occhi all’orologio a pendolo. — Sabato alle sei e dieci.

— Quindi l'ultimatum è spirato da otto ore e noi siamo ancora vivi e parlanti. Tuttavia non ci avrebbe fatto male alla salute scambiare le nostre opinioni. Perché non mi avete telefonato in modo che…

— Archie, basta!

— Perché? — chiesi inarcando le sopracciglia.

— Perché, sebbene siamo due codardi che si acquattano in un angolo, dobbiamo avere la decenza di non esprimerci così! Io vi rimprovero perché non mi avete telefonato. Voi rimproverate me perché non vi ho telefonato. Chiudere la porta col catenaccio è una misura di comune prudenza, ma non c’è…

Forse Wolfe pronunciò ancora qualche sillaba, ma io non l’afferrai. In vita mia avevo udito una quantità di frastuoni, e una o due volte ne avevo uditi di intensi come quello che aveva interrotto il mio principale e mi aveva fatto balzare fino al soffitto, ma quanto a timbro… era unico. Per farvene un’idea precisa dovreste procurarvi un intero battaglione di artiglieria e costringerlo a fare esercitazioni tattiche al bersaglio contro il Palazzo di Cristallo di Londra.

Durò cinque o sei minuti. Poi silenzio perfetto.

Wolfe disse qualcosa.

Agguantai una rivoltella, corsi nell’atrio, accesi la lampada esterna e spalancai la porta d'ingresso. Al di là della strada cominciavano ad aprirsi le finestre, e la gente si chiamava, scambiandosi i commenti, ma la via era ancora deserta. A un tratto mi accorsi che non ero in piedi sul pianerottolo ma su una lastra di vetro e se quel particolare vetro non era di mio gusto Ce n’era intorno a me una scelta imponente. C’erano vetri sul pianerottolo, sui gradini, sulla strada, sul marciapiede. Alzai gli occhi e in quella un pezzo di vetro svolazzò verso di me, mi mancò per un paio di centimetri e andò a frantumarsi sul selciato. Rientrai, chiusi la porta e mi voltai a guardare Wolfe, che stava alle mie spalle stupefatto.

— Se l’è presa con le orchidee — annunciai. — Voi rimanete qui. Vado di sopra a dare un’occhiata.

Mentre salivo le scale a balzi, sentii il ronzio dell’ascensore. Il principale doveva essersi mosso a tempo di record. Fritz mi seguiva ma non riusciva a tenermi dietro. Il pianerottolo dell’ultimo piano era intatto. Girai l’interruttore, misi piede nel primo locale della serra, una camera termica, e dovetti fermarmi di botto perché la luce non c’era più. Mi soffermai per qualche secondo, per abituare gli occhi all'oscurità e nel frattempo il principale e Fritz mi raggiunsero.

— Lasciatemi passare! — comandò irritato il principale.

— No. — Lo respinsi in malo modo. — Vi scotennereste o, forse, finireste con lo sgozzarvi. Aspettate qui, finché non trovo modo di far luce.

— Theodore! Theodore! — ululò lui al di sopra della mia spalla. Una voce lontana giunse dalle rovine illuminate dalla luna.

— Sono qui, signor Wolfe! Qui vicino. Che cosa è successo?

— Tutto bene?

— Neanche per idea!

— Perché? Vi siete fatto male?

— No, sto benissimo, ma si può sapere che cosa è successo?

Vidi qualcosa muoversi nel punto dov'era (o dov’era stata) la camera di Theodore, poi udii un fragore di vetri infranti.

— Avete luce? — gridai a mia volta.

— No, le dannatissime e schifosissime luci se ne sono andate…

— Allora state lì fermo finché non riuscirò a trovare una torcia elettrica, accidentaccio!

— Rimanete immobile! — rumoreggiò Wolfe.

Scesi in ufficio di volata. Quando ritornai, la strada risuonava di grida e di rumori vari e le luci delle case, di fronte erano tutte accese. Noi ignorammo il fenomeno. Lo spettacolo che ci si era presentato, al debole raggio della lampadina, era tale da farci dimenticare ogni cosa. Delle mille lastre di vetro e delle diecimila orchidee, qualcuna era ancora intatta, come apprendemmo in seguito, ma certamente a prima vista nessuno se ne sarebbe accorto. Anche armati di lampade e lampadine, muoversi in quella giungla di enormi schegge che spuntavano e sporgevano dappertutto non era un piacere celestiale, ma Wolfe e Theodore (che fisicamente stava benone ma era tanto inferocito da farmi temere che stesse per esplodere) pretesero di fare un sopralluogo senza por tempo in mezzo.

Finalmente il mio padrone giunse davanti a una dozzina di Odontoglossum harryanum, sua gioia e letizia degli ultimi sei mesi. Mosse su e giù il fascio di luce della lampadina sulle foglie e sugli steli spiaccicati, poi si voltò e disse con voce calmissima: — Tanto vale scendere in studio.

— Il sole sorgerà tra un paio d’ore — annunciò Theodore in tono funebre.

— Lo so. Abbiamo bisogno di uomini.

Quando arrivammo in ufficio telefonammo a Lewis Hewitt, e dopo di lui a tutti i più grandi floricoltori d’America. Poi ci decidemmo a chiamare la polizia, ma una radio pattuglia era già giunta davanti alla nostra casa.

6

Mi alzai, respinsi la sedia, mi stiracchiai per tutta la mia lunghezza e mi concessi un sonoro sbadiglio, senza scusarmi perché sentivo d’essermelo guadagnato. Di solito, faccio la prima colazione in cucina e Wolfe mangia in camera sua, ma quello non era precisamente un giorno dei soliti.

Un plotone di quattordici uomini, capitanato da Theodore, era nella serra a compiere opera di salvataggio. Un’armata di vetrai doveva giungere a mezzogiorno in punto. Andy Krasicki era arrivato da Long Island e aveva preso servizio. Gli agenti di polizia stavano ancora curiosando per la strada e nelle case di fronte e, presumibilmente in tutto il quartiere, ma da noi era rimasto solo il capitano Murdoch che in quel preciso momento era seduto a tavola con Wolfe e mangiava frittelle al miele. La strada era stata bloccata perché i vetri che continuavano a cadere costituivano un serio pericolo.

I poliziotti sapevano tutto (fino a un certo punto). La famiglia che viveva nella casa di fronte alla nostra era in vacanza. Sul tetto erano stati trovati centonovantadue bossoli di fucile mitragliatore, e un folto gruppo di esperti della polizia si stava dando ancora da fare in cerca di indizi, per provare che gli assalitori avevano sparato da quel tetto, nel caso che gli avvocati difensori decidessero di sostenere la tesi che i bossoli li aveva lasciati cadere un piccione di passaggio. Però, per il momento, di avvocati difensori non ce n’era bisogno, in quanto non C’erano imputati. Non si sapeva ancora come avevano fatto i banditi ad arrivare sul tetto della casa deserta. I questurini avevano semplicemente scoperto che alcune persone sconosciute erano salite su quel tetto alle due e ventiquattro antimeridiane, avevano ridotto in frittata la nostra serra, e se l’erano filata attraverso un vicolo aperto sulla Trentaseiesima Strada: tutta roba che avrei potuto rivelare loro anch’io, senza neanche prendermi il disturbo di alzarmi dalla sedia.

Ammetto che né io, né il mio principale fummo di grande aiuto ai tutori dell’ordine pubblico. Wolfe non si lasciò sfuggire il nome di Sperling, di Rony, e tanto meno quel famoso nome che cominciava per Z. Rifiutò di fare deduzioni circa l’identità degli assalitori.

Avevo piantato in asso la prima colazione in fretta e furia perché dovevo telefonare a circa un migliaio di fornitori di mandarci il materiale necessario per le riparazioni. Non fu una cosa tanto semplice. Cominciai prima che Wolfe e il capitano Murdoch andassero a fare un sopralluogo sul tetto e, quando il principale mi raggiunse in ufficio parecchio tempo dopo, non avevo ancora terminato. Wolfe si trascinò stancamente verso la sua poltrona, si appoggiò all’indietro e trasse un profondo sospiro. L’osservai da capo a piedi e gli dissi: — Vi converrebbe andare a fare un pisolino. Però prima vorrei dirvi qualcosa. Io sono un grande ammiratore del coraggio, dell’ardimento e del valore; però sono anche un buon contabile. Se questa commediola continua, come temo vivamente, il nostro conto in banca scenderà sottozero. Sarebbe meglio rinunciare all’anticipo di Sperling e non pensarci più. Vi assicuro che, se lo farete, non vi prenderò in giro mai, per tutta la vita. Volete che ve lo giuri sulla Bibbia?

— No. — Il mio capo aveva gli occhi chiusi. — Avete preso tutti gli accordi necessari per le riparazioni e la sostituzione dei fiori distrutti?

— Fino all’ultimo particolare.

— Allora telefonate agli Sperling e chiamate la figlia maggiore.

— E perché proprio lei? — domandai sorpreso. — Per quale…

— Eh!… voi ritenevate d’aver dissimulata la direzione presa dal vostro interesse personale, ma non ci siete riuscito. Vi conosco troppo bene. Chiamatela e fatevi dire se la famiglia è presente. Se ci sono tutti, avvertite che fra due ore saremo là.

— Saremo?

— Sì. Voi e io.

Andai al telefono. Dunque Wolfe usciva. Si faceva trasportare in un prodotto della perversità umana come l’automobile, andava di sua spontanea volontà a trovare estranei per lavoro. Ma bisogna pur ammettere che gli avvenimenti di quella notte avevano trasformato il nostro ultimo caso da un semplice impegno d’affari, a una lotta per la sopravvivenza. E questo spiegava molte cose.

Mi rispose un domestico e chiesi della signorina Madeline Sperling. Il nome del marito, Pendleton, era stato evidentemente buttato nel cestino dei rifiuti. Avrei voluto limitare la conversazione a punti essenziali, ma la mia amica non era di quel parere. Rony aveva telefonato a Gwenn, le aveva detto che era stato assalito dai banditi e Madeline volle risentire tutta la storia da me. A quanto pareva, era preoccupata per le sorti della mia scatola cranica e dovetti assicurarla ripetutamente che la legnata del bandito non aveva aperto spiragli pericolosi. Quando però arrivammo al nocciolo della questione, capì i miei desideri in un battibaleno.

— Tutto combinato — annunciai un minuto dopo, rivolgendomi a Wolfe. — Siamo formalmente invitati a pranzo. Ci saranno tutti.

— Compresa la sorella?

— Ho detto tutti.

Il capo lanciò un’occhiata alla pendola, erano le undici e ventitré.

— Dovremo arrivarci per la una e mezzo — osservò.

— Sì. Prendetela calma. Credo di sapere dove posso trovare un autoblindo a nolo. La strada passa a meno di sette chilometri dalla residenza di un certo signore e…

Wolfe fece una smorfia.

— Prendete la due posti.

— Benissimo. Se vi accoccolerete sul pavimento o vi lascerete chiudere nel baule posteriore, potremo farcela. Il nostro amico si interessa a voi, non a me. Tra parentesi, che ne facciamo di Fred e Orrie? Ho già avvertito Saul che alcuni elementi estranei, oltre ai pupilli della Squadra Omicidi, hanno messo il naso nel nostro piccolo affare, ma credo che sarebbe igienico per Fred e Orrie prendersi un giorno di vacanza. Dopo che voi avrete parlamentato con la famiglia, potrete sempre ordinare che le indagini riprendano, sebbene io speri, vivamente, di no.

Il principale si degnò di fare questa concessione.

Partimmo a mezzogiorno. Wolfe si accomodò come sempre sul sedile posteriore e si afferrò con una stretta d'acciaio ai bordi dei finestrini, ma questo non significava che fosse particolarmente nervoso, per lui automobili e affini sono invenzioni del demonio.

Era una di quelle giornate grigie e ventose delle quali l’estate dovrebbe vergognarsi. Quando arrivammo a villa Sperling fummo ricevuti con tutti gli onori. Un uomo era sulla soglia ad aspettarci: non si trattava del maggiordomo, bensì di James U. Sperling in persona. Attraverso il finestrino ci gridò: — Che cosa significa questa commedia?

Senza rispondere, Wolfe spalancò lo sportello, evitando per un millimetro di acciaccare il naso del nostro ospite, e schizzò fuori dalla macchina. Intanto il presidente delle Miniere Riunite continuava: — Ho cercato di raggiungervi per telefono, ma, quando finalmente ho trovato il vostro numero, mi hanno detto che eravate già partito. Che cosa combinate? Volete rovinare tutto?

Wolfe lo guardò dritto negli occhi.

— Avete detto di esservi informato sul mio conto, signor Sperling. Dovreste sapere, allora, che non sono uno scriteriato. Vi assicuro che posso giustificare il mio gesto, ma potrò farlo solo se mi sarà concesso di portarlo a fondo. Quando avrò esposto la situazione a voi e alla vostra famiglia, deciderete se è ancora il caso di biasimarmi. Ma io sono certo che non vi sarà possibile: ci gioco la mia reputazione.

Sperling aveva una voglia pazza di discutere la faccenda su due piedi, ma il principale non mollò e, di fronte all'alternativa di accoglierci o di sbatterci fuori a pedate, il signor presidente fece buon viso a cattiva sorte.

Con asciutta cortesia scortò Wolfe in casa; io andai a parcheggiare la macchina, scelsi un posto ben ombreggiato in un cortiletto ricoperto di ghiaia, poi mi diressi alla terrazza di ponente. Mentre stavo attraversandola, una porta si aprì e comparve Madeline. Le diedi il buongiorno. La donzella mi studiò attentamente con gli occhioni semichiusi e osservò: — Vi credevo un relitto umano, invece scoppiate di salute.

— Vi sbagliate, sto malissimo. Commozione interna. Ma non per la rapina. Per… — feci un gesto vago con la mano. — Voi dovreste saperlo.

— Mi avete delusa. — Gli occhioni si spalancarono di colpo. — Perché non li avete presi a rivoltellate, i rapinatori?

— Stavo pensando ad altro. Dovreste sapere anche questo. Ma ne discuteremo in un altro momento. Grazie mille per aver tirato in lungo, finché vostro padre non ha più potuto darci ordine di restare dove eravamo. Grazie anche per avermi creduto sulla parola, e avere accettato di collaborare con me per tirare fuori Gwenn dai guai. A proposito, quanti nomi ho, adesso, in questa casa?

— Ho dovuto spiegare chi eravate a Webster, a Paul e a Connie perché resteranno qui a colazione, e vedendovi con Nero Wolfe… non sono completamente idioti, sapete. Tra parentesi, ci avete fatto venire lungo il pranzo: di solito noi mangiamo all’una. Spicciatevi. Come va il vostro appetito?

Risposi che avrei preferito darle una dimostrazione pratica, piuttosto che perdermi in dissertazioni, e la seguii in sala da pranzo.

Era una riunione molto familiare e alla buona, ma evidentemente nessuno era a suo agio. Mangiarono tutti di buon appetito ma parevano oppressi dalla difficoltà di trovare un argomento di conversazione: il mio sferico signore, che non può sopportare le atmosfere tese e drammatiche all'ora dei pasti, cercò di attaccare bottone con questo e con quello, ma i suoi sforzi non ebbero risultati felici. Riuscì solo a intavolare una discussione non precisamente spassosa con Webster Kane a proposito di un libro che nessuno dei presenti aveva mai sentito nominare.

Alla fine del pranzo, non indugiammo attorno alla tavola. Paul Emerson verdognolo come sempre, si diresse verso il soggiorno in compagnia della consorte, Webster Kane annunciò che aveva del lavoro arretrato e partì per la direzione opposta, la schiera dei superstiti, con Sperling in testa e Nero Wolfe alla retroguardia, marciò per atri, sale e saloni e raggiunse la libreria, in formazione compatta. Il mio principale cominciò immediatamente a soppesare con gli occhi le poltrone disponibili e, poiché aveva passato una notte in bianco, ebbi pietà di lui, e gli procurai la seduta più comoda e spaziosa, piazzandola nella posizione che gli sarebbe garbata di più. Il principale mi ringraziò con un cenno del capo, poi si appoggiò all'indietro, chiuse gli occhi e sospirò. Tutti gli altri si sedettero, eccetto Sperling, che fece tre passi avanti e tuonò: — E adesso giustificatevi!

7

Wolfe rimase immobile per qualche minuto, poi lentamente premette gli occhi con la punta delle dita. Lasciò trascorrere ancora qualche secondo, infine riportò le mani sui braccioli della poltrona, riaprì gli occhi e posò lo Sguardo su Gwenn.

— Avete una faccia intelligente, signorina Sperling.

— Siamo tutti intelligenti — rimbeccò Sperling padre. — Avanti.

Wolfe lo guardò dritto in faccia.

— Dovrò parlare a lungo, ma vi assicuro che non posso farne a meno. È necessario che sentiate tutta la storia, se cercherete di farmi premura, riuscirete solo a farmi perdere tempo. Voi che siete il capo di una grande industria e avete ai vostri ordini una grande schiera di persone, sicuramente saprete quando è il momento di fare la voce grossa e quando è il momento di stare zitto e ascoltare. Volete farmi un favore? Sedetevi. Parlare con le persone che se ne stanno dritte impalate mi fa venire il torcicollo.

— Vorrei dire qualcosa — dichiarò Gwenn.

Wolfe annuì.

— E va bene: ditela.

La ragazza deglutì a fatica.

— Voglio solo dirvi che so benissimo perché siete qui. Voi avete mandato quest’uomo… — mi lanciò un’occhiata alla temperatura dell'aria liquida, che mi diede un’idea piuttosto chiara del triste stato delle nostre relazioni personali. Poi continuò: — L’avete mandato perché ficcasse il naso negli affari di Louis Rony, un mio buon amico, e il vostro compito non è diverso.

— Deglutì di nuovo. — Vi ascolterò perché la mia famiglia… mio padre, mia madre e mia sorella, me l’hanno chiesto; ma per me… per me voi siete un rettile: un piccolo, miserabile, schifosissimo rettile! Preferirei morire di fame, piuttosto che guadagnarmi la vita come ve la guadagnate voi!

Personalmente avrei voluto consigliarle di improvvisare, anziché ripetere, parola per parola, il copione che doveva essersi preparato in precedenza. Santo cielo, chiamare Wolfe un piccolo rettile! Piccolo!

Il mio principale emise una specie di grugnito.

— Se doveste guadagnarvi da vivere come me lo guadagno io, signorina Sperling, morireste senz’altro di fame. Grazie comunque per aver deciso di ascoltarmi… — si guardò attorno tranquillamente. — Qualcun altro prova l’irresistibile bisogno di fare un commento?

— Continuate — ordinò Sperling che intanto si era seduto.

— Benissimo, signori. Se da principio vi parrà che divaghi, abbiate la cortesia di tollerarmi. Voglio parlarvi di un uomo. Il suo nome preferisco non pronunciarlo; perciò lo chiameremo X. Vi assicuro che non è una creatura immaginaria: sarei troppo contento, se lo fosse. Non conosco molto bene l’entità delle sue immense ricchezze, sebbene sappia che possiede un’intera collina a meno di duecento chilometri da qui… Una collina sulla quale, alcuni anni fa, ha fatto costruire una dimora sontuosa. Le fonti della sua rendita sono disparatissime: tutte quante sono illegali e alcune di esse sono disgustose e repellenti, dal punto di vista morale. Traffico di narcotici, ricettazioni, imbrogli industriali e politici, gioco d’azzardo, omicidi, furti, ricatti, traffico di vite umane… questo è solo il principio, ma credo che basti per darvi un'idea della sua personalità. Fino a oggi quest’uomo è rimasto invulnerabile perché ha avuto la perspicacia di rendersi conto che un delinquente che eserciti la sua "professione” su larga scala, in una vasta area, per un lungo periodo di tempo, può ottenere l’impunità solo mantenendo una barriera fra la propria persona e i propri delitti. X ha un ingegno superiore, una coscienza completamente immune dai rimorsi, e una volontà indomabile.

Sperling si agitò sulla poltrona. Il mio capo gli lanciò un’occhiata di quelle che i maestri di quinta elementare riservano ai ragazzini che fanno fracasso in classe durante la visita dell’ispettore. Poi fulminò con uno sguardo l’intero gruppo degli ascoltatori e riprese: — Se pensate che vi stia descrivendo un uomo straordinario non vi sbagliate. Come può X, per esempio, mantenere la barriera tra la sua persona e la Legge? Vi sono due modi per assicurare un criminale alla giustizia: trovare il suo legame col delitto vero e proprio o provare che, coscientemente e volontariamente, si è appropriato di una parte dei proventi illegali. Con X queste prove non si possono mai raggiungere. Prendiamo per esempio un reato tipico… quel che volete, dal furto di un portafoglio all'assalto a una banca di stato. Il criminale, o la banda dei criminali, quasi sempre si assume la responsabilità delle operazioni; ma, quando si presenta l'eterno problema di collocare il bottino o di proteggersi contro le conseguenze legali dei suoi atti, non può fare a meno di trattare con altre persone. Può occorrergli un ricettatore, un avvocato, un testimone falso per un alibi, una persona che abbia influenza negli ambienti politici o presso la polizia… non importa chi, ma è certo che il malvivente avrà bisogno di qualcuno o di qualcosa. Allora si rivolge a qualcuno che conosce, o del quale ha sentito parlare favorevolmente: una persona che chiameremo A. A, trovando una piccola difficoltà, consulta B. Ci troviamo già, come osserverete, alquanto lontani dal reato vero e proprio, e B ci allontana anche maggiormente quando va a chiedere l'aiuto di C. C, incontrando ulteriori difficoltà, comunica con D. Siamo quasi vicino al punto d’arrivo: D conosce X e sa come raggiungerlo.

"Ogni mese a New York, e dintorni si verificano migliaia di reati: dal piccolo furto all’omicidio. Nella maggior parte dei casi, i malviventi risolvono da sé le proprie difficoltà, o le fanno risolvere da un A, un B o un C. Ma un certo numero di problemi spinosi giunge fino a D e da D a X il passo è breve. Io non so quanti D esistano, ma certo non sono molti, perché vengono scelti da X, solo dopo un lungo e attento vaglio e gli esami più severi, X sa benissimo che, una volta accettato un D, dovrà sostenerlo con estrema lealtà, a ogni costo o quasi. Secondo me, i D sono pochissimi. E in ogni caso sono certo che, se a un D venisse in mente di tradire in un modo o nell’altro il suo padrone, scoprirebbe che anche questo è stato previsto e sono state prese tutte le misure necessarie. ”

Wolfe si strinse lievemente nelle spalle.

— Ora, voi capite in che posizione si trova X. Quasi nessun malvivente, e pochissimi A, B o C sanno che esiste; e anche questi pochi non conoscono il suo nome. Possono averlo immaginato, ma non sono mai andati al di là di una supposizione. A occhio e croce, la somma complessiva di denaro che viene impiegata in un anno in operazioni illegali a New York, varia da trecento milioni di dollari a mezzo miliardo. X svolge la sua cosiddetta professione ormai da più di vent'anni, e la parte del bottino che gli spetta e che per vie tortuose giunge fino a lui dev'essere considerevole, anche dopo che ne sono stati dedotti gli stipendi del personale fidato. Quanto guadagna X? Un milione di dollari all’anno? Mezzo milione? Non lo so. So solo che X non paga per tutto ciò che riceve. Alcuni anni fa uno dei più eminenti funzionari del Comando Centrale di polizia di New York ha fatto molti favori a X, ma credo che non abbia ricevuto un centesimo in compenso. Il ricatto è una delle attività preferite di X, e il poliziotto era molto suscettibile.

— L’ispettore Brake — saltò su Jimmy.

Il mio signore scosse il capo.

— Non faccio nomi; in ogni caso avevo parlato di un altissimo funzionario. — Diede uno sguardo circolare ai presenti e continuò: — Vi sono obbligato per la vostra sopportazione; vi assicuro, comunque, che tutti questi particolari sono indispensabili, io conosco il nome di X, ma di persona non l'ho mai visto. Ho scoperto la sua esistenza undici anni fa, quando un funzionario di polizia venne a chiedermi la mia opinione circa un delitto sul quale stava svolgendo indagini, io svolsi una piccola inchiesta personale, per pura curiosità (un lusso che ormai non mi concedo più), e scoprii che mi ero incamminato sopra un sentiero molto pericoloso, per un investigatore privato. Siccome non avevo clienti e non mi ero perciò impegnato con nessuno, riferii al funzionario di polizia quel che avevo trovato e lasciai cadere la cosa. Venni a conoscenza allora dell’esistenza di X, di alcune sue attività e dei suoi metodi, ma non ne scoprii il nome.

"Durante gli otto anni che seguirono ebbi la certezza, per vari segni, che X continuava la propria opera, ma le mie indagini non mi portarono mai in diretto contatto con lui. Poi, tre anni fa, mentre stavo svolgendo alcune indagini per conto di una cliente, ricevetti una telefonata. Era una voce che non avevo mai sentita, dura, fredda, precisa, molto pignola dal punto di vista grammaticale… che mi consigliò di limitare i miei sforzi a vantaggio della cliente. Risposi che i miei sforzi sarebbero stati limitati unicamente dalle esigenze dell’impegno che mi ero preso. La voce insistette e discutemmo un po’, ma senza raggiungere nessuna conclusione. Il giorno seguente terminai felicemente le mie indagini, e la cosa fini lì. "

Wolfe chiuse lentamente i pugni, poi li riaprì.

— Subito dopo, però, cominciai a pensare che, almeno per soddisfazione personale, dovevo cercare di saperne di più, il genere delle indagini e un’osservazione fatta dalla voce durante il nostro colloquio mi avevano fatto venire il dubbio che si trattasse di X in persona. Poiché non desideravo mettere in pericolo i miei collaboratori abituali, e soprattutto il signor Goodwin, mi feci mandare alcuni uomini da un’agenzia investigativa di un'altra città, in modo che fossero relativamente sicuri da eventuali rappresaglie. Entro un mese ottenni tutte le informazioni che desideravo, compreso il nome di X. A questo punto licenziai gli agenti che avevo assunto e distrussi i loro rapporti. Speravo che la mia strada e quella di X non dovessero più incontrarsi, ma non fu così. Alcuni mesi dopo, poco più di un anno fa, stavo svolgendo indagini su un omicidio, stavolta per incarico di un cliente… forse ve ne ricorderete… il mistero di un certo Orchard, che era stato avvelenato durante una trasmissione radiofonica…

Tutti annuirono, Sperling escluso, e la nostra gentile ospite ci informò che aveva ascoltato la trasmissione fatale il giorno in cui era avvenuto il patatrac. Wolfe proseguì: — Ero nel pieno delle mie indagini, quando la stessa voce mi chiamò al telefono, e mi ordinò di lasciar cadere tutto. Stavolta X fu più avaro di parole, forse perché io gli avevo rivelato che conoscevo il suo nome… un gesto puerile da parte mia. Io ignorai il suo ultimatum. Ben presto scoprii che il signor Orchard e una donna che era stata uccisa poco dopo di lui, erano ricattatori di professione e usavano un metodo che rivelava chiaramente un’enorme organizzazione, ideata da una persona di genio e condotta con grande abilità. Riuscii a scoprire la colpevole: una vittima dei ricatti dei due agenti di X. Dopo la condanna dell’omicida mi giunse un’altra telefonata. X ebbe la faccia tosta di congratularsi con me perché avevo mantenuto le mie indagini entro i limiti che lui mi aveva prescritti! Gli risposi che le sue prescrizioni non mi avevano fatto né caldo né freddo.

Sperling, che negli ultimi dieci minuti aveva faticato assai a star fermo sulla sedia, non ne potè più.

— Accidenti, non potreste farla breve? — chiese in tono esplosivo.

— No, se voglio guadagnarmi la parcella — rimbeccò Wolfe, e riprese: — Questo è avvenuto nel maggio dell'anno scorso… tredici mesi fa. In questo frattempo non ho più avuto messaggi da X, perché, per fortunata coincidenza, non ho più assunto incarichi che potessero dargli ombra. Questa buona fortuna è terminata… come presto o tardi doveva pur avvenire, poiché io e quel signore, ci occupiamo entrambi di delitti e delinquenti… Questa buona fortuna, dicevo, è terminata ieri, sabato, alle sei e dieci pomeridiane. X mi ha telefonato di nuovo. Era molto più perentorio delle volte precedenti, e mi ha dato un ultimatum a breve scadenza. Io ho risposto alla sua ingiunzione secondo il mio temperamento (io sono, per natura, impulsivo e ostinato), e ho respinto seccamente l’ultimatum. Non voglio farvi credere di non essermene preoccupato. Quando il signor Goodwin è ritornato, ieri sera dopo mezzanotte, e mi ha fatto il suo racconto, io gli ho parlato della telefonata e abbiamo discusso ampiamente la situazione. — Il mio principale si guardò intorno. — Qualcuno di voi, sa, per caso, che sul tetto della mia casa ho un’enorme serra dove coltivo migliaia di orchidee tutte pregiate ed estremamente belle, alcune delle quali più uniche che rare?

Sì, lo sapevano tutti, Sperling escluso, che rimase impettito e duro come un baccalà.

— Non voglio andare a caccia di effetti drammatici. Io e il signor Goodwin stavamo discutendo in ufficio verso le tre di stamattina, quando abbiamo udito un baccano infernale. Alcuni uomini, dipendenti di X, si erano arrampicati sul tetto della casa di fronte, armati di fucili mitragliatori, e si erano messi a sparare centinaia di proiettili, contro l’ultimo piano di casa mia, con l'effetto che potete immaginare. Preferisco non descrivervi le condizioni della mia serra. Trenta uomini sono ora al lavoro per riparare i danni e salvare il salvabile. Il mio giardiniere non è stato assassinato per puro caso. Le riparazioni e le sostituzioni delle piante distrutte mi verranno a costare quarantamila dollari, non meno, e, nonostante tutto, alcuni esemplari perduti sono insostituibili. I banditi non sono stati scoperti, e forse non lo saranno mai, ma anche se lo fossero? Non sarebbe esatto dire che li ha assunti X. L’assunzione è avvenuta per mezzo di una dei soliti agenti… con molta probabilità, per mezzo di un B o un C. Sicuramente X non si sognerebbe mai di rivolgere la parola a un malvivente, tanto meno a un sicario, e molto probabilmente non lo fa nemmeno un D. Se…

— Volete dire che è accaduto da poco? — scattò Sperling, tornando finalmente alla vita. — La notte scorsa?

— Sissignore. Ho citato un approssimativo dell’ammontare dei danni perché voi dovrete pagarlo. Lo troverete specificato sulla mia parcella.

Sperling emise un rumore curioso.

— Che ce lo trovi è un conto, ma che io lo paghi è un altro. Perché dovrebbe toccare proprio a me?

— Perché è una spesa che ho dovuto affrontare per l’indagine assunta dietro vostro ordine. La mia serra è stata distrutta perché ho ignorato l’ultimatum di X, cioè la sua richiesta di richiamare immediatamente il signor Goodwin e di sospendere le indagini sulle attività e la persona di Louis Rony. Voi volevate che io trovassi le prove dell’appartenenza del signor Rony al Partito Comunista. Questo non posso farlo, ma posso fornirvi qualcosa di meglio. Posso provarvi che Rony è uno degli uomini di X: un C e forse anche un D; perciò è un criminale di professione, molto pericoloso.

La reazione più rapida venne da Madeline. Ancora' prima che il mio principale avesse finito di parlare, la bella balzò in piedi esclamando: — Mio Dio! — Poi passò ineducatamente davanti agli altri senza chiedere scusa e posò una mano sulla spalla della sorella.

La signora Sperling balzò in piedi, ma tornò a sedersi di scatto come un babau. Jimmy, che aveva fissato Wolfe per tutto il tempo con un muso ferocissimo, trasferì il suo cipiglio sul padre. Il signor presidente fissò per un momento il mio principale, con gli occhi fuori dall’orbita. Si accostò alla figlia minore, poi le sussurrò: — Dice che può provarlo, Gwenn.

Io sono un po’ meno intelligente di Einstein; però avevo capito da un pezzo che il mio principale snocciolava la sua tiritera a esclusivo uso e consumo di Gwenn, e la tenevo d’occhio da un pezzo. Dapprincipio la luce testarda e verdastra che le brillava negli occhi mi aveva rivelato che la donzella non credeva una sola parola del racconto, poi pian piano si era resa conto che il misterioso X non poteva essere il suo caro Louis e si era calmata un po’. Stava forse cominciando a pensare che dopo tutto era una storia interessante, quando all’improvviso il nome di Rony era tornato in ballo e subito dopo era giunta la sensazionale rivelazione. Quando sentì la mano di Madeline sulla propria spalla, Gwenn posò una zampetta sulle dita della sorella e disse a bassa voce: — Non te la prendere, Mad. — Poi, alzando il volume, sibilò a Wolfe: — È un mucchio di bugie.

Sperling si piazzò accanto alle figlie, impedendoci la visuale e Wolfe dichiarò, rivolto apparentemente alla sua schiera: — Ho appena cominciato, sapete. Ora devo spiegarvi la situazione.

— È inutile — esclamò Gwenn, balzando in piedi.

— So benissimo qual è la situazione.

Tutti parlarono contemporaneamente, agitandosi intorno alla donzella in pericolo come un gruppo d’api ubriache. Wolfe aspettò un paio di minuti, poi esclamò in tono tagliente: — Maledizione! Siete proprio tutti scriteriati?

— Non avreste dovuto fare una cosa simile! — l’investì il signor presidente. — Avreste dovuto dirlo prima a me! Avreste dovuto…

— Sciocchezze! Inqualificabili sciocchezze! Per mesi e mesi avete ripetuto a vostra figlia che il signor Rony era comunista e per tutta risposta la signorina vi ha sfidato a provarlo. Se aveste tentato di dirle quel che vi ho raccontato ora, avreste di nuovo ricevuto la stessa sfida, e con quale risultato? Io sono in una posizione migliore della vostra. Volete avere la cortesia di levarvi di mezzo in modo che io possa vederla? Grazie. Signorina Sperling, voi non avete esitato a sfidare vostro padre, ma ora volete ritirarvi. Dunque avete paura a sfidare anche me?

— Non ho paura di niente!

— Allora sedetevi e ascoltatemi. Sedetevi tutti, per favore.

La schiera dei consolatori obbedì e anche Gwenn tornò al suo posto, stringendosi il labbro inferiore tra i denti. Non aveva più l’aria da muletto di poco prima. Arrivò perfino a lanciarmi un’occhiata interrogativa e malsicura, come per chiedermi un aiuto qualsiasi. Il mio principale la guardò dritto negli occhi.

— Ho voluto darvi un’idea chiara di come stanno le cose perché possiate decidere con intelligenza, signorina Sperling. Infatti, sebbene il mio cliente sia vostro padre, la decisione spetta a voi. La domanda che vi pongo è questa: devo procedere? Devo procurarvi quelle prove o no? Se…

— Ma avete detto che le possedevate già, le prove!

— No, ho affermato che ero in grado di provare ciò che vi avevo detto… e non ho mentito. Se dovrò farlo, lo farò. Però preferirei vivamente evitarlo. Potrei, per esempio, restituire la caparra a vostro padre, sobbarcarmi le spese della ricostruzione della mia serra e far sapere a X che ho abbandonato la partita. Sarebbe la cosa più intelligente e pratica da fare. Ma io sono afflitto da una debolezza comune a tutti gli uomini: il mio amor proprio difficilmente ascolta la voce della ragione. Poiché ho accettato un incarico che vostro padre mi ha affidato in buona fede, non ho una scusa per ritirarmi… per lo meno, non una scusa che la mia dignità accetti. C’è un'altra soluzione: voi potreste accettare per sicuro il fatto che io non sono un bugiardo. O se lo sono, almeno convincervi che non mi abbasso fino a inventare un miserabile espediente come questo, per guadagnare un alto compenso, impedendovi di sposare un uomo che voi amate ed è degno del vostro amore. Se mi credete sulla parola, ne consegue che il signor Rony è un furfante; e poiché è chiaro che voi non siete una sciocca, la sorte del vostro spasimante è segnata. Ma…

— Avete detto che potevate provarlo!

— Infatti — assentì Wolfe. — La mia vanità mi impedisce di ritirarmi. Se vi rifiuterete di credermi una persona onesta lo farò senz'altro. Ora capirete perché vi ho dato un quadro così completo del carattere dell’attività di X. Sarebbe impossibile smascherare Rony senza tirare in ballo X e, dato e non concesso che lo si potesse fare, X metterebbe ugualmente il naso nei vostri affari. Ne abbiamo già una prova… sul tetto di casa mia. Potete venire a dare un'occhiata se ci tenete. A proposito, ci sarebbe ancora un'altra soluzione. — Wolfe guardò il nostro cliente. — Signor Sperling, voi potreste pagare le mie prestazioni fino a oggi e darmi il benservito, in tal caso vostra figlia riterrebbe che la mia accusa contro il signor Rony manca di prove, come la vostra, e si disporrebbe a fare… che cosa? Non lo so: voi la conoscete meglio di me. Dunque? Volete rimandarmi a casa?

Sperling, sprofondato nella sua poltrona, guardava alternativamente Gwenn e Wolfe.

— Dite un po’— chiese con voce tranquilla. — Quanto ce di vero in quello che avete raccontato?

— Tutto: fino all’ultima parola.

— Chi è X?

— Questo verrà in seguito. Se saremo costretti a intraprendere una battaglia contro di lui vi dirò ogni cosa, naturalmente.

— Benissimo. Continuate.

Wolfe si rivolse di nuovo a Gwenn.

— La lotta contro X sarà molto difficile, specialmente perché non potremo mai essere sicuri di nessuno. Io conosco, a occhio e croce, circa tremila persone che vivono e lavorano a New York, e ce ne saranno sì e no dieci che, a quanto mi consta, non hanno assolutamente nulla a che fare con le attività di X. Quanto agli altri si può sospettare di tutti e di nessuno. Se vi sembra un’esagerazione, signorina Sperling, ricordate che il nostro avversario ha trascorso gran parte della sua vita stendendo le sue reti e il suo ingegno rasenta la genialità. Così, per quanti milioni vostro padre deciderà di investire nell'impresa, io non potrò possedere, come X, il dono dell’ubiquità. Però, è indispensabile che arrivi a essere inaccessibile quanto lui: e senz'altro lo sarò. Mi trasferirò in una base di operazioni, che sarà nota solo al signor Goodwin, e forse a un altro paio di persone. Non crediate che si tratti di paura morbosa; è un fatto che, appena avrà subodorato le mie intenzioni, X punterà tutti i suoi grossi calibri contro di me. Al telefono ha avuto occasione di dirmi quanto mi ammira, e io ne sono stato lusingato, ma ora devo pagare il prezzo di questa ammirazione. X saprà benissimo che si tratta di una sfida mortale e non mi sottovaluterà… purtroppo.

Il mio principale si strinse nelle spalle e riprese: — È impossibile prevedere quanto tempo ci vorrà, e quanto costerà l’impresa. — Fece un breve gesto impaziente. — Non per finire il vostro signor Rony: quello è un semplice particolare. Non passerà molto tempo e, se ci terrete ancora a parlargli, lo dovrete vedere attraverso la grata della sala dei colloqui di un penitenziario. Ma X non lascerà che le cose si fermino qui, per quanto sia molto probabile che cerchi di farmi credere il contrario. Una volta lanciato, vorrà arrivare fino in fondo, perciò non so davvero dire quanto tempo impiegheremo, né posso dire quanto denaro sarà necessario. Io certamente non ne ho a sufficienza e, per soprammercato, in quel periodo non ne guadagnerò affatto; perciò sarà vostro padre ad affrontare tutte le spese e dovrà impegnarsi a farlo per iscritto in anticipo. Io metterò a repentaglio la mia libertà, la mia sicurezza e la mia vita, e posso pretendere che lui metta a repentaglio la sua fortuna. Per quanto grandi possano essere le sue risorse… — Wolfe s’interruppe. — Be’! — esclamò in tono sprezzante. — Tanto vale che io sia completamente sincero. Credo d’avervi dato un’idea abbastanza chiara del modo di pensare e di agire di X. Senza dubbio, con noi tenterà molti espedienti, prima di ricorrere alla violenza, perché è un uomo d'infinito buon senso, e sa che all’omicidio si deve ricorrere solo in casi estremi. Inoltre, assassinare un uomo nella posizione di vostro padre potrebbe essere piuttosto pericoloso; se tuttavia X lo ritenesse necessario, il rischio non gli farebbe paura. Io non…

— Lasciate correre — interruppe Sperling. — Se mia figlia vuol prendere in considerazione il denaro che mi toccherebbe spendere, faccia pure, ma non voglio che si ritenga in dovere di salvarmi la vita. A questo devo pensarci io.

— Poco fa mi avete detto di continuare — ribattè Wolfe, fissandolo intensamente. — Allora? Volete mandarmi a casa?

— No. Avete parlato della vostra vanità, ma sono vanitoso anch’io. Sono deciso a continuare e non cambierò idea in seguito.

— Ascolta… — cominciò sua moglie, ma il signor presidente, con un’occhiata, le tagliò letteralmente la parola in bocca.

— In questo caso — fece Wolfe rivolto a Gwenn — ci sono solo due alternative. Io non voglio abbandonare il caso; vostro padre, per parte sua, non mi licenzia; quindi la decisione dipende da voi. Se insistete, potete avere la prova che desiderate. E allora?

— E mi avevate detto che lavoravate per il bene di Gwenn! — esplose Madeline, rivolta a me.

— L’ho detto e lo ripeto — ribattei ferocemente. — Forse vi converrebbe venire a fare una visitina alla nostra serra!

Gwenn stava ancora fissando Wolfe: pareva che volesse guardargli attraverso.

— Vi ho parlato di quel che la prova da voi richiesta costerà a me e alla vostra famiglia — continuò Wolfe, rivolto alla ragazza. — Ora forse dovrò dirvi quanto costerà a un’altra persona: al signor Rony. Come minimo gli toccherà una condanna a molti anni di prigione. Forse nella vostra decisione entrerà anche questo fattore. Se sospettate che, per trascinare il vostro ammiratore davanti alla giustizia, sarà necessario un trucco, abbandonate pure l’idea. Rony è un autentico mascalzone. Non voglio arrivare all’estremo di chiamarlo un rettile “piccolo” e meschino, ma certo è una creatura spregevole. Vostra sorella è convinta che vi abbia sottoposta la questione troppo brutalmente. Ma come avrei dovuto farlo? Avrei per caso dovuto insinuare che Rony non è degno di voi? In fondo non lo so, perché non vi conosco. Quel che vi ho detto, invece, lo so per certo: è la verità e, se voi vorrete, ve la proverò.

Gwenn si alzò.

— Vi farò sapere la mia decisione prima dell’ora di coricarsi — annunciò fermamente, e ci piantò in asso!

8

Quattro ore più tardi, alle nove di sera, Wolfe fece uno sbadiglio così spropositato da farmi temere che si scoperchiasse come una zuccheriera. Eravamo nella camera dove avevo dormito io il sabato sera con una ricca dose di narcotico in corpo. Ce l’aveva offerta la signora Sperling, quando dopo l’ultimatum di Gwenn il mio principale aveva chiesto dove poteva andare a fare un riposino. Non appena aveva stabilito che i materassi erano di suo gusto, Wolfe si era messo in maniche di camicia, si era tolto le scarpe e in tre minuti si era addormentato come un ghiro. Io l’avevo ricoperto con un piumino, poi, vinto dalla tentazione, avevo seguito il suo esempio.

Alle sette, quando ci avevano chiamati per la cena, io avevo riferito alla signora Sperling a nome del mio principale che, date le circostanze, avremmo preferito mangiare un tramezzino in camera nostra o lasciar correre; l’espressione di beato sollievo che si era dipinta sul viso della nostra ospite mi aveva ricompensato un po’ delle vivande, sostanziose ma discutibili, e delle acide smorfie del gastronomo Wolfe.

Alle nove, dopo aver ammirato lo sbadiglio del principale, tanto per sgranchirmi i muscoli, afferrai il vassoio con gli avanzi della cena e scesi. Tre minuti dopo ero di ritorno e annunciavo: — Il campo di battaglia è deserto; l'unico sopravvissuto è Sperling, che, a quanto sospetto, sta mettendo le ultime virgole al proprio testamento. Li avete spaventati come lepri e sono spariti tutti.

— Che ore sono?

— Le nove e ventidue.

— Quella ragazza ha detto: “Prima dell’ora di coricarsi". Chiamate Fritz.

Avevamo parlato con Fritz un’ora prima, ma non sollevai obiezioni e andai al telefono. Ricevetti un bollettino particolareggiato riguardante principalmente lo stato d’animo di Theodore e il suo appetito a cena, nonché il progresso dell'opera dei vetrai.

Riappesi, feci il mio rapporto a Wolfe e soggiunsi:

— Ho l’impressione che stiamo buttando via un sacco di quattrini del nostro cliente. Se Gwenn decide che vuole quella maledetta prova, e noi dobbiamo andarci a nascondere in una caverna sulla montagna, perché mai scialacquare con vetri e germogli? Magari passeranno anni, prima che possiate tornare a casa… se pur ci tornerete. Fra parentesi, ho notato che avete lasciato a Sperling, nonché a voi stesso, uno spiraglio per ritirarsi, se è il caso. A me non avete lasciato niente. Avete detto solo che la vostra base di operazioni sarà nota unicamente al signor Goodwin, con l’aria di essere sicuro della posizione che prenderà il signor Goodwin. Ma se quell'eccellente giovane decide di non essere vanitoso quanto voi?

Wolfe, che aveva deposto il libro che stava leggendo per ascoltare la mia conversazione con Fritz, lo riprese e mi guardò con viso tempestoso.

— Voi siete vanitoso tre volte più di me — dichiarò ruvidamente.

— Sì, ma la mia presunzione fa altri effetti. Per esempio, può impedirmi di affrontare un rischio simile. Può darsi che io non voglia privare i miei simili delle qualità che tanto ammirano in me.

— Pfui. Io vi conosco, no? Allora smettete di fare il commediante. Come potrei prendere in considerazione un piano simile, senza di voi?

Sapevo che il principale era convinto di avermi fatto un complimento per il quale io avrei dovuto esultare; però decisi di andare a esultare sul letto. Il significato implicito di quella lode non mi garbava affatto e sapevo che a Wolfe garbava ancora meno. Avevo l’antipatica sensazione che tutto il mio futuro dipendesse dal verdetto di una bella ragazza con le lentiggini sul naso e, quantunque io non abbia nulla contro le belle ragazze, con le lentiggini o no, avevo l'impressione che si cominciasse a esagerare.

Aprii una rivista con l’intenzione di leggere qualcosa, ma il telefono trillò.

— Pronto.

— Il signor Goodwin?

— In persona.

— Parla un amico.

— Vi credo sulla parola. Lasciate che cerchi di indovinare. I telefoni qui sono piuttosto complicati. Io mi trovo in una camera da letto col signor Wolfe. Se dovessi sollevare un altro ricevitore, otterrei una linea esterna, ma d’altra parte la vostra telefonata è stata ricevuta dabbasso.

— Capisco. Ebbene, sono seduto qui, davanti a un indiano che tiene ferme alcune carte. Sono andato a fare una passeggiata, ma c'era troppa gente in giro, così ho deciso di prendere una macchina, ed eccomi qui. Mi dispiace che non abbiate potuto venire all’appuntamento.

— Spiace anche a me, ma forse potrò rimediare più tardi, se rimanete dove siete. D'accordo?

Riappesi il ricevitore, mi alzai e annunciai al mio principale: — Saul è uscito per andare da qualche parte, ha scoperto che era pedinato, ha "seminato" il suo inseguitore ed è andato nel nostro ufficio. È ancora là. Avete qualche suggerimento?

Wolfe chiuse il libro tenendovi un dito dentro per non perdere il segno.

— Chi lo seguiva?

— Non credo che lo sappia.

— Dovreste andare molto lontano per parlargli liberamente? — si informò il principale, meditabondo.

— Oh, credo che ce la farò, senza morire d’esaurimento. Chappaqua è a sette minuti di macchina e Mount Kisko a dieci. Avete istruzioni speciali?

Ottenni per risposta un grugnito e me la battei. A pianterreno trovai finalmente qualche segno di vita. Paul e Connie Emerson erano nel soggiorno ad assistere a uno spettacolo televisivo, e Webster Kane era occupato, a quanto pareva, a passeggiare su e giù. Gli rivolsi un educato saluto e continuai per la mia strada.

La notte era buia ma non c’era vento. Mentre mi dirigevo a Chappaqua in macchina, mi domandai, in continuazione, se l’ostinato accompagnatore di Saul era stato un tutore dell’ordine o l’emissario di qualche lettera dell’alfabeto. Trovai un posto pubblico, chiamai Saul, ma alla fine della telefonata non avevo risolto il mio problema. Oltre all’annuncio di aver acquistato una cosa, sotto forma di un pedinatore, il mio amico non aveva altro da riferirmi. Lo pregai di rimanere dov'era, consigliandolo di fare eventualmente un pisolino in una delle camere degli ospiti se gli fosse venuto sonno, poi riappesi, mi offrii una Coca-Cola al limone e tornai a casa Sperling.

Appena misi piede nel soggiorno Madeline mi assalì: — Dove siete stato? — domandò afferrandomi per un braccio e mi condusse nell’atrio. I suoi occhi neri erano particolarmente grandi e preoccupati. — Avete visto Gwenn?

— No. Perché? Dov’è?

— Non lo so. Ma io pensavo che… — s’interruppe di botto.

— Non si sarà appiattata in un angolino per decidere meglio? — domandai.

— Non siete uscito con lei, vero?

— Figuratevi — replicai. — Non sono nemmeno un rettile. Sono lo stipendiato di un rettile. Perché dovrebbe desiderare di stare con me?

— Già… immagino di no — Madeline esitò. — Dopo cena ha detto a papà che gli avrebbe fatto sapere la sua decisione appena le fosse stato possibile ed è salita in camera sua. Sono passata da lei, per cercare di parlarle, ma mi ha mandata via in malo modo e mi ha detto che andava a fare quattro passi. È uscita dalla porta posteriore. Dopo un po’, quando ho visto che non era ancora rientrata e che eravate uscito anche voi, ho pensato che vi foste dati un appuntamento.

— No, no — mi strinsi nelle spalle. — Forse vostra sorella non riusciva a decidersi in camera sua e ha pensato che l’aria aperta potesse favorire le sue meditazioni. Dopotutto ha detto "prima di coricarsi” e non sono ancora le undici. Datele tempo. Tanto vale prenderla con calma. Che ne direste di una partitina al bigliardo?

La bella ignorò il mio invito.

— Voi non conoscete Gwenn — dichiarò.

— Devo confessare di no.

— È una ragazza molto assennata, ma è testarda come un demonio. Assomiglia molto a papà. Se i miei non avessero messo il naso nelle sue faccende private si sarebbe stancata di Louis da un pezzo. Ma ora… ho paura. Immagino che il vostro Nero Wolfe abbia fatto del suo meglio, ma… — fece un piccolo gesto disperato — Ma non ha previsto una cosa. E se Gwenn avesse deciso di fuggire con Louis e di sposarlo? Dal punto di vista di mia sorella questo risolverebbe ogni cosa, non vi pare? Come potrebbe, mio padre, perseguitare il marito di sua figlia? È proprio quel che Gwenn può mettersi in mente, e… — Madeline mi strinse il braccio convulsamente. — Ho paura! Sono convinta che è andata a raggiungerlo!

— Oh, accidenti! Ha preso una valigia?

— Si sarebbe guardata bene dal farlo. Poteva immaginare che così l’avremmo scoperta subito. Se il vostro Nero Wolfe fosse abile come si dice l’avrebbe previsto!

— Il mio principale ha le sue limitazioni, come tutti. Per esempio non può concepire che la gente scappi di casa per andare a sposarsi. Ma io avrei dovuto… Santo cielo, sono davvero rimbecillito. Da quanto tempo se n’è andata?

— Un’ora, forse di più.

— Ha preso un’automobile?

— No. Lo temevo e sono stata con le orecchie tese, ma non ho sentito nulla.

— In tal caso… se fosse uscita veramente per una boccata d’aria dove potremmo trovarla? Ha il classico "angolino favorito” del quale parlano tanto alcuni romanzi?

— Ne ha parecchi — Madeline mi studiava con la fronte aggrottata. — Ce un vecchio albero di melo, nel prato a nord, un cespuglio d’alloro vicino al torrente, un…

— Non potreste procurarmi una torcia elettrica? — Due minuti dopo la mia amica tornava con due torce. Cominciammo il giro degli angolini preferiti. Ce n’era una quantità. Di tanto in tanto urlavamo: "Gwenn!" a squarciagola, ma non ottenevamo risposta. Facemmo persino una sosta alle scuderie per vedere se alla fuggitiva era venuto un attacco di romanticismo e aveva sellato un cavallo per andare incontro al suo amore, ma almeno gli equini non ci diedero dispiaceri. Subito dopo ci dirigemmo verso il torrente. Perché dalla villa non ci notassero usavo la mia pila solo quando era indispensabile, e Madeline aveva spento la propria. Come unico risultato i cespugli più spinosi avevano preso l’abitudine di assalirmi a tradimento da tutte le parti, con esiti cruenti.

Eravamo a una ventina di passi dal viale principale, quando, alla mia sinistra, intravidi un oggetto, accanto a un cespuglio, che mi fece fare un salto. Mi era bastata un'occhiata per scoprire che cos’era… ma non "chi” era. Madeline, una cinquantina di metri avanti a me, stava ancora chiamando Gwenn. A un tratto mi gridò: — Spicciatevi! — Stavo per risponderle di aspettarmi un momento, per favore, quando risuonò una voce lontana al di là degli alberi. Era la voce di Gwenn.

— Sì, Mad, sono qui!

Madeline, con un piccolo grido di sollievo, si lanciò in avanti e io la seguii. Ebbi tre scontri consecutivi con altrettanti cespugli, rischiai di precipitare nel torrente, feci alcuni commenti educati sulla mia disavventura e finalmente raggiunsi le ragazze.

— Che cos’è tutta questa agitazione? — stava chiedendo Gwenn alla sorella. — Santo Iddio, ho fatto due passi in giardino dopo cena, no? È una cosa che è accaduta altre volte! Guarda qua, ti sei addirittura portata dietro un investigatore!

— Questa non è una sera come tutte le altre — ribattè Madeline seccamente. — E lo sai benissimo. Non potevo immaginare… in ogni caso non hai nemmeno addosso una giacca.

— Lo so. Che ore sono?

— Le undici e cinque — risposi cortesemente.

— Allora non è arrivato neppure con questo treno.

— Chi non è arrivato? — s’informò Madeline.

— Oh, che credi? — Gwenn era molto nervosa. — Il malvagio criminale! Mah… immagino che lo sia davvero… anzi lo è senz'altro. Ma non avevo intenzione di abbandonarlo al suo destino senza avvertirlo, e non volevo dirglielo per telefono o per lettera. Perciò l’ho chiamato al suo ufficio e l’ho pregato di venire qui.

— Sicuro — osservò Madeline che in quel momento non aveva precisamente l’aria della sorella amorosa. — Così lo convincerai a dirti chi è, e cercherai di redimerlo.

— Non è nel mio stile — replicò Gwenn. — Le redenzioni, in genere, sono una tua specialità. Avevo semplicemente intenzione di dire a Louis che fra noi tutto era finito. Preferivo dirglielo apertamente prima ancora di avvertire papà e tutti voialtri. Louis mi aveva promesso che sarebbe arrivato col treno delle nove e ventitré e ci saremmo trovati qui. A quanto pare ha perduto il primo treno e non è riuscito a prendere nemmeno il secondo. A proposito che ore sono?

— Le undici e nove minuti — annunciai.

— C’è un treno alle undici e trentadue. Lascerò che arrivi anche quello, poi rincaserò. Io non sono il tipo da aspettare un uomo più di due ore, ma questo è un caso speciale. Lo ammetterai, spero, Mad.

— Se il consiglio di un investigatore può esservi utile — intervenni — credo che dovreste telefonare di nuovo a Louis, e farvi dire che cosa è accaduto. Perché voi due ragazze non rientrate a telefonare? Io mi fermerò qui, nel caso si faccia vivo. Vi prometto di non dirgli una parola finché non sarete di ritorno. E prendetevi una giacca, anche.

Le ragazze parvero affascinate dalla prospettiva, fui molto meno affascinato all’idea che potessero muovere in giro le torce elettriche mentre si dirigevano al viale, ma fortunatamente scelsero un’altra strada, una scorciatoia attraverso il giardino delle rose. Aspettai che si fossero allontanate a sufficienza e tornai all'oggetto accanto al cespuglio.

Domanda prima: era morto? Altro che! Domanda seconda: com’era morto? Non potevo dare una risposta sicura, ma non C’erano molte alternative. Terza: da quanto tempo era morto? Se non altro, data la mia esperienza, potevo fare una supposizione sensata. Quarta: che cosa aveva in tasca? Eseguii una perquisizione completa. Questa volta usai una serie infinita di precauzioni per cancellare le mie impronte. La situazione era molto più grave che la sera prima sulla via maestra. Passai tutto il portafoglio con il fazzoletto e vi impressi le impronte del proprietario qua e là. Poi lo riposi dove lo avevo trovato. Conteneva un bell’assortimento di banconote e documenti vari, ma la tessera del Partito Comunista con relativa custodia di cellophane, era sparita.

Lavoravo con cautela il più rapidamente possibile, ma a un tratto sentii un curioso solletico alla bocca dello stomaco e dovetti alzarmi e chiudere gli occhi. L esperienza e la pratica non hanno importanza… Ogni tanto succede. Feci qualche passo e trassi alcuni sospiri profondi. In quella intravidi le torce delle ragazze che tornavano. Quando mi raggiunsero ero di nuovo al mio posto. La vera immagine della sentinella fedele.

— È arrivato? — chiese subito Madeline.

— Nemmeno l’ombra. Perché, non l’avete trovato?

— Ci ha risposto il centralino. — Mi informò Gwenn. — Hanno detto che Louis non tornerà fin dopo mezzanotte e volevano che lasciassi un messaggio. Ho intenzione di fermarmi qui ancora un po’, nel caso che arrivi col treno delle undici e trentadue, poi rientrerò. Credete che gli sia capitato qualcosa?

— Senza dubbio — replicai, attenendomi alla verità, per una volta tanto. — Altrimenti non vi avrebbe fatta aspettare inutilmente. Più tardi ne scopriremo anche il perché. Be’, io qui non vi servo a niente, e se per caso il signor Rony decide di arrivare, non vi farà piacere avermi fra i piedi. Se non vi dispiace vado dal signor Wolfe. Voglio dargli la lieta novella. È piuttosto nervoso e mi farebbe piacere rassicurarlo al più presto. Ai vostri familiari, naturalmente, non dirò una parola.

In camera nostra, Wolfe stava ancora leggendo il suo libro. Appena mi sentì entrare, alzò gli occhi su di me, pronto a spellarmi con uno sguardo sdegnato per l’indecoroso ritardo, ma quando mi vide in faccia, domandò in tono meravigliosamente mite: — Bene?

— Non c’è niente di bene — dichiarai. — Qualcuno ha fatto la festa a Louis Rony, credo passandogli sopra con un'automobile, ma bisognerebbe indagare in modo più approfondito. I suoi resti mortali sono dietro un cespuglio a venti metri dal viale, poco lontano dallo stradone. È una disgrazia in tutti i sensi perché Gwenn aveva deciso di piantarlo.

— Chi l’ha trovato? — ringhiò il mio principale.

— Io.

— E chi altri sa quel che è accaduto?

— Nessuno. 0 meglio, ora lo sapete voi.

Wolfe balzò in piedi con un’agilità sorprendente.

— Dov’è il mio cappello? — Si guardò intorno.

Ah, giù a pianterreno. Dove sono il signor Sperling e sua moglie? Diremo loro che siccome per ora noi, qui, non abbiamo altro da fare, ce ne andiamo a casa… Non perché abbiamo una fretta particolare… Unicamente perché è tardi e vogliamo andarcene… su, spicciatevi!

— Ma che spicciarsi e non spicciarsi! Voi sapete benissimo che ormai siamo fritti.

Il principale rimase immobile, e mi fissò con odio. Quando scoprì che con questo non riusciva a migliorare la situazione, tornò alla sua poltrona e vi si lasciò cadere di colpo… scoprì immediatamente d’essersi seduto su un libro rilegato, balzò di nuovo in piedi, afferrò attentamente il volume e per un secondo pensai che volesse lanciarlo contro qualcosa, contro di me, magari. Per un bibliofilo accanito come lui, un gesto simile avrebbe rappresentato una preoccupante novità. Ma Wolfe riuscì a controllarsi in tempo, gettò il libro su un tavolino, poco distante, si sprofondò nella poltrona, e mi ingiunse in tono stizzoso: — Maledizione, sedetevi! Non voglio torcermi il collo…

Non me ne ebbi a male. Anch’io sarei stato in preda a una crisi di bile se non avessi avuto tanti problemi.

9

— Innanzitutto, l’ho visto o non l’ho visto? — domandai. — Se l’ho visto, dovrò telefonare a chi di dovere e gli eventuali accordi da prendere prima che venga qualcuno a farci compagnia, dovranno essere rapidi e scattanti. Se non l’ho visto, prendetevela pure calma. È dietro un cespuglio abbastanza distante dal viale, ed è probabile che nessuno lo noti per una settimana, eccetto i cani. Allora?

— Non ne so abbastanza — affermò in tono petulante il mio principale. — Che cosa stavate facendo proprio là?

Glielo spiegai. Eravamo in una situazione d’emergenza, e non c’era tempo per perdersi in particolari, però non omisi nulla di essenziale. Quando terminai, Wolfe mi rivolse solo tre domande: — Avete sospettato, sia pure lontanamente che la maggiore delle signorine Sperling vi abbia portato" da quelle parti di proposito?

— No.

— Le impronte, intorno al cadavere, possono venire identificate?

— Non lo so di sicuro, ma ne dubito.

— Si può stabilire, non importa come, la strada che avete percorsa mentre andavate dal cespuglio al cadavere e viceversa?

— La risposta è: come sopra. Un poliziotto abile potrebbe arrivarci, ma in quel momento non ci ho pensato, e poi… era buio.

Wolfe emise uno scontroso suono gutturale.

— Non siamo a casa nostra, e non possiamo correre rischi. Portatemi qui tutti gli Sperling. Dite loro che li desidero di sopra e basta. Lasciate che la notizia la dia io. Andate a prendere le due ragazze per prime, poi gli altri. Insomma, non ho per niente voglia di trovarmi a tu per tu col signor Sperling…

Eseguii l'ordine a tempo di record. Era una bagattella rispetto ai tour de force che a volte Wolfe mi imponeva. Dunque avevo ufficialmente trovato il morto, in questo caso meno si telefonava alle autorità, meglio era. Esistono innumerevoli sistemi per far saltare la mosca al naso a un poliziotto, ma uno dei più sicuri consiste nel comportarsi come se il ritrovamento di un cadavere fosse un affare privato e personale.

Nella nostra camera da letto non c’erano abbastanza sedie, e il mio principale dovette tenere il discorso con la maggior parte del pubblico in piedi, che gli piacesse o no. Sperling era evidentemente sotto pressione per l’ansia dell’attesa, ma Wolfe gli impedì di aprire le cateratte dell’eloquenza, chiedendo con voce tagliente: — Oggi pomeriggio, tutti erano convinti di discutere una questione seria, vero?

Vi fu un coro di consensi.

— Appunto. Ora la questione è forse più seria o forse meno, non so. Dipende dalla vita o dalla morte del signor Rony. Perché, adesso, il signor Rony è morto.

Esiste una teoria secondo la quale si possono ottenere meravigliosi risultati annunciando a bruciapelo che un tale è morto a un gruppo di persone sospette di avergli fatto la pelle, sempre che si abbia cura di guardarle bene in faccia. In pratica io non ho mai visto nessuno ottenere niente con questo sistema, nemmeno Nero Wolfe, ma in sé è una teoria affascinante e perciò feci del mio meglio per cercare di fissare tutti i presenti in una volta, ma non vi furono reazioni vistose, nessuno svenne, nessuno si aggrappò ai mobili per sostenersi. Gwenn domandò a mezza voce: — Volete dire Louis?

— Sì, signorina Sperling — fece Wolfe annuendo.

— Louis Rony è morto. Il signor Goodwin ha ritrovato il suo cadavere un’ora fa, mentre perlustrava il parco per cercarvi in compagnia di vostra sorella. L’ha trovato dietro un cespuglio, poco lontano dal luogo dove vi siete incontrati. Mi sembra che…

— Ma allora… allora era venuto! — mormorò con un fil di voce.

Credete a me: Gwenn non era senza cuore come sembrava. Nell’improvviso ingorgo di traffico causato nel suo cervello dalla notizia inaspettata, per caso quel piccolo particolare era riuscito a districarsi per primo.

Vidi Madeline lanciarle una rapida occhiata. Gli altri ritrovarono la lingua di botto e cominciarono a far domande. Wolfe li fece tacere alzando una mano.

— Per cortesia. Non abbiamo tempo…

— Come morto? — chiese Sperling.

— Stavo per dirvelo. A quanto pare è stato schiacciato malamente da una macchina, e l’investitore ha nascosto il cadavere dietro un cespuglio… Ma occorrono indagini più approfondite, naturalmente. Quando Rony è stato trovato, era morto più o meno da due ore. Bisogna avvertire la polizia senza indugio. Pensavo, signor Sperling, che voi desideraste farlo di persona. Darebbe un’impressione migliore.

Gwenn cominciò a tremare tutta; Madeline la prese per un braccio, gentilmente, ma con decisione, e la costrinse a sdraiarsi su un letto mentre Jimmy dondolava intorno, cercando di rendersi utile. La signora Sperling era congelata dalla meraviglia.

— Volete dire… — Il signor presidente fece una pausa. O era stupefatto o recitava molto bene. — Volete dire che è stato assassinato?

— Non lo so. L’assassinio richiede la premeditazione. Se dopo un'indagine preliminare la polizia deciderà che si tratta di un delitto, dovrà ancora provarlo, i Questo, naturalmente, darà il via alle solite indagini sul movente, il mezzo e l’occasione… Non è una cosa i molto piacevole, ma temo che dovrete sottostarvi. Chi avete intenzione di avvertire, le autorità della Contea o la polizia di stato? Potete scegliere. Ma non dovete perdere altro tempo. Se…

La signora Sperling aprì la bocca allora per la prima volta.

— Ma… è terribile! Proprio qui, in casa nostra! Non si potrebbe portarlo via… lontano, lontano, tanti chilometri… abbandonarlo da qualche parte…

Nessuno le prestò attenzione. Sperling chiese a Wolfe: — Sapete che cosa stava facendo, qui?

— No. Ma so perché è venuto. Vostra figlia l’aveva chiamato con una telefonata.

— È vero, Gwenn? — tuonò il presidente.

— Sì, papà — rispose Madeline per la sorella. — Aveva deciso di lasciarlo e voleva dirglielo.

— Spero — fece Wolfe tranquillissimo — che il suggerimento di vostra moglie non abbia bisogno di commenti. E per una dozzina di ragioni: il signor Rony ha preso un tassì per venire qui, dalla stazione…

— I consigli di mia moglie ben raramente richiedono commenti. Non c’è mezzo di tenere lontana la polizia? Io conosco un medico…

— Non ci pensate nemmeno…

— Voi siete un competente. Credete che i poliziotti opteranno per il delitto?

— Un competente, per esperto che sia, ha bisogno di fatti su cui basarsi. Io non ne ho a sufficienza. Se una supposizione vi basta… credo di sì.

— Devo convocare qui un avvocato?

— È meglio aspettare. In seguito potrà occorrervene più di uno — Wolfe agitò un dito. — Non si può perdere altro tempo. Io e il signor Goodwin, sia come investigatori autorizzati, abbiamo l’obbligo morale…

— Avete un obbligo morale anche verso di me, mi pare. Sono vostro cliente.

— Lo so, e ho agito di conseguenza. Il signor Goodwin ha trovato il cadavere alle undici e adesso è mezzanotte passata. Volevo darvi modo di meditare bene sulla situazione. Ora devo insistere perché vi affrettiate.

— Accidenti, voglio pensare ancora!

— Chiamate la polizia e pensate mentre aspettate.

— No! — Sperling balzò in piedi di scatto. — Datemi retta, vi ho assunto per un lavoro segreto, e ho il diritto che teniate la bocca chiusa. Era una comunicazione privilegiata…

— Nossignore. — Wolfe era asciutto e autoritario:

— io non sono un avvocato e le comunicazioni fatte a un investigatore, per quanto lo si paghi, non sono privilegiate.

— Ma voi…

— Per cortesia! Voi temete che se riferirò alle autorità la nostra conversazione di oggi, crederanno che tutti voi, eccetto uno, avevate delle ottime ragioni per desiderare la morte di Rony. In tal caso la polizia considererà questa morte, se non un assassinio, almeno un decesso molto sospetto, e nonostante la vostra posizione in questa comunità vi darà un sacco di noie. Mi dispiace, ma non posso farci niente. Io ho nascosto informazioni vitali alla polizia parecchie volte, ma solo quando riguardavano un caso al quale lavoravo, e quando ero sicuro che tali informazioni avrebbero potuto condurmi alla verità più rapidamente se non le avessi condivise con altri. E poi…

— Accidenti a voi, siete stato ben assunto per questo caso!

— Nemmeno per idea. L’incarico che mi avete dato è giunto a compimento e io ne sono molto lieto. Ricordate come avevo definito il nostro obiettivo? Ebbene, è stato raggiunto, quantunque, lo confesso, non per mezzo mio.

— Allora vuol dire che vi assumo per un altro incarico. Per investigare sulla morte del signor Rony.

— Vi consiglio di non farlo — ribattè Wolfe accigliato.

— Consideratevi assunto.

Il mio principale scosse il capo.

— Siete in preda al panico e agite impulsivamente. Se il signor Rony è stato veramente assassinato e acconsentissi a occuparmi delle indagini, scoprirei l’assassino senz’altro… E può darsi che voi finirete col maledire il giorno in cui mi avete conosciuto.

— Ciò nonostante io vi ho assunto.

— Lo so — il mio principale si strinse nelle spalle. — Il vostro immediato problema consiste nell’impedirmi di ripetere la nostra conversazione alla polizia e poiché siete bellicoso e molto sicuro di voi cercate di risolvere i vostri problemi appena vi si presentano. Ma rendetevi conto che non potete assumermi oggi per licenziarmi domani. Sapete bene che cosa farei se tentaste un gioco simile…

— Lo so. Ma non vi licenzierò. Statene certo. Adesso vado a telefonare alla polizia.

— Un momento! — Wolfe era esasperato. — Maledizione, siete un somaro? Non capite come è pericolosa questa situazione? C’erano sette persone presenti al nostro colloquio…

— Provvederemo dopo che avrò telefonato.

— Nossignore. Provvederemo subito. — Il mio principale si guardò attorno. — Datemi retta tutti, per favore. Signorina Sperling!

Gwenn era sdraiata bocconi sul letto.

— Dovete proprio latrarle contro? — domandò Madeline piccata.

— Farò attenzione a non latrare. Ma ora devo parlare… Devo parlare a tutti.

Gwenn si rizzò a sedere.

— Sto benissimo — disse con voce fioca. — Ho sentito tutto. Papà vi ha assunto di nuovo per…? Oh, Dio mio! — Non piangeva e questo era una vera benedizione perché le lacrime delle donne demoralizzano il mio principale oltre ogni dire. Però era molto depressa. — Continuate pure — concluse.

— Ho bisogno che mi rispondiate con la massima sincerità — fece Wolfe laconico. — Qualcuno di voi ha ripetuto a un’altra persona la conversazione che abbiamo avuto oggi in libreria, o almeno parte di essa? — Vi fu un coro di "no”.

— È molto importante. Ne siete certi?

— Connie era… — Jimmy si schiarì la voce. — Connie mi ha tempestato di domande. Era molto incuriosita. — Il figlio ed erede aveva un'aria molto infelice.

— Che cosa le avete raccontato?

— Oh, solo… non molto.

— Maledizione, quanto? — chiese Sperling, minaccioso.

— Nulla, ti assicuro, papà. Credo di avere fatto il nome di Louis… ma non ho detto nulla a proposito di X e di tutto il resto.

— Avresti dovuto avere un po’ di buon senso. — Il signor presidente guardò Wolfe. — Devo mandarla chiamare?

— Che Dio ce ne scampi. Su questo punto dovremo sperare in Dio. Ebbene? Qualcun altro di voi ha avuto l’impellente necessità di far confidenze?

Altro coro di "no".

— Benissimo. La polizia vi farà molte domande e s’interesserà specialmente alla mia presenza qui. Io informerò gli investigatori che il signor Sperling sospettava che il signor Rony, un pretendente di sua figlia, fosse un comunista, e perciò…

— No! — ululò Sperling. — Non dite niente di simile! E'…

— Sciocchezze — Wolfe era disgustato. — Se faranno un piccolo controllo a New York, come è molto probabile, verranno a sapere la verità dal signor Bascom. E allora? No, almeno questo dovremo dirlo. Spiegherò che avevo mandato qui il signor Goodwin per farsi un’idea della situazione, e, poche ore dopo, la mia serra è stata praticamente distrutta da una sparatoria. Informerò gli agenti che a mio parere questo è un nuovo metodo inventato dal signor Rony, per invitare la gente a non ficcare il naso negli affari suoi.

Perciò, oggi… ieri, ormai… son venuto qui a discutere la cosa col signor Sperling. E a lui e alla famiglia riunita al completo nello studio ho chiesto un rimborso dei danni alla mia serra. La discussione si è svolta su questo tema, quasi sempre tra il signor Sperling e me. Nessun altro è intervenuto o almeno nessuno ha detto nulla di memorabile.

— Può andare — convenne Sperling.

Madeline, che aveva un’aria concentratissima, volle i sapere: — E perché vi siete fermato fino a notte?

— Una domanda intelligente, signora. Dirò che ho rifiutato di andarmene senza il denaro, o almeno senza un impegno scritto di pagamento.

— E come si spiegherà che Gwenn ha telefonato a Louis di venire qui?

— Che cosa gli avevate detto di preciso, signorina? — chiese Wolfe.

— È orribile — mormorò Gwenn. Continuava a fissare il mio principale come se non potesse credere alla sua presenza. — È orribile! — ripetè.

— Nessuno può contraddirvi su questo punto. Vi ricordate che cosa avete detto al signor Rony?

— Sicuro. Gli ho detto di venire qui, perché volevo parlargli e lui mi ha risposto che aveva parecchi appuntamenti, ma avrebbe cercato di partire dalla stazione centrale col treno delle otto e venti. Arriva a Chappaqua alle nove e ventitré.

— Gli avete parlato del nostro colloquio avvenuto nello studio?

— No, e… e non avevo intenzione di parlargliene in seguito. Volevo solo riuscire a spiegargli che tra noi tutto era finito.

— Ebbene, allora, alla polizia potrete dire la verità.

— Wolfe tornò a rivolgersi a Madeline. — Voi avete una mente quadrata, signora, e vorreste che fosse tutto sicuro al cento per cento. Purtroppo è impossibile accontentarvi. Raccomando a voi e agli altri di mentire tenacemente intorno al colloquio in libreria, per tutto il resto meglio attenersi alla verità. In caso contrario finireste nei guai… Ci finirete ugualmente immagino, se le autorità si convinceranno che il signor Rony è stato assassinato e chi vi interroga è un investigatore di prim’ordine. Ma siccome è molto improbabile, possiamo ancora sperare.

— Non sono mai stata capace di dire bene le bugie — si lagnò la signora Sperling afflitta e malinconica come uno straccio bagnato.

— Accidenti — esclamò il consorte, in tono irritato ma non offensivo. — Va' di sopra e mettiti a letto!

— Un’ottima idea — convenne Wolfe. — Fatelo senz’altro, signora. — Si rivolse a Sperling: — Ora se voleste…

Il signor presidente andò al telefono.

10

Alle undici del mattino seguente, martedì, Cleveland Archer, procuratore distrettuale della contea di Westchester, disse a James U. Sperling: — È una faccenda deplorevole, molto deplorevole.

Probabilmente queste osservazioni (nonché le indagini) le avrebbe fatte non Archer in persona, ma un umile vice se la tenuta di Sperling fosse stata meno estesa e l'ammontare delle tasse fosse stato meno vertiginoso. Cleveland Archer era un ometto grassottello, col viso rosso e rotondo, uno di quegli inguaribili provinciali che sanno distinguere un turista da un aborigeno a dieci metri di distanza, ma, nel complesso non c’era male.

— Davvero deplorevole — ripetè.

La polizia di stato era arrivata per prima, seguita a breve distanza da un paio di giannizzeri della contea e dopo una serie di interrogatori abbastanza cortesi; tutti gli ospiti di casa Sperling avevano ottenuto il permesso di tornare a letto… cioè, tutti meno il sottoscritto. Io avevo ricevuto un trattamento speciale non solo perché avevo scoperto il cadavere, una ragione; questa lodevole e saggia, ma perché Noonan, il tenente che comandava il drappello della polizia di stato, nutriva nei miei riguardi dei sentimenti tutt’altro che fraterni. Poco tempo prima io e Wolfe gli avevamo fatto fare una figura da becero nell’affare Pitt Cairn e lui se l’era legata al dito. Aggiungete che la divina provvidenza l’aveva fatto su misura per la professione del torturatore, e poi, chissà come, l’aveva scodellato nel secolo sbagliato. Immaginatevi il suo atteggiamento, quando aveva scoperto che io e il mio principale gli eravamo tornati fra i piedi. Aveva provato un’amara delusione quando aveva scoperto che Wolfe era stato assunto da Sperling, e perciò anche lui avrebbe dovuto fare finta di conoscere il galateo. Noonan era grande e grosso, era innamorato della sua uniforme e credeva di essere bello. Alla fine, a suo marcio dispetto, i ragazzi della contea, che erano i veri responsabili delle indagini, perché il cadavere non era stato trovato sulla strada statale, mi avevano dato il permesso di andare a letto.

Avevo dormito cinque ore, poi mi ero alzato ed ero sceso a mangiare un boccone. A tavola c’erano il signor presidente, il figlio ed erede e Paul Emerson. L’insigne conferenziere assomigliava più che mai a un limone acerbo, ma dichiarava di sentirsi meravigliosamente, perché l’esperienza nuova aveva agito da tonico sul suo sistema nervoso. A quanto pareva lui non aveva mai potuto godere di un buon sonno filato, per colpa di una cinquantina di disturbi nervosi, ma la notte precedente si era addormentato appena aveva appoggiato la testa sul cuscino e aveva dormito come un ghiro. Era evidente che gli occorreva un bel delitto tutte le sere, circa mezz’ora prima di andare a nanna. A questo punto dell’alata conversazione mi seccai e decisi di andare a portare la prima colazione al capo.

Mezz’ora dopo, quando scesi a riportare il vassoio, diedi un’occhiata in giro. Madeline con una giacca sulle spalle, stava mangiando fragole e pane tostato sulla terrazza. Era evidente che a lei i delitti facevano buon prò come a Paul Emerson. Tuttavia i suoi occhi erano stanchi e preoccupati. Madeline mi raccontò quello che era successo durante la mia assenza. Il procuratore distrettuale Archer e Ben Dykes, il capo della polizia della contea, erano arrivati e si erano chiusi in libreria con Sperling. Il vice procuratore distrettuale stava facendo quattro chiacchiere con Gwenn, in camera sua. La signora Sperling era a letto con un terribile mal di testa. Jimmy era andato alla rimessa per prendere una macchina, ma era stato mandato via con la coda tra le gambe, perché i ragazzi del reparto scientifico non avevano ancora terminato di esaminare le cinque automobili di casa Sperling. Paul e Connie Emerson avevano deciso che in certe circostanze gli ospiti diventano ingombranti e avevano annunciato la propria intenzione di levare il disturbo, ma Ben Dykes li aveva calorosamente invitati a fermarsi. E in ogni caso anche la loro macchina era immobilizzata. Un cronista aveva scavalcato il muro di cinta ed era arrivato fino alla casa, ma un agente di polizia gli aveva fatto ballare la danza del ritorno.

Lasciai Madeline alle prese con la terza tazza di caffè e mi diressi verso il cespuglio dove avevo lasciato la mia due posti. Era ancora là e due esperti stavano occupandosene attivamente. Li osservai a lungo senza ottenere in cambio neppure uno sguardo, poi mi allontanai. Pian piano, mentre bighellonavo nelle vicinanze della casa, cominciai ad avere l’impressione che mancasse qualcosa. Com’era arrivata la Legge? A piedi? A cavallo? S’imponeva un’indagine. Girai verso la facciata e mi incamminai lungo il sentiero principale. In quella chiara mattina di giugno il panorama non sembrava più quello della passeggiata notturna con Madeline. Tanto per cominciare, il viale era completamente liscio e le protuberanze e i rovi, nei quali mi ero impigliato la sera prima, parevano spariti in maniera misteriosa.

Quando arrivai all’altezza del ponticello, il mio assillante interrogativo ottenne una risposta. A una quindicina di passi al di là del ponte c’era una macchina ferma di traverso, sul viale, e un’altra macchina era ferma nella stessa posizione a tre passi da me. Un altro nugolo di scienziati municipali era al lavoro sul bordo del viale, nel breve spazio tra le due macchine. Dunque la sera prima, avevano trovato qualcosa che meritava un’indagine, a distanza ravvicinata, e a tale scopo era stato vietato l’ingresso alle macchine. Ivi compresa quella del procuratore distrettuale. L’iniziativa aveva la mia approvazione incondizionata. Sempre desideroso di allargare le mie cognizioni, mi avvicinai ai tutori dell’ordine e osservai il loro armeggio con profondo interesse. Uno, nato presumibilmente per essere non un semplice agente ma un generale d’armata, tuonò: — Cercate qualcosa?

— No, signore — replicai. — Ho sentito odor di sangue… Capirete: il mio bisnonno era un cannibale.

— Oh, un comico di varietà! Non abbiamo bisogno di voi, qui, filate!

Non avevo proprio voglia di discutere, così rimasi dov’ero e osservai la scena. Dieci minuti dopo, quello si ricordò di me.

— Vi ho detto di filare.

— Sì, vi ho sentito, ma ho pensato che non parlaste sul serio. Vedete, io ho un amico avvocato e so che la vostra richiesta era incauta. Sento odore di sangue di gallina, di una gallina fortemente costipata. Io sono un investigatore.

Sentivo una gran voglia di dare un’occhiata al cespuglio dove avevo trovato Rony. Tanto più che di giorno sembrava molto più vicino al viale. Ma decisi di non farmi nemici. Il futuro generale mi fissava con due occhi da gufo arrabbiato. Gli lanciai un sorriso amichevole e tornai sui miei passi. Mentre salivo i gradini della veranda principale, un poliziotto di stato in uniforme mi bloccò.

— Vi chiamate Goodwin? Vi vogliono.

Mentre attraversavo il vestibolo mi imbattei in Madeline.

— Il vostro padrone vi desidera.

— Ah, il rettile. Dove? Di sopra?

— No, in biblioteca. L’hanno mandato a chiamare e adesso vogliono anche voi.

Questa volta Wolfe non aveva la poltrona migliore perché gliel’aveva soffiata Cleveland Archer. Però, quella che gli era toccata, bene o male lo conteneva. Al suo fianco c’era un tavolino con un vassoio e due bottiglie di birra. Sperling era in piedi, ma quando sedetti si appollaiò su una poltrona, rigido come uno stecco. Archer stava consultando alcuni fogli alla scrivania, ma quando mi vide ebbe la buona grazia di ricordarsi che ci eravamo già incontrati, forse contemplava l’eventualità che io comprassi un appezzamento di terreno in quel di Westchester e diventassi un elettore della contea. Mi guardò con aria mite e mi disse: — Devo assicurarmi che questo verbale non offra lacune. Dunque Goodwin, domenica sera, voi e Rony siete stati assaliti da alcuni rapinatori sulla strada di New York? — In vena di cooperazione accennai di sì.

— È una bella coincidenza — osservò Archer. — Domenica sera l’hanno messo fuori combattimento e derubato, lunedì l’hanno investito con una macchina e l’hanno ucciso. È una specie di epidemia di violenza. Mi vien proprio voglia di chiedere se non ci sia un legame tra i due fatti.

— È una domanda alla quale non saprei proprio rispondere.

— Forse no, ma ci sono alcune circostanze… non voglio dire sospette, ma insolite, ecco. Per esempio voi avete dato un nome e un indirizzo falsi quando avete denunciato il fatto al posto di polizia statale.

— Ho detto che mi chiamavo Goodwin.

— Non tergiversate — borbottò il mio capo, versandosi la birra.

— Voi saprete, immagino, che ero stato mandato qui dal signor Wolfe, il mio principale — spiegai ad Archer. — Io e il signor Sperling avevamo stabilito che, per non destare sospetti, avrei dovuto presentarmi agli ospiti di questa casa con un altro nome e una diversa professione. Rony era presente mentre sporgevo denuncia al posto di polizia e non mi è parso cortese confondergli le idee, cambiando nome sul più bello.

— Tuttavia bisogna sempre evitare di dare false generalità alla polizia — dichiarò Archer in tono cattedratico. — Voi siete stati aggrediti da un uomo e da una donna.

— Proprio così.

— Nella denuncia voi avete dato il numero della loro macchina, ma è risultato falso.

— Date le circostanze la cosa non mi meraviglia.

— No, a dire il vero non meraviglia neanche me. Avete riconosciuto i vostri assalitori?

— Non vi pare di star perdendo del tempo, signor Archer? — domandai indicando il foglio sul tavolo. — Dovete aver tutto lì, già scritto.

— Certamente. Ma ora che il vostro compagno di quella sera è stato ucciso, dovreste aguzzare un po’ la memoria. Fate l’investigatore di mestiere, siete sempre in giro e conoscete migliaia di persone. Siete sicuro di non aver mai visto prima quella gente?

— Matematicamente sicuro.

— Perché voi e il signor Rony non avete voluto che la polizia prendesse le impronte digitali dai vostri portafogli?

— Perché era tardi e volevamo tornare a casa.

— Hanno preso trecento dollari dal portafoglio di Rony e più di duecento dollari dal vostro. È esatto?

— Per quel che riguarda Rony, così ha detto. Per me è esatto. — Rony aveva addosso alcuni oggetti preziosi, un fermacravatta, i gemelli e un anello. Quelli non sono stati rubati. Nell’automobile c’era del bagaglio e anche due macchine fotografiche di notevole valore. Neppure quelle sono state toccate. La cosa non vi sembra strana?

— Suvvia, signor Archer. Sapete bene che i malviventi hanno i loro pregiudizi. Alcuni rubano tutto quel che vedono, comprese le bretelle delle vittime, altri sono più schizzinosi. Quelli che ci hanno aggrediti avevano un debole per il denaro liquido, e dopo tutto si sono beccati più di cinque centoni. L’unica cosa che mi ha veramente colpito… è stato lo sfollagente: sulla zucca.

— Non vi hanno lasciato segni?

— A me, no. E nemmeno a Rony. Dovevano essere ben allenati.

— Non siete andato da un dottore?

— Nossignore. Non sapevo che la contea di Westchester richiedesse un certificato medico in caso di rapina. Deve essere una contea molto progredita. Lai prossima volta cercherò di ricordarmene.

— È inutile che facciate il sarcastico, Goodwin.

— Vogliate scusarmi. — Gli rivolsi un dolce sorriso. — Ma è anche inutile che vi dimostriate così comprensivo verso un individuo che si è fatto fare un bozzo in testa sulla pubblica via nella vostra giurisdizione. Comunque, grazie lo stesso.

— Prego. — Archer fece un gesto vago di deprecazione. — Come mai vi sentivate così poco bene da non poter mangiare un boccone, domenica?

Rimasi con un palmo di naso, lo ammetto. Wolfe aveva accennato alla possibilità che tra gli investigatori ci fosse un uomo di prim’ordine e senza dubbio, se questa domanda non era una prova di genio, era pur sempre un bell’esempio di efficienza.

— Ne hanno fatta di strada, i vostri ragazzi! — esclamai ammirato. — Non immaginavo che qualcuno dei domestici mi avesse giurato odio mortale… o forse avete usato il terzo grado? È stato uno degli ospiti, qui, a tradire il mio colpevole segreto? — Mi sporsi in avanti e parlai con voce bassa, drammatica. — Ho bevuto nove bicchieri e tutti erano drogati.

— Non fate il burattino — borbottò il mio principale deponendo il bicchiere vuoto.

— Ma come? — domandai. — Come faccio a dirgli che dev’essere stata qualche pietanza a farmi male, quando c’è il mio ospite seduto a mezzo metro da me?

— Non avete bevuto nove bicchieri — affermò Archer molto sicuro. — Ne avete bevuti sì e no due o tre.

— D’accordo — mi arresi. — Allora deve essere stata l’aria di campagna. Io so solo che avevo un mal di testa da spaccarmi in due e lo stomaco continuava ad avvertirmi che non mi conveniva zavorrarlo. E adesso domandatemi se sono andato dal dottore. Devo avvisarvi, signor Archer, che potrei anche uscire dai gangheri e in tal caso comincerei a dire spiritosaggini, allora uscireste dai gangheri voi. E di questo passo che cosa otterremmo?

Il procuratore distrettuale rise. Nessuno seguì il suo esempio e dopo un istante Archer si guardò intorno con aria contrita e belò rivolto a James U. Sperling: — Non crediate che prenda le cose sottogamba. È una faccenda deplorevole. Molto deplorevole.

— Su questo non c’è dubbio — convenne il signor presidente.

— Davvero deplorevole — Archer annuì facendo boccuccia. — Non c’è ragione perché io non sia del tutto franco con voi signor Sperling, e… col signor Wolfe, naturalmente, dato che l’avete assunto per difendere i vostri interessi. Il compito del procuratore distrettuale non è quello di dare delle noie a una persona del vostro rango. È lapalissiano. Noi abbiamo studiato l’ipotesi che Rony fosse stato ucciso altrove, in un incidente stradale, e che il cadavere fosse stato poi nascosto nella vostra proprietà, ma non possiamo… Voglio dire che le cose non possono essere andate così. È sceso dal treno a Chappaqua alle nove e ventitré e il conducente del tassì l’ha visto entrare e incamminarsi lungo il viale. Non solo: abbiamo modo di provare che è stato investito da una macchina, a poca distanza dal ponte che attraversa il ruscello. Non ci sono dubbi di sorta. Volete che vi chiami un uomo per darvi i particolari tecnici?

— No — affermò Sperling con forza.

— Comunque se doveste desiderarli… Dalle prove raccolte abbiamo desunto che la macchina investitrice era diretta verso est cioè era partita dalla casa, diretta al cancello; questo però non è conclusivo. L’ispezione alle automobili non è ancora terminata. Sarebbe possibile che un’altra automobile, una macchina qualsiasi, fosse venuta dalla strada, avesse fatto un’inversione a U e avesse poi investito il signor Rony. Non è un’ipotesi molto plausibile. Però noi non l’abbiamo respinta e francamente non vediamo ragione di farlo, fino a prova contraria. — Archer storse la bocca, evidentemente studiando se era il caso di sputare il rospo più grosso. — La Procura distrettuale non può permettersi di prendere alla leggera una morte violenta, neppure se lo desidera. Noi non dobbiamo rispondere delle nostre azioni solo alla nostra coscienza e alla popolazione della contea, di cui siamo in pratica i servitori, ma dobbiamo rispondere anche… per così dire, ad altri interessi. Abbiamo già ricevuto alcune richieste d’informazioni dalle autorità di New York e anche un’offerta di collaborazione. Tutto ciò è stato fatto con le migliori intenzioni e noi siamo molto grati a New York della proposta. Però ve la cito per mostrarvi che l’interessamento per la morte di Rony non è confinato alla mia giurisdizione e, com’è naturale, questo aumenta la mia responsabilità. Spero… mi sono spiegato chiaramente?

— Alla perfezione — convenne Sperling.

— Allora dovreste comprendere che non possiamo sorvolare su nulla… non che abbiamo queste intenzioni, evidentemente. In ogni caso non si può. Come ben sapete noi abbiamo interrogato tutti, con molta severità, e non abbiamo trovato il minimo indizio. Nessuno sa niente di niente, eccetto la vostra figlia minore, la quale dichiara di aver invitato Rony a venire qui con il treno e a incontrarla in un certo punto della vostra proprietà. Nessuno…

Il mio principale emise una specie di grugnito.

— La signorina Sperling non l’ha invitato a venire "col treno”. Gli ha chiesto di venire, semplicemente. Il treno l’ha scelto il signor Rony.

— L’errore è tutto mio — concesse Archer, pronto. — Comunque è venuto qui per la signorina. È arrivato, secondo la deposizione dell’autista, verso le nove e trenta… forse un minuto o due dopo. Può darsi che si sia diretto immediatamente verso il luogo dell’appuntamento, può darsi che abbia indugiato… noi non lo sappiamo. — Archer cincischiò le carte che aveva davanti, poi tornò ad alzare gli occhi. — Se ha indugiato, può darsi che vostra figlia fosse già sul luogo dell’appuntamento…

— Non vi sembra un po’ complicata, questa ricostruzione? — intervenne Sperling.

Archer annuì.

— Queste cose lo sono sempre. Se Rony ha indugiato sul viale e vostra figlia era già sul luogo dell’appuntamento, come mai non ha sentito il rumore dell’automobile investitrice? La signorina infatti ha dichiarato di non aver udito nulla. Abbiamo fatto degli esperimenti molto precisi. Il sentiero è lievemente in discesa. Dal punto in cui si trovava vostra figlia, un’automobile in salita, ascoltando con attenzione, la si sente, ma il rumore dell’automobile in discesa è fievolissimo. Ieri sera soffiava un leggero vento da nord-est. Quindi è probabilissimo che la signorina non abbia sentito…

— Allora, perché ci arpeggiate tanto sopra?

— Perché, all’infuori della dichiarazione di vostra figlia, non abbiamo altri elementi su cui basarci. — La pazienza di Archer era esemplare. — Anche il contributo di Goodwin è negativo. Dice d'aver lasciato la casa alle dieci meno dieci… — Alzò gli occhi su di me.

— Siete sicuro dell’ora?

— Sì. Quando salgo in automobile ho l’abitudine di controllare l’orologio del cruscotto col mio orologio da polso. Erano le nove e cinquanta.

Archer tornò a rivolgersi a Sperling.

— Dunque Goodwin è andato a fare una telefonata a Chappaqua alle nove e cinquanta e non ha notato nulla sul sentiero. È tornato circa mezz’ora dopo, e di nuovo non ha notato nulla. Tra l’altro, vostra figlia non ha neppure udito l’automobile di Goodwin, o non se ne ricorda.

Sperling era accigliato.

— Tuttavia vorrei sapere perché vi concentrate tanto su mia figlia.

— Non sono io a concentrarmi su di lei — obiettò Archer. — Sono le circostanze.

— Quali circostanze?

— La signorina era amica di Rony. Dice di non essere stata fidanzata con lui, ma… uh… lo vedeva spessissimo. La loro amicizia aveva dato origine a… uh… a molte discussioni familiari. Per questo avete assunto Nero Wolfe. Per questo l’avete fatto venire qui, ieri… avete avuto un lungo colloquio…

— Non sono stato io a farlo venire. È venuto lui. Quanto al colloquio, ha parlato Wolfe per quasi tutto il tempo. Insisteva che gli pagassi i danni della serra!

— Lo so. — Archer annuì. — Mi avete detto tutti la stessa cosa. Fra parentesi, che cosa avete deciso? Pagate o non pagate?

— Ha importanza? — si informò Wolfe.

— Forse no — concesse Archer. — Però, se la domanda non ha importanza…

— Figuratevi — fece Sperling con aria di superiorità. — Nulla vi vieta di saperlo. Io pago i danni, ma non perché ci sono obbligato. Non vi è nessuna prova che il danno subito dal signor Wolfe abbia a che vedere con la mia piccola discussione.

— Allora non è affar mio — concesse Archer. — Però rimane il fatto che vostra figlia si è ritenuta in dovere di invitare Rony, per avvertirlo che la loro amicizia era terminata… e proprio ieri sera. È stato un caso sfortunato, "estremamente” sfortunato, che la signorina prendesse la sua decisione il giorno stesso in cui Rony doveva morire di morte violenta e in circostanze che nessuno può spiegare. — Si sporse in avanti e parlò con un tono confidenziale. — Ascoltatemi, signor Sperling. Io non ho nessuna intenzione di darvi delle noie, Dio me ne guardi! Ma per molte ragioni, che voi potete ben comprendere, devo far luce sulla morte di quel giovanotto. Se si scoprirà che è stato un incidente, nessuno ne sarà più felice di me però dovrò sempre scoprire chi ne è il vero responsabile… — Qui Archer si interruppe di botto perché la porta si era spalancata.

Tutti ci voltammo a guardare l'intruso. Era Ben Dykes, il capo della polizia della contea, e dietro di lui marciava l’esemplare umano che era nato nel secolo sbagliato. La faccia del tenente Noonan non mi piacque affatto.

— Che c’è, Ben? — domandò Archer con impazienza. Mi sarei imbizzarrito anch’io se mi avessero interrotto a mezzo di una tirata così altisonante.

— Forse sarà bene che vi parli in privato — dichiarò Dykes, avvicinandosi.

— Perché? Noi non abbiamo nulla da nascondere. Che c’è?

Dykes si strinse nelle spalle.

— I ragazzi hanno terminato di esaminare le automobili, e hanno trovato quella che ha ucciso Rony. È quella parcheggiata sul retro della casa. La macchina di Nero Wolfe.

— E non ci sono dubbi! — gracchiò Noonan con aria antipatica.

11

Restai meravigliato. In un certo senso rimasi addirittura stupefatto, però provai anche un’altra sensazione ben più strana: sentii che me l’ero aspettato. Wolfe mi lanciò una rapida occhiata, io alzai le sopracciglia e scossi impercettibilmente il capo. Il principale annuì, e portò alle labbra il bicchiere della birra.

— Questo cambia completamente le cose — dichiarò Sperling che non mi parve sopraffatto dal dolore. — Ormai tutto è a posto.

— Sentite, signor Archer — esordì con aria satanica il tenente Noonan. — So bene che voi avete molto da fare e anche Dykes è bestialmente occupato. Il caso non è più tanto importante. Goodwin, qui, crede di essere un superuomo. Lasciate che me lo porti al posto di polizia.

— Fino a che punto ne siete certo? Ci si può mettere la mano sul fuoco? — chiese Archer a Dykes, senza badare al tenente.

— Non ci sono dubbi — dichiarò Ben. — Dovremo aspettare il referto del laboratorio, naturalmente. Però ce parecchio sangue sotto un parafango e un bottone con attaccato un pezzo di stoffa della giacca di Rony è rimasto impigliato tra l’asse e la balestra.

Archer mi guardò negli occhi.

— Ebbene?

— La vostra definizione è stata ammirevole, signor Archer. Il mio contributo è stato negativo. Se la nostra macchina ha ucciso Rony, io ero da qualche altra parte in quel momento. Desidererei molto potervi aiutare, ma non posso fare più di così.

— Me lo porto nel mio ufficio — si offrì di nuovo quel tesoro di Noonan.

E fu nuovamente ignorato. Archer si rivolse a Wolfe: — Voi siete il proprietario della macchina, vero? Avete qualcosa da dire?

— Solo che non so guidare, e che, se il signor Goodwin viene portato al posto di polizia di stato, come suggerisce il tenente, lo accompagnerò.

Il procuratore distrettuale, se la prese di nuovo con me.

— Perché non confessate e non vi togliete un peso dallo stomaco? Possiamo terminare tutto in dieci minuti e andarcene per i fatti nostri.

— Mi dispiace — dissi cortesemente. — Se cercassi di inventare una confessione così su due piedi, potrei impaperarmi e voi quindi mi cogliereste in fallo in due minuti.

— Volete dirci quel che è accaduto?

— Non è che non voglia: non posso.

Archer si alzò e chiese a Sperling: — Non c’è un’altra stanza dove possa condurlo? Devo essere in tribunale alle due e…

— Potete restare qui — dichiarò Sperling alzandosi, ansioso di cooperare. Fissò intensamente il mio principale. — Vedo che avete terminato la birra, se volete venire con me…

Wolfe si puntellò sui braccioli della poltrona, mise la propria mole in posizione verticale e andò a piantarsi di fronte ad Archer.

— Come voi avete giustamente detto, io sono il proprietario dell’automobile incriminata. Se il signor Goodwin viene condotto via di qui senza un mandato e senza che ne venga avvertito, questa faccenda diventerà molto più deplorevole di quanto non lo sia ora.

S’incamminò verso la porta a passo marziale con Sperling alle calcagna e scomparve.

— Avete bisogno di me? — chiese Dykes al procuratore.

— Forse sì — dichiarò Archer. — Accomodatevi. Naturalmente per rimanere in carattere, Noonan planò direttamente nella poltrona di Sperling senza degnarsi di chiedere se poteva restare. Archer fece la solita bocca a cuoricino e mi lanciò una lunga occhiata sospettosa.

— Non vi capisco, Goodwin, e soprattutto non capisco come mai non vi rendiate conto che la vostra posizione è impossibile.

— È facile — ribattei. — Non lo capisco per la stessa ragione per cui non lo capite voi.

— No? Ma io lo capisco benissimo.

— Nemmeno per sogno. Se lo capiste, col da fare che avete, sareste già in strada diretto al tribunale e mi avreste affidato alle cure di Dykes o di uno dei vostri assistenti. Posso fare una dichiarazione ufficiale?

— E come no? È proprio quello che aspettiamo.

— Magnifico — intrecciai le mani dietro la testa. — È inutile che vi ripeta per filo e per segno che cosa ho fatto ieri sera. Ve l’ho già detto tre volte ed è tutto scritto nei verbali. Però, ora che sapete che la macchina investitrice è quella del signor Wolfe, conoscete esattamente l’ora del delitto. Rony non può essere morto prima delle nove e mezzo, perché è sceso dal tassì a quell’ora. Non può essere morto dopo le nove e cinquanta, perché a quell’ora io ho preso la macchina per andare a Chappaqua. Praticamente si possono restringere ancora i tempi, e si può dire che Rony è andato al Creatore fra le nove e trentadue e le nove e quarantasei… Sono solo quattordici minuti. Durante quel periodo ero in camera al secondo piano, in compagnia del signor Wolfe. Dov’erano gli altri, piuttosto? E' questo che dovreste chiedervi! Naturalmente volete sapere dov’era la chiavetta d’accensione. Era nel cruscotto. Io non la tolgo mai quando parcheggio in una proprietà privata, di un amico o di un cliente. Però ho tolto la chiave dopo il mio ritorno da Chappaqua, perché mi pareva probabile che ci fermassimo tutta la notte. Non sapevo quanto ci avrebbe messo Sperling a decidere di sganciare i quaranta bigliettoni. Inoltre vorrete sapere se il motore era caldo quando l’ho avviato. Non so nemmeno questo. La mia macchina si avvia che è una bellezza, sia da calda sia da fredda. Senza contare che siamo in giugno.

Mi fermai un momento a pensarci sopra. — Questo è tutto — conclusi.

— Potete farci la birra con la vostra tavola cronologica — mi informò Noonan con la sua voce normale, che dovreste sentire per credermi. — Non la beviamo, 5 giovanotto. Cambiate musica.

Mi voltai a guardarlo con stupore.

— Oh, anche voi qui?

— Fategli qualche domanda, Ben — ordinò Archer a Dykes.

Ben Dykes è uno dei pochi poliziotti provinciali che non soffrono di un complesso di inferiorità nei riguardi degli investigatori cittadini, pubblici o privati. Fa il suo mestiere da vent’anni e lo sa a menadito. Con me si comportò in maniera imparziale: né da amico né da nemico. Mi crivellò per un’ora buona con poco o nessun aiuto da parte di Archer. A metà della commedia, arrivò un collega con un piatto di tramezzini e un bricco di caffè e continuammo l’interrogatorio masticando.

Quando il procuratore distrettuale guardò l'orologio per la decima volta, era l’una e venti.

— L’unica cosa da fare è procurarci un mandato. Ben, telefonate… No, anzi, vado a prenderlo io in macchina.

— Ci vado io — si offrì subito Noonan.

— Abbiamo uomini a sufficienza — affermò Dykes scandendo le parole.

— Ve la siete voluta voi, Goodwin — mi disse Archer malinconicamente. — Se cercherete di lasciare la contea prima dell’arrivo del mandato vi faremo arrestare.

— Gli ho già sequestrato le chiavi della macchina — annunciò giulivo l’amabile tenente.

— Una cosa perfettamente inutile — protestò Archer esasperato. Poi si rivolse a me: — Santo cielo, non mi sono spiegato abbastanza? Non potete essere accusato di un reato grave anzi, forse non sarete accusato di niente. Era notte: voi non avete visto Rony finché non è stato troppo tardi; l’avete investito e, quando siete sceso a guardarlo, era già morto. Siete rimasto sconvolto, naturalmente, e, oltre a tutto, dovevate fare una chiamata telefonica importantissima. Non volendo lasciare il cadavere in mezzo al sentiero, l’avete trascinato sull’erba dietro a un cespuglio. Al ritorno da Chappaqua, eravate deciso a telefonare alla polizia, ma avete incontrato la figliola maggiore del vostro ospite, fuori di sé perché non riusciva a trovare la sorella. Siete uscito ad aiutarla nelle sue ricerche. Naturalmente non volevate darle di colpo, brutalmente, la notizia della morte di Rony. Quando finalmente siete rientrato, l’avete detto al signor Wolfe e lui ha avvertito il signor Sperling, che ci ha telefonato. Voi eravate comprensibilmente restio ad ammettere che eravate responsabile dell’investimento e non vi siete deciso finché il corso delle indagini non vi ha mostrato che il passo era inevitabile. Allora vi siete rivolto a me, che sono il più alto funzionario della contea, e mi avete raccontato tutto, dalla A alla Z. — Archer puntò un dito contro di me. — Quando avrete dichiarato tutto questo, che cosa vi accadrà? Non vi si potrà neppure accusare d’aver lasciato la scena del delitto, perché siete ancora qui. Io sono il procuratore distrettuale: sta a me decidere l’accusa che vi si deve muovere. E allora considerate le attenuanti… — prese un blocco di carta dalla scrivania, trasse di tasca la stilografica e me la porse. — Ecco qua, scrivete tutto, firmate e facciamola finita una volta per sempre. Non ve ne pentirete mai, Goodwin: vi do la mia parola.

— Sono spiacente, signor Archer; sono molto spiacente.

— Firmate, invece di disperarvi…

— Vi accontenterei tanto volentieri, ma non posso. Un piccolo particolare che avete omesso, me lo vieta.

— Che cosa? Di che parlate?

— Dell'automobile. Anch’io sono un investigatore. Si suppone che certe cose le sappia. Soprattutto si suppone che sappia quel che accade quando un uomo viene spiaccicato da un’automobile, come è stato spiaccicato Rony. Il sangue e altre prove varie inondano il panorama circostante fino alle stelle. Eppure sembra che sia riuscito ad andare e tornare con la macchina incriminata, e a lasciarla in bella mostra per tutta la mattina, senza che nessuno sospettasse di niente! Per questo non ci sto. Mi riderebbero dietro tutti: dall’Atlantico al Pacifico. E, a proposito di mandati: nemmeno un giudice o un corpo di giurati, con tutta la buona volontà ci crederebbe…

— Potremmo far figurare…

— Potreste far figurare quel che volete, lo so. Ma lasciate che vi dica un’altra cosa. Non credo che Ben Dykes l'abbia bevuta. Mi ha fatto le domande come si doveva, perché voi siete il capo e gliel'avete ordinato. Quanto a voi, posso capire che non vi piaccia andare a stuzzicare tipi come gli Sperling. Non fosse altro perché hanno l’abitudine di assumere solo i migliori avvocati. Quanto poi a quel pappagallo in uniforme che si chiama… Noonan… Be’, può darsi che voi siate di sentimenti religiosi e non voglio scandalizzarvi con la mia osservazione oltremodo profana.

— Lo sentite? — esclamò Noonan, tentando di dominarsi. — Ve l’ho detto che si crede un superuomo. Lasciatemelo portare al posto di…

— Piantatela! — squittì Archer. Diede un’occhiata all’orologio e balzò in piedi. — Devo proprio andare, Ben. Completate i verbali e pregate i presenti di non lasciare la giurisdizione.

— E Goodwin e Wolfe?

— Ho detto i presenti. Tutti. Senza mandato non possiamo trattenerli, ma non è ancora il caso di procurarselo. Bloccate tutte le macchine e tenetele sotto controllo. Avete cercato le impronte digitali?

— No; pensavo…

— Cercatele. Molto attentamente. Arrivederci.

E uscì trotterellando senza nemmeno lanciarmi un’occhiata. Il che mi parve una manifestazione di esagerata severità.

Quanto a me, salutai Dykes sogghignando e uscii dalla libreria con aria insolente, per andare in cerca del mio principale. Lo trovai nella serra che ispezionava dei banchi di cemento nuovo modello, a innaffiamento automatico.

12

Un paio d’ore più tardi, io e Wolfe eravamo in camera nostra. Il mio capo aveva scoperto che la comodità della poltrona più grande era inversamente proporzionale al tempo in cui la si usava. Perciò era andato a rifugiarsi sul letto con un libro, quantunque detestasse leggere sdraiato. La sua camicia giallo-canarino era tutta spiegazzata e i calzini, in tinta analoga, presentavano due buchi incipienti sugli alluci (e non c'era da meravigliarsene, se si pensava che sopportavano un ottavo di tonnellata per il secondo giorno).

Qualcuno bussò: era il signor presidente. Si chiuse la porta alle spalle, si avvicinò, e ci augurò il buongiorno. Il mio principale depose il libro aperto sulla propria pancia, ma non diede altri segni di vita.

— Mi… mi parete a vostro agio — osservò Sperling, col tono dell’ospite educato.

Wolfe emise un suono impreciso. Io dissi qualcosa di grazioso. Il sovrano minerario si mise a sedere.

— Dunque, a forza di parlantina ve la siete cavata? — mi domandò.

— Non credo di meritarmi elogi particolari — mi schermii modestamente. — Il quadro era sfocato, ecco tutto; ci sarebbero voluti troppi ritocchi. Mi sono limitato a far notare i fatti.

Sperling annuì.

— Ho saputo da Dykes che il procuratore distrettuale vi ha offerto l’immunità su propria garanzia, se gli aveste firmato una dichiarazione.

— Non precisamente. Non ha messo la garanzia per iscritto. Non che lo sospettassi capace di farmi il doppio gioco ma, quanto a immunità, preferisco quella che mi spetta già di diritto. Non bisogna mai lasciare la virtù a combattere sola.

— Dove avete trovato questa citazione? — domandò Wolfe. — È Confucio.

Mi strinsi nelle spalle.

— Me l’ha detto lui, personalmente.

Il nostro ospite smise di occuparsi di me e si rivolse a Wolfe.

— Il procuratore distrettuale tornerà qui, tra le cinque e le sei. Ha lasciato detto che desidera vederci tutti. Che cosa significa questo?

— A quanto pare — fece Wolfe in tono asciutto — I significa che si sente costretto ad annoiarvi un po’ quantunque preferirebbe vivamente non farlo. Tra parentesi vi consiglio di non sottovalutare il signor Archer. Non lasciatevi sviare dai suoi difettucci.

— Non mi lascio sviare. Ma quali prove ha per sospettare che non si tratta di un incidente?

— Non saprei; ma qualcosa dev’esserci, oltre alle poche e vaghe allusioni che vi ha fatto. Molto probabilmente il signor Archer non ha nessuna prova, ma anche se decide di accettare l’idea dell’incidente, deve pur scoprire chi guidava la macchina. Un uomo ricco e famoso come voi, signor Sperling, nella vita ha molti vantaggi e molti privilegi. Ma ha anche molti intralci. Il signor Archer non può permettersi di dire in giro che ha chiuso un occhio sulla vostra faccenda, perché siete così importante. Povero diavolo.

— Capisco. — Sperling si controllava a meraviglia, se si tiene conto che si era impegnato di fronte a testimoni a pagare i danni della nostra serra. — Ma che cosa devo pensare di voi? Avete trascorso tre ore, questo pomeriggio, a interrogare la mia famiglia, i miei ospiti, e i miei domestici. Perché? Che intenzioni avete? Volete arruolarvi nella polizia?

— Santi Numi, no! — dal tono di Wolfe si sarebbe potuto supporre che Sperling gli avesse chiesto di partecipare ai campionati di pallacanestro. — Ma voi mi avete assunto per investigare sulla morte del signor Rony. Io cercavo di guadagnarmi la parcella. Che ore sono, Archie?

— Le quattro e un quarto.

— Allora fra circa un’ora dovrebbe tornare il procuratore distrettuale.

— Ho da fare — annunciò Sperling, e uscì a grandi passi dalla stanza.

— Una corona gli donerebbe molto — osservai.

— Mmm… Mmm… non gli farebbe certo il solletico — convenne Wolfe e tornò al suo libro.

Dopo un po’ mi annoiai e scesi in piscina. Connie e Madeline erano in acqua. Paul Emerson in camicia e calzoni di cotone, non precisamente immacolati, le contemplava con aria feroce. Gwenn, in abito scuro ma leggero, stava sdraiata in una poltrona sotto un ombrellone, con gli occhi chiusi.

— Tuffatevi anche voi! — m’invitò Madeline.

— Non ho il costume! — gridai in risposta.

Gwenn aprì gli occhi, mi lanciò una lunga occhiata senza parole, poi si voltò dall'altra parte e richiuse gli occhi.

— E voi non fate il bagno? — chiesi a Emerson.

— Sabato ho avuto i crampi — mi rispose in tono irritato, come se io avessi avuto il dovere di saperlo.

— Com’è la situazione?

— Quale? La situazione internazionale dei crampi?

— Quella di Rony.

— Oh, è ancora morto.

— È sorprendente. — L’eminente conferenziere mi lanciò una breve occhiata e poi decise che contemplare il sole e l’acqua era meglio. — Ho sentito dire che è stata la vostra macchina.

— La macchina del signor Wolfe, sì. Così si dice.

— Eppure, siete qua senza secondini e senza manette. Che cosa contano di fare? Di darvi una medaglia?

— Aspetto e spero, perché? Voi credete che me la meriti?

— Dipende se l’avete fatto di proposito o no. Se è stato un incidente, credo che non meritiate più di una menzione onorevole. Volete che ci metta una buona parola?

— No… Scusatemi, mi chiamano.

Mi chinai, afferrai una mano di Madeline e l’aiutai a uscire dall’acqua.

— Perbacco, siete grande e forte! — esclamò lei, ritta davanti a me, tutta gocciolante. — Congratulazioni!

— Solo per questo? Riuscirei a pescare fuori Joe Louis, se fosse il caso…

— Mi avete fraintesa. Mi congratulo perché siete rimasto fuori di prigione, come avete fatto?

— Ho ricattato il procuratore distrettuale, minacciando di rivelare i suoi colpevoli segreti.

— No! Davvero? Venite a sedervi vicino a me mentre mi asciugo, e raccontatemi tutto.

Madeline si sdraiò sulla riva erbosa e io mi sedetti accanto a lei. Aveva nuotato molto in fretta e il suo seno, che era coperto solo nei punti essenziali, si alzava e si abbassava ritmicamente. Chissà come, sebbene avesse gli occhi chiusi, capì dove guardavo perché m’informò con aria compiaciuta: — Ho una circonferenza toracica di centosette centimetri. Se non vi piacciono i tipi sportivi avvertitemi che fumerò di più e la ridurrò. E vero che la guidavate voi la macchina quando è passata sopra a Louis?

— No. Sono innocente.

— Allora chi è stato?

— Non lo so, per ora. Chiedetemelo domani e continuate a chiedermelo a intervalli regolari. Telefonate alla mia segretaria e prendete una serie di appuntamenti, per procedere con le richieste. Ha un’apertura toracica di centodieci centimetri.

— Chi? La vostra segretaria?

— Sì.

— Portatela qua. Faremo una gara di pentathlon: la vincitrice guadagnerà voi come premio. Che cosa mi consigliate di fare? — Spalancò gli occhi, per forza d'abitudine, rimase abbagliata dal sole e li richiuse immediatamente. Io domandai: — Volete dire per allenarvi al pentathlon?

— Certo che no. Non ne ho bisogno. Parlavo del procuratore distrettuale. Che cosa devo fare quando torna? Devo dirgli che sospetto una persona d’aver usato la vostra macchina?

— Se vi fa piacere. Inventiamo insieme la bugia? Chi scegliamo per capro espiatorio?

— Non voglio scegliere nessuno. Questo è il guaio. Perché qualcuno dovrebbe pagare per aver ucciso Louis Rony?

— Sono del vostro parere, signora, ma come mai…

— Perché continuate a chiamarmi signora?

— Per farvi desiderare ch'io vi chiami in un altro modo. È un espediente che ha sempre successo. Il guaio è che il procuratore distrettuale e Nero Wolfe sono maniaci della verità. Non ci daranno pace finché non l’avranno trovata… Dopo di che potremo dedicarci ad altre cose: al pentathlon per esempio. Conoscendovi come vi conosco, immagino che abbiate un’idea precisa della persona che può aver usato la mia macchina. Come mai vi è venuta questa idea?

— La parte anteriore mi pare asciutta — dichiarò Madeline sedendosi. Poi si sdraiò bocconi e io provai più forte che mai il desiderio di darle uno scapaccione, ma mi trattenni.

— Come mai vi è venuta quell'idea? — insistei coni aria noncurante.

Silenzio. Poi, dopo un minuto buono, arrivò la risposta, a mezza voce: — Credo che dovrò pensarci sopra ancora.

— Questo non fa mai male, ma ricordatevi che non avete molto tempo. Il procuratore distrettuale può arrivare da un momento all’altro. Inoltre, voi avete chiesto il mio consiglio e io potrei darvelo con maggior sicurezza se sapessi qualcosa di più sui vostri sospetti Avanti, parlatemene.

— Potreste essere davvero molto intelligente, se allenaste un po’ la materia grigia — dichiarò Madeline gravemente. — È interessantissimo vedervi seguire una pista. Supponiamo che l’idea me l’abbia data qualcosa che ho visto ieri sera, e io ora ve lo dica. Entro trenta secondi (infatti, come mi avete fatto notare, non c’è tempo da perdere) voi rientrereste in casa con la scusa di lavarvi le mani e rifischiereste tutto a Nero Wolfe. Come risultato, Wolfe risolverebbe il mistero e mio padre dovrebbe pagargli un conto inverosimile. Voi non potete immaginare quanti soldi ha tirato fuori papà, per me, nei miei ventisei anni di vita. È una cifra pazza comunque, e io mi sono messa in testa che, per la prima volta nella mia esistenza, devo fargli risparmiare qualcosa. Non è meraviglioso? Se voi aveste una figlia vedova di mezz’età, che ha una circonferenza toracica di centosette centimetri, non vorreste che si comportasse così?

— No, signora — dichiarai con forza.

— Invece sì, naturalmente. Chiamatemi in un altro modo; non so… tesoro o "piccolo cavolo", come dicono i francesi. Eccoci qua, avvinghiati in una lotta mortale, voi che cercate di far denaro per il vostro principale, io che cerco di risparmiare per mio padre, eppure siamo… — Si rizzò a sedere di scatto. — Non è la macchina del procuratore? Sì, perbacco! — Saltò in piedi. — È già arrivato e io ho ancora da pettinarmi! — E si avviò di corsa verso la villa.

13

Entrai a tuffo nella nostra camera e annunciai al mio principale: — La Legge è arrivata. Devo fare in modo che la seduta si svolga quassù?

— No — ribattè lui in tono bisbetico. — Che ora è?

— Mancano diciotto minuti alle sei.

— Sarebbe un caso faticoso da risolvere anche in ufficio. Poiché siamo presso terzi toccherebbe fare tutto a voi, ma a quanto pare vi siete specializzato a guastare le cose. Ingurgitate bevande drogate, organizzate grassazioni, lasciate la mia automobile dove può essere usata per assassinare la gente…

— Già, già — convenni allegramente. — Non sono più quello di un tempo. Se fossi nei panni vostri per certo mi licenzierei. Sono licenziato?

— No. Ma se dovrò passare un’altra notte qua dentro dovrete andare a casa a procurarmi un’altra camicia e dei calzini. — Guardò con aria funebre i propri alluci. — Avete visto i buchi?

— Sì. La nostra macchina è immobilizzata, ma Posso procurarmene una. Se volete tenervi al corrente con gli sviluppi della situazione, vi conviene spicciarvi. La figlia maggiore ha visto o sentito qualcosa che le ha dato l'idea che la nostra macchina sia stata usata da qualcun altro. Adesso sta cercando di decidere se deve dirlo al procuratore distrettuale o no. Ho cercato d'indurla a confessarsi con me, ma ha avuto paura che lo riferissi a voi. Ecco un’altra prova che ho visto i miei giorni migliori. Se volete sentirla mentre fa la sua grande rivelazione, affrettatevi a mettervi le scarpe.

Udimmo bussare. Jimmy Sperling fece capolino dalla soglia e annunciò: — Papà vi desidera in libreria — indi si dileguò, senza chiudere la porta. Evidentemente le visite alle miniere avevano avuto un effetto deleterio sulla buona creanza.

Quando entrammo in libreria, C’erano solo tre persone: il procuratore distrettuale, il signor presidente e Webster Kane… La presenza di Kane e l’assenza di Dykes mi sorpresero; comunque fui soddisfatto di non trovare Madeline. Forse avevo ancora una probabilità d’indurla a rivelarmi i suoi segreti tête à tête.

Sperling prese subito la parola con aria perfettamente disinvolta.

— Vorrei dirvi cos'è accaduto esattamente. Quando Dykes è entrato qui stamattina e ha annunciato che C’erano delle serie prove contro la macchina di Wolfe, ho pensato che il problema fosse risolto. Ma più tardi, quando ho appreso che non eravate sicuri della colpevolezza di Goodwin, non mi sono più ritenuto soddisfatto perché sapevo che avreste accettato con gioia quella soluzione, se fosse stata plausibile. Allora ho meditato sul problema e mi è venuto in mente qualcosa… ma forse sarà meglio che io vi legga questa dichiarazione…

Sperling alzò gli occhi.

 

La sera di lunedì venti giugno, un po’ prima delle nove e mezzo, entrai in libreria e vidi sulla scrivania del signor Sperling alcune lettere da imbucare. Sapevo che il signor Sperling era sconvolto per alcune sue questioni personali e immaginai che si fosse dimenticato di far spedire la posta. Decisi allora di andare a Mount Kisko a imbucare le lettere in modo che potessero prendere il primo treno del mattino. Uscii di casa dalla parte posteriore; stavo per dirigermi alla rimessa, quando ricordai che la macchina di Nero Wolfe era parcheggiata a poca distanza. Decisi di prendere quella, per risparmiare la strada fino al garage.

La chiavetta d’accensione era nel cruscotto. Avviai il motore e cominciai a scendere lungo il viale. Era molto buio, ma l’oscurità non era completa, e, poiché conoscevo molto bene la strada, non accesi i fari. Il viale è in discreta pendenza, e probabilmente andavo a trentacinque-quaranta chilometri l’ora. Stavo per attraversare il ponte, quando un oggetto parve balzare fuori dall’oscurità, sulla mia sinistra. Era troppo buio perché io mi accorgessi che si trattava di un uomo. Un istante dopo udii un rumore sordo, e mi accorsi d’averlo investito. Schiacciai i freni immediatamente, ma senza troppa energia perché non mi ero ancora accorto di aver colpito una persona. Balzai fuori dalla macchina e vidi che era Louis Rony. Era sdraiato a terra a cinque metri dall'automobile, ed era già morto. Le ruote gli avevano schiacciato completamente il torace.

Persi la testa; trascinai il corpo fuori dal sentiero, nascondendolo dietro un cespuglio, a una quindicina di metri di distanza. Poi voltai la macchina e tornai a parcheggiarla al punto di partenza.

Non rientrai subito. Passeggiai su e giù, sulla terrazza, cercando di radunare tutto il mio coraggio per confessare l’accaduto. Mentre ero ancora fuori, Goodwin uscì di casa e andò a prendere la propria automobile. Lo sentii avviare il rumore e allontanarsi. Questo fatto maturò la mia decisione. Rientrai in casa e andai in camera mia a terminare una relazione economica che stavo preparando per il mio principale.

Oggi nel pomeriggio il signor Sperling mi ha chiesto se avevo notato quelle lettere sulla scrivania. Gli ho risposto che avevo avuto intenzione di portarle a Chappaqua in mattinata, ma il blocco delle macchine me l'aveva impedito. Ma questa domanda, chissà perché, ha cambiato completamente l’aspetto delle cose, per me. Così, di mia spontanea volontà, mi sono rivolto al mio principale e gli ho raccontato tutto quanto è accaduto…

 

— La firma è quella di Webster Kane — dichiarò, e depose trionfante il foglio sulla scrivania del procuratore distrettuale.

Archer, dopo un istante di riflessione, alzò gli occhi e li fissò in quelli di Webster Kane. L’economista sostenne tranquillamente il suo sguardo. Archer picchiettò con un dito sui fogli della confessione.

— Voi avete scritto e firmato tutto questo, signor Kane?

— Proprio così — dichiarò, Kane con voce chiara e ferma, ma senza enfasi.

— Be’, arrivate un po’ in ritardo, non vi pare?

— Avete ragione. — Kane aveva un’aria tutt’altro che felice. A me pareva quasi impossibile che un uomo dotato di così rara intelligenza si comportasse in un modo tanto imbecille. — Mi rendo perfettamente conto che il mio contegno è stato imperdonabile — continuò Kane. — Nemmeno io riesco a capirlo. Evidentemente, durante le crisi, non so stare all’altezza della situazione.

— Non è stata una crisi: è stato un incidente inevitabile. Accade a una quantità di persone.

— Può darsi… ma rimane il fatto che ho ucciso un uomo. Personalmente la considero una crisi terribile.

— Kane fece un gesto vago. — Ho perso completamente la testa.

— No, non completamente. — Archer lanciò un’occhiata alla confessione. — Il vostro cervello funziona abbastanza bene perché, quando avete visto Goodwin prendere l’automobile e percorrere lo stesso viale sul quale era avvenuto l’incidente, avete pensato di poterla fare franca e di buttar la colpa su di lui. No?

— Nella mia dichiarazione ho accennato a questo fatto proprio per essere onesto, ma le cose non sono andate precisamente così.

— Conoscevate bene Rony?

— No, non intimamente. L’avevo visto spesso a casa Sperling.

— Eravate in buoni rapporti?

— No. — Era stata una dichiarazione energica, ma poco compromettente.

Archer si spazientì.

— Perché no?

— Non mi piaceva come persona, e soprattutto non mi piaceva il suo modo di esercitare la professione.

— Sapevate che la signorina Gwenn Sperling era sua amica, vero? Approvavate quell'amicizia?

— No, affatto… Non che la mia approvazione o disapprovazione avessero peso. Io sono un semplice dipendente del signor Sperling, quantunque per più di quattro anni abbia avuto il piacere e l’onore di essere un amico… un amico di famiglia se mi è concesso dire così. — Lanciò un’occhiata a Sperling. Questi annuì, per indicare che gli era concesso. Kane continuò:

— Io ammiro e rispetto tutti gli Sperling, compresa la signorina Gwenn, e pensavo che Rony non era degno di lei. Ma… posso rivolgervi una domanda?

— Certamente.

— Il fatto che mi chiediate le mie opinioni personali su Rony mi fa supporre che mi sospettiate d’averlo ucciso intenzionalmente, non per errore. Mi sbaglio forse?

— Io non userei il verbo "sospettare”, signor Kane. Ma la vostra dichiarazione è definitiva, e prima di accettarla… — Archer fece boccuccia. — Perché, vi risentite del mio interrogatorio?

— Tutt’altro! — esclamò Kane con forza. — Io non sono in posizione di risentirmi per un interrogatorio, specialmente da parte vostra. Però…

— Mi risento io — saltò su Sperling. — Che cosa state cercando di fare, signor Archer? Avevate detto che come procuratore distrettuale non tenevate molto a dare seccature a un uomo della mia posizione sociale. Perché avete cambiato opinione?

Archer rise.

— La vostra osservazione è giustificata — affermò, rivolto a Sperling. — Ma sono un po’ stanco e interrogo per forza d’abitudine. Non ho nessuna voglia di frugare nel fango. Ci sono già molte persone che lo fanno senza bisogno del mio aiuto. — Si alzò con aria decisa. — In ogni caso qui si tratta di un incidente e io sono soddisfatto della soluzione. Passate domani nel mio ufficio, signor Kane e, se non ci sono io, cercate del signor Gurron. Darò un’occhiata ai regolamenti stradali riguardanti un incidente avvenuto su una proprietà privata. È possibile che vi tocchi una multa o una sospensione della patente, ma, date le circostanze, cercherò di far archiviare la cosa. — Porse la mano a Sperling. — Senza rancore, spero.

Sperling l’assicurò di no. Il procuratore distrettuale strinse la mano a Kane, a Wolfe e anche a me. Dichiarò che si augurava d'incontrarci in una più lieta occasione, e andò per i fatti suoi.

— Grazie a Dio, è finita! — sospirò Kane, rivolto a Sperling. — Se non avete bisogno di me, andrò in camera mia a far qualcosa. Non ho voglia di presentarmi a cena. Naturalmente tutti dovranno venire a sapere com’è andata, ma preferisco non doverli affrontare fino a domattina.

— Andate pure — convenne Sperling. — Passerò da voi più tardi.

— Un momento — fece Wolfe, aprendo gli occhi e raddrizzando il capo.

— Dite a me? — domandò Kane.

— Sì, se non vi dispiace. — Il tono del mio principale era molto meno educato delle sue parole, — Non può aspettare un po’ il vostro lavoro?

— Be’… sì. Perché?

— Vorrei fare quattro chiacchiere con voi.

Kane lanciò un’occhiata interrogativa a Sperling, ma l’appello non arrivò a destinazione, perché il signor presidente aveva tratto di tasca un altro foglio. lo stava osservando. Era una strisciolina rettangolare di carta color salmone. Mentre Kane rimaneva indeciso sul da farsi, Sperling si diresse verso Wolfe e gli porse il foglietto.

— Ve lo siete guadagnato — affermò. — Sono contento di avervi assunto.

Il mio principale prese il foglio tra due dita e lo studiò.

— Ma guarda un po’ — disse. — Cinquantamila dollari.

Sperling chinò il capo, con un cenno secco, esattamente come faccio io, quando do due soldi di mancia al lustrascarpe.

— Cinquanta più cinque, fanno cinquantacinque. Se non saranno sufficienti per coprire i danni, le spese vive e la parcella, mandatemi il conto.

— Grazie mille; lo farò senz’altro. Naturalmente non posso ancora prevedere quali saranno le spese future. Potranno…

— Spese? Parlate di spese? Di che?

— Delle mie indagini intorno alla morte del signor Rony. Potrei…

— Che cosa c’è da investigare?

— Ah, non lo so. — Wolfe infilò l'assegno nel portafoglio. — Può darsi che mi accontenti di poco. Mi piacerebbe fare un paio di domande al signor Kane, e voi? Avete qualcosa in contrario signor Kane?

— No, tutt’altro.

— Benissimo. Sarò breve ma desidererei che vi sedeste entrambi.

Kane sedette sull’orlo di una sedia. Sperling non si abbassò a concessioni. Rimase in piedi, fissando Wolfe con aria tutt’altro che di ammirazione.

— Innanzitutto — esordì il mio principale — come avete potuto stabilire che il signor Rony era morto?

— Perbacco! Avreste dovuto vederlo!

— Infatti. Ma non c’era molta probabilità di vederlo con quel buio. Gli avete messo per caso una mano sul cuore?

— Non era necessario. Aveva il torace schiacciato — ribattè Kane.

— Avete potuto constatare fino a che punto era maciullato?

— Approssimativamente. Non era buio del tutto, e qualcosa sono riuscito a distinguere.

— Immagino che abbiate potuto vedere le ossa, dal momento che sono bianche. Ho sentito dire che l’omero, l'osso superiore del braccio, aveva attraversato la carne e la stoffa degli abiti e sporgeva per diversi centimetri. Potete precisare che braccio era?

Questa era una bugia bella e buona. Wolfe non aveva mai sentito dire nulla di simile, per la semplice ragione che non era vero.

— Non saprei — protestò Kane. — Non ho guardato molto attentamente.

— Ma l’avete visto, l’osso?

— Io? Forse sì… Ma non lo so.

— Quando avete trascinato il signor Rony dietro il cespuglio, da che parte del corpo l’avete preso?

— Non ricordo.

— Sciocchezze. L’avete trascinato per una trentina di metri. Allora? La testa? La collottola? Un braccio?

— Non ricordo.

— Non mi pare molto naturale che ve ne siate dimenticato. E quando l’avete lasciato dietro il cespuglio, i piedi puntavano verso la casa oppure verso il cancello?

— Questo dovrei ricordarmelo — fece Kane accigliato.

— Già, dovreste.

— Però non me ne ricordo — Kane scosse il capo.

— Vi do la mia parola.

— Capisco — il mio principale si appoggiò all'indietro e chiuse gli occhi. — Questo è tutto, signor Kane. Tornate pure al vostro lavoro.

Il reo confesso non se lo fece dire due volte. Appena la porta gli si chiuse alle spalle, Sperling domandò irosamente: — A che vi è servito tutto questo?

— A niente. Voi avete raggirato il signor Archer, costringendolo ad accettare una dichiarazione fasulla, firmata dal signor Kane, ma non siete riuscito a ingannare me. Vorrei davvero che ci foste riuscito. Potrei tornarmene alle mie orchidee tranquillamente.

Sperling lo fissò per qualche secondo, con gli occhi scintillanti, poi domandò: — Sentite un po', Wolfe: chi credete di essere? San Giorgio?

— Nemmeno per idea — il mio principale era indignato. — Non m’importa affatto chi ha ucciso un essere immondo come il signor Rony e se l’ha ucciso per errore o di proposito. Se fosse solo per questo, accetterei la dichiarazione del signor Kane fino all'ultima parola. Ma mi sono impegnato. Ho mentito alla polizia. Non è nulla, d'accordo, lo faccio di continuo. Ma ieri sera vi avevo avvertito che nascondo informazioni vitali alle autorità solo quando concernono un caso che mi sono impegnato a risolvere: e una menzogna del genere mi lega automaticamente al caso finché non è risolto. Ieri vi ho detto che non potevate assumermi un giorno per licenziarmi il giorno successivo, e voi vi siete dichiarato del mio parere. Ora credete di poter fare quel che più vi piace. Siete convinto di potermi mandare a spasso perché non sono più in grado di darvi dei grattacapi rivelando la verità al signor Archer intorno alla conversazione di ieri nel pomeriggio. In questo senso avete ragione. Se andassi dal procuratore distrettuale e gli confessassi tutto, ora che ha in mano quella dichiarazione di Kane mi rimprovererebbe educatamente e farebbe il possibile per dimenticare ogni cosa. Anch’io vorrei potermene dimenticare, ma non posso. È di nuovo colpa del mio amor proprio. Voi mi avete trattato da idiota e questa è una cosa che non sopporto.

— Vi ho dato cinquantacinquemila dollari.

— Infatti. E poi?

— E poi che cosa?

— Altri dollari, forse: per portare a termine il mio compito. Voglio scoprire chi ha ucciso il signor Rony e procurarmi addirittura le prove a carico. — Wolfe puntò un dito contro il suo interlocutore. — Se dovessi fallire, signor Sperling… — si strinse nelle spalle, Ma non fallirò, assolutamente. Ve lo garantisco.

Improvvisamente, e senza preavviso, Sperling andò fuori dalla grazia di Dio. I suoi occhi mutarono, il suo colorito mutò… e vedemmo un uomo del tutto diverso. Fece un balzo in avanti e sibilò: — Fuori! Fuori di qui!

Evidentemente ci restava una cosa sola da fare: andarcene fuori di lì. Ero abituato a situazioni del genere, ma Wolfe, che aveva sempre trattato tutti i suoi affari in ufficio, era molto più abituato a defenestrare la gente che non a essere defenestrato. In ogni caso si comportò egregiamente. Si alzò con aria noncurante, come se a un tratto gli fosse venuta voglia di andarsi a lavare le mani ma senza troppa urgenza. Mi permise di precederlo, secondo l’etichetta.

Sperling, come finalino, ci diede un’altra prova della sua personalità complessa, affacciandosi sulla porta all’ultimo momento e urlando alla schiena del mio principale: — Però non sospenderò il pagamento dell'assegno!

14

Il pacco arrivò mercoledì, un poco prima di mezzogiorno. Il mio principale, che finalmente si era cambiato le calze, mi aveva formalmente annunciato che intendeva portare a termine il caso Rony, però delle?; quattordici ore passate a casa, nove le avevamo trai scorse a letto.

Poi arrivò il pacco. Wolfe era appena sceso dalla serra e stava spuntando un elenco di acquisti per l'erculea impresa dei ripulitori. Quando il campanello suonò, andai alla porta e un ragazzino mi porse un pacco grande come una valigetta e una ricevuta da firmare. Lasciai il tutto nell’atrio, perché immaginavo che si trattasse di qualche indispensabile aggeggio per le grandi manovre al piano di sopra, e tornai nell’ufficio, ma poco dopo, mi venne in mente che non avevo visto il nome del mittente sul pacco e tornai nell’atrio per dargli un’altra occhiata. Sulla carta pesante dell’involucro C’erano solo il nome e l’indirizzo di Wolfe. Lo soppesai, erano circa tre chili. Me lo appoggiai all’orecchio e trattenni il respiro per trenta secondi, ma non udii nulla.

“Quante storie" pensai, e col temperino tagliai i legacci e strappai un angolo della carta. Nell’interno c'era uno scatolone di fibra ben chiuso. Mi venne un altro attacco di cautela, e tagliai tutto intorno il coperchio, sollevandolo poi delicatamente per un angolo. Tutto quel che vidi fu un secondo involucro di carta di giornale. Inserii la punta del temperino sotto la carta, ne strappai un pezzo e quel che vidi mi fece inarcare le sopracciglia. Misi lo scatolone sul braccio, entrai marciando in ufficio e domandai a Wolfe: — Vi dispiace se finisco di aprire questo pacco sulla vostra scrivania? Non vorrei far disordine nell’atrio.

Ignorando le sue proteste deposi il pacco nel centro del suo tavolo, e cominciai a tirar fuori pacchi e pacchi di biglietti da venti dollari.

Erano banconote usate, legate a mazzetti di cinquanta, vale a dire mille dollari ogni mazzo.

— Ma che cosa diavolo è questa roba? — s’informò il principale.

— Quattrini — risposi. — Non toccateli, potrebbero essere un trabocchetto. Forse brulicano di germi.

Stavo dividendo i mazzetti in pile di cinque. Alla fine contai dieci pile.

Che coincidenza! — osservai. — Naturalmente dovremo fare un controllo; ma se non manca niente, qui ci sono cinquanta bigliettoni. È interessante.

— Archie — Wolfe mi faceva gli occhiacci. — Che insipida bizzarria avete combinato? Vi avevo detto di depositare l’assegno, non di convertirlo in denaro liquido. Tornate a incartare questa roba e riportatela alla banca.

— Sì. Però, prima di farlo… — andai alla cassaforte, ne tolsi il libro mastro, l’aprii all'ultima pagina! glielo piazzai sotto il naso. — Come potete vedere, l’assegno è stato depositato. Questa non è una bizzarria, è una coincidenza. Non c'è niente, dentro o fuori del pacco, che ci indichi chi l’ha mandato. L’unico indizio è costituito dal giornale che fodera la scatola! Sono fogli assortiti del "New York Times". Chi conosciamo noi che legga il "Times" regolarmente e ha cinquantamila dollari da buttar via per uno scherzo? — allargai le braccia. — Rispondete a questa domanda e sapremo chi è.

Wolfe stava ancora facendo gli occhiacci, ma alle banconote, non a me. Prese un mazzetto, lo scorse rapidamente e tornò a deporlo.

— Riponeteli in cassaforte. Anche l’involucro.

— Non ci converrebbe contarli prima? E se per caso manca un ventino?

Non ottenni risposta. Il mio monumentale signori era appoggiato all'indietro, con gli occhi chiusi «stringeva all'infuori le labbra, poi le ritraeva, poi tornava a spingerle fuori, senza interruzione. Eseguii i suoi ordini, poi mi sedetti alla scrivania e aspettai che mettesse le labbra a riposo. Finalmente chiesi in tono freddo e superiore: — Che ne direste di un piccolo aumento? Venti dollari in più alla settimana mi farebbero comodo. Dal momento che questo caso ci ha portato centocinquemilatrecentoventi dollari, anche deducendo le spese vive e i danni…

— Da dove sono venuti i trecentoventi dollari?

— Dal portafoglio di Rony. Ve l'avevo detto.

— Voi sapete, naturalmente, chi ha mandato quel pacco.

— Con esattezza proprio no. È stato A, B, C, o D? Da X direttamente non viene, vero?

— Direttamente? No. — Il principale tentennò il capo. — Il denaro mi piace, ma questo non mi va. Vorrei solo che poteste rispondere a una domanda.

— Ho risposto a milioni di domande, provate.

— Questa ve l'ho già fatta. Chi ha messo il sonnifero nella bibita, sabato sera, nel bicchiere del signor Rony, intendo quello che avete preso voi?

— Già. Questo è il problema. Ho continuato a chiedermelo ieri, poi ancora questa mattina, e non ho cavato un ragno dal buco.

Wolfe sospirò.

— E noi siamo con le mani legate, naturalmente. Però è appunto questo che ci induce a credere che non si tratti di un incidente, ma di un assassinio. Se non fosse per quel pizzico di sonnifero, potrei persuadermi che il caso è chiuso, nonostante le bugie che ho snocciolato al signor Archer. — Sospirò di nuovo profondamente. — Stando le cose come stanno, noi dobbiamo convalidare questa supposizione o respingerla, ma solo il Cielo sa come riusciremo.

— Il telefono della serra è stato rimesso in funzione. Per provarlo ho telefonato al signor Lowenfeld, al laboratorio di polizia. È stato molto cortese, ma non mi ha aiutato gran che. Dice che, se un’automobile scende per un viale in leggera pendenza a una quarantina di chilometri l’ora e investe un uomo che sta in piedi, è probabile che l’urto lasci qualche traccia visibile sul cofano. È probabile, ma non certo. Gli ho spiegato che il problema consisteva nel decidere se l’uomo era in piedi o sdraiato quando la macchina gli è passata sopra, e Lowenfeld ritiene che la mancanza di graffi sul parafango possa essere indicativa, ma non conclusiva. Mi ha anche chiesto perché mi interesso ancora della morte di Rony. Be’, se i poliziotti fossero donne non sarebbero così pettegoli. Il vostro viaggetto in campagna vi ha fatto bene — dichiarai. — Sprizzate energia da tutti i pori. Avete notato…

Il telefono suonò. Afferrai il ricevitore e dissi: — Ufficio di Nero Wolfe.

— Posso parlare con il signor Wolfe, per favore?

Sentii un brivido per la spina dorsale. In tredici mesi quella voce non era cambiata di un filo.

— Il vostro nome, per cortesia? — chiesi augurandomi che nemmeno la mia voce fosse cambiata.

— Ditegli che è una faccenda personale. — Coprii con una mano il microfono e annunciai al principale «È X.

— Salute!

— Ho detto X.

Wolfe prese il ricevitore e io rimasi in linea.

— Parla Nero Wolfe.

— Come state? Goodwin vi ha detto chi sono? O ve lo dice la mia voce?

— Conosco la voce.

— Sì, è facilmente riconoscibile, vero? Voi avete ignorato il consiglio che vi ho dato sabato. Avete ignorato anche la dimostrazione che avete ricevuto domenica notte. Posso dirvi che la cosa non mi ha sorpreso?

— Potete dire quel che volete.

— Ebbene, me l’aspettavo. Spero che non mi si presenti mai l’occasione di darvi una dimostrazione più precisa. Questo mondo sarà molto più interessante finché voi lo rallegrerete con la vostra presenza. Avete aperto il pacco che avete ricevuto poco fa? È inutile che vi spieghi perché ho deciso di rimborsarvi il danno che vi ho causato, vero?

— Sarebbe utile, invece.

— Oh, no, sicuramente no. Non a voi. Se la sommai che avete ricevuto eccede sull’entità del danno non ha importanza. L’ho fatto di proposito. Il procuratore distrettuale Archer ha deciso che la confessione di Kane spiega in maniera esauriente il mistero della morte di Rony. Voi con la vostra richiesta di informazioni al laboratorio di polizia di New York, avete dimostrato di non condividere il suo punto di vista. Non l’avreste condiviso in ogni caso. Non voi. Ma Rony era un giovanotto intelligente destinato a un grande avvenire, e merita che il mistero della sua morte venga chiarito dalla persona più intelligente di New York, cioè voi.

Io non abito a New York, come ben sapete. Arrivederci e buona fortuna.

La comunicazione si interruppe e Wolfe depose il ricevitore. Io feci altrettanto.

— Gesù! — dissi a bassa voce, poi emisi un fischio sottile. — Guarda che bel cliente! Quattrini in scatola, telefonata fulmine, spero di non darvi mai dimostrazioni tirandovi il collo, tenetevi pure il resto, la persona più intelligente di New York, datevi da fare, click. Come già ho avuto occasione di dirvi è un mascalzone molto impulsivo. — Wolfe era seduto con gli occhi che parevano due fessure. Io indicai la catasta di quattrini. — Come li registro sul mastro? Sotto X. O sotto Z, per Zeck?

— Archie.

— Presente.

— Una volta vi ho dato ordine di dimenticare quel nome e parlavo sul serio. La ragione è semplice: non voglio sentirlo, perché appartiene all’unico uomo sulla terra del quale ho paura. Non ho paura che mi faccia del male, ho paura di quello che un giorno sarò costretto a fare per impedirgli di farmi del male.

— Già, già. Però sono il vostro distinto contabile. E allora? Li registro sotto X?

— Non registrateli, portateli a una banca suburbana, da qualche parte del New Jersey, e depositateli in una cassetta di sicurezza che affitterete sotto falso nome. Se avete bisogno di referenze rivolgetevi al signor Parker. Dopo quel che è avvenuto domenica notte tanto vale prepararsi a tutte le eventualità. Se mai dovremo venire ai ferri corti dovrò andarmene di qui e mi occorreranno fondi. Spero di non dover mai toccare quel denaro. Spero che sia ancora intatto quando morrò. In tal caso sarà vostro.

— Grazie mille. Sarò un bel vecchietto di novantanni, allora, e mi potrà far comodo.

— Lietissimo di favorirvi. E ora, per questo pomerio…

L’arrivo del dottor Wollmer l’interruppe. Il dottore abita a pochi isolati da noi, e ci ha sempre fatto tutti i servizi, dal medicare clienti feriti, a rilasciare dichiarazioni a uso della polizia, in cui si afferma che a Wolfe manca un venerdì. Quando viene da noi si siede sempre su una delle poltroncine gialle, per via delle sue gambe corte, e si toglie gli occhiali, li guarda pensieroso, torna a piantarseli sul naso e chiede a Wolfe: "E così, volete una purghetta?". Questa volta aggiunse: — Ho una fretta terribile.

— Voi avete sempre fretta — ribattè il principale col tono che usa solo per le persone che gli piacciono veramente. — Avete letto qualcosa del caso Rony?

— Naturalmente. Dal momento che voi ve ne interessate… o ve ne interessavate.

— Me ne occupo ancora. Il cadavere è all'obitorio di White Plains. Vorreste andarci, per favore? Dovete prima passare all’ufficio del procuratore distrettuale a presentare le vostre credenziali. Spiegate che vi mando io e che sono stato assunto da uno dei soci d’affari del signor Rony. Se alla Procura distrettuale vogliono sapere di più, fate telefonare a me e cercherò di accontentarli. Non è necessario che perdiate tempo col corpo… ufficialmente voi desiderate esaminare il cadavere, solo per decidere se è morto sul colpo, o se ha dovuto soffrire a lungo. Quel che desidero veramente è che voi ispezioniate il capo e cerchiate di stabilire se ha ricevuto un colpo violento in testa prima di venire investito. So che non avete possibilità di trovare una prova conclusiva, ma vorrei che tentaste. Non ci prenderemo certo per i capelli, per la vostra parcella…

Wollmer strabuzzò gli occhi.

— E devo andarci oggi pomeriggio?

— Sì.

— Avete forse un’idea dell'arma che può essere stata usata?

— No.

— Secondo i giornali, il morto non ha lasciato famiglia o parenti. Forse mi converrebbe sapere chi rappresento. Uno dei suoi soci avete detto?

— Se lo chiederanno risponderò io. Voi rappresentate me.

— Capisco. Tutto per il mistero! — Wollmer si alzò. — Se uno dei miei pazienti muore mentre io sono via… — trotterellò verso la porta e sparì.

La sua abitudine di andarsene appena non ha più niente da dire è una delle ragioni principali per cui Wolfe gli vuole bene.