1
Controllai per la terza volta le addizioni e le sottrazioni della prima pagina del modulo 1040, per assicurarmi che non ci fossero errori, poi feci un mezzo giro sulla sedia e contemplai Nero Wolfe.
Data la situazione, pensai che anch’io avrei potuto usare un’espressione poetica.
— Mi spezza il cuore — sospirai.
Il principale non si scompose.
— Il "mio” cuore — ripetei — s’infrange come un’onda sugli scogli. Ahimè!
Wolfe non alzò gli occhi dalla pagina, ma mormorò:
— Che cosa vi spezza il cuore?
— Le cifre. — Gli feci scivolare sotto il naso il modulo 1040. — Oggi è il 13 marzo, e dobbiamo pagare quattromilatrecentododici dollari e sessanta centesimi come supplemento alle tasse del primo trimestre. Se fate conto che ci sarà anche il modulo 1040 bis, dovremo tirare fuori dieci bigliettoni. — Intrecciai le mani dietro la nuca e domandai in tono tetro e minaccioso:
— Lo spezza o non lo spezza, il cuore?
Il principale mi chiese come stava il conto in banca e io mi diffusi in merito.
— Naturalmente — concessi — ci resterà ancora un tozzo di pane da mangiare, magari con uno strato di caviale sopra, ma i giorni passano, i conti arrivano… senza calcolare le altre volgari necessità della vita, per esempio quello che dovete passare a Theodore e a me.
Wolfe aveva messo da parte il libro di poesie e stava contemplando con un cipiglio tempestoso il modulo 1040, dandosi le arie di saper fare le addizioni. Alzai la voce: — Eh, già, voi siete il padrone di casa, voi siete il principale e sapete tutto meglio di tutti. Sicuro. Quel tipo della società elettrica ci avrebbe snocciolato un bel foglio da mille, più le spese, se gli avessimo risolto la faccenda del falso, ma voi non volevate essere disturbato. La signora Vattelapesca ci avrebbe dato anche il doppio, pur di sapere la verità sull’orchestrale del suo cuore, ma voi eravate troppo occupato a leggere. Anche l’avvocato Clifford era in un bel pasticcio e doveva comprarsi l’assistenza di un esperto, ma già, a voi non piaceva perché aveva la forfora in testa. Quell’attrice, e il suo protettore…
— Archie, fate silenzio.
— Sissignore, desiderate altro? E per soprammercato due giorni fa vi precipitate a ordinarmi, “allegramente”, di spedire un assegno di proporzioni paurose a quella società di beneficenza che protegge non so più che cosa. E quando poi vi faccio notare che la scienza della contabilità è divisa in due grandi rami, il dare e l’avere…
— Fuori di qui!
Emisi un ruggito soffocato e tornai a voltarmi verso la mia scrivania.
Il tempo passava e io continuavo a occuparmi attivamente delle cartelle delle tasse, lanciando solo di tanto in tanto delle occhiate verso il mio geniale superiore per vedere se aveva la faccia tosta di riprendere il libro. Ma non era stato così impudente. Era appoggiato all’indietro, contro lo schienale della poltrona, che era grande per due, ma non per due delle sue dimensioni, e teneva gli occhi chiusi. La tempesta si stava addensando. Mi concessi un risolino di soddisfazione e continuai il mio lavoro. Ero arrivato in fondo al paragrafo 16 del modulo C della cartella F, quando mi sentii chiamare.
— Archie.
— Sissignore.
— Siete sicuro dei risultati dei vostri conti?
— Purtroppo.
— Avete falsificato di molto le denunce?
— Mediocremente. Niente di clamoroso.
— E io devo pagare le somme che avete detto?
— Non c’è scampo.
— Benissimo. — Wolfe sospirò profondamente. — Maledizione. C'è stato un tempo in cui mille dollari all’anno erano anche troppi per me. Chiamate al telefono il signor Richard dell’Unione Radiofonica Federale.
Lo fissai accigliato, cercando di capire dove voleva andare a parare; poi, per non costringere il mio signore a protrarre l’immane sforzo di star seduto normalmente sulla poltrona, mi voltai e mi accinsi a eseguire l’ordine. Riuscii a beccare Richard con una certa rapidità, tenuto conto che era un vicepresidente. Wolfe allora afferrò il ricevitore, scambiò i convenevoli di rito e proseguì: — Due anni fa, nel mio ufficio, signor Richard, mi avete detto, porgendomi un assegno, che vi sentivate ancora in debito con me… nonostante l’entità dell’assegno. Quindi mi permetto di chiedervi un favore. Avrei bisogno di alcune informazioni segrete. Quanto denaro viene impiegato, diciamo settimanalmente, nel programma radio della signorina Madeline Fraser?
— Oh! — Vi fu una pausa e l’entusiasmo della voce di Richard si affievolì un poco. — Come mai ve ne occupate?
— Non me ne occupo assolutamente. Ma apprezzerei molto quell’informazione, in via privata, s’intende. O chiedo troppo?
— È una situazione disgraziatissima, per la signorina Fraser, per l’unione Radiofonica, per gli sponsor… per tutti quanti, insomma! Non volete proprio dirmi perché ve ne interessate?
— Preferirei di no. — Wolfe era brusco. — Mi spiace di avervi disturbato.
— Non mi disturbate affatto e, in ogni caso, sono ben lieto di favorirvi. L’informazione che voi desiderate non è di dominio pubblico, ma alla radio è notissima. Quelli della radio sanno sempre tutto di tutti. Che cosa volete sapere di preciso?
— La somma totale impiegata settimanalmente.
— Ecco… vediamo… contando il periodo di trasmissione (son quasi duecento stazioni)… la produzione, il copione e tutto quanto… così a occhio e croce direi trentamila dollari settimanali.
— Sciocchezze — dichiarò Wolfe laconico.
— Sciocchezze? Che cosa?
— È mostruoso. Verrebbe a essere più di un milione e mezzo all’anno.
— No, circa un milione e un quarto, tenendo conto delle vacanze estive.
— Ebbene, è mostruoso lo stesso. Immagino che la signorina Fraser tenga per sé una notevole parte di questa somma.
— Notevolissima. Anche questo lo sanno tutti. Il suo profitto netto è di circa cinquemila dollari la settimana; però non so come lo divida con la sua agente, la signorina Koppel. — La voce di Richard ritornò calda e amichevole. — Sapete, signor Wolfe, se volete farmi un piccolo favore in cambio delle notizie che vi ho dato, potreste confidarmi, in via privatissima, perché volete sapere tutto questo.
Ma tutto quello che Richard ottenne fu un grazie compitissimo. Dopo di che il principale spinse indietro l’apparecchio telefonico e osservò: — Santi numi. Centoventimila dollari!
Io, che mi sentivo meglio perché avevo indovinato il suo scopo, gli rivolsi un dolce sorriso.
— Sissignore. Voi avreste un successo immenso alla radio. Potreste leggere delle poesie sentimentali. Se volete sentire come fa a guadagnare quei quattro soldi, vi avverto che la signorina Fraser va in onda tutti i martedì e i venerdì dalle undici alle dodici. Potreste trarre ispirazione da lei, per imitarla. Che intenzione avete?
— No. — Wolfe era scontroso come un orso. — Ho intenzione di procurarmi un lavoro che so come svolgere. Il vostro taccuino, Archie. Voglio darvi alcune istruzioni.
2
Questo accadeva di sabato e, per quanto facessi, non riuscii a vedere la signorina Madeline Fraser fino al lunedì. A quanto pareva, infatti, se ne era andata in vacanza nel Connecticut con la sua diletta agente, Deborah Koppel.
Così ebbi modo di andare a imbucare il modulo 1040 e il 1040 bis con relativi assegni e leggere sui giornali il resoconto del caso Orchard. Il mio principale, da parte sua, terminò il libro di poesie e occupò tutta la domenica a disegnare cavalli sulla sua agenda per sperimentare una nuova teoria secondo la quale si poteva scoprire tutto sul carattere di un uomo studiando il suo modo di disegnare i cavalli. Finalmente arrivò lunedì e, alle tre precise, dopo una telefonata, una complicata commedia di parole d’ordine col portiere e una corsa di dieci piani in ascensore, suonavo il campanello di Madeline Fraser. La donna che venne ad aprirmi aveva l'aria di un campione di lotta greco romana.
— Scusate, ho fretta — mi spiegò e se la batté di gran carriera. Io le gridai dietro: — Ehi voi! Io mi chiamo Goodwin! — Ma non ottenni risposta.
Avanzai di qualche passo, mi tolsi il cappello e il cappotto e mi guardai in giro. Ero in un grande atrio quadrato, che si apriva direttamente su un’enorme sala di soggiorno. Da buon investigatore, io sono allenatissimo a osservare le cose e a descriverle, ma per una descrizione accurata di quella spaventosa stanza, avrei indubbiamente preteso una parcella tripla del normale. Per darvene un esempio vi dirò che fra l’altro conteneva un enorme bar di metallo cromato e cuoio rosso con sgabelli alti uguali e un massiccio tavolo di stile antico in noce nero scolpito. Cercai una sedia che mi desse un certo affidamento, non ne vidi nessuna, e dovetti appollaiarmi su un divano lungo tre metri, coperto di un drappo di juta verde. A pochi passi da me c'era una poltrona di seta rosa carnicino ricamata in oro. Stavo cercando di scoprire che specie di cavalli avrebbe disegnato la persona che aveva ammobiliato quel locale, quando riapparve la lottatrice che mi aveva fatto entrare. Venne verso di me ma, improvvisamente, fece una conversione a sinistra e sparì dietro una porta non meglio identificata.
Cominciai a sentirmi solo e abbandonato e decisi di prendere l’offensiva. Mi ero alzato e stavo per dirigermi alla porta di fondo, con aria aggressiva, quando un’altra porta si aprì e comparve una donna che fluttuò verso di me con passo leggero.
— Il signor Goodwin? — domandò porgendomi la mano. — Io sono Deborah Koppel.
La signorina Koppel mi aveva già dato due sorprese. Al primo sguardo i suoi occhi mi erano parsi piccoli e insignificanti, ma quando me li piantò in faccia, vidi che erano grandi, molto scuri, e indubbiamente intelligenti. Inoltre, dal momento che era bassa e grassottella, mi ero aspettato che avesse le mani morbide e sudaticce, invece la mano che strinsi era forte e nervosa. La signora era bruna di carnagione e portava un abito nero. Tutto in lei era nero o almeno molto scuro, eccetto alcune ciocche di capelli bianchi alle tempie, che, per contrasto, parevano d’argento.
— Avete detto alla signorina Fraser, per telefono, che avevate un consiglio da darle da parte di Nero Wolfe — osservò con voce alta e sottile.
— Appunto.
— La signorina è molto occupata. Lo è praticamente sempre. Io sono la sua agente. Non vorreste parlarne con me?
— Personalmente vi confesserei anche tutti i miei peccati — dichiarai — ma io lavoro per il signor Wolfe, e ho avuto ordine di parlare alla signorina Fraser. In ogni caso, adesso che vi ho conosciuta, mi farà piacere parlare con lei "e con voi”.
La donna sorrise.
— Insomma non volete disubbidire agli ordini. Ci metterete molto?
— Dipende. Posso metterci cinque minuti come cinque ore.
— Cinque ore? Toglietevelo dalla testa. Anzi, siate il più breve possibile. Venite con me.
Si avviò e io la seguii. Attraversammo una stanza piuttosto problematica, che conteneva un pianoforte, un letto e un frigorifero ed entrammo in un’enorme camera d'angolo con sei finestre. Là dentro tutto era giallo o azzurro tenue. Le porte, i tendaggi delle finestre e i mobili erano color fiordaliso ma gli altri oggetti (e ce n’erano una quantità) erano divisi con ammirevole imparzialità tra i due colori. Persino la donna sdraiata sul letto si intonava all'ambiente e portava una vestaglia color limone e un paio di pantofoline celesti. L'unica nota discordante era data da un giovanotto biondo, vestito di grigio, che mi venne incontro cambiando un paio di espressioni durante il tragitto. Al primo sguardo infatti mi era parso tetro e imbronciato, ma quando arrivò a stringermi la mano ostentava un sorriso che non aveva niente da invidiare a quello di un commesso viaggiatore di spazzole.
— Il signor Goodwin, il signor Meadows — pppp presentò Deborah Koppel.
— Sono Bill Meadows, infatti. Bill per gli amici — dichiarò il biondo e mi regalò una stretta di mano formidabile. — Dunque, voi sareste Archie Goodwin? È un autentico piacere! La persona più importante dopo il grande Nero Wolfe!
Una ricca voce da contralto ci interruppe; — Questo sarebbe il mio periodo di riposo, signor Goodwin, il medico mi proibisce assolutamente di alzarmi. In teoria non dovrei nemmeno parlare, ma…
Mi avvicinai al letto e presi la mano che Madeline Fraser mi porgeva sorridendo. Il suo non era un sorriso astuto come quello di Deborah Koppel o sintetico come quello di Bill Meadows, era semplicemente e assolutamente un sorriso, da lei a me. I suoi occhi verdegrigio non avevano l’aria di studiarmi anche se, probabilmente, lo facevano. Ma d’altronde anch’io studiavo Madeline Fraser. Era molto snella, ma non ossuta e, sdraiata sul letto dava l'impressione di essere altissima. Sebbene non fosse truccata era possibilissimo guardarla senza provare l’impulso di rivolgere gli occhi altrove, e questo è tutto dire, se si tiene conto che era vicino alla quarantina (e probabilmente l’aveva anche passata) e io, di regola, non spreco mai uno sguardo per le donne superiori ai trent’anni.
— Sapete — diceva intanto Madeline — spesse volte ho avuto la tentazione… portaci delle sedie, Bill, per favore… di invitare Nero Wolfe a partecipare a una mia trasmissione.
Aveva pronunciato la frase in tono squisitamente radiofonico, distribuendo le pause nei punti più naturali e curando le inflessioni in modo che qualsiasi ascoltatore, dai due ai novantanni, capisse che cosa voleva dire.
— Temo che il mio principale non accetterebbe — risposi con un sorriso — a meno che voi non faceste trasportare l’emittente nel suo ufficio e non trasmetteste di là. Wolfe esce rarissimamente di casa, e mai per affari.
E, con un sospiro di soddisfazione, mi lasciai cadere sulla sedia che Bill Meadows mi aveva portato.
Madeline Fraser annuì.
— Sì, lo so. — Per parlarmi si era voltata, e l’anca che si profilava sotto la vestaglia gialla non la faceva sembrare poi tanto fragile. — Ma fa così per posa, o veramente non ama uscire?
— Per entrambe le ragioni, immagino. È l'uomo più pigro del mondo e ha una paura incredibile di tutti gli oggetti semoventi, specialmente di quelli provvisti di ruote.
— Meraviglioso! Parlatemi di lui!
— Qualche altra volta, Lina — intervenne Deborah Koppel. — Il signor Goodwin deve darti un consiglio da parte di Nero Wolfe e tu devi trasmettere domattina e non hai ancora dato un’occhiata al copione.
— Santo cielo! È già lunedì?
— È lunedì e sono le quattro passate — rispose Deborah pazientemente.
La vedette radiofonica si rizzò a sedere di scatto come se qualcuno le avesse dato un pizzicotto.
— Quale sarebbe questo consiglio? — domandò e ricadde supina.
— Il signor Wolfe vi consiglia di assumerlo per investigare sull'assassinio di Cyril Orchard.
— O signore Iddio! — protestò Bill Meadows stringendosi le tempie fra le mani.
Deborah Koppel gli lanciò una breve occhiata, poi tornò a guardare Madeline Fraser e trasse un profondo sospiro. La diva della radio scosse il capo e improvvisamente parve più vecchia e più bisognosa di un po’ di trucco.
— Abbiamo deciso che l’unica cosa che ci resta da fare è dimenticare questo brutto episodio al più presto possibile — mi spiegò. — Abbiamo stabilito di non parlarne più.
— Sarebbe una cosa magnifica, veramente astuta — concessi — se soltanto poteste convincere tutti gli altri, compresi i poliziotti e i giornali, a seguire la vostra regola. Ma, a parte la difficoltà di far tenere la bocca chiusa alla gente a proposito di un assassinio, anche il più stupido e comune, dovreste rendervi conto che l'affare Orchard è un fuoriclasse, nel suo genere. Forse non l’avete ancora capito. Il vostro programma ha otto milioni di ascoltatori, due volte alla settimana. I vostri ospiti erano il direttore di un giornale di pronostici ippici e un professore di matematica di una grande università. E proprio nel bel mezzo del programma uno di loro si mette a fare degli spaventosi rumori nel microfono, si accascia e muore in men che non si dica; dopo di che si scopre che il veleno l’aveva bevuto durante la trasmissione, nel prodotto di uno dei vostri sponsor. — Lanciai un’occhiata penetrante agli altri due e tornai a fissare la donna nel letto. — Mi aspettavo di trovare una dozzina di atteggiamenti diversi, nel vostro circolo, ma questo proprio no. Se non lo sapete ancora, vi dirò che un argomento come questo non lo si può abolire dalle conversazioni, non dico in una settimana, ma nemmeno in vent’anni… Durerà… durerà almeno finché la gente continuerà a domandarsi chi ha somministrato quel maledetto veleno. Tra venti anni tutti discuteranno ancora per sapere se l’assassino era Madeline Fraser o Deborah Koppel o Bill Meadows o Nathan Traub, o il professor Savarese, o Elinor Vance, o Nancylee Shepherd, o Tully Strong…
La porta si spalancò e la donna-lottatrice entrò come sempre di gran trotto e annunciò ansante: — È arrivato il signor Strong.
— Mandalo qui, Cora — ordinò la signorina Fraser.
Tully Strong, più o meno, somigliava alle fotografie che avevo visto sui giornali. Aveva le labbra sottili, il collo lungo, i capelli spazzolati piatti sul cranio e gli occhiali senza montatura che ogni lettore di quotidiani conosceva; solo la sua pelle non aveva l’aria di essere così gelatinosa e molliccia come la facevano sembrare i fotografi.
— Il signor Strong — mi spiegò Deborah Koppel — è il segretario del nostro Consiglio degli Organizzatori.
— Sì, lo so — borbottai.
— E il signor Goodwin — esclamò Deborah rivolta a Strong — è venuto da parte del signor Wolfe. Il signor Nero Wolfe è un investigatore privato.
— Sì, lo so — disse Tully Strong e mi sorrise. Con una faccia come la sua era difficile capire se si trattava di un sorriso o di una smorfia, ma io votai per il sorriso, quando il mio interlocutore soggiunse: — Siamo entrambi famosi, vero? E così, che cosa desidera il signor Wolfe?
— Il signor Wolfe pensa che la signorina Fraser dovrebbe assumerlo per investigare sulla morte di Cyril Orchard.
— Al diavolo Cyril Orchard! Che vada all’inferno!
— È un augurio poco cortese — protestò Bill Meadows — specialmente se tenete conto che in questo preciso momento è possibile che si trovi proprio là.
Strong non gli badò e mi chiese: — Non vi pare che la polizia ci stia già dando abbastanza filo da torcere? Perché dobbiamo assumere di nostra spontanea volontà qualcuno che ci procuri delle seccature supplementari?
— Senza dubbio — convenni. — Ma il vostro mi pare un punto di vista piuttosto ristretto. La persona che vi sta "veramente" dando delle noie è quella che ha messo il veleno nella Starlite. Come stavo spiegando quando siete entrato, le seccature continueranno per anni, se quella cara persona non verrà mandata al fresco. Naturalmente può darsi che la polizia arrivi a pescarla, ma ormai sono passati parecchi giorni, e come avrete ben visto, le indagini non hanno fatto un passo avanti. Ebbene — conclusi — sapete fino a che punto è in gamba il signor Wolfe o devo spiegarvelo con esempi e particolari?
— Avevo sperato che il consiglio del signor Wolfe fosse qualche cosa di più concreto — protestò Deborah Koppel. — Credevo che Wolfe avesse una… un’idea.
— Nemmeno per sogno — affermai con decisione.
— L’unica idea del mio principale è quella di farsi dare ventimila dollari per levarvi dai pasticci…
Bill Meadows emise un sottile fischio prolungato.
Deborah Koppel mi sorrise. Tully Strong protestò indignatissimo: — Ventimila!
— Non da me, certo! — affermò Madeline Fraser in tono oltremodo deciso, — E ora se non vi dispiace dovrei proprio occuparmi della mia trasmissione, signor Goodwin.
— Un momento, prego. Il fatto di levarvi dai pasticci è solo “uno" dei vantaggi che potrebbe offrirvi l’assistenza di Wolfe. E non è nemmeno il più importante. Statemi a sentire: voi e il vostro programma avete ottenuto un sacco di pubblicità dal delitto, non è vero?
Madeline Fraser emise un gemito soffocato.
— Pubblicità! Oh, Signore! Quest’uomo la chiama pubblicità!
— E lo è — sostenni. — Anche se si tratta di pubblicità negativa. E continuerà ad aumentare, e sarà sempre più negativa, che a voi piaccia o no. Domani, per la settima volta in sette giorni, tutti i giornali della città porteranno il vostro nome nel titolo di prima pagina. Voi non potete farci niente. Però potete decidere cosa diranno quei titoli. Stando così le cose, sapete benissimo che cosa vi toccherà leggere. Ma se al posto delle solite disgustose insinuazioni i titoli in questione annunciassero che voi avete assunto Nero Wolfe per investigare sull’assassinio di un ospite del vostro programma, spinta da un appassionato desiderio di giustizia? Il testo dell’articolo, poi, spiegherebbe i termini del contratto: voi dovrete pagare le spese dell’investigazione e soltanto quelle se il signor Wolfe non scoprirà l’assassino insieme alle prove sufficienti per farlo condannare. Se Wolfe riuscirà nel suo intento, voi gli darete ventimila dollari. Non credete che una notizia simile meriterebbe un titolo su cinque colonne? E che genere di pubblicità sarebbe? Ancora negativa? E quale dei vostri ascoltatori non sarebbe disposto a credere, non solo che voi e tutti i vostri amici siete innocenti, ma che voi personalmente siete un'eroina a sacrificare una fortuna per amore della giustizia? Ben pochi, immagino, si fermerebbero a considerare che, sia le spese sia la parcella di Wolfe, verrebbero praticamente detratte dalla vostra imposta sul reddito e che quindi voi di tasca vostra non tirereste fuori più di tre o quattromila dollari. Agli occhi del pubblico non sareste più un elemento sospetto in un caso di assassinio… voi sareste un’indomita campionessa del popolo che dà la caccia a un omicida. — Allargai le braccia. — E voi potrete ottenere tutto questo, signorina Fraser, anche se il signor Wolfe facesse il fiasco più favoloso di tutta la sua carriera; nel qual caso voi paghereste solamente le spese vive. Nessuno potrebbe dire che “voi” non avete fatto tutto il possibile. Pensateci, è un affare d’oro. Il signor Wolfe non accetta mai un incarico su basi contingenti, ma quando ha bisogno di soldi spezza tutte le regole, specialmente quelle instaurate da lui.
Madeline Fraser aveva chiuso gli occhi. Quando tacqui li riaprì e mi regalò un altro sorriso privato e personale.
— Stando a quel che dite, mi pare veramente un affare. Che te ne sembra, Debby?
— Personalmente non mi dispiace — affermò la signorina Koppel cautamente. — Bisognerà discutere con quelli dell'Unione Radiofonica, con le agenzie, con gli sponsor…
— Signor Goodwin…
— Dite pure, signor Strong.
Tully Strong si era tolto gli occhiali e mi guardava strabuzzando gli occhi.
— Voi comprenderete che come segretario del Consiglio degli Organizzatori del programma Fraser, io non rivesto una vera e propria autorità. Però so come la pensano le ditte a proposito di questo disastro e, naturalmente, è mio dovere riportare loro questa conversazione il più presto possibile. Però posso dirvi in via ufficiosa che con molta probabilità le ditte chiederanno di accettare direttamente l’offerta del vostro principale. Date le probabili reazioni del pubblico, credo che preferiranno pagare di tasca loro la parcella Wolfe nei termini cui avete accennato. Sempre in via ufficiosa vi dirò anche che probabilmente i più entusiasti di tutti saranno i produttori della Starlite. È la bibita nella quale era stato sciolto il veleno.
— Sì, lo so. — Mi guardai intorno. — Sono in un bel pasticcio. Speravo di concludere un contratto con la signorina Fraser prima di andarmene, ma a quanto pare voi volete farne una vera seduta parlamentare e devono pensarci altre dozzine di persone. Spero però che comprendiate quanto vi nuoccia andare per le lunghe. Questa faccenda è già vecchia di sei giorni e il signor Wolfe dovrebbe mettersi al lavoro immediatamente. Stasera, se possibile, o domani al più tardi.
— Senza contare — interruppe Bill Meadows sorridendo — che deve battere in volata i poliziotti e continuare a precederli almeno di un'incollatura, se vuol guadagnare quello che ci ha chiesto. Mi pare che… oh, salve, Elinor! — esclamò alzandosi di scatto. — Come va?
La ragazza che era entrata senza farsi annunciare gratificò il biondo Bill di una parola e di un breve cenno del capo e si incamminò verso il letto a passo rapido. Dico "ragazza” perché Elinor Vance, quantunque secondo i giornali avesse al suo attivo una laurea all’Università di Smith, una commedia scritta, approvata e sul punto di essere rappresentata, e due anni di copioni per Madeline Fraser, aveva l’aria di una collegiale. — Mi dispiace di avere fatto così tardi, Lina' — disse tutto d'un fiato — ma mi hanno trattenuta all'ufficio del procuratore distrettuale per tutto il giorno… Non sono riuscita a metter loro in testa… oh, che uomini tremendi…
Si fermò di botto e cominciò a tremare per tutto il corpo.
— Accidenti! — tuonò Bill Meadows con aria feroce — Vado a prepararti un bicchierino.
— Gliel'ho già preparato io, Bill — annunciò Tully Strong dall’altro capo della stanza.
— Sdraiatevi sul letto — invitò la signorina Fraser facendole posto.
— Sono quasi le cinque — intervenne la voce tranquilla e decisa della signorina Koppel. — Abbiamo intenzione di metterci al lavoro oppure devo telefonare allo studio che cancellino la trasmissione di domani?
Mi alzai guardando Madeline Fraser dritto negli occhi.
— E allora? Non possiamo decidere niente, per questa sera?
— Non vedo come potremmo — Madeline stava accarezzando leggermente la spalla di Elinor Vance. — Con una trasmissione da preparare, tanta gente da consultare…
— Allora a domattina?
Tully Strong si avvicinò con un bicchierino di liquore per Elinor Vance e mentre glielo porgeva mi disse:
— Vi telefonerò domani, prima di mezzogiorno, se possibile.
— Sarà tanto di guadagnato per voi — dichiarai, e me la battei.