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Brooklyn arrivò a casa dei suoi genitori verso l'ora di pranzo. Come ormai le capitava di frequente, non aveva dormito molto e dopo la doccia aveva cercato di mascherare con fondotinta e correttore i segni di stanchezza sul viso.
Ogni volta che passava a trovarli era in apprensione perché non sapeva mai in che condizioni avrebbe trovato il padre. Sperava tanto che non fosse uno dei suoi giorni no, perché era difficile restare a guardarlo mentre soffriva. Purtroppo, né lei né sua madre potevano fare molto quando accadeva se non prendersi cura di lui. Suo padre era malato. La sentenza era stata una mazzata per tutti: tumore ai polmoni al terzo stadio.
L'uomo era uno dei pompieri che erano intervenuti l'11 settembre alle Torri Gemelle, quando l'America era stata messa in ginocchio dal più grave attacco dopo Pearl Harbor.
Quel giorno prestava servizio nel Queens; quando il centralino aveva ricevuto la richiesta di intervento nel distretto finanziario, era salito su una delle autopompe ed era partito. Di solito ci impiegavano mezz'ora a raggiungere quella zona della città ma quel giorno impiegarono un'ora per via del traffico paralizzato. Le aveva raccontato che l'aria era quasi irrespirabile a causa del fumo che si sprigionava dai due grattacieli. Avevano sentito via radio del secondo attacco, da quel momento nel camion nessuno aveva più proferito parola. Il silenzio era interrotto solo dal radiocronista con la voce incrinata che cercava di aggiornare i suoi ascoltatori: stavano cercando di far uscire le persone dalla torre Nord quando crollò la torre gemella e tutto si ritrovò avvolto da un'immensa coltre di densa polvere.
«Ehi, mi sembrava di aver sentito un'auto. Che ci fai qui fuori? Vieni, tesoro, entra.»
Brooklyn alzò gli occhi verso sua madre. «Ciao mamma, ho ricevuto un'email e stavo rispondendo.»
«Tesoro, ricorda sempre il detto di tuo padre: quando esci dall'ufficio devi staccare la spina e non portare niente a casa. Altrimenti rischierai di vederti sfuggire gli anni migliori.»
«Lo so, mamma. Hai ragione.» Sapeva perfettamente cosa nascondevano le sue parole: aveva superato la soglia dei trent'anni e ancora non aveva trovato un uomo con cui costruire un futuro.
«Come vanno le cose allo studio?» le chiese la madre, prendendole la valigia in pelle per posarla nel guardaroba.
Brooklyn sentì l'acidità di stomaco salire fino alla gola. Era quello che succedeva ogni volta che i suoi le chiedevano del lavoro e lei si ritrovava a mentire. Sei mesi prima aveva davvero lavorato lì come impiegata amministrativa, poi gli eventi l'avevano costretta a licenziarsi senza dire niente ai genitori per non crear loro ulteriori preoccupazioni.
«Come sempre, mamma. Numeri e operazioni economiche tutto il giorno.»
«Sembra quasi che ti dispiaccia, quando in verità tutti sappiamo quanto ami il tuo lavoro.» Le sorrise mentre si spostavano verso il salotto per raggiungere il padre.
«Mamma.» Brooklyn la bloccò per un braccio prima di entrare nella stanza. «Oggi come sta?»
«Si sta riprendendo dall'ultimo ciclo di chemio e ogni giorno che passa va meglio. Non ha bisogno neppure dell'ossigeno.»
«Lo sapete che vi sento, vero?» disse il signor Jones dal soggiorno. «Devo ancora aspettare molto per ricevere un bacio dalla mia bambina?»
Le due donne si guardarono e sorrisero prima di raggiungerlo.
«Papà» disse Brooklyn un attimo prima di gettarsi tra le sue braccia. «Ti trovo in gran forma.»
«Sempre, per la mia piccola. Lascia che ti stringa ancora un po', è passato troppo tempo dall'ultima volta che sei venuta a trovarci.»
Brooklyn alzò gli occhi al cielo, ma lo fece con un ampio sorriso sulle labbra. «Papà, sono trascorsi solo quattro giorni.»
«Troppi per i miei gusti. Perché non torni a vivere qui? Almeno fino a che Cristina non rientrerà a casa. Non sopporto l'idea di saperti da sola in quell'appartamento.»
«Devo ricordarti che prima di affittarlo sei venuto a controllare l'ubicazione e lo hai ritenuto sicuro? È una tranquilla zona residenziale e tu lo stai dicendo solo perché vuoi che torni a vivere con voi, ma ho trentadue anni e non diciotto.»
«Dettagli» borbottò, «per me sarai sempre la mia bambina.»
«A proposito» intervenne la madre, «come sta Cristina? Siamo così abituati a vedervi insieme che è strano non incontrarla da venti giorni.»
Lo stomaco di Brooklyn si contrasse. Bugie. Sempre più bugie.
Il padre di Cristina era figlio di immigrati che dal Molise erano immigrati in America in cerca di fortuna e si erano stabiliti nel New Jersey, dopo essere rimasti in quarantena a Ellis Island. Il padre di Cristina aveva perso la vita su un cantiere edile a Manhattan quando lei era ancora una bambina; la madre si era ammalata quando la figlia frequentava il primo anno alla Columbia ed era morta sei mesi dopo per un tumore al seno.
Era stato allora che i signori Jones avevano conosciuto l'amica e avevano iniziato a trattarla come una di famiglia.
«Sta bene ed è felice. Sta lavorando come modella per un famoso stilista e dopo Londra parteciperà anche alla Fashion Week di Milano. Sappiamo tutti che è sempre stata attratta dalla moda e non dai numeri. Comunque mi ha detto di abbracciarvi.»
«Milano? Chissà come sarà contenta di visitare la nazione dei suoi antenati. È sempre stata attratta dall'Italia. Ti ricordi quando ti portava sempre a mangiare a Little Italy? Diceva che la pasta era la cosa più buona del mondo» disse la madre, perdendosi in ricordi felici.
«Già» affermò Brooklyn, cercando di mascherare il velo di tristezza. «Realizzerà molti dei suoi desideri, anche se mi manca tantissimo e vorrei averla qui con noi.»
«Speriamo che decida di tornare e non si sposi un bell'italiano» rise la signora Jones, «altrimenti ci toccherà fare un lungo viaggio per riabbracciarla. Ora forza, andiamo a tavola prima che si raffreddi tutto.»
«Ti aiuto, mamma.»
«Non c'è bisogno, tesoro, è già tutto pronto. Arrivo subito. Tu fai compagnia a tuo padre» disse prima di sparire in cucina.
«Va bene» rispose Brooklyn, poi si voltò verso il padre: «Vuoi una mano?».
«Non sono così vecchio, signorina, però accetto volentieri il tuo braccio perché mi piace tenerti vicina.»
«Ti voglio bene, papà.»
«Anch'io, amore mio. Ma ora sbrighiamoci, prima di far arrabbiare tua madre.»
Brooklyn sapeva che non sarebbe mai successo perché si amavano alla follia e stravedevano l'uno per l'altra. Erano trascorsi trentacinque anni dal loro matrimonio, eppure erano innamorati come il primo giorno. E in cuor suo si augurò di riuscire a conoscere anche lei un amore così.