5
Wolfe, per il quale la prima bottiglia di birra è un semplice preliminare, ne aprì una seconda, ne versò il contenuto nel bicchiere e si appoggiò allo schienale della poltrona.
— Noi stiamo cercando di stabilire — riprese col suo tono discorsivo — come mai quel particolare individuo, il signor Cyril Orchard, ha partecipato a una delle vostre trasmissioni. I giornali hanno concluso che nessuno di voi, compresi la signorina Shepherd e il signor Savarese, lo conosceva. Però è stato assassinato. Più tardi mi prenderò la briga di discutere la cosa particolareggiatamente con voi, ma ora rivolgo a tutti quanti una domanda: avete avuto relazioni con Cyril Orchard prima della sua partecipazione a questo programma?
Vi fu una serie completa di "no”. Wolfe emise una specie di grugnito e proseguì. — Da questo desumo che la polizia non ha scoperto nulla in contrasto con le vostre negazioni, altrimenti sareste ben stupidi a cercare di fare la commedia con me. Come forse voi potrete capire, io affronto questo problema da un punto di vista particolare, e tenendo ben conto che la polizia lo ha già studiato per sette giorni e sette notti. — Wolfe bevve il secondo bicchiere di birra, si asciugò le labbra con un fazzoletto e continuò: — In ogni caso, io ho bisogno di sapere da voi quel che è accaduto, e non dai giornali. Immaginiamo ora che voi vi troviate nella vostra sala di trasmissione e che sia il martedì mattina della settimana scorsa. I due ospiti, il signor Cyril Orchard e il signor Savarese, sono arrivati. Manca un quarto alle undici. Siete tutti intorno al tavolo che regge i microfoni. Seduti al tavolo in questione stanno: da un lato la signorina Fraser e il professor Savarese e, di fronte a loro, il signor Orchard e il signor Meadows. Le voci sono già state provate. A circa sei metri dal tavolo c’è la prima fila di poltrone per il pubblico in sala. Questo pubblico consiste di circa duecento persone, quasi tutte donne, molte delle quali sono devote ammiratrici della signorina Fraser e assistono di frequente alle trasmissioni. Andiamo bene, signori?
— Benissimo — asserì Bill.
— Molti di quegli spettatori verrebbero assai più spesso se potessero avere i biglietti — spiegò Madeline Fraser. — Ci sono sempre più richieste di quante ne possiamo accontentare.
— Senza dubbio — gemette Wolfe, che fino a quel momento aveva dovuto far violenza a se stesso per impedirsi di spiegare alla diva quanto era pericolosa e perché. — Ma le aspiranti spettatrici che non avevano ottenuto il biglietto, dal momento che non erano presenti, non c’interessano affatto. Su, continuiamo. Dietro lo sportello chiuso di un frigorifero, appoggiato al muro, vi sono otto bottiglie di Starlite. Come mai sono arrivate là?
La risposta venne da Fred Owen.
— Ne teniamo sempre tre o quattro casse nello studio, in un armadietto chiuso a chiave.
— Signor Owen, per cortesia — Wolfe agitò un dito verso di lui. — Io desidero sapere il più possibile dalla viva voce di queste sei persone.
— Le bottiglie erano già nello studio — spiegò Tully Strong. — In un armadietto che teniamo sempre chiuso a chiave perché, altrimenti, non ci rimarrebbero molto a lungo.
— E chi ha tolto le otto bottiglie dall’armadietto per portarle nel frigorifero?
— Io — era stata Elinor Vance a parlare. — È una delle, mie incombenze, in ogni trasmissione.
Alzai gli occhi su Elinor e la contemplai con reverente meraviglia. Dio, che lavoratrice! Scrittrice di copioni, ricercatrice, barista… e chissà che cos'altro ancora.
— Non potete portare otto bottiglie in una volta sola — le fece osservare Wolfe.
— Lo so; infatti ne ho prese quattro, poi sono tornata per prendere le altre quattro.
— Lasciando l’armadietto aperto… No… — Wolfe s’interruppe. — Queste raffinatezze dovranno aspettare. Dunque, ora le bottigliette sono nel frigorifero. Tra l’altro, mi risulta che tutti voi presenziate alle trasmissioni abitualmente. Tutti meno uno: il signor Traub. Voi vi assistete molto raramente, signor Traub. Perché eravate presente quella volta?
— Perché ero sulle spine, signor Wolfe. — Il sorriso da dentifricio e la voce morbida di Nat non mostravano segno di risentimento per quella domanda impertinente. — Ero ancora del parere che la presenza di quell’allibratore d’alto bordo nel nostro programma fosse un errore marchiano, e volevo essere pronto per ogni eventualità.
— Cioè ritenevate che non si potesse prevedere quello che avrebbe detto il signor Orchard?
— Non sapevo niente di Orchard in particolare. Pensavo che l’idea, in generale, fosse proprio una bella porcheria.
— E se volete parlare dell’idea di tutto il programma, sono del vostro parere… ma, a ogni modo, non è questo che siamo chiamati a giudicare. Continuiamo con la storia della trasmissione, e aggiungiamo un altro particolare al nostro quadro: dove si trovavano i bicchieri nei quali siete soliti bere?
— Su un vassoio a un capo del tavolo — informò Deborah Koppel.
— Il tavolo di trasmissione? Quello dei microfoni?
— Sì.
— E chi li aveva messi là?
— La ragazzina, Nancylee Shepherd. L’unico sistema per tenerla al suo posto, fra il pubblico, sarebbe quello di legarla. Sarebbe ancora più spiccio impedirle di entrare, ma la signorina Fraser non lo permette. Nan ha organizzato il più grande circolo di ammiratrici della signorina Fraser in tutto lo Stato. Così noi…
Trillò il campanello del telefono. Wolfe prese il ricevitore e mi fece segno di rimanere in linea.
— Pronto, signor Cramer?
La voce sarcastica dell’ispettore mi faceva pensare che avesse un grosso sigaro piantato in bocca, il che probabilmente corrispondeva alla realtà.
— Come vanno le cose, sul vostro fronte?
— Adagino, adagino. Non ho quasi ancora cominciato.
— È un vero peccato, dal momento che nessuno vi paga per il "caso” Orchard. Almeno, così mi avete detto ieri.
— Ma oggi è oggi. E il giornale di domani vi racconterà tutto in proposito. Mi duole, signor Cramer, ma ho molto da fare.
— Non ne dubito. Qual è il vostro cliente, di quegli scimmiotti?
— Lo vedrete sul giornale.
— Allora non c'è ragione perché…
— Sì. C’è una ragione, e cioè che sono molto occupato e sono in ritardo di una settimana rispetto a voi. Buona sera, signore.
Il tono e il modo di deporre il ricevitore del mio principale provocarono una reazione da parte degli intrusi. Il signor Walter B. Anderson, presidente della Società Starlite, volle sapere se la persona che aveva chiamato era l’ispettore Cramer della Squadra Omicidi, e, ottenuta una risposta affermativa, diede prova di un notevole spirito critico. Secondo lui Wolfe non avrebbe dovuto assolutamente essere così scortese con il signor ispettore. Era una prova di cattiva tattica e di cattive maniere. Lui, personalmente, non aveva ancora firmato il concordato e, se l’atteggiamento di Wolfe era quello, forse non avrebbe firmato mai più.
— Davvero? — Wolfe alzò le sopracciglia di due millimetri esatti. — Allora vi consiglio di avvertire immediatamente la stampa. Desiderate usare il telefono?
— Perdio, se appena lo potessi! Ho ben diritto di…
— Non avete nessun diritto, signor Anderson, eccetto quello di non pagarmi la parcella. Voi nel mio ufficio siete a malapena tollerato. Maledizione! Sto cercando di risolvere un problema che il signor Cramer ha trovato così disperatamente misterioso da chiedermi qualche spintarella prima ancora che io abbia cominciato a lavorare sul serio. Il signor Cramer non se la prende affatto per la mia scortesia; ci è così abituato che, se un giorno mi mostrassi affabile con lui, mi trascinerebbe immediatamente in prigione, come testimone indispensabile. Avete intenzione di usare il telefono?
— Sapete benissimo di no.
— Peccato. Mi avrebbe fatto piacere. Più è chiaro il quadro della situazione, meno mi piace. — Wolfe tornò a rivolgersi alla schiera degli "elementi sospetti”.
— Dicevate, signorina Koppel, che quella ficcanaso di adolescente, la signorina Shepherd, aveva deposto i bicchieri sul tavolo?
— Sì; Nan…
— Glieli ho dati io — intervenne Elinor Vance. — Glieli ho dati quando li ho tolti dall’armadietto. Era là, pronta con le mani tese e glieli ho lasciati prendere.
— E i bicchieri sono pesanti, di colore azzurro cupo, e così opachi che il loro contenuto rimane completamente invisibile vero?
— Sì.
— Voi non vi avete guardato dentro?
— No.
— Di modo che, se avessero contenuto qualche sostanza estranea, voi non l’avreste notata?
— No. — Ed Elinor continuò: — Se le mie risposte vi sembrano secche e sbrigative, ricordate che sono già stata tempestata di domande simili centinaia di volte. Potrei rispondervi anche dormendo.
— Naturalmente — convenne Wolfe. — Dunque, ora noi abbiamo le bottiglie nel frigorifero, i bicchieri sul tavolo e il programma in onda. Per quaranta minuti tutto va magnificamente. I due ospiti fanno miracoli. Nessuna delle paure del signor Traub si è realizzata.
— È stata una delle migliori trasmissioni dell’anno — intervenne la signorina Fraser.
— Eccezionale — confermò Tully Strong. — Nella prima metà ci sono state trentadue risate in sala.
— Come avete trovato la seconda metà? — domandò Traub rispettosamente.
— Ci stiamo arrivando — sospirò Wolfe. — Anzi, eccoci qua. Giunge il momento in cui la Starlite deve essere versata, bevuta e debitamente incensata. Chi ha tirato fuori le bottigliette dal frigorifero? Ancora voi, signorina Vance?
— No, io — intervenne Bill Meadows. — È uno dei miei compiti. Sono rumori di fondo, per dar colore alla trasmissione. Sapete, il fruscio della sedia smossa, i miei passi, la porta del frigorifero che si apre, il tintinnio delle bottigliette e dei bicchieri. Allora qualcuno…
— C’erano otto bottiglie nel frigorifero. Quante ne avete prese?
— Quattro.
— Quali avete scelto?
— Non ho scelto niente. Ho preso come sempre le quattro della prima fila. Come sapete, le bottiglie di Starlite sono tutte esattamente uguali.
— Capisco. Poi le avete portate sul tavolo e avete fatto saltare i tappi.
— Le ho deposte sul tavolo, ma circa la faccenda dei tappi noi presenti non andiamo d’accordo. Tutti sono del parere che non sono stato io ad aprire le bottiglie perché, appena le ho deposte sul tavolo, tomo sempre a sedermi precipitosamente per riprendere la mia parte al microfono. C’è sempre qualcun altro che stappa le bottiglie e non è quasi mai la stessa persona. Comunque, quel giorno erano presenti: Debby, voglio dire la signorina Koppel, la signorina Vance, Strong e Traub. Io ero al microfono e non ho visto chi si occupava dei tappi. È un’operazione abbastanza complicata, e c’è sempre bisogno d’aiuto per stappare, per versare la bibita nei bicchieri, per farli passare in giro, e infine per portar via le bottiglie vuote…
— Chi passa i bicchieri?
— Oh, qualcuno di noi. Anzi, quasi sempre più d'uno. Vedete, oltre ai bicchieri passiamo sempre anche le bottiglie, perché restano piene a metà.
— Chi ha versato e passato in giro tutto quanto, quel giorno?
Bill Meadows esitò.
— Questo è un altro punto sul quale non siamo d’accordo. — Si vedeva benissimo che era a disagio. — Come vi ho detto, C’erano parecchie altre persone intorno al tavolo, per questo la faccenda è tanto confusa…
— Confusa o no — insistè Wolfe testardo — non dovrebbe essere impossibile ricordare quel che è accaduto. In fondo è una cosa semplice, e appunto in questi particolari la chiarezza è essenziale. Noi sappiamo che il signor Orchard ha ricevuto la bottiglia e il bicchiere che contenevano il cianuro perché ne ha bevuto abbastanza da morirne. Ma non sappiamo, o per lo meno io non so, se Orchard ha ricevuto quella bottiglia e il bicchiere per un capriccio del caso o per la deliberata manovra di uno o più d'uno dei presenti. Ovviamente questo è un punto vitale. Chi ha messo quel bicchiere e quella bottiglia di fronte al signor Orchard?
Wolfe fissò a uno a uno tutti i presenti. Tutti ricambiarono il suo sguardo. Finalmente Tully Strong, che si era rimesso gli occhiali, parlò: — Ecco… La verità è semplice, signor Wolfe: non ce ne ricordiamo.
— Pfui! — Il mio signore era disgustatissimo. — Certo che ve ne ricordate. Non mi meraviglio che il signor Cramer non abbia ottenuto alcun risultato. Mentite. Tutti quanti.
— No — protestò la signorina Fraser. — Non mentono, nessuno di loro.
— Avete usato il pronome sbagliato — ribattè Wolfe come se volesse morderla. — Il mio commento comprendeva anche voi, signorina Fraser.
La diva radiofonica gli sorrise.
— Potete comprendere anche me, signor Wolfe, se vi piace, a me però non piace affatto. Le cose stanno così. Queste persone non sono unite soltanto da un legami d'affari, o dal mio programma di trasmissione; sono legate dall’amicizia. Naturalmente ogni tanto bisticciano… La gente che vive molto insieme trova sempre qualcosa da ridire… Ma sono buoni amici, e si vogliono sinceramente bene. — I suoi tempi, le inflessioni erano perfetti, come se fosse stata in trasmissione.
— Quel che ci è accaduto è una cosa terribile, orrenda, e tutti noi lo sappiamo; lo sappiamo dal preciso momento in cui il medico ha alzato gli occhi dal cadavere e ci ha detto che nessuno doveva lasciare la stanza. Così, non potete aspettarvi che uno di loro, anzi di noi, visto che volete comprendere anche me, dica: "Sì, sono stato io a dare alla vittima il bicchiere col veleno”.
— Anche quel che era rimasto nella bottiglia era avvelenato.
— Benissimo, anche la bottiglia allora. O potete aspettarvi che uno di noi dica: "Sì, ho visto il mio amico dare a Orchard il bicchiere e la bottiglia”?. E poi fare il nome dell’amico?
— Allora siete del mio parere, cioè che mentite tutti quanti.
— Niente affatto. — La signorina Fraser aveva un’aria estremamente leale e non sorrideva più. — Versare la Starlite e passare i bicchieri e le bottiglie è una cosa tanto abituale che nessuno di noi vi presta attenzione. Quando la polizia ci ha interrogati, nessuno di noi se ne ricordava, e io non ne sono affatto sorpresa. Mi meraviglierebbe molto di più se uno di noi dicesse di aver visto… ma no, non credo che questi ottimi amici si odino tra loro…
— Né — mormorò Wolfe acidamente — che qualcuno di voi odiasse il signor Orchard da desiderare la sua morte.
— Ma chi mai avrebbe potuto pensare di ucciderlo?
— Non lo so proprio. Sono stato assunto appunto per scoprirlo. A ogni modo mi dite che non siete sorpresa; ma io sì, sono sorpresissimo che la polizia non vi abbia messo tutti in gattabuia.
— Sono stati a un pelo dal farlo — affermò Traub cupamente.
— Io ero convinta che mi arrestassero — asserì Madeline Fraser. — L’ho pensato subito… Quando poi il dottore ha detto che si trattava di cianuro, non sono più riuscita a pensare ad altro. Non mi è passato nemmeno per la mente di domandarmi chi aveva dato il bicchiere e la bottiglia col veleno alla vittima, e non mi sono preoccupata nemmeno per un momento delle conseguenze che una tragedia simile avrebbe avuto: per la mia trasmissione. Ho pensato solo alla morte di mio marito. Mio marito è mancato sei anni fa, per avvelenamento da cianuro.
Wolfe annuì.
— I giornali non hanno dimenticato questo particolare.
— Non sono riuscita a pensare ad altro. Forse voi non potete capire… O forse sì…
— Anch’io non ho potuto pensare ad altro — intervenne Deborah Koppel in tono accusatore. — Il marito della signorina Fraser era mio fratello. E io l’avevo visto appena morto. Così quel giorno, quando ho guardato Cyril Orchard… — S’interruppe. Era di profilo e non potevo vedere la sua espressione, ma notai che aveva stretto le mani convulsamente. Dopo un istante soggiunse: — Mi è venuto in mente subito.
Wolfe si agitò sulla poltrona con impazienza.
— Ebbene, non voglio fingere di essere esasperato, poiché voi siete tanto buoni amici da non voler dire lai verità alla polizia. Se l’aveste detta non avrei ottenuto questo incarico. — Lanciò un’occhiata alla pendola. — Sono le undici passate. Avevo pensato che interrogandovi così, tutti insieme, mi sarebbe stato facile trovare qualche indizio. Ma, ohimè, voi vi amate troppo ed. è stata una serata sprecata. E ora, chi vuole fermarsi con me? Si tratterà di una seduta di quattro o cinque ore.
Non vi furono animosi volontari.
— Oh, Signore! — protestò flebilmente Elinor Vance — Cantare o ricantare è sempre la stessa lagna!
— Non crediate che la cosa mi faccia piacere — dichiarò il mio principale, con forza. — È una prospettiva desolante. Se non fosse già stata avvertita la stampa, preferirei piantare tutto in asso. Comunque, per cortesia, cerchiamo di stabilire insieme gli orari.
E così fecero, mentre io prendevo nota e li aiutavo nelle loro decisioni. Le discussioni furono scarsissime, ma già, tutti erano così buoni amici… L'unica nota acidula, all’atto della partenza, venne fornita da Owen, il quale ritenne opportuno farmi un’osservazione circa la faccia di Wolfe, che era assolutamente esente da ogni taglio. Avrebbe almeno potuto avere la decenza di lasciare correre. Comunque io replicai freddamente:
— Ma io non parlavo della faccia! Ho detto che si era tagliato rasandosi. E il signor Wolfe ha l’abitudine di rasarsi le gambe. Credevo che lo voleste in gonnellino scozzese, per le fotografie.
E l’amico Owen uscì a gradi passi, troppo offeso per parlare.
La vittima designata per quella sera fu Bill Meadows, che ottenne l’onore di sedere sulla poltrona rossa. Su un tavolino al suo fianco Fritz preparò abbondanti beveraggi e tramezzini di coniglio fritto, di carne affumicata e di prosciutto della Georgia. Io mi piazzai dietro alla mia scrivania con un rancio dello stesso genere e in più un boccale di latte. Wolfe beveva solo birra. Lui non mangia mai fra un pasto e l’altro. Se lo facesse, non sarebbe in grado di dire che non è più grasso di cinque anni fa. Il che, fra parentesi, non è vero ugualmente.
In un certo senso è un piacere assistere mentre Wolfe torchia una vittima, uomo o donna che sia, e la rovescia come un guanto, ma da un altro lato è una cosa che fa digrignare i denti. Quando si sa dove vuole andare a parare e lo si vede arrivare pian piano al punto nevralgico senza che l’interessato se ne accorga, è una gioia celeste. Ma quando non dà la caccia a niente di particolare e abborda un argomento, poi lo pianta in asso, ne prova altri tre, poi ritorna al primo, e così di seguito senza alcun risultato per ore e ore, viene il momento in cui si teme di doversi fare ingessare le mascelle, lussate dai troppi sbadigli. Bill se ne andò alle quattro di notte, quando io avevo perso tutte le energie e non avevo più nemmeno voglia di tirare il taccuino in testa al principale. Quando ritornai in ufficio, dopo avere scortato l’ospite alla porta, Fritz stava riordinando. Lui non va mai a letto prima di Wolfe. Appena mi vide mi domandò: — Era abbastanza sugosa la carne, Archie?
— Oh, Dio del cielo! — esclamai. — Come posso ricordarmene? È una cosa successa secoli e secoli fa! — Andai a chiudere la cassaforte e borbottai al principale: — Be’, a quanto pare siamo ancora come pulcini nella stoppa. Che cosa devo fare? Devo chiamarvi Saul, Orrie, Fred e Johnny? Perché non proviamo a far pedinare Anderson?
— Non ho intenzione di spendere soldi finché non so che cosa voglio comprare — ribattè Wolfe in tono funebre. — Nemmeno se si tratta dei soldi dei clienti. Se questo avvelenatore deve essere scoperto ricercando le fonti di vendita del cianuro di potassio eccetera, lasciamo che lo scopra il signor Cramer coi suoi ventimila uomini. Indubbiamente ha già provveduto a tutto questo e non è venuto a capo di niente, altrimenti non mi avrebbe telefonato squittendo per farsi aiutare. L’unica persona che voglio vedere domattina è… Chi è? Chi deve venire alle undici?
— Debby. La signorina Koppel.
— Avreste dovuto invitare gli uomini, prima, e ricorrere alle donne solo in ultima analisi. Buona notte.
6
Chiunque avesse voluto, trentatré ore dopo, farsi un’idea delle indagini avrebbe dovuto entrare in sala da pranzo il giovedì all’una e osservare il contegno di Wolfe durante i pasti. Il mio geniale superiore è sempre espansivo, in vena di sorridere e di discorrere ma quel giorno, nonostante il menu paradisiaco, era tetro, malinconico, dispettoso e imbronciato. Fritz era preoccupato da morire.
Avevamo intrattenuto tutti i nostri cari amici in sedute varianti fra le quattro e le sei ore e come risultato io avevo riempito centinaia di pagine di taccuino con pure chiacchiere. Avevamo ottenuto tutti i particolari possibili, naturalmente, e C’erano state anche delle vere e proprie confessioni, ma che valore avevano? Bill Meadows e Nathan Traub avevano confessato che di tanto in tanto frequentavano le corse di cavalli. Elinor Vance aveva confessato che suo fratello si occupava di galvanoplastica e quindi maneggiava continuamente sostanze contenenti cianuro. Tully Strong ci aveva rivelato che la polizia aveva scoperto le sue impronte su tutte e quattro le bottiglie e aveva spiegato la cosa raccontandoci che, mentre il dottore stava visitando i resti mortali i Cyril Orchard, lui, Strong, si era sentito sul punto di morire al pensiero che ci fosse stato qualcosa di poco ortodosso dentro una bottiglia di Starlite, il prodotto dei più importanti sponsor del Consiglio. In un momento di panico aveva afferrato le quattro bottiglie, con la stupidissima intenzione di nasconderle da qualche parte, e la signorina Fraser e Traub avevano dovuto strappargliele di mano e rimetterle sul tavolo. Deborah Koppel aveva confessato che sapeva una quantità di cose sui vari cianuri, i loro usi, i loro effetti, sintomi e dosi perché se ne era occupata sei anni prima, subito dopo la morte del fratello. A questo punto Wolfe era diventato indiscreto e aveva fatto una quantità di domande sulla morte di Lawrence Koppel, che era stato il fotografo di una cittadina del Michigan chiamata Fleetville. Si era specialmente interessato per sapere se a Fleetville cera qualcuno che si chiamava Orchard o che avesse dei parenti a nome Orchard o che in seguito aveva cambiato il proprio cognome in quello di Orchard. Ma, con tutto questo, i risultati erano stati brillantemente nulli.
Inoltre io e il principale avevamo avuto serie e formative discussioni e avevamo sudato sette camicie per far sputare qualche dato all'ispettore Cramer e al sergente Purley Stebbins a proposito delle impronte digitali e altri particolari del genere. Il risultato era stato pressa poco simile a quello delle sedute coi clienti. Dopo di che mi ero personalmente prodigato per ottenere un appuntamento col professor Savarese e per pescare la giovane Nancylee.
La faccenda di Nan era andata press’a poco così: noi sapevamo tutto della donzella. Aveva sedici anni, abitava coi genitori al numero 829 di Wixley Avenue, nel Bronx, e suo padre lavorava in un magazzino di deposito. La famiglia Shepherd non aveva il telefono, e così, mercoledì pomeriggio, dopo la visita della signorina Fraser, mi diressi in macchina verso il Bronx. Il numero 829 di Wixley Avenue era una di quelle case nelle quali la gente non abita perché le fa piacere, ma perché da qualche parte deve pure abitare. Era un casamento tetro, che avrebbe dovuto vergognarsi di se stesso, e probabilmente si vergognava davvero. Suonai disperatamente il campanello degli Shepherd ma la porta automatica del vestibolo non si aprì. Allora andai nel seminterrato e scovai un portiere che armonizzava perfettamente con lo stabile. Con aria molto paterna quel brav'uomo mi spiegò che non avrei ottenuto assolutamente nulla premendo il campanello degli Shepherd. Le due donne se ne erano andate da tre giorni, ormai. No, non tutta la famiglia. Solo la signora e la ragazzina. Lui non sapeva dove fossero, e non lo sapeva nessuno nel quartiere. Alcuni pensavano che fossero fuggite, altri che fossero state messe al fresco dai poliziotti. Lui personalmente pensava che fossero state trucidate. Quanto al signor Shepherd avrebbe dovuto rincasare dal lavoro di lì a pochi minuti.
Offrii un dollaro al portiere e mi feci promettere che mi avrebbe indicato al suo ingresso l’interessante magazziniere.
Non aspettai a lungo; meno di un quarto d’ora dopo, avevo scoperto di avere sprecato un dollaro. Il signor Shepherd, infatti, aveva una fronte enormemente vertiginosa, che lo faceva sembrare un uovo sodo. Sarebbero bastate tre parole di descrizione e l’avrei individuato fra mille. Chi, nel regno dei Cieli, ha l'incarico di progettare le facce, deve aver perso completamente il senso delle proporzioni.
Mi avvicinai al solitario genitore e gli domandai con una lieve ombra di condiscendenza: — Il signor Shepherd?
— Fuori di qui! — ruggì lui.
— Mi chiamo Goodwin e lavoro per la signorina Fraser. Ho saputo che vostra fi…
— Fuori di qui!
— Ma vorrei soltanto…
Ohimè, Tirato paparino non mi toccò, non mi sfiorò nemmeno ma, in meno di un secondo, aveva rotto il mio sbarramento e mi sbatteva il cancello del vestibolo sul naso. Tornai in ufficio infuriatissimo e chiamai il numero di Madeline Fraser. Mi rispose Deborah Koppel.
— Lo sapevate che Nancylee se n'è andata con sua madre?
Sì, Debby lo sapeva.
— Perché non ce l’avete detto? Siete pur state interrogate a proposito della ragazzina!
— Sì, ma nessuno ci ha domandato se era ancora a casa o no.
— Posso chiedervelo ora: dov’è?
— Non lo so.
— E la signorina Fraser lo sa?
— No, non lo sa nessuno.
— E chi lo ha detto, a voi, che se n’è andata?
— Nancy. Ha telefonato a Madeline e l’ha avvertita che stava per partire.
— Quando?
— Domenica.
— Ha detto dove andava?
— No.
E per quanto facessi non ottenni altro. Quando ebbi deposto il ricevitore, meditai per qualche minuto. C era una lontana probabilità che Purley Stebbins, della Squadra Omicidi, si sentisse in vena di offrirmi le briciole del suo banchetto, dal momento che Cramer aveva speso i suoi bravi nichelini per telefonarci, ma era anche probabile che il sergente volesse fare un baratto e io non avevo nulla da offrirgli in cambio. Così, quando afferrai di nuovo il ricevitore, chiamai il numero della "Gazette”. Lon Cohen era in ufficio.
— Ehi, dico, amico bello, lo sapete che Nan Shepherd e sua madre se la sono data a gambe?
— Certamente. Papà si è seccato perché erano coinvolte in un omicidio. Per un pelo non ha accoppato due fotografi. Papà ha un certo caratterino.
— Già, l'ho incontrato anch’io quel caro ometto. E che cosa ne ha fatto della moglie e della figlia, le ha sepolte vive?
— Le ha spedite fuori città. L’ispettore Cramer ha dato il permesso a Nan di lasciare la città, e naturalmente sa dov’è, ma non ha mollato niente. Noi abbiamo pensato subito che fosse un’indecenza. Può il grande pubblico, il popolo americano, essere mantenuto così nella menzogna, nell’ignoranza? No! Perciò noi ci siamo fatti alfieri della verità e un’ora fa abbiamo ricevuto la grande notizia. Nancylee e sua madre sono all'Hotel Ambassador di Atlantic City; camera a due letti con salotto e bagno annesso.
— Accipicchia. E chi paga?
Lon non lo sapeva. Convenne che era un’intollerabile vergogna che il popolo americano, del quale io ero un così baldanzoso figlio, dovesse mancare d’informazioni su un punto tanto vitale e, prima di riappendere il ricevitore, mi promise che avrebbe fatto il possibile per far finire quello sconcio.
Quando Wolfe scese dalla serra, l’informai degli ultimi sviluppi della situazione e, per tutta risposta, lui mi ordinò di chiamare Saul Panzer.
Saul Panzer è un agente avventizio. Non ha un ufficio e non ne ha bisogno. Forse è per questo che riesce a ottenere un compenso doppio dei suoi colleghi; in un giorno ha tante richieste che può scegliere sempre il lavoro che preferisce. Non l’ho mai visto una volta in tanti anni lasciare Wolfe in asso se proprio non è così preso dal lavoro da non potersi liberare. Anche questa volta si presentò all’appello e ricevette l’ordine di andare ad Atlantic City e di riportarci Nancylee per far due chiacchiere in famiglia.
Avrebbe anche potuto condurre mammà, se necessario. Dopo l'uscita di Saul, Fritz entrò solennemente con un vassoio. Lo guardai sorpreso, perché di rado il principale beve birra subito prima di cena, ma il vassoio non era carico di birra bensì di tre bicchieri e di una bottiglia di Starlite.
— Può darsi che sia troppo fredda — osservò Fritz meditabondo.
Con uno sguardo greve di disgusto e di sprezzante superiorità, Wolfe fece saltare il tappo e cominciò a versare il beverone.
— Mi sembra un sacrificio inutile — osservai. — Perché soffrire? Se Orchard non aveva mai bevuto la Starlite non poteva sapere se aveva il suo solito sapore o no; in ogni caso anche se non gli fosse piaciuta, durante la trasmissione doveva mandarne giù qualche sorso almeno per cortesia. — Presi il bicchiere che Fritz mi porgeva. — Comunque, quell'infelice ne ha bevuto abbastanza da tirare le cuoia, quindi, di che cosa dobbiamo preoccuparci?
— Può darsi che ne avesse bevuta altre volte. — Il mio signore portò il bicchiere all’altezza del naso, fiutò e fece una smorfia. — In ogni caso l’assassino poteva dubitarlo. Fino a che punto sarebbe stata rischiosa un'eccessiva differenza di sapore? Voglio saperlo.
— Capisco. — Bevvi un piccolo sorso. — Non è tanto male. — Bevvi un altro sorso. — L’unico modo per esserne sicuri consiste nel bere un bicchiere di questa roba e un bicchiere di cianuro subito dopo. Ne avete un po’ in casa?
— Non farneticate, Archie. — Wolfe bevve due sorsetti e depose il bicchiere. — Santi numi! Che cosa credete che contenga?
Il nostro maggiordomo e gioiello della famiglia scosse la testa — Ipecacuana? — chiese dubbioso. — Aloe? Valeriana? Bromuro? Signor Wolfe, volete un po’ di xères?
— No. Acqua. Andrò a prendermela io.
Il principale si alzò e marciò verso la cucina. Lui è convinto che una certa quantità di rude e faticosa ginnastica prima dei pasti faccia bene alla salute.
Il giovedì a mezzogiorno, mentre stavamo accerchiando Nathan Traub, arrivò una telefonata di Saul Panzer da Atlantic City.
— Sono alla stazione ferroviaria di Atlantic City, signor Wolfe — annunciò Saul con voce mesta — e posso prendere il treno per New York fra venti minuti o andarmi a buttare nell’oceano, come preferite. Non ho potuto parlare con la signora Shepherd semplicemente chiedendo di lei all’albergo. Ho tentato un paio di trucchi ma non sono riusciti. Finalmente l’ho vista scendere nella hall con la figlia. Ho pensato che fosse meglio abbordarla fuori dell’albergo e appena sono uscite le ho seguite. Ho usato un sistema di approccio che ha funzionato mille volte, ma con quella donna diabolica ho fatto un fiasco colossale. Ha chiamato un poliziotto e voleva farmi arrestare perché la molestavo. Ho fatto un altro tentativo per telefono più tardi, ma ho ottenuto solo quattro parole, e non precisamente gentili. Ormai non c’è più niente da fare. È la terza volta in dieci anni che non corrispondo alle vostre aspettative e secondo me è troppo. Non voglio che mi paghiate. Nemmeno le spese.
— Oh, che sciocchezze! — Wolfe non se la prende mai con Saul. — Mi riferirete i particolari più tardi. Credete di poter arrivare a New York per le sei del pomeriggio?
— Sissignore.
— Benissimo. Venite da me.
E il principale, accigliato, riprese a martellare il povero Traub.
La colazione, come ho già detto, fu un incubo nero; e per accrescere l’infelicità del mio signore, c’era la prospettiva dell’avvento del signor Savarese alle due del pomeriggio. Wolfe vorrebbe che la durata di un pasto fosse limitata unicamente dal suo appetito e non da fenomeni estranei come il suono di un campanello.
Ma quel giorno, ahimè, il campanello trillò con atroce puntualità.
7
Avrete sentito parlare delle eccezioni che confermano la regola. Ebbene, il professor F. O. Savarese ne era un magnifico esempio.
La regola dice infatti che: a) un italiano è bruno, e se non è proprio un nanerottolo, almeno non è un gigante; b) un professore è scorbutico, pedante e miope; c) un matematico vive abitualmente nella stratosfera e viene su questa terra solo in visita ai parenti. Ebbene, il professor Savarese era un professore di matematica italo-americano, ma era grande, grosso e biondo, rumorosamente cordiale ed entrò nel nostro ufficio con l'agile grazia di una brezzolina di marzo.
I primi venti minuti di colloquio, il professore li occupò per spiegare a Wolfe come sarebbe stato affascinante e pratico creare una serie di formule matematiche che potessero servire nel lavoro d’investigazione. Il ramo della matematica che lui preferiva, ci disse, era il calcolo delle probabilità. Ebbene, che cosa erano le indagini se non uno studio approfondito delle probabilità?
— Voglio farvi vedere che cosa intendo — ci propose. — Potreste favorirmi un foglio e una matita?
Mi piombò addosso prima che potessi dire "ba”, arraffò la mia matita e il mio taccuino e, con un balzo da canguro, tornò nella poltrona rossa. Eseguì una danza folle con la matita sul primo foglio, poi lo staccò e lo porse a Wolfe. Quindi pasticciò per un altro minuto sul secondo foglio e, quando ebbe finito, me lo piantò sotto il naso.
— Dovete averne uno per uno, così potrete seguirmi meglio.
Non vi dico che roba. Una formulaccia lunga un chilometro della quale vi faccio grazia, perché, in fondo, non ci credereste.
— Questa — cominciò Savarese che trasudava da tutti i pori amicizia e un gran desiderio di aiutarci — è la normale legge dell’errore in seconda approssimazione. Dovete tenere conto che A è la deviazione della media, B è la media della deviazione, e K è…
— Prego! — L’esclamazione di Wolfe era stata quasi un muggito. — Che cosa state cercando di fare? Volete cambiare argomento?
— No. — Savarese aveva l'aria sorpresa e un po’ addolorata. — C’era qualche argomento in ballo?
— La morte del signor Cyril Orchard e il vostro legame con gli avvenimenti.
— Oh, naturalmente. — Ci rivolse un sorriso di scusa e allargò le braccia. — Forse potremo parlare dopo della legge delle probabilità… È una delle mie teorie preferite, e discuterla con voi sarebbe un’occasione d’oro.
— Un’altra volta. Intanto terrò questo. — Wolfe batté col dito sul foglio della formula. — Quale dei presenti alla trasmissione ha deposto il bicchiere e la bottiglia di Starlite davanti al signor Orchard?
— Non lo so. Sarà molto interessante, per me, confrontare i vostri metodi con quelli della polizia. Naturalmente ho capito che mi date una probabilità su cinque di colpevolezza. Tenendo conto che voi non avete una direzione definita e il vostro scopo è quello di muovervi il più rapidamente possibile, vi è una formula che dice…
— Senza dubbio. — Wolfe si controllava perfettamente. — Se volete paragonare i miei metodi con quelli della polizia dovreste lasciarmi dire una parola, almeno di tanto in tanto. Avete mai visto il signor Orchard, prima della trasmissione?
— Oh, sì, sei volte. La prima volta tredici mesi fa, nel febbraio del quarantasette. Mi troverete ammirevolmente esatto: la polizia mi ha fatto dire e ridire tutto fino all’esaurimento. Devo ripetere la storia anche a voi?
— Senz’altro.
— Sapevo che la cosa vi avrebbe interessato. Come matematico io mi sono sempre occupato dell’applicazione del calcolo delle probabilità alle varie forme di gioco d’azzardo. La genesi normale delle distribuzioni…
— Non ora — ordinò Wolfe seccamente.
— Oh, naturalmente no! Poco più di un anno fa, mentre studiavo le possibili applicazioni di alcune formule, decisi di dare un’occhiata ad alcuni fogli di pronostici ippici e mi abbonai a tre di essi. Uno era "La fortuna a cavallo” di Cyril Orchard. I poliziotti mi hanno chiesto perché ho scelto proprio quel giornale e io ho risposto che non mi ricordavo. Mi dimentico facilmente delle cose. Secondo loro, questo è altamente sospetto, ma io non posso farci niente se non ho memoria. Un giorno, nel febbraio dell’anno scorso, Orchard tenne una conferenza e io andai a sentirlo. Era abbastanza intelligente, e, se si fosse occupato dei problemi matematici che mi interessavano, mi avrebbe aiutato molto. Disgraziatamente non gliene importava un fico. Nonostante questo mi trovai qualche volta con lui e mi capitò anche di passare una vacanza di fine settimana in sua compagnia presso un amico del New Jersey. Quindi, prima della trasmissione l’avevo visto sei volte. È molto sospetto, vero?
— Moderatamente — concesse Wolfe.
— Sono contento che cerchiate di mantenervi il più obiettivo possibile — osservò Savarese annuendo. — Ma che ve ne sembra del seguito? Quando seppi che un programma radiofonico molto popolare della rete nazionale aveva chiesto ai suoi ascoltatori se ritenevano opportuno portare al microfono il direttore di un giornale di pronostici ippici, scrissi una lettera alla radio chiedendo con insistenza il privilegio di essere invitato come secondo ospite del programma e suggerendo che il direttore prescelto fosse Cyril Orchard.
Savarese ci sorrise illuminandosi tutto. — Che ne è delle mie probabilità? Sono ancora uno a cinque?
Wolfe emise una specie di grugnito.
— Io non avevo preso questa posizione. L’avete assunta voi per me. — E sospirò. — Immagino che la polizia sia in possesso della vostra lettera.
— No, non ce l’ha. Non ce l’ha nessuno. Sembra che le impiegate della signorina Fraser non conservino la corrispondenza più di due o tre settimane e la mia lettera è stata molto probabilmente distrutta. Se l'avessi saputo in anticipo sarei stato un po’ meno espansivo e particolareggiato nel descriverne il contenuto alla polizia. Uffa! Quelli trovano sospetto tutto. Per esempio il mio stipendio di professore incaricato all'università è appena appena sufficiente a vivere in maniera dignitosa, ma io pagavo dieci dollari la settimana per "La fortuna a cavallo” e questo ha disgustato i poliziotti.
— Giocate alle corse?
— No, non ho mai giocato. So troppo in proposito o forse troppo poco. Più del novanta per cento delle scommesse delle corse ippiche deriva da un’emozione improvvisa e non da una manifestazione razionale, io limito le mie emozioni alle attività per le quali son qualificato. — Agitò vivacemente una mano. — Ora vi elencherò invece gli elementi per cui io "non” sono so spetto. Primo, non potevo immediatamente porgere Orchard la bibita avvelenata. Ero seduto diagonalmente rispetto a lui e non ho aiutato a passare le bottiglie. Non si può dimostrare che io ho comperato, rubato, preso a prestito o comunque posseduto del cianuro. Non si può stabilire che io avrei guadagnato o guadagnerò qualcosa dalla morte di Cyril Orchard. Quando sono arrivato alla stazione radio alle undici meno venti, tutti gli altri C’erano già e certamente mi avrebbero notato se fossi andato al frigorifero e avessi aperto lo sportello. Non vi sono prove che il mio legame con Orchard fosse diverso da come l’ho descritto, cioè privo di qualsiasi elemento di animus e di atteggiamenti soggettivi. — Savarese sorrise fino alle orecchie. — A che punto stiamo? Quante probabilità mi date? Una su mille?
— Vi ho già detto che non vi seguo su questa strada — affermò Wolfe senza alcun elemento di animus. — Piuttosto, dite, siete mai stato nel Michigan?
Fino all’ora della rituale visita alle orchidee, il mio principale tempestò Savarese di domande, ma alle quattro precise, quando scortai alla porta il campione dell'atteggiamento obiettivo, eravamo ancora con un bel palmo di naso.
Alle sei arrivò Saul e ci fece uno dei rapporti più malinconici della sua carriera. Wolfe rimase seduto alla scrivania e ascoltò senza un'interruzione o un commento. Alla fine disse a Saul che non era necessario scusarsi, lo pregò di telefonare dopo cena per istruzioni e lo lasciò andare. Quando rimase solo con me, il mio maestro si appoggiò allo schienale della poltrona, chiuse gli occhi e rimase così immobile da farmi sospettare che non respirasse neppure. Andai alla macchina da scrivere e cominciai a battere un riassunto del rapporto di Saul. Ero già alla fine, quando Wolfe mi chiamò: — Sono legato mani e piedi. Questo "caso” è uno schifo.
— Sissignore.
— Devo parlare con quella ragazza. Chiamate la signorina Fraser al telefono.
Eseguii l’ordine, ma avrei potuto risparmiare il prezzo della comunicazione. La diva si dichiarò spiacentissima che avessimo fatto così pochi progressi. Avrebbe dato tutto per aiutarci; ma temeva, o meglio, era certa che non avrebbe ottenuto nulla chiamando personalmente la signora Shepherd ad Atlantic City Per pregarla di portare la figlia a New York da Wolfe. Indubbiamente la signora avrebbe rifiutato. La signorina Fraser ammetteva di avere una certa influenza sulla ragazzina, ma con la madre non poteva far breccia. Quanto a telefonare a Nancylee per persuaderla a scappare dalle grinfie della madre e venire da sola a New York, non voleva nemmeno prendere in considerazione la proposta. Proprio non poteva, dal momento che era stata lei a dare i soldi a madre e figlia perché andassero via.
— Siete stata voi? — Wolfe si permise di mostrarsi sorpreso. — La signorina Koppel aveva detto al signor Goodwin che non sapevate dove si fossero nascoste, quelle due.
— Non lo sapevamo infatti finché non abbiamo visto il giornale di oggi. Il padre di Nancylee era fuori di sé per le interviste sui giornali, le fotografie e il resto, e siccome dava tutta la colpa a me, mi sono offerta di pagare le spese di un viaggio per Nan e sua madre, però non sapevo dove avessero deciso di andare.
Deposi il ricevitore e vi fu un altro lunghissimo silenzio. Finalmente il mio signore annunciò in un tono che non ammetteva discussioni: — Devo parlare con quella creatura. Andate a prenderla e portatemela.
— Nel pieno possesso delle sue facoltà? — domandai con aria noncurante.
— Deve essere in grado di parlare. Potreste sempre farla rinvenire quando arriverete qui. Avrei dovuto mandare voi subito: sapete accalappiare le giovani.
— Grazie mille. Quella non è una giovane donna, è una minorenne. Porta le calze corte.
— Archie.
— Signor Wolfe?
— Portatela qui.
8
Quella sera a tavola, mentre fingevo di ascoltare Wolfe che mi spiegava come ai suoi tempi nel Montenegro, alle scuole elementari, la matematica fosse insegnata da uomini coi baffi lunghi quaranta centimetri, mi venne un'idea. Per punire il principale che non mi aveva dato il minimo consiglio, e il minimo appoggio, non gli dissi niente. Ma appena ebbi finito di mangiare andai a fare una seconda visita al portiere del numero 829 di Wixley Avenue. Ottenni le informazioni desiderate, tornai a casa, telefonai al mio amico Saul Panzer, impartendogli accurate istruzioni, poi mi ficcai in tasca uno spazzolino da denti e scesi al piano terreno. Passando davanti alla porta aperta dello studio lanciai un secchissimo "buonanotte, Signor Wolfe” e me la svignai.
Dal martedì al mercoledì avevo dormito meno di tre ore, e dal mercoledì al giovedì avevo più o meno fatto il bis. La notte del giovedì dormii "molto” meno di tre ore, e anche quelle a pezzi e bocconi. Alle sei e mezzo di venerdì mattina emergevo sulla piattaforma della stazione di Atlantic City, sporco, stanco, infreddolito e in linea generale poco affascinante. Al posteggio mi assicurai un tassì, poi mi avvicinai all’autista della macchina che seguiva e gli dissi: — A quest’ora del mattino un tassì solo non è sufficiente per i miei gusti, ne prendo sempre due. Io monterò su quello davanti, voi mi seguirete. Quando ci fermeremo faremo quattro chiacchiere in famiglia.
— Dove andate?
— Non molto lontano. — Gli misi in mano un biglietto da un dollaro. — Non perdete la strada. — Quello accennò di sì senza entusiasmo e appoggiò il piede sull'acceleratore. Balzai sulla prima macchina e ordinai all'autista di portarmi nelle vicinanze dell’Hotel Ambassador. Ci arrivammo in cinque minuti. Scesi sul marciapiede e feci cenno ai miei due automedonti di raggiungermi.
— Ragazzi — dissi con aria drammatica. — Io ho due mortali nemici. Una moglie e una figlia stanno cercando di spezzare la mia vita. Quante uscite ha l’Hotel Ambassador? Non parlo di uscite di soccorso e via di seguito. Intendo quelle normali.
— Due — disse il primo autista.
— Tre — disse il secondo.
— Cercate di decidervi.
Quelli decisero che erano tre e mi spiegarono come erano disposte.
Come drappello d’assalto siamo sufficienti — decisi. — Ecco qua. — Diedi un foglio da cinque dollari a ciascuno e aggiunsi un dollaro per il primo autista, tanto per non far tornare i conti. — Il pagamento finale dipenderà dal tempo che ci metteremo, ma vi assicuro che non dovrete mandarmi gli uscieri. Adesso ascoltatemi.
E mi ascoltarono infatti. Dieci minuti dopo ero appostato dietro a un cespuglio perfettamente privo di foglie e tenevo d’occhio l’uscita dell’Hotel Ambassador che dava sull’oceano. Il cielo era pieno di nubi fluttuanti, ma io mi sentivo poco poetico e stavo accorgendomi che avevo commesso un grave errore quando avevo stabilito di ritardare la prima colazione fino a impresa compiuta. Il mio stomaco infatti, dato che avevo l’aria di non saper che farmene di lui, aveva deciso di annodarsi come un pizzo a rete per vedere se la situazione mi soddisfaceva. Cercai d'ingannarlo deglutendo a vuoto, ma lui per dispetto si annodò ancora più strettamente. Non vi dico che delizia.
Mezz’ora dopo, uno dei miei diletti tassisti arrivò come un fulmine e mi gridò: — Ehi, amico, se ne stanno andando.
— Alla stazione?
— Credo di sì. Da questa parte. — Balzai in macchina e lui si avviò a gran carriera. — Sono uscite dalla parte del posteggio e hanno preso un tassì. Tony sta seguendole.
Mancavano esattamente undici minuti alla partenza del treno delle sette e trenta per New York. Arrivammo alla stazione in un battibaleno e, quando ci fermammo vicino al marciapiede, una donna con una ragazzetta al fianco stava pagando un autista.
— Ma dico, nascondetevi, imbecille — mugolò il I mio conducente. — Credete che siano cieche?
— Va tutto bene — lo rassicurai. — Lo sanno che le inseguo. È una guerra di nervi.
In quella spuntò anche l’autista Tony; io mi separai da altri due biglietti da cinque dollari ed entrai nell'atrio della stazione. Mammà e la figlioletta erano allo sportello dei biglietti. Ciondolai sul marciapiede di partenza e dopo un po’ me le vidi passare davanti di corsa. Rimasi di guardia finché il treno per New York non partì, poi balzai anch’io in un vagone e feci la pace col mio stomaco nella vettura ristorante. Una solida pace davvero.
Quando, roseo e ben pasciuto, passai davanti allo scompartimento della cara famigliola per vedere se tutto era in regola mi accorsi che Nan e mammà avevano due facce tese, smorte, disperate, da moribonde di fame. Evidentemente non avevano avuto il tempo di mandar giù un boccone prima della partenza e dallo stile generale di papà avevo capito che non si sarebbero mai sognate di offrirsi un pasto in treno. Impietosito, andai in fondo alla vettura e gridai, facendomi portavoce con le mani: — Fate colazione nel vagone ristorante! Cibo nutriente! Prezzi modici! — Poi percorsi pian piano il corridoio, ripetendo il richiamo a regolari intervalli. Il trucco funzionò. Madre e figlia scambiarono qualche parola e s’incamminarono a passo incerto. Non solo, ma feci altri proseliti: un uomo, una donna e una coppietta.
Quando la famigliola tornò, mancava meno di un’ora all’arrivo a New York. Mentre mi passavano davanti in corridoio le osservai ben bene. Mammà era piccola, aveva le spalle rotonde e i capelli in via di diventar grigi. Il suo naso era sempre magro e appuntito ma non come un'ora prima. Nancylee era molto più carina e infinitamente più sveglia di quanto avrei supposto dai ritratti dei giornali e dalla descrizione di Saul. Aveva una gran massa di riccioli castano chiaro che le ricadevano sulle spalle e due occhioni vivaci di un azzurro molto cupo. Non mostrava traccia del naso a trivella di mammà, né della fronte chilometrica di Papà. Se fossi stato uno studentello di ginnasio le avrei comprato volentieri una Coca-Cola e forse anche un gelato alla panna.
I pericoli sarebbero cominciati al momento dell'arrivo alla Pennsylvania Station. Non sapevo che mezzo di trasporto la signora Shepherd avrebbe deciso di prendere, e per di più sospettavo fortemente che volesse infilarsi in una cabina telefonica. Così, al momento cruciale, mi piazzai subito dietro le sue spalle, ma per fortuna dovetti fare solo una piacevole passeggiatina a piedi.
Passo passo arrivammo nella Trentacinquesima Strada. Dopo qualche isolato le due signore cominciarono a guardare i numeri. Il mio piano aveva funzionato. Quando arrivarono sulla soglia di casa, le battei in volata sui gradini d'ingresso, invitando: — La signora Shepherd? Entrate, prego.
Mammà varcò la soglia, ma Nancylee mi aggredì: — Voi eravate sul treno. Tutta questa faccenda è piuttosto ridicola.
— Il signor Wolfe vi aspetta — affermai. — Se questo vi sembra ridicolo… in ogni caso venite dentro a ridere, così potrò chiudere la porta.
La baldanzosa donzella entrò senza levarmi gli occhi di dosso. Chiesi alle signore se volevano togliersi il cappotto, ma loro preferirono di no e si fecero accompagnare direttamente in ufficio. Wolfe era seduto sulla sua gran poltrona dietro la scrivania. Come ci vide, rimase indeciso per una frazione di secondo, poi balzò in piedi. Apprezzai profondamente il suo gesto. Il principale non si alza mai quando entra un uomo in ufficio e di solito alle donne spiega che, per dei motivi riguardanti la legge di gravità, preferisce rimanere seduto. Ma in quel momento io sapevo che non infrangeva la sua regola per le due signore. Si era alzato per salutare me, e non perché gli ero arrivato a casa col bottino atteso, ma perché gliel'avevo portato alle undici in punto. Nel primo momento della giornata in cui era disposto a servirsene.
Feci le presentazioni: — La signora Shepherd, la signorina Nancylee Shepherd, il signor Nero Wolfe.
Il mio illustre superiore s’inchinò.
— Mio marito! — esclamò mammà con una voce spaventata ma decisa. — Dov’è mio marito?
— Sarà qui tra poco — la rassicurò Wolfe. — È stato momentaneamente trattenuto. Prego, signora, accomodatevi.
Sorrisi al principale e scossi il capo.
— Obbligatissimo per la vostra collaborazione. — Trasferii il mio sorriso sulle visitatrici. — Devo spiegar tutto non solo a voi ma anche al signor Wolfe. Avete portato il telegramma? Potreste favorirmelo un istante?
Mammà stava per aprire la borsetta ma Nancylee la fermò.
— Non darglielo! E voi brutto scimpanzé fateci uscire subito di qui.
— No: subito no — dichiarai. — Ma uscirete fra cinque minuti se ne avrete ancora voglia. Di che cosa avete paura? Non mi sono preoccupato persino della vostra colazione? In ogni caso prima spiegherò come sono andate le cose al signor Wolfe e dopo le spiegherò a voi. — E mi rivolsi al principale. — Il telegramma che la signora Shepherd ha nella borsetta dice così:
PREGOTI PRENDERE PRIMO TRENO PER NEW YORK ET RECATI UFFICIO NERO WOLFE TRENTACINQUESIMA STRADA OVEST 918. WOLFE PAGA QUESTO TELEGRAMMA. CONDUCI ANCHE NAN. LASCIA BAGAGLI IN ALBERGO. NON DORMIRCI SOPRA. AL.
"L’ha spedito Saul questa mattina alle sei e mezzo da un ufficio postale del Bronx. Forse ora capirete perché sono dovuto andare una seconda volta a trovare quel portinaio. Quel non dormirci sopra, a prescindere da altri particolari, ha dato al messaggio un’impronta di assoluta veridicità. ”
— Allora non l’ha spedito papà! — Nancylee mi guardava con due occhi da arpia. — Lo dicevo io che c'era qualcosa di molto strano in tutto questo! — Afferrò il braccio di sua madre. — Andiamo, andiamo via di qui!
— Ma dove, Nan?
— Andiamocene di qui!
— Ma… ma… dove? — nella voce di mammà vibrava' una nota di panico. — Dovremmo andare a casa?
— È questo il punto — dissi con forza. — Proprio, questo. Dove andrete? Avete tre possibilità: primo, potete tornare a casa vostra, e quando il capo famiglia rientra dal lavoro gli dite che vi siete lasciate buggerare da un telegramma falso… ma basta guardarvi in faccia per capire come vi attira l’idea. Secondo, potete prendere il primo treno per Atlantic City, ma in questo caso io telefono immediatamente all’ufficio del signor Shepherd e gli racconto tutta la storia del telegramma… Naturalmente lui vi raggiungerà alla stazione e vorrà parlarvi a lungo. Quindi dovrete vedervela con lui.
Mammà aveva l’aria di non sentirsi molto ferma sulle gambe, così le avvicinai una sedia e la costrinsi a sedersi.
— Voi siete odioso in un modo fantastico — dichiarò Nancylee — proprio "fantastico”!
Ignorai il commento e continuai, rivolto alla madre:
— Oppure, potete stare qui e permettere che il signor Wolfe discuta con Nancy e le rivolga qualche domanda. Gli ci vorranno tre o quattro Ore, quindi prima si comincia, meglio è. Avrete un desinare assolutamente fuori serie e, appena il mio principale avrà terminato vi accompagnerò alla stazione e vi caricherò sul primo treno diretto ad Atlantic City. Vi pagheremo il viaggio di andata e ritorno più le spese, compreso il prezzo del tassì, la prima colazione di stamane e la cena di questa sera in vagone ristorante. Il signor Shepherd, che ho avuto il piacere di conoscere, non verrà mai a sapere niente di tutto questo. — La guardai intensamente. — E ora fate la vostra scelta.
Nancylee si sedette e (altra prova d’intelligenza) scelse la poltrona rossa, ma a un tratto balzò in piedi come una molla.
— Stelle del firmamento! — squittì. — Dove avete la radio? È venerdì! Lei sta trasmettendo!
— Niente radio — dichiarai con fermezza. — È andata in pezzi. Qua, datemi il cappello e il cappotto.
9
In fondo, per me, la seduta fu divertente. Non so però quanto lo fosse per il mio illustre superiore che tiene molto ai purismi linguistici. Per darvi un’idea dell’insieme vi riporterò qualche citazione dal mio taccuino, e vi prego di credere che non ho esagerato.
'W.: Voi tenete in molta considerazione la signorina Fraser, non è vero, signorina Shepherd?
N.: Oh, sì, è un fenomeno, spacca tutto! È semplicemente fantastica!
Su un’altra pagina:
W.: Perché avete lasciato la scuola se eravate così brava, signorina?
N.: Mi hanno offerto un lavoro da modella. Robettina da poco: due dollari all’ora e quasi tutto gambe, ma il grano mi accomodava un pozzo!
W.: Avete intenzione di continuare la carriera di modella?
N.: Oh, no! Sono un donnino con la testa sul collo. All'anima, se lo sono! Voglio darmi alla radio. Mi farò su un programmetto come la signorina Fraser… Sapete, altamente umano, con l’elemento comico e tutto il resto, ma solido e in gamba un frego. Quante volte siete stato in onda signor Wolfe?
Ancora su un’altra pagina:
W.: Come avete passato il vostro tempo ad Atlantic City?
N.: Sbarbificandomi. Quella città è un vero mortorio. Semplicemente ammuffita. Che pizza!
Però bisogna far giustizia a Nan. Se vi dessi da leggere il brano in cui parla della corte radiofonica della signorina Fraser vedreste che li aveva valutati perfettamente tutti, uno per uno, con un'acutezza davvero sorprendente e, per giunta, ci aveva sfornato i suoi commendevoli giudizi senza però compromettersi minimamente.
A ogni modo, quando Fritz ci chiamò a tavola, il risultato dell’intervista era ancora meno che zero.
Ritornammo in ufficio alle due: non appena Nancy si fu piazzata sulla poltrona rossa, fumando una sigaretta con disinvoltura sbalorditiva, il mio principale riprese l’interrogatorio con rinnovato vigore. Mi accorsi che stava stringendo le fila e cercava di spostare l’attenzione sulla scena del delitto. Apprendemmo così che Nancylee partecipava sempre alle trasmissioni del martedì e alle volte anche a quelle del venerdì. La signorina Fraser le aveva promesso che un giorno o l’altro le avrebbe dato una particina di una riga o due. Figurarsi, parlare a un microfono in funzione! Andare in onda!
Il più delle volte Nancy rimaneva col pubblico nella prima fila, ma spesso aiutava la troupe per quanto poteva. Era stata la signorina Fraser a permetterglielo. Gli altri pensavano che lei fosse una rompiscatole.
— E lo siete? — domandò Wolfe.
— Potete scommetterci! Ma la signorina Fraser mi lascia fare perché sa che la giudico un tipo extra-strong, la donna più sensazionale della radio. Poi c’è il mio club e tutto il resto… Sapete com’è: un po’ di vanità non guasta mai…
Vedete perché ci tengo a far giustizia a Nan. Wolfe accennò di sì con aria comprensiva.
— In che cosa consiste il vostro aiuto, signorina?
— Oh! — Nan agitò mollemente una mano. — Qualcuno lascia cadere una pagina del copione, io la raccolgo. Oppure una sedia scricchiola, io me ne accorgo prima degli altri e la cambio. Il giorno del pastrocchio ho tirato fuori i bicchieri dall’armadietto e li ho messi sul tavolo.
— Davvero? Il giorno in cui il signor Orchard partecipava alla trasmissione?
— Sicuro.
— Avete una chiave dell’armadietto?
— No, ce l’ha la signorina Vance. È lei che apre e che tira fuori i bicchieri. — Nancylee sorrise. — Una volta ne ho rotto uno, e credete che la signorina Fraser abbia piantato una cagnara? No, accipicchia, si è limitata a dirmi di portarle un bicchierino di carta. Lo vedete che tipo fuori serie?
— È meravigliosa. Quando è accaduto tutto questo?
— Oh, molto tempo fa, quando usavano ancora i bicchieri trasparenti, prima di cambiarli con quelli blu scuro.
— Ma quanto tempo fa è accaduto?
— Circa un anno direi. — Nancylee annuì. — Sì, perché è accaduto prima che cominciassero a bere la Starlite in trasmissione. E anche allora, le prime volte usavano i bicchieri normali. Poi hanno dovuto cambiare…
S'interruppe bruscamente.
— Perché hanno dovuto cambiare?
— Non lo so.
Mi aspettavo che Wolfe partisse all’arrembaggio invece non ne fece nulla. Eppure era evidente che Nan si era interrotta perché stava per dire qualcosa che non voleva farci sapere. Ma Wolfe, inaspettatamente l’aiutò nelle sue bugie.
— Immagino che avessero voluto dei bicchieri così pesanti per evitare che si rompessero. — E ridacchiò come se si divertisse enormemente. — Avete mai bevuto la Starlite, signorina Shepherd?
— Io? Volete scherzare! Quando il mio club ha battuto in lunghezza tutti gli altri mi hanno mandato decine di casse. A "carrettate"!
— A me non piace eccessivamente. E a voi?
— Oh… credo di adorarla. Ma non troppa per volta. Quando avrò il mio programma e tutti i club Shepherd, impianterò le cose in un altro modo. — La bionda donzella si accigliò. — Credete che Nancylee Shepherd sia un buon nome per la radio, o Nan Shepherd è meglio? La signorina Fraser da giovane si chiamavi Oxhall e ha sposato un uomo che si chiamava Koppel ma, quando lui è morto, si è fabbricata un terzo nome.
— Entrambi i vostri nomi mi sembrano eccellenti — sentenziò Wolfe con aria assennata. — Un giorno o l’altro dovrete raccontarmi come dirigerete i vostri club. Credete che la Starlite contenga pepe?
— Non saprei: non ci ho mai pensato. In fondo è una quantità di sozzerie mischiate insieme. Una schifo.
— È vero — convenne Wolfe, pensoso. — È una "schifo”. Che cosa combinate ancora, voi, durante lai trasmissione?
— Oh, quel che vi ho detto.
— Non aiutate a passare bicchieri e bottiglie al signor Meadows, alla signorina Fraser e agli altri ospiti?!
— No, ho provato una volta, ma non me l’hanno più permesso.
— Dove eravate voi quel giorno famoso, mentre venivano passate le bottiglie e i bicchieri?
— Ero seduta sullo sgabello del pianoforte. Lor vorrebbero che io stessi tranquilla fra il pubblico mentre sono in onda, ma molto spesso disobbedisco.
— Avete visto chi ha passato i bicchieri… al signor Orchard per esempio?
Nancylee sorrise molto amichevolmente.
— Vi piacerebbe che ve lo dicessi, eh? Ma non ho visto niente. La polizia me l’ha chiesto venti milioni di volte.
— Non ne dubito. Ma io ve lo chiedo una volta solai Vi è mai capitato di tirar fuori le bottiglie dall'armadietto per metterle nel frigorifero?
— Certo: lo faccio spesso, o almeno aiuto a farlo Sarebbe uno dei compiti della signorina Vance; ma siccome lei non può portare tutte le bottiglie in una volta e dovrebbe fare due viaggi, molto spesso va a finire che lei prende quattro bottiglie e io tre.
— Capisco. Non credo, allora, che almeno quella signorina vi consideri una seccatura. Avete aiutato a trasportare le bottiglie quel martedì?
— No, perché stavo guardando il cappellino nuovo della signorina Fraser.
— Allora la signorina Vance ha dovuto fare due viaggi, prima quattro bottiglie e poi tre?
— Sì, perché il cappellino della signorina Fraser era una novità che spaccava. Vi dico io: una cannonata. Aveva…
— Non stento a crederci. — La voce di Wolfe divenne un po’ più tagliente. — Dunque avete detto: prima quattro e poi tre, per un totale di sette?
— Guardalo lui, che sa fare le addizioni! — esclamò Nancylee deliziata. Stese le manine, alzò prima quattro dita, poi tre e trillò allegramente: — Proprio così: sette!
— Sette — convenne Wolfe. — Io so fare le addizioni, voi sapete fare le addizioni, ma la signorina Vance, e il signor Meadows non ne sono capaci. Infatti, loro mi hanno detto che le bottiglie erano otto. Voi dite sette. La signorina Vance mi ha raccontato che le porta dall'armadietto al frigorifero in due mandate, ciascuna di quattro bottiglie. Voi dite quattro e tre.
Wolfe si sporse in avanti. — Signorina Shepherd — la sua voce era secca come una frusta — volete spiegarmi subito e in modo esauriente perché voi dite sette e loro otto? Perché?
Nancy, in quel momento tutt’altro che deliziata, non aprì bocca.
— Perché?
— Non lo so!
Naturalmente era chiaro che lo sapeva benissimo.
— Pfui — Wolfe agitò un dito verso di lei. — A quanto pare, signorina Shepherd, voi avete la barocca convinzione di poter dire che non sapete una cosa ogni volta che ve ne salta il ticchio. Lo avete fatto prima coi bicchieri e adesso con la faccenda delle bottiglie. Vi concedo un minuto esatto per dire la verità. Archie, cronometrateci.
Diedi un’occhiata al cronometro, poi fissai Nancylee. Ma lei rimaneva dura come una mummia. Era veramente fantastica. Le regalai dieci secondi extra, poi annunciai: — Il tempo è scaduto.
Wolfe sospirò.
— Temo, signorina Shepherd, che voi e vostra madre non ritornerete ad Atlantic City. Non oggi, almeno. È…
Un gemito straziante venne da mammà. Nancy gridò: — Ma… ma avete promesso.
— Io non ho promesso niente. È stato il signor Goodwin a promettere. Potrete vedervela con lui, ma non prima che io gli abbia dato alcune istruzioni. — Il principale si rivolse a me: — Archie, voi accompagnerete la signorina Shepherd all’ufficio dell’ispettore Cramer. Sua madre può venire con voi o può andarsene a casa. Come preferisce. Ma prima stenografate la lettera che vi detterò, battetela a macchina e portatela con voi. Due copie a carta carbone. È per l’ispettore Cramer. — Il principale si appoggiò allo schienale della poltrona, chiuse gli occhi e cominciò:
Egregio ispettore, per mezzo del signor Cood vi invio alcune informazioni circa l’assassinio del signor Cyril Orchard. Il signor Goodwin vi condurrà anche la signorina Nancylee Shepherd e vi spiegherà come la suddetta signorina è stata ricondotta a New York da Atlantic City.
Vorrei suggerirvi di arrestare senza indugio la signorina Madeline Fraser, sotto l’accusa di omicidio volontario ai danni di Cyril Orchard. È ovvio che tutti i suoi dipendenti e collaboratori si sono uniti in una sorta di cospirazione per proteggerla. Da principio credevo che volessero soltanto risparmiarle le noie di una sgradevole pubblicità, ma ora sono convinto di essermi sbagliato.
La sera della riunione nel mio studio il signor Meadows si è diffuso esageratemente e senza necessità sulla questione delle bottigliette nel frigorifero. Tutti gli altri, poi, hanno finto di aver dimenticato chi aveva posto la bottiglia e il bicchiere di fronte al signor Orchard, il che naturalmente è ridicolo. È ovvio che se ne ricordano perfettamente e che non vorrebbero certo unirsi in una congiura per salvare l'assassina se non si trattasse della signorina Fraser. I signori in questione sono mossi da varie considerazioni, di lealtà, di affetto, o anche solo dal desiderio di mantenere il loro impiego, che in ogni caso perderanno presto quando la signorina Fraser sarà arrestata, accusata e, io spero, punita come la legge vuole.
Anche la signorina Shepherd, che è notoriamente affezionata alla signorina Fraser, mi ha mentito due volte in proposito dei bicchieri e del numero delle bottiglie contenute nel frigorifero. Il signor Goodwin vi dirà a voce tutti i particolari.
Quando avrete finalmente chiuso in cella la signorina Fraser, vi consiglio d’interrogarla a lungo a proposito del cambiamento dei bicchieri. La cosa ha avuto luogo un anno fa, quindi è chiaro che l’omicidio di Cyril Orchard era stato premeditato con molto anticipo. Non credo che vi sarà difficile giungere alla verità, anche perché sarete senza dubbio in grado di persuadere la signorina Shepherd, con tutti i mezzi a vostra disposizione, a dirvi quanto sa. Altrimenti…
— Archie!
Se Nancylee aveva una doppia personalità, la sua seconda natura era certo quella di una pistolera del West. Saltò dalla poltrona come un uragano e, prima che potessi anche solo alzare gli occhi su di lei, mi strappò il taccuino e lo gettò in mezzo alla stanza. Poi si rivolse a Wolfe, lanciando fiamme dagli occhi: — È una sconcia bugia! E una sconcia bugia!
— Oh, su, su, Nan — mugolò la signora Shepherd con voce tremula e pietosa.
Balzai a fianco dell’uragano in gonnella, sentendomi stupito quanto mai. Wolfe mi ordinò seccamente: — Andate a riprendere il vostro taccuino e terminiamo. Questa ragazza è isterica. Se continua così, chiudetela a chiave in gabinetto.
Nancylee si era afferrata alla mia manica.
— No! — urlò al mio riverito superiore. — Voi siete un puzzone, ecco quello che siete! Il cambiamento de bicchieri non centra affatto col resto! E io non so perché li hanno cambiati; so solo che voi siete un puzzonissimo…
— Fate silenzio! — comandò Wolfe. — Smetteteli di strillare. Se avete qualcosa da dire, sedetevi e ditelo Perché hanno cambiato i bicchieri?
Mammà era profondamente desolata. Mi facevi tanta pena che, mentre tornavo al mio posto, le diedi un amichevole colpetto sulla spalla ma lei non ebbe l'aria di accorgersene. Dal suo punto di vista, tutte le speranze erano perdute. Nan era sempre ritta davanti alla scrivania di Wolfe, rigida come una scopa. Improvvisamente sentii che diceva, con voce quasi tranquilla: — Onestamente, non so perché abbiano cambiato i bicchieri. Avevo solo qualche sospetto, ma non posso dirvelo, perché ho promesso alla signorina Fraser di non parlarne con nessuno.
— Proprio come dicevo io — borbottò Wolfe annuendo. — Proteggete la signorina Fraser contro la legge.
— Non la proteggo un corno! Non ha bisogno di essere protetta!
— Non fatevi venire un’altra crisi isterica. Ditemi, piuttosto: che cosa sospettavate?
— Voglio telefonare alla signorina Fraser.
— Figurarsi! Come no? Volete avvertirla in mode che possa scappar via.
Nancy diede un gran pugno sulla scrivania del mie signore.
— Guardatevi bene dal ripetere una cosa simile! — Voi siete un miserabile e schifosissimo puzzone!
— Benissimo, Archie, chiudetela a chiave nel gabinetto e telefonate al signor Cramer di venire a prenderla.
Mi alzai, ma quella furia adolescente non mi prestò la minima attenzione.
— E va bene — scattò. — Vuol dire che le spiegherò che mi avete costretta a parlare e, d’altronde, anche la mia mamma può testimoniarlo… Quando cambiarono i bicchieri non ci feci caso più che tanto, ma quel giorno stesso mi accorsi anche della faccenda delle bottiglie. Prima della trasmissione, infatti, la signorina Vance prese sette bottiglie e non otto, come al solito. Se non fosse stato che per quello, non ci avrei badato, ma mentre trasmettevano, vidi che sulla bottiglia della signorina Fraser c’era un pezzo di carta gommata. E da allora hanno sempre preso sette bottigliette dall’armadio e hanno dato alla signorina Fraser quella con la carta gommata. Perciò ho continuato a sospettare che ci tosse qualche legame fra i bicchieri azzurri e le sette bottiglie, ma non sono mai riuscita a capire di che cosa si trattasse.
— Vorrei che mi faceste la cortesia di sedervi, signorina Shepherd. Non mi piace stare con la testa arrovesciata all’indietro.
— Se vi rompeste l’osso del collo mi farebbe un immenso piacere.
— Oh, no, Nan! — gemette mammà.
Nancylee si diresse alla poltrona rossa e vi si lasciò cadere.
— Avete detto — mormorò Wolfe — che avete promesso alla signorina Fraser di non parlare a nessuno di questi fatti. Quando gliel’avete promesso? Ultimamente?
— No, molti mesi fa. La faccenda della carta gommata mi aveva incuriosita e domandai alla signorina Vance che cosa ci stava a fare. In seguito la signorina Fraser mi disse che si trattava di qualcosa di molto Personale, e mi sarebbe stata infinitamente grata se le avessi promesso di non parlarne a nessuno. Da allora ha chiesto due volte se mantenevo la promessa e io ho risposto che l’avrei mantenuta fino alla morte. E ora eccomi qua! Ma voi mi avete minacciato di farla arrestare… solo perché io non sapevo…
— Veramente vi ho dato delle altre ragioni.
— Ma non sarà arrestata adesso? Adesso che vi ho spiegato tutto?
— Vedremo. Probabilmente no. — Wolfe cercava di essere confortante. — Nessuno vi ha mai spiegato il perché di quella carta gommata?
— No.
— E voi non avete mai supposto niente?
— No, e non ho intenzione di mettermi a far supposizioni ora, in vostra presenza. Io non so perché mettano quella carta gommata sulle bottiglie, ma so che la faccenda dura ormai da un anno e quindi non può averci niente a che fare con quello stupido che è morto. E spero che adesso sarete soddisfatto.
— Sì, abbastanza — concesse Wolfe.
— Posso telefonare alla signorina, ora?
— Preferirei che non lo faceste. Vedete, la signorina Fraser mi ha assunto perché io investigassi su quell’omicidio, e io preferirei farle personalmente le mie scuse per averla sospettata. A proposito, il giorno del delitto la bottiglia della signorina Fraser aveva appiccicato il solito pezzo di carta gommata?
— Quel giorno non ci ho badato, ma in ogni caso l’aveva sempre.
— Siete sicura di non averlo notato?
— Che cosa credete, che stia dicendo delle altre bugie?
Wolfe scosse il capo.
— No, non credo; non avete l’aria di mentire, in questo momento. Però potreste dirmi qualcosa a proposito della carta gommata. Com’era? In che punto della bottiglia si trovava?
— Era un pezzetto di carta gommata normalissima, appiccicata intorno al collo della bottiglia dove comincia ad allungarsi.
— Ed era sempre allo stesso posto?
— Sì.
— Com’era larga?
— Come al solito. Così. — E Nan allargò il pollice e l'indice di un centimetro circa.
— Di che colore era?
— Marrone… o forse mi sembrava marrone perché era trasparente e la bottiglia è scura.
— Era sempre dello stesso colore?
— Sì.
— Allora non doveva essere molto evidente.
— Non ho detto che saltasse agli occhi, tutt'altro.
— Avete un buon spirito di osservazione per la vostra età. — Wolfe lanciò un'occhiata all’orologio e si rivolse a me: — A che ora parte il prossimo treno per Atlantic City?
— Alle quattro e mezzo.
— Allora avete tutto il tempo possibile. Date alla signora Shepherd quel tanto che basta per coprire le spese di oggi. Poi l’accompagnerete alla stazione con sua figlia. Dal momento che le signore hanno l’aria di non desiderare che si sappia in giro del loro viaggetto, sarebbe veramente poco saggio che telefonassero da qualche parte. Naturalmente voi vi assicurerete che non sbaglino treno e che il convoglio lasci veramente New York. Come ben sapete io non ho mai fiducia che i treni partano, o che, una volta partiti, si fermino al momento giusto.
— Possiamo andarcene… — alitò mammà ancora incredula, ma con un filo di speranza.
10
Naturalmente ora sapevo che mi si prospettava un'altra bella riunione, ma non avrei mai immaginato che fosse imminente. Eppure, quando arrivai a casa, dopo aver accompagnato le Shepherd, trovai sotto il mio fermacarte una noticina che diceva:
A. G.
Fateli venire tutti qui per le sei precise.
N. W.
Non era come dirlo! Guardai il biglietto facendo gli occhiacci. Per un momento pensai di andare nella serra a dire il fatto suo al principale, poi cambiai ideai afferrai il telefono.
Dovetti mandar giù una quantità di proteste e di rifiuti, ma alla fine me li assicurai tutti, cioè tutti mentì il professor Savarese che era fuori città, probabilmente a caccia di formule, e Tully Strong che era irreperibile. Poco prima delle sei telefonai al principale per avvertirlo che il gioco era fatto. Come risultato, ottenni un grugnito. Cercai di fargli osservare che cinque su sette non era un numero disprezzabile, ma lui replicò che sette sarebbe stato meglio di cinque.
E arrivarono in cinque, infatti. Nathan Traub portò subito una nota di colore all’allegra riunione, protestando perché Wolfe non ammetteva la stampa alle sue sedute. Normalmente il principale gli avrebbe morsicato il naso, ma quel giorno era troppo seccato lo mise semplicemente a tacere con un gesto.
— Vi ho invitato qui — cominciò in tono amichevole — per una sola ragione e se non vogliamo fare tardi per cena, sarà meglio che ci mettiamo subito all'opera. Martedì sera io vi ho detto che mi mentivate tutti, ma non sapevo ancora fino a che punto fossero sfacciata le vostre bugie. Si può sapere perché non mi avete parlato del pezzo di carta gommata appiccicato alla bottiglia della signorina Fraser?
Nessuno fu all’altezza della situazione, nemmeno lai grande diva del microfono. L’unica eccezione fu Traub che mi parve sinceramente sbalordito.
— Carta gommata? — domandò. — Carta gommata?
Gli altri ci misero in media cinque secondi per stabilire che espressione assumere.
— Chi ha intenzione di dirmelo? — domandò Wolfe cortesemente. — No, non parlate tutti in una volta. Chi me lo dice?
— Ma… ma… — balbettò Bill Meadows — noi non sappiamo di che cosa state parlando.
— Sciocchezze — Wolfe era sempre meno amichevole. — Non perdiamo tempo in queste schermaglie. La signorina Shepherd ha passato qui gran parte della giornata, e io so tutto in proposito. — Il principale posò gli occhi sulla vedette radiofonica. — Non ha potuto farne a meno, signorina Fraser. Anzi è stata molto brava, per la sua età, e si è arresa soltanto di fronte alle minacce di esporvi a un grave e immediato pericolo.
— Ma che cos’è tutta questa storia? — chiese Traub lamentosamente.
— Non è nulla, Nat — lo rassicurò la signorina Fraser. — Non è nulla d’importante. Solo un piccolo… una specie di scherzo fra noi… del quale voi non siete al corrente…
— Roba da niente — affermò Bill Meadows con voce un po’ troppo alta. — È una semplicissima…
— Un momento, Bill. — Deborah Koppel aveva parlato con voce tranquilla e autoritaria. Poi si voltò a fissare Wolfe. — Volete ripeterci esattamente quel che vi ha detto Nancylee?
— Certo — acconsentì Wolfe. — La bottiglia che viene servita alla signorina Fraser durante le trasmissioni è sempre contrassegnata da una strisciolina di carta gommata. È una cosa che dura da mesi; anzi, da circa un anno. La carta gommata è marrone, cioè del colore della bottiglia, o forse è trasparente; è alta circa un centimetro e circonda il collo della bottiglia proprio alla base.
— È tutto qui?
— Questo è il punto principale e vorrei che me lo spiegaste. A che cosa serve quella carta gommata?
— Nancylee non ve l’ha detto?
— Ha affermato di non saperlo.
Deborah aggrottò la fronte.
— Ma, perbacco, lo dovrebbe sapere! È una cosa semplicissima. Come vi abbiamo detto, quando andiamo allo studio, il giorno della trasmissione, la signorina Vance porta le bottiglie dall’armadietto al frigorifero. Come potrete capire, alle bibite non rimane molto tempo per raffreddarsi: mezz'ora o poco più; e siccome alla signorina Fraser la Starlite piace il più fredda possibile, quasi gelata, mettiamo la sua bottiglia in frigorifero prima delle altre e la contrassegnamo con un pezzetto di carta gommata per distinguerla.
— Chi la mette nel frigorifero? E quando?
— Be’… dipende. A volte qualcuno di noi la mette; gelare il giorno prima… altre volte, la lasciamo là dalla trasmissione precedente.
— Santi numi! — mormorò Wolfe. — Non sapevi che foste imbecille, signorina Koppel.
— Non lo sono, infatti, signor Wolfe.
— Ci vuole qualcosa di più della vostra parola per dimostrarmelo. Immagino che la spiegazione che mi avete data sia stata concertata per soddisfare la possibile curiosità di chi avesse eventualmente notato la carta gommata sulla bottiglia… E, fra parentesi, io non sarei affatto sorpreso se aveste cercato di darla a bere alla signorina Shepherd, e lei, dopo un certo periodo di meditazione, l’avesse respinta. La signorina non ma l’ha detto. Ammetto che come spiegazione può andai bene per molta gente, ma cercare di passarla per buona a "me"! Ritiro l’aggettivo "imbecille" dal momento che ve l'ho buttato in faccia senza preavviso, però continuo a credere che avreste potuto inventare qualcosa di meno… trasparente.
— Può darsi che sia trasparente — intervenne Bill Meadows — ma si dà il caso che sia vero.
— Mio caro signore! — Wolfe era nauseato. — Ari che voi?
"Allora perché questa spiegazione non ha soddisfatto la signorina Shepherd, e avete dovuto farle giurare il segreto? E ancora, perché non venivano messe in anticipo nel frigorifero tutte le bottiglie ma solo quella della signorina Fraser? Vi sono… ”
— Perché qualcuno… — Bill s’interruppe di botto.
— Precisamente — convenne Wolfe, annuendo. — Perché fra una trasmissione e l’altra della signorina Fraser centinaia di persone usano lo studio e qualcuno potrebbe portar via le bottiglie dal frigorifero che non è chiuso a chiave. Stavate per dirmi questo, vero? Ma poi vi siete interrotto perché vi siete reso conto che c'era lo stesso rischio per una bottiglia sola come per otto. — Il mio principale scosse il capo. — No, voglio la verità, e l’avrò. Perché mettete quel contrassegno sulla bottiglia?
I presenti si guardarono in faccia come allocchi.
— No — disse Deborah Koppel, a tutti e a nessuno.
— Ma si può sapere che cos’è questa storia? — ripetè Traub in tono petulante.
Nessuno gli prestò attenzione.
— Perché "no”? — incalzò Wolfe. — Perché non provate a darmi la stessa risposta che avete dato alla polizia?
Silenzio.
— Sta a voi decidere, signorina Fraser — sospirò Elinor Vance. — Ma io credo che dovremmo parlare.
— No — insistette la signorina Koppel.
— Non vedo altra via d’uscita, Debby — dichiarò Madeline Fraser. — Non avresti dovuto dire quella stupida bugia; non era abbastanza buona per lui, avresti dovuto capirlo. — Gli occhi verde-grigio della diva della radio si posarono su Wolfe. — Sarebbe fatale per me, per tutti noi, se questa storia si venisse a risapere. Ma immagino che voi non vorrete darmi la vostra parola d’onore che manterrete il segreto.
— E come potrei, date le circostanze? — chiese Wolfe stringendosi nelle spalle. — Però prometto che farò del mio meglio, per quanto la situazione me lo Permetterà.
— E va bene. Accidenti a Cyril Orchard! Senza di lui, tutto questo non sarebbe stato necessario. Ebbene: la carta gommata indica che la bottiglia è mia. La mia bottiglia non contiene Starlite. Io non posso bere la Starlite.
— E perché no?
— Mi dà l’indigestione.
— Dio del cielo! — esplose Nathan Traub. La sua voce morbida e melodiosa si era trasformata in un tragico squittio.
— Non posso farci niente, Nat — ribattè fermameli te la signorina Fraser. — Mi fa proprio stare male.
— E questo — domandò Wolfe — sarebbe il vostro fatale e disperato segreto?
Madeline Fraser annuì.
— Signore Iddio, potrebbe esserci qualcosa di peggio? E se si venisse a sapere in giro? Per le prime quattro o cinque volte ho fatto il possibile per ingurgitare la Starlite, ma è stato tutto inutile. Allora ho tentato di evitare che la bibita venisse servita in trasmissione, ma i dirigenti della Starlite ci tenevano pazzamente, soprattutto Anderson e Owen, e, come logico, io non potevo dire loro la verità. Ho tentato di fingere di bere, di non mandarne giù molta ma bastano solo poche gocce per rivoltarmi completamente lo stomaco. Deve… deve trattarsi di un’allergia.
— Mi congratulo con voi! — dichiarò quindi Wolfe con forza.
— Dio del cielo — ripetè Traub e puntò il dito contro la maestosa mole del mio signore. — È assolutamente essenziale che nessuno venga a saperlo. Nessuno al mondo.
— Ormai… — disse Deborah Koppel tranquillamente, ma con molta intensità. — Ormai è fatta.
— E così voi usavate un sostituto? — disse Wolfe.
— Sì — continuò Madeline Fraser — era l’unico modo per cavarsela. Usavo del caffè nero. Ne bevo sempre una quantità enorme e mi piace sia freddo sia caldo, purché molto zuccherato. Somiglia abbastanza alla Starlite che è marrone cupo e in ogni caso nella bottiglia non si può distinguerlo. Abbiamo dovuto cambiai re i bicchieri con quelli di vetro blu scuro perché ili pubblico non si accorgesse che non faceva le bollicine.
— Chi prepara quel caffè?
— La mia cuoca, a casa mia.
— Chi lo imbottiglia?
— Cora… la cuoca… Lo mette in una bottiglia di Starlite e applica la capsula.
— Quando? Il giorno della trasmissione?
— No, perché altrimenti sarebbe ancora bollente o per lo meno abbastanza caldo. La cuoca lo prepara il giorno prima e lo mette nel frigorifero.
— Alla stazione radio?
— Oh no, nella mia cucina.
— Ed è la cuoca che applica la carta gommata?
— No quella la mette la signorina Vance. Tutte le mattine di trasmissione viene a prendermi per accompagnarmi alla stazione radio. Allora applica la carta gommata alla bottiglia, poi la porta nello studio nascosta nella sua borsetta, e la mette nel frigorifero. Deve stare molto attenta per non farsi vedere da nessuno.
— Mi sento meglio — annunciò improvvisamente Bill Meadows. Aveva un fazzoletto in mano e continuava ad asciugarsi la fronte.
— Perché? — domandò Wolfe.
— Perché sapevo che una volta o l’altra avremmo dovuto snocciolare tutta questa storia, e sono contento che abbiamo potuto parlarne con voi invece che con la polizia. Tutte le indagini per scoprire chi ce l’aveva con Orchard sono state una gran farsa. Il veleno era nel caffè e Orchard l’ha bevuto per sbaglio.
Questo per Traub fu il colpo di grazia. Emise un gemito cavernoso, lasciò ricadere il mento sul petto e rimase abbandonato sulla sedia avvolto in una nube di disperazione.
Il mio signore era accigliato.
— State cercando di dirmi che la polizia non sa che la bottiglia avvelenata conteneva caffè?
— Oh, no, gli agenti lo sanno. — Bill era quanto mai desideroso di collaborare. — Però lo tengono segreto. Come avrete notato i giornali non lo sospettavano nemmeno. Ovviamente nessuno di noi ha detto la verità e voi potete capire benissimo perché. Gli agenti sanno che si trattava di caffè, ma pensano che fosse destinato a Orchard… e invece non lo era: doveva toccare alla signorina Fraser. — Bill si protese tutto in avanti con espressione ansiosa e sincera. — Accidenti ma non capite che cosa stiamo affrontando? Se la verità viene risaputa in giro, Dio aiuti il nostro programma! Ci sbatterebbero fuori dalla radio tutti, in men che non si dica. Però finora non abbiamo parlato e per quanto mi riguarda non parlerò mai.
— Ma come avete spiegato quel caffè alla polizia?
— Non l'abbiamo spiegato affatto. Noi non sapevamo come il veleno era andato a finire nella bottiglia, vero? Ebbene, non sapevamo nemmeno come c’era andato a finire il caffè. Che cos’altro avremmo potuto dire?
— Nulla, dal momento che avete stabilito di mentire a ogni costo. E come avete spiegato la carta gommata.
— Non l’abbiamo spiegata.
— Perché no?
— Perché nessuno ci ha rivolto domande in proposito.
— Sciocchezze, vi hanno certamente chiesto quali cosa.
— Vi dico di no.
— Grazie, Bill — mormorò Madeline Fraser sorridendo al suo infelice collaboratore. — È inutile cercare di salvare una barca che sta affondando. — Si rivolse a Wolfe: — Il signor Meadows sta tentando di proteggermi dall’accusa… come si dice?… di aver occultato delle prove essenziali. Ricorderete che poco dopò l’arrivo del dottore il signor Strong portò via quattro bottiglie dal tavolo con l’intenzione di andarle a nascondere e io e il signor Traub fummo costretti a strappargliele di mano per riportarle al loro posto… — Wolfe annuì. — Ebbene, fu allora che strappai la carta gommata dalla bottiglia.
— Capisco. Santi numi! C’è da meravigliarsi che non vi siate riuniti in corteo portandovi dietro bottiglie e bicchieri per andarli a lavare nell’acquaio più vicino. — Wolfe tornò a occuparsi di Bill. — Avete detto che il signor Orchard fu avvelenato dal caffè per sbaglio. Come successe?
— Fu Traub a darglielo. Traub non… — Esplosero proteste da tutti gli angoli, specialmente da parte di Nathan, dalla dolce voce. Bill arrossì un poco, ma si dimostrò testardo e deciso. — Dal momento che stiamo parlandone — insistè — è meglio dire tutto.
— Ma non siete sicuro che sia stato Nat! — obiettò la signorina Koppel con una certa fermezza.
— Invece sì, ne sono sicuro! E anche voi lo sapete benissimo. È stato lui perché era l’unico a ignorare la storia della carta gommata. E in ogni caso l’ho visto coi miei occhi! Ce ne siamo accorti tutti all’infuori di Madeline! Le cose sono andate proprio così, signor Wolfe, ma quando i poliziotti hanno cominciato a interrogarci, tutti quanti abbiamo ritenuto opportuno dimenticare chi aveva messo la bottiglia davanti a Orchard.
— Smettila di proteggermi Bill — lo redarguì la signorina Fraser. — Sono stata io ad avere l’idea di questa amnesia generale.
Di nuovo scoppiò un coro di proteste, ma Wolfe lo fermò alzando una mano: — Per cortesia! Signor Traub, dal momento che non sapevate la storia del caffè, la mia domanda è puramente formale, ma gradirei ugualmente che mi rispondeste. Siete stato voi a deporre quella bottiglia davanti al signor Orchard?
— Non lo so e non me ne importa — ribattè Nat, in tono bellicoso. — E nemmeno Meadows lo sa.
— Però avete aiutato a passare le bottiglie e i bicchieri, vero?
— Vi ho già detto di sì. Pensavo che fosse divertente. — Alzò le braccia al cielo. — Mamma mia! Divertente!
— Una cosa ancora — intervenne Madeline Fraser. — Il signor Meadows ha detto che tutti all’infuori di me si erano accorti che Orchard aveva la mia bottiglia. Questo è vero solo per metà. Io non me ne ero accorta dapprincipio, ma quando ho portato il bicchiere alle lebbra e ho sentito l'odore della Starlite ho capito che qualcun altro si era preso la mia bottiglietta. Ho continuato la trasmissione fingendo di bere. Mentre parlavo mi sono accorta che la bottiglia con la carta gommata era un po’ più vicina a Orchard che a me. Ho cercato di decidere alla svelta che cosa dovevo fare, noi con la bibita, ma con Orchard. Avevo una terribile paura che saltasse fuori a dire che la Starlite sapeva di caffè, tanto più che ne aveva bevuti due lunghi sorsi. Cominciavo a sentirmi sollevata perché non parlava quando improvvisamente ha lanciato quel terribile grido… Oh, Dio! Sono proprio stanca di essere protetta da tutti.
— È inutile sprecar fiato, Madeline, non ti ascolta — le fece osservare la signorina Koppel.
Era una conclusione ammissibile, ma non rispondeva alla realtà. Wolfe si era appoggiato allo schienale della poltrona con gli occhi chiusi e si sarebbe detto pronto a un pisolino se non avesse continuato a tracciare con l’indice dei piccoli cerchi sul bracciolo della poltrona. Vi fu silenzio per quasi due minuti, poi il mio signore alzò gli occhi e mormorò: — D'accordo, la signorina Fraser è stanca di essere protetta e io sono stanco di essere preso per il naso. Vi sono dei particolari che desidero sapere e "devo” sapere. Chi vuole venire a dirmeli?
Vi fu un grande grido, nel consesso dei radiofonici, ma l’agitazione riguardava specialmente le sorti del loro tragico segreto.
— Sapevo che non sareste stati del parere. Per farvi tirar fuori un altro briciolo di verità ci vorrebbe una seconda signorina Shepherd. In ogni caso, se eventualmente vi vergognaste di prendere un appuntamento di fronte agli altri, noi siamo sempre qui pronti a rispondere al telefono. Però vi consiglierei di non tirarla troppo per le lunghe. E questo è tutto.
Ma non fu tanto facile mandarli via; rimasero ancorati in ufficio per un bel pezzo e continuarono ad arpeggiare sui disturbi di stomaco della signorina Fraser. Il più insistente di tutti fu Traub che si fermò ancora un bel po’ dopo gli altri. Per liberarmene fui costretto a portarlo di peso sul marciapiede. Quando rientrai in ufficio Wolfe stava telefonando.
— Come state signor Cramer? — Il principale era cortese, ma tutt’altro che servile. — Sì? No. No davvero. Se verrete nel mio ufficio dopo cena, diciamo verso le nove, vi dirò perché siete rimasto impantanato nel caso Orchard. No, alle nove precise, forse è meglio.