Capitolo tredicesimo
Cosí, in una sera d’inverno, ma non proprio sera, l’ora rossa che fa da confine, a quell’ora Eleonora sta combattendo una dura battaglia per non piangere lungo il percorso, peraltro breve, tra il Valentino e casa sua. Non è da lei piangere per strada, ma proprio non riesce a tenersi, per la rabbia di aver intravisto qualcosa che le sarebbe piaciuto afferrare. Dovevo essere piú decisa anch’io, pensa soffocandosi di singhiozzi, sedurlo, trascinarlo, rendergli impossibile qualunque altra scelta, o almeno straziarlo. Invece ho scelto la strada del rispetto, attesa, discrezione e il risultato è niente, non avere niente. Non posso neanche andarmene a vivere da sola, perché come fanno quelle senza il mio stipendio? Porcaccia la miseria, ho ventisette anni e ancora sto a casa, in mezza camera con mia sorella che sta diventando una fanatica borderline.
Ma poco dopo risulta che almeno per il momento la camera è tutta sua. Alle otto, alle nove, alle dieci, alle undici, a mezzanotte, Marianna non è ancora tornata. Al telefono non risponde, non aveva progetti particolari per la serata. A Marida non possono chiedere nulla, perché lei e Virginia si trovano malauguratamente a teatro, immerse in una maratona: tre spettacoli uno di fila all’altro, dalle otto di sera alle quattro del mattino, per un evento intitolato Una notte in Bretagna: tre pièces di Remy Lisieux. Eleonora per calmare sua madre dice che le sembra di ricordare solo adesso, che scema mamma, scusa, che Marianna avesse manifestato l’intenzione di partecipare alla notte bretone. Maria Cristina, che sceglie appena può le soluzioni meno impegnative, ci crede all’istante, e va a dormire tranquilla. Anche Margherita va a dormire tranquilla, senza neanche porsi il problema di dove sia Marianna, ma ben decisa, benissimo decisa, a non restare a vivere con sua madre oltre i diciott’anni, perché se no è come averne per sempre quattordici.
Eleonora invece sa con certezza assoluta che Marianna non è andata a teatro con la sua datrice di lavoro, e lo sa perché Marianna l’aveva informata che piuttosto che sorbirsi tre pièce del regista bretone per complessive otto ore di teatro si sarebbe strappata le orecchie per poi gettarle in pasto alle volpi. Quindi non va a dormire, e continua a chiamare sua sorella, sentendosi sempre rispondere che l’utente richiesto non è al momento eccetera. All’una decide di chiamare una di quelle disossate della Turris Eburnea, perché le viene in mente che Marianna potrebbe essersi rifugiata da loro, uniche depositarie del vero significato dell’amore. Per fortuna Eleonora ha il numero di cellulare di Sara (ricordate? la cantautrice) perché una volta Marianna glielo aveva dato per qualche motivo, e cosí con grande piacere la sveglia dal suo casto sonno.
– Mi dispiace, – mormora Sara una volta esauriti i convenevoli, piuttosto bruschi data l’ora. – Se sapevo…
– Se sapevi cosa? L’hai vista?
– Sí… ecco… è passata in sede dopo il lavoro, oggi. Verso le sette.
– Ah. E come stava? Com’era?
– Era giú. Molto giú. Al lavoro ha sentito delle clienti sparlare di lei. E questa è una delle inevitabili conseguenze del Sommo Spreco. Il Sommo Spreco macchia la nostra vita come succo di ciliegia, che nulla piú riesce a ripulire. Il Sommo Spreco si compie con leggerezza, ma se ne portano le cons…
– SARA! Piantala. Dov’è adesso mia sorella? Perché ti dispiace?
– Perché purtroppo non abbiamo potuto accoglierla e confortarla. Abbiamo dovuto espellerla…
– Avete dovuto cosa?
– Espellerla. Purtroppo le regole sono ferree. Marianna non è piú vergine. Perciò, sia pure molto a malincuore, abbiamo dovuto espellerla dall’associazione. Guarda, ci è spiaciuto tanto, perché lei era stravolta, piangeva… ma non possiamo creare precedenti. Cerca di capire… se riprendessimo tutte quelle che si sono concesse senza la creazione di un legame solido e duraturo oltre il momentaneo soddisf…
– Guarda che vengo lí e do fuoco alla sede, – annuncia senza alzare la voce Eleonora. – Perciò vedete di non esserci. Mia sorella è arrivata da voi in lacrime e disperata, e voi l’avete espulsa? Ma siete delle merde! Degli esseri spregevoli! Delle… puttane!
Sara non reagisce a questo supremo fra tutti gli insulti, perché comprende il punto di vista di Eleonora, ma ribadisce che non si poteva fare altrimenti perché se la castità è il valore piú alto, è il valore piú alto. Non è che poi possono mettersi l’umanità e la comprensione a cambiare le carte in tavola.
– Io ti cambio la disposizione degli arti, se ti metto le mani addosso, – spiega Eleonora, e poi aggiunge, senza speranza: – Ti ha almeno detto dove aveva intenzione di andare?
– Eh… no. No. È uscita piangendo e basta.
Eleonora non può che augurarsi che il passo successivo della sua singhiozzante sorella sia stato rivolgersi a Marida, e quindi alle tre e mezzo esce, e attraversa la relativa tranquillità di una notte torinese in centro per andare ad aspettare Marida e Virginia davanti al Carignano.
– Signore fa che non si siano stufate e non se ne siano andate prima…
Ma è chiedere troppo al Signore. Marida e Virginia erano scappate dopo la seconda pièce, e invano Eleonora le aspetta davanti al teatro… tra la gente variamente assonnata e disperata che sfila loro non ci sono. Però c’è… c’è…
– Ehi! Ciao!
Eleonora si sbraccia, e Alessandro Accorsi, con il viso un po’ grigio, le sorride.
– Ciao. Eri dentro? Non ti ho vista.
– No, sono venuta perché speravo di intercettare Marida e Virginia…
Lui la guarda, interrogativo, ma non fa domande.
Eleonora non esita. Non è il momento di esitare. – Senti… ti hanno per caso detto qualcosa di mia sorella?
Il giudice Accorsi si drizza e dimentica quelle otto ore di strazio a cui si è sottoposto in compagnia di un’avvocatessa, anzi, avvocata bisogna dire oggi, un’avvocata amante del teatro a cui ha provato vanamente a interessarsi. Poi l’avvocata se n’era andata, proponendogli di seguirla, e lui era rimasto, un po’ per non seguirla, un po’ perché voleva vedere fino a dove poteva arrivare la noia bretone prima di ucciderlo. E meno male che la stella cometa dell’amore lo aveva indotto a essere lí, in quel momento!
– No. Perché? Che succede?
Eleonora lo soppesa, veloce. La velocità nel soppesare è una delle caratteristiche che piú amiamo in lei, vero? La rapidità con cui il suo cervello valuta, misura e decide. E anche questa volta, quel curioso miscuglio di istinto ed esperienza che chiamiamo intuito le viene in aiuto, perché lei sa, con certezza, che Alessandro Accorsi è innamorato perso di sua sorella, e sa, con certezza, che è a lui che deve chiedere aiuto.
Cosí glielo dice, gli dice che è scomparsa, che non sanno dov’è e che non risponde al telefono.
– Sarà con lui.
– No. Quel povero imbecille è ancora a Londra.
– Ripartita per Londra?
– No. Cioè… a meno che abbia deciso di ucciderlo.
– Andiamo ai Murazzi. Vediamo se è passata di lí.
Vanno ai Murazzi, entrano in tutti i locali ancora aperti, chiedono informazioni a tutti quelli che sono in grado di darne, ma di Marianna si sono perse le tracce. Alle sei, Alessandro riaccompagna Eleonora a casa, perché lei vuole esserci quando si sveglierà sua madre.
– Non dirle niente. Dille che è con Marida. Appena sono le otto, faccio partire le ricerche. Sottotraccia.
Eleonora non vuole sapere cosa sono le ricerche sottotraccia. Le basta. Si fida.
– Va bene. Trovala, che cosí poi l’ammazzo.
E non sarebbe stato facile trovare Marianna, anche perché in quel momento, alle sei del mattino di questo giorno, si trova ricoverata all’ospedale Cto di Torino.
E visto che noi, a differenza degli autori e delle autrici del primo Ottocento, padroneggiamo la tecnica del flashback, utilizziamola per tornare velocemente alla sera precedente, e osserviamo Marianna che esce in lacrime dalla sede della Turris Eburnea. Non lontano da questo luogo crudele c’è la famosa Cittadella, il mastio nei cui sotterranei il valoroso Pietro Micca si fece esplodere allo scopo di bloccare l’esercito francese (credo). Attorno alla Cittadella sorgono dei giardinetti, e proprio su una panca di questi giardinetti Marianna ha spontaneamente condotto la propria disperazione. Una ragazza di notevole bellezza che singhiozza su una panchina alle otto di una sera di febbraio attira inesorabilmente gli sguardi, ed è una fortuna (o almeno, al momento sembra una fortuna) per Marianna, che il primo sguardo attirato sia quello di Cecilia Urbani, sua ex compagna scout a Chieri, dove Eleonora e Marianna erano state a lungo coccinelle.
– Ehi… Marianna?
Cecilia Urbani si catapulta sulla panca accanto a lei, fiutando emozioni, la cosa di cui è maggiormente ghiotta nella vita. Ha ventisei anni, è laureata in Economia e Commercio, e lavora nello studio di commercialista del padre, da cui è appena uscita. Per una fortunata (o almeno, al momento sembra fortunata) coincidenza, lo studio si trova in via Revel, a poche decine di metri dalla Cittadella.
Mentre Marianna continua a singhiozzare, per nulla frenata dalla comparsa di Cecilia, costei le porge in rapida successione un pacchetto di Kleenex, una bottiglietta d’acqua e un Bacio Perugina, invitandola a servirsi liberamente di tutto ciò e una volta che si sia un po’ ripresa, spiegarle cosa diavolo le è successo.
Marianna docilmente esegue. Esegue a fondo, e senza trascurare il minimo particolare. Racconta a Cecilia tutta la storia, dal primo incontro con Lux e la sua moto, fino alle orribili parole con cui è stata buttata giú dalla Turris Eburnea. Va detto che già ai tempi delle coccinelle Marianna e Cecilia erano state molto amiche, prima che il ragazzo di Cecilia si innamorasse di Marianna. Ma ormai tre fidanzati sono trascorsi nel frattempo, e Cecilia, una persona di animo gentile, non prova nessun risentimento nei confronti dell’antica compagna di gite in pullman, a parte naturalmente ripromettersi di non presentarle mai piú, e per nessun motivo, altri fidanzati.
Ed è per questo che, quando Marianna finisce di raccontare, e annuncia a Cecilia la sua intenzione di vagare senza pace sulle strade del mondo come un ghoul, Cecilia, pur senza avere la piú vaga idea di cosa sia un ghoul, scuote la testa con decisione.
– Non se ne parla. Tu hai semplicemente bisogno di distrarti. E mi sa che è la tua sera fortunata. Sto andando a un evento di bungee jumping clandestino notturno. Ti va?
Gli eventi di bungee jumping clandestino notturno sono una conseguenza abbastanza naturale del coccinellismo. Superata l’età degli scout, non tutte le ragazze si rassegnano a una vita senza piú raduni al chiaro di luna, e Cecilia infatti non si era rassegnata. Come tante ex coccinelle, aveva sviluppato un certo gusto per il crimine, e le attività sportive legali e diurne non l’attiravano. Era stato quindi quasi inevitabile per lei accostarsi al bungee jumping clandestino notturno, molto praticato a Torino, soprattutto da quando in questa città hanno cominciato a costruire grattacieli. Ma anche buttarsi semplicemente dal terrazzo panoramico della Mole Antonelliana ha il suo fascino. O da uno dei molti ponti che solcano il Po e la Dora, quei due affabili fiumi di quartiere. E infatti alle tre di quella notte, ecco Cecilia, Marianna e altre quattro persone pronte a tuffarsi dal ponte di corso Belgio, appese a un elastico. Hanno dedicato le ore precedenti a provare nuovi cocktail a casa di uno di loro, Diego, perché non è che puoi fare bungee jumping notturno clandestino alle otto di sera, e piú in generale prima di mezzanotte. Ci dev’essere poca gente in giro, e quel po’ di gelo che ancora incastona le notti di febbraio.
Marianna si è alcolizzata con mojiti, caipirinhe, lemon fizz, crème de menthe, raspberry vodka, e bourbon al vin santo. E adesso sta molto meglio! Gli artigli dell’amore non le uncinano piú il cuore, e quindi, prima ancora di capire cosa sta facendo, e prima che lo capisca chiunque altro, eccola che sale sulla spalliera del ponte e alé hop si butta, senza neanche controllare se l’elastico è ben stretto.