Percentuale Per
Starlite 50%
Unione Radiofonica Federale 28%
Signorina Fraser 15%
Sapone Visobello 5%
Dolcimbocca 2%
Totale 100%
Feci i miei bravi conti e finalmente dichiarai: — Se la signorina Fraser è soddisfatta anche noi lo siamo. E allora?
— La signorina Fraser è d'accordo — dichiarò Deborah. — Avrebbe preferito fare tutto da sola, ma date le circostanze non è stato possibile. Sì, è soddisfatta.
— Benissimo. Il signor Wolfe detterà il compromesso, probabilmente sotto forma di lettera, e ne darà una copia a ciascuno degli interessati. Comunque, questa è solo una formalità; il mio principale vuole mettersi al lavoro il più presto possibile. Sappiamo solo quello che abbiamo letto sui giornali. Secondo i resoconti, ci sono otto persone che la polizia considera come… possibili. I loro nomi…
— Li so i loro nomi; compreso il mio.
— Infatti. Non potreste condurci qui tutta quella gente alle otto e mezzo, questa sera?
— Tutti quanti?
— Sissignora.
— Ma è proprio necessario?
— Il signor Wolfe la pensa così. E lui parla per mio tramite come la signorina Fraser parla per tramite vostro. Devo avvertirvi che il mio principale può essere un’atroce seccatura quando mira a una buona parcella. Di solito, quando assumiamo una persona per fare qualcosa, pensiamo di essere noi i padroni. Ma se si assume Nero Wolfe è "lui" che pensa di essere il padrone. Il signor Wolfe è un genio, e questo è uno dei suoi modi per dimostrarlo. O prendere o lasciare. Che cosa volete: esclusivamente pubblicità, o un risultato pratico?
— Non fatemi paura, signor Goodwin. Noi vogliamo dei buoni e solidi risultati. Però, non so se potrò portarvi il professor Savarese. Quanto alla ragazzina… la Shepherd… quella è una seccatura molto più atroce del signor Wolfe…
— Mi condurrete qui tutti quelli che potrete. Alle otto e mezzo, ricordate.
Dopo di che chiamai il principale col telefono interno e l'avvertii che avevamo concluso l’affare. Era chiaro che un affare pensava di averlo concluso qualcun altro. Erano le cinque e trentacinque, meno di tre quarti d’ora dopo la telefonata di Deborah Koppel, quando suonò il campanello d’ingresso. Non avevo niente di speciale da fare e andai ad aprire personalmente.
Sulla soglia c’era un’interessante comitiva, proprio una bella improvvisata. Guidava la schiera un tizio con un cappotto che avrebbe fatto invidia a un duca. Alla sua sinistra c’era un gentiluomo rotondetto con una faccia color peperone. Dietro di loro vi erano altri tre individui carichi di macchine fotografiche, di borse e di custodie varie.
— Vorremmo vedere il signor Nero Wolfe — affermò il re dei cappotti in un tono da vecchio amico.
— È occupato. Io sono Archie Goodwin. Posso esservi utile?
— E come no! Io sono Fred Owen, il capo dell'Ufficio Pubblicità della Società Starlite. — Mi aveva piantato una mano sotto il naso e dovetti stringergliela. — E questo è il signor Walter B. Anderson, il presidente della Società Starlite. — Strinsi la mano anche al presidente, ma non abbandonai la posizione di difesa della porta.
— Vi potrei essere molto utile se mi deste una mezza idea di quel che volete fare.
— Ma certamente. Anzi, vi avrei telefonato prima, se questa faccenda non fosse stata combinata troppo in fretta. Così ho persuaso il signor Anderson, ho radunato i fotografi ed eccoci qua. Non ci metteremo più di dieci minuti… Vediamo: una foto del signor Anderson che guarda il signor Wolfe mentre firma il contratto o viceversa; una di loro due che si stringono la mano e un primo piano mentre in piedi, spalla a spalla, contemplano qualcosa che potrebbe figurare come un indizio. Che ne dite di questa?
— Meravigliosa! — esclamai con un largo sorriso.
— Ma ahimè, non oggi. Il signor Wolfe si è fatto un brutto taglio radendosi ed è molto vanitoso. Sarebbe pericolosissimo cercare di puntargli contro un obiettivo fotografico.
E questo dimostra come la brama smodata di denaro può degradare un uomo; vale a dire me.
Però lo sforzo immane di mandarli via senza prenderli a calci lasciò un profondo segno sul mio delicato sistema nervoso; il che può forse spiegare il mio contegno di qualche ora dopo. Infatti quando il mio signore scese in ufficio gli spiegai l’andamento degli accordi e lui dichiarò in tono fermo e regale: — No. Assolutamente no. — Parlava fieramente, con incrollabile decisione. — Io non firmerò un contratto con una controparte che si chiama Dolcimbocca.
Capivo benissimo che il suo impulso era ragionevole e persino nobile. Ma dal momento che io avevo sacrificato i miei principi senza esitazione, non poteva lui sacrificare i suoi? Lo guardai con gelida ferocia e dichiarai: — Benissimo. — Mi alzai. — Da questo momento do le mie dimissioni. Siete troppo presuntuoso, troppo eccentrico e troppo grasso perché si possa lavorare con voi.
— Archie, sedetevi.
— No.
— Sì. Non sono più grasso di cinque anni fa e, se sono considerevolmente più presuntuoso, lo siete anche voi. In ogni caso, perché non dovrei esserlo? Un giorno o l’altro, fra noi due ci sarà un’esplosione e allora ci lasceremo, ma sapete benissimo che quel momento non è ancora arrivato. E sapete inoltre che preferirei arruolarmi nella polizia e prendere ordini dal signor Cramer, piuttosto che lavorare per una società di nome Dolcimbocca. Tra parentesi, il vostro operato di ieri e di oggi è stato molto soddisfacente.
— Non tentate di adularmi.
— Sciocchezze. Vi ripeto che non sono più grasso di cinque anni fa. Sedetevi e prendete il vostro taccuino. Stenderemo il concordato in forma di lettera. Ma ignoreremo i… Dolcimbocca — fece un’orribile smorfia — e aggiungeremo quel due per cento alla quota dell’Unione Radiofonica Federale.