Capitolo quinto
Giulio ha un motivo, per non iniziare una storia con Eleonora. Se sia o no un motivo valido lo vedremo. Ma di certo non è perché non gli piaccia. Gli piace come ai pesci piace l’acqua, e alla crema chantilly il pandoro. Gli piace tanto, è probabilmente amore, o un tipo di amore, un genere di amore che ancora non conosce, una sperimentazione nuova, che vorrebbe tanto esplorare piú a fondo, ma prima di poterlo fare deve risolvere una situazione che però al momento si presenta irrisolvibile. Fino a pochi mesi fa, la sua vita sentimentale era fresca e ruscellante, variata e ricca di profumi. A trentaquattro anni non è e non è mai stato sposato, ha avuto parecchie fidanzate appassionate e, non appena la passione cominciava a declinare, le mollava, o era mollato, e saliva su un’altra giostra. Qualche lacrima, qualche nottataccia, e tante emozioni. Fino a quando… aveva fatto un errore, uno di quelli da cui ha inizio il male, come racconta in modo mirabile Javier Marías nel suo omonimo romanzo. E quindi adesso non ritiene prudente iniziare una storia con Eleonora, anche se nulla, nulla gli piacerebbe di piú.
Eccolo qui, ai bordi di un campo di calcio di periferia. È appena stato sostituito, nonostante sia il miglior laterale sinistro a disposizione, causa crampi. Gioca una volta al mese, nella squadra di un circolo Arci, anche quando l’inverno comincia a sgranocchiare le serate e a rendere le notturne aspre e faticose. È sdraiato nell’erba fredda, e pensa a Eleonora. La pensa, ma senza progetto. Non sono nelle condizioni di pensare a lei con progetto, si dice mentre il mister gli piega brutalmente il piede crampato. Come faccio a raccontarle in che casino sono?
Dopo la famosa cena, Giulio ha visto Eleonora tre o quattro volte. Ma l’ha vista cosí, senza costrutto. Una sera l’ha incontrata ai Murazzi, lei era con amici, lui era con amici. Ciao, ciao, come va, sorelle, madri, eccetera. Un’altra volta lei è andata a prendere Margherita, e hanno fatto la strada insieme. Ciao, ciao, film, teatro, hai visto, com’era, e poi, e comunque, siamo arrivati? Eh sí, siamo arrivati, ciao, ciao. E poi un aperitivo per il compleanno di una ragazza che conoscono entrambi, occasione scabrosa, perché cosa c’è di piú naturale, al termine di un aperitivo, che proseguire la serata per conto loro? Andiamo a farci una pizza? Vieni al Birrificio, c’è il mio amico Alo che suona? Passiamo allo Sbarco a vedere chi c’è.
O anche, come effettivamente era successo:
– Ma tu dove abiti? – Uscendo dall’aperitivo dell’amica comune Eleonora fa questa svagata domanda, frugandosi in tasca in cerca delle ultime noccioline.
– A San Salvario. Via Belfiore.
– Stai da solo?
– Sí. Non avrei comunque alternative, monolocale con bagno e cucinino. Grande, ma mono. Però ho un terrazzino.
Eleonora aspetta. Adesso, è sicuro, lui la inviterà a vedere il terrazzino. Cosí vanno le cose del mondo, nessuno ha mai nominato un terrazzino invano parlando con una ragazza che gli piace.
E invece no, non è successo, alla citazione del terrazzino era seguito un silenzio impacciato punteggiato da commenti banali e da sguardi che invece di impacciato non avevano nulla.
Dopo quella volta, era stato attento a non incontrarla piú.
– Rientri? – gli chiede il mister, mollando il piede.
– No, non ce la faccio, resto un po’ qui.
Resta un po’ lí, sdraiato nell’erba fredda, e quindi possiamo osservare il suo viso delicato, gli zigomi ben delineati, il naso leggermente a formaggino ma gradevole, i capelli ramati, le ciglia lunghe. Ha una bella bocca, che lascia intuire la possibilità della crudeltà. E questa bella bocca è socchiusa, perché respira male per il dolore dei crampi, e quindi si può entrare in lui, e attraverso la gola scendere giú fino alla zona cuore, e perdersi fra i cavi che collegano quel tenero computer al resto del corpo. Cosa c’è, lí? Quella nebbiolina che lo avvolge è paura o consapevolezza?
– Che fai lí? Ti stai riempiendo le orecchie di formiche.
Giulio salta su, inorridito a causa del fatto che ha molta paura degli insetti. Ma anche un po’ sconvolto dal fato, perché a metterlo sull’avviso è stata esattamente la persona a cui stava pensando, Eleonora Cerrato, che si stringe addosso una pesante felpa acquamarina. Prima di qualunque altro pensiero, prima che la sua mente riprenda a funzionare secondo le regole del vivere civile, guarda le onde ramate di capelli che scendono a coprirle parzialmente il viso e pensa che se avessero dei figli costoro avrebbero sicuramente i capelli rossi.
Tutto questo in un lampo che dura meno del tempo di scattare in piedi e dire:
– Tu, cosa ci fai qui!
Eleonora gli indica il mister, che saltella a bordo campo.
– Il mister. Piace a una mia amica. Cosí stasera siamo venute a vedere la partita.
– Ma quando? Prima non c’eri.
– Eravamo nascoste tra la folla.
Accenna ai circa quindici spettatori, tra cui una ragazza bionda che li saluta da lontano.
– Guarda che il mister la ragazza ce l’ha.
– Lo sappiamo. Sappiamo tutto di lui. È il nostro idraulico.
Giulio sospira. Il destino gli ha fatto questo, e bisogna assecondarlo almeno un po’ per capire quali sono i suoi piani.
– Vabbè. Io non gioco piú. Crampi. Mi cambio e andiamo a bere una cosa?
Sono un idiota, pensa Giulio mentre si fa la doccia nei rugginosi bagni del circolo Arci, e si asciuga e si veste e corre fuori. Sono un idiota cretino perché sto filando dritto verso i guai e lo so e basterebbe pochissimo per evitarli, basterebbe uscire dal cortile invece di salire le scale del bar, prendere la macchina e andarmene a casa e mandarle un messaggino con scritto tipo: scusa ma sono troppo stanco mi fa male un ginocchio mia mamma si è lussata un dito, mi hanno chiamato da casa che un cobra in fuga si è rifugiato sul mio terrazzino. La vita è cosí, Eleonora, potrei scriverle. La vita è piena di cobra imprevisti, e noi non possiamo farci niente. Mi spiace, ciao. Invece eccomi che salgo le scale del bar, entro, la vedo seduta al tavolo che finge di essere concentrata sulla Coca e sul limone che ha davanti mentre lo so che è concentrata su me che sto arrivando, e la raggiungo, e ci guardiamo e come cazzo farò stasera a non baciarla?
Poi non pensa piú a niente, ordina una birra, e prima ancora che sia arrivata, prende la Coca di Eleonora, ne beve un sorso e le chiede, da perfetto idiota cretino:
– Allora, come stai? Fidanzati?
Eleonora scoppia a ridere. – Che domanda è questa?
– Non lo so. Mi è venuta cosí. Scusa. Lascia perdere.
– No, figurati. Non è impegnativa. Niente fidanzati, al momento. Mi sono lasciata da poco.
– Tu o lui?
– Io. E tu? Fidanzate?
– Zero. Storielle, cosí.
Si guardano, e tra loro passa qualcosa come una breve onda da camera, un’alta marea da borsetta, un turbine ristretto in cui scorrono veloci pensieri logistici tipo lei avrà la macchina non posso accompagnarla lui avrà la macchina che ne faccio di Robi (l’amica) chissà se si piazza col mister potrei proporle un gelato da Silvano a piedi e poi potrebbe propormi qualcosa da fare adesso lasciando la mia macchina qui che dopo mi riporta che dopo la riporto o magari le chiedo se vuole guardare le stelle con la mia app che ti dice i nomi ecco questo forse potrebbe…
Da qui in avanti, però, le cose prendono una piega-cobra del tutto imprevista. Non è imprevisto che arrivino Robi e il mister, né che si siedano con loro e ordinino una birra e si discuta del fallo commesso dal centrocampista avversario su Giulio e del conseguente rigore che Giulio ha tirato sulla traversa. Non è imprevisto che Eleonora e Robi si scambino occhiate silenziose il cui senso è, piú o meno «Ognun per sé e Dio per tutti, ciao, ci sentiamo domani». Non è imprevisto che a un certo punto il gruppetto inizi ad alzarsi e a cercare di verbalizzare quello che è evidente a tutti e cioè che:
ELEONORA ANDRÀ VIA CON GIULIO
ROBI ANDRÀ VIA COL MISTER
È invece imprevisto che esattamente in questo momento, nel bar del circolo Arci entri Valentina Bongiovanni, la fidanzata del mister, reduce da una cena di classe nella vicina pizzeria La Frasca. Valentina è stupida come una biglia di vetro, e quindi non nutre nessun sospetto sulla volatile fedeltà del mister, semplicemente, ha pensato di fargli una bella sorpresa passando di lí. In un istante, le coppie si ricompongono in un imbarazzo ben nascosto da gesti come prendere la borsetta, dividersi il conto, spostare la sedia, andare un attimo in bagno, legarsi la sciarpa, controllare il telefonino. Il mister e Valentina se ne vanno insieme, Robi ed Eleonora se ne vanno insieme, Giulio se ne va da solo, di nuovo cosciente di se stesso, e quindi saluta Eleonora senza lanciare nessun ponte sul futuro.
Ho fatto bene, pensa, camminando veloce fra i tossici e le risse che costellano il marciapiede di casa sua. Ho fatto bene, benissimo, e benedetta sia Valentina che ha rotto tutte quelle uova in panieri di cui neanche sospetta l’esistenza. Stavo per fare la supercazzata dell’anno e non l’ho fatta, qualcosa vorrà dire. Entra nel portone, sale le scale, apre la porta di casa e vede, per terra, a pochi centimetri dalla fessura, una busta gialla con attaccato un Post-it rosa: «È arrivata questa per te lo ritirata io Florin».
La sobria comunicazione proviene dal suo vicino di pianerottolo, un gentile lavoratore rumeno. La busta gialla invece proviene dal Provveditorato agli Studi e contiene la comunicazione che è entrato di ruolo, destinazione Lecce.
Ecco, pensa Giulio, uno si smazza l’anima per cercare soluzioni ai problemi, e poi arriva la vita, e ci pensa lei con una raccomandata.
Sono passati tre giorni dalla partita al circolo Arci. Tre giorni stupefatti per Eleonora che, onestamente, si aspettava una telefonata ma neanche la mattina dopo, quella notte stessa. E invece niente, e niente, e niente. Eppure non mi sono sbagliata, continua a pensare, anche adesso, mentre osserva i suoi alunni che strisciano le penne sui quaderni, occupatissimi a scrivere tre pensierini a testa sul tema Le parole piú brutte che conosco. Sbirciando i quaderni, scopre con sgomento che Maria Melina, figlia di genitori molto biologici, ha scritto GRASSI IDROGELATI, che poi sarebbero due parole, che Matteo ha scritto prevedibilmente SCUOLA, e che Lauretta ha scritto, aiuto, CAZZO. Vabbè. Poi vediamo. È in quel momento che il suo cellulare buzza, e compare un WhatsApp di GIULIO. Posso chiamarti?
Tra dieci minuti che c’è intervallo.
In un quieto angolo del cortile, Eleonora fissa il display del cellulare, che puntualmente si illumina.
– Ehi, ciao, sono Giulio.
– Ciao. Come te la passi?
– Abbastanza bene. Bene, in realtà. Ho avuto la cattedra. Volevo dirtelo.
Ah, pensa Eleonora, forse siamo nell’Ottocento e non me n’ero accorta. Forse vuole dirmi: adesso che non sono piú un tiepido precario supplente al Gioberti, e invece ho una cattedra tutta mia, posso dirti, Eleonora Cerrato, che vorrei vederti stasera, e poi stasera ti bacerò e da cosa nascerà cosa.
– Ehi, bene, bella notizia. Una cattedra tutta tua?
– Sí, tutta mia. Però a Lecce.
– A dove?
– Lecce. Capitale del barocco.
– A Lecce capitale del barocco? E cosa farai? Avanti e indietro?
– Ma no. Sono 1148 chilometri e 42 metri. E ho lezione quasi tutti i giorni. Mi trasferisco.
Certo che si trasferisce. Cos’altro potrebbe fare? Rifiutare il trasferimento non è possibile, non nel 2014, quando si languiva dal desiderio insoddisfatto di posti di lavoro. Giulio potrebbe anche fare a meno di languire, perché Adriana Balbis è ricca, ovvero possiede case e reddito, anche se non nella misura esagerata di Gianmaria Pettinengo. Ma non avendo una grande simpatia né affinità con sua madre, Giulio preferisce non farsi mantenere da lei. Una specie di tradizione di famiglia, tra l’altro: suo padre Sebastiano, nobiluomo elegante ma poco tenente, aveva serenamente sposato Adriana per i suoi soldi. Ma per quanti, e quanto gradevoli, fossero, non lo erano abbastanza da consentirgli di sopportare sua moglie per piú di vent’anni, al termine dei quali era scappato in Nuova Zelanda, dove aveva iniziato una nuova esistenza come factotum di una coppia di teatranti italiani trapiantati a Auckland. Giulio non ha la mancanza di scrupoli e il sorriso abbagliante di Sebastiano, e quindi bisogna accettare la cattedra a Lecce, in attesa che si schiuda la carriera universitaria, lenta però a schiudersi quanto le uova di drago.
Tutto questo è inutile dirlo a Eleonora, ed è un peccato, perché una breve spiegazione le avrebbe dato il tempo di ripigliarsi, invece il tempo non c’è, e da quel momento la conversazione stenta. Anche perché Giulio non aggiunge indicazioni di rimpianti, propositi, speranze o intenzioni. Chiede solo, se non le spiace, di passare a salutare lei, sorelle e mamma, prima di partire.
E quando passa a salutare prima di partire, posa il suo iPhone sul tavolo della cucina e fa un autoscatto alle Cerrato piú lui, stretti in uno di quegli abbracci fasulli a scopo inquadratura. Ma la mano con cui improvvisamente stringe a sé con una specie di ferocia Eleonora non è affatto fasulla. E lei, di conseguenza, al momento dell’ultimo saluto lo bacia distratta sulle labbra invece che sulla guancia, e lui la bacia frettoloso sul collo anziché sulla guancia, e se non ci fossero intorno le sorelle, e se non fossero sulla porta, ancora sarebbero lí, a baciarsi, a struggersi, in una sera uggiosa di novembre.
– Anna, che succede se trovi l’amore ma lui non trova te?
– Fai bene a chiedermelo, perché se c’è una che lo sa, sono io.
Cosí risponde Anna, che nel frattempo ha occasionalmente incontrato nella pizzeria dei Fratelli La Cozza il preside e famiglia. C’era lui, Claudio Parenzo, c’era lei, signora Parenzo, c’erano i tre piccoli Parenzo, e c’era anche, ben visibile sotto la tunica a fiori, il prossimo quarto piccolo Parenzo. Era una gravidanza ancora contenuta, diciamo un quinto mese, ma molto si può fare, quando lo si desidera, per mettere in evidenza una gravidanza di cinque mesi (cosí come molto si può fare, quando lo si desidera, per dissimularla), e la signora Parenzo, Luciana, lo desiderava. Anna per fortuna era insieme a un gruppo di amici, che l’avevano aiutata a dissimulare, piuttosto che a mettere in evidenza, lo scoramento. Da quella sera, aveva rifiutato ogni chiamata e ogni messaggio del suo amato Claudio, su vivo consiglio di Eleonora.
– Anna, te lo devo spiegare io come si mette incinta una donna? O pensi che da casa Parenzo sia passato l’arcangelo Gabriele?
– E se lei…
– L’ha legato e violentato nei giorni fertili? Beh, comunque lui si è fatto violentare. Se l’uomo non vuole, non c’è niente da fare. Quella sull’uomo non è mai vera violenza.
– E se lei…
– Gli ha messo il viagra nella tisana della buonanotte? E dài, Anna, lo vedi com’è, quell’uomo. Gli piace avere il quarto figlio. E gli piaceva pure avere te. Peccato che adesso non ti può avere piú.
Per questo, mentre mangiano un kebab sedute su una panchina in piazza Vittorio, sfidando una promessa di gelo, Anna può rispondere che sí, lei lo sa com’è, se trovi l’amore ma lui non trova te.
– E cosa sai, allora?
– So che devi dargli un calcio ma forte, tipo kickboxing, e spedirlo a schiantarsi sul muso di una tigre affamata.
Eleonora la guarda inorridita. Ecco cosa fa l’amore alle persone quando va male. Anna è sempre stata uno zucchero di ragazza e adesso? Non si trasformerà mica in una di quelle imperatrici di Shakespeare che cucinavano i figli degli uomini che le avevano offese?
– Okay, lo faccio.
Eleonora annuisce e cambia discorso, perché non è il tipo che si confida. Di Giulio non parla con nessuno, neanche con Marianna, perché… sentiamo come lo spiega lei, a se stessa, mentre torna a casa dopo aver salutato Anna, e averle suggerito di uscire col maestro di inglese, che ha occhi belli, e se si tagliasse la barba forse verrebbe fuori che ha bello pure il resto.
Pensieri di Eleonora mentre torna a casa:
Basta con le confidenze d’amore, non se ne può piú. Possibile che se vedi due ragazze insieme sedute su una panchina, già sai che stanno parlando di quello? E poi, cosa sarebbe questo famoso «quello»? Per me l’amore non è cosí. Non è questa specie di bestiolina aguzza che morde Anna. Non è un tumulto, una mareggiata. È placida l’onda, prospero il vento. Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai. È un segreto, che se ne parli si sbriciola. È il bacio che non ci siamo dati, quelli che ci siamo sfiorati. È aprire un regalo piano piano, mettendoci un sacco di tempo, sciogliere tutti i nodi del nastro, poi arrotolare il nastro in una matassina, e legare la matassina e posarla lí accanto. Staccare lo scotch senza rompere la carta. Togliere la carta, piegarla seguendo le pieghe già presenti, metterla da parte, insieme alla matassina. Aprire la scatola. Ci vorranno mesi a fare tutto questo? Bene. Preferisco cosí, piuttosto che strappare nastro e carta, e scoperchiare con violenza, e consumare il regalo con avidità, per poi buttarlo via perché non mi piace piú, ce n’è un altro, per favore?
– Possibile che non ci sia niente di meglio?
La signora Clotilde Castelli considera un insulto personale il fatto di aver già provato sei abiti di Marida Simoni senza trovarne uno che le piaccia, ovvero che le stia bene. Questo dipende probabilmente dal fatto che si trattava di sei abiti pensati per donne giovani, belle e magre, mentre Clotilde Castelli è sui sessanta abbondanti e piuttosto inquartata, oltre a non essere stata bella mai, neanche a vent’anni. La Simoni ha anche una linea di capi creati apposta per tirare fuori il meglio da sessantenni inquartate, ma Clotilde Castelli li schifa ed è convinta di potersi ancora permettere quegli altri.
– Sí, certo che c’è… ad esempio, metti questo. Sono sicura che ti starà di incanto.
Marida ha pazienza. La Castelli è una cliente quasi famosa, nel senso che è spesso ospite dei talk show in quanto profonda conoscitrice dell’animo femminile in generale, e dell’animo femminile delle poetesse serbe in particolare, e inoltre è autrice, sia pure sotto pseudonimo, della vendutissima serie per adolescenti Dany Delizia. Quindi appunto Marida ha pazienza, ma non ne può piú e ha altre signore curiose di diventare eleganti che l’aspettano. Per questo, le sta mostrando un vestito blu notte appartenente alla linea «Cerca almeno di passare inosservata».
Clotilde sbuffa: – Questo è noioso, da vecchietta. Fallo mettere a Margherita Hack. Io voglio qualcosa di sexy. Sai chi ci sarà, alla cena della Mondadori?
Marida passa rapidamente in rassegna gli autori Mondadori in grado di suscitare fremiti alle donne da tempo in menopausa. – Scott Turow?
– Ma quale Scott Turow… Sting. Pubblicano il suo primo romanzo.
– Aaah… beh. Sting.
– Quindi voglio essere indimenticabile.
– Allora manda lei al tuo posto, – propone Marida, di impulso. E indica Marianna, che si sta infilando il piumino per andarsene. Giaccone blu, capelli biondi, pallida.
– Ma va’. Se a Sting piacessero le belle ragazze, non avrebbe sposato sua moglie. Passami quello, svelta.
«Quello» è una nuvola oltremare, da posare su un corpo perfetto. Marida glielo dà, Clotilde se lo mette, si guarda allo specchio, e chissà cosa vede, perché sorride, estasiata.
– Ci siamo! E fammi lo sconto, perché il tuo vestito di sicuro finirà su «VIP Magazine».
Marida Simoni odia molte delle sue clienti, ma nessuna quanto Clotilde Castelli. Aumenta del cinquanta per cento il prezzo del vestito, lo comunica a Clotilde, poi le toglie il trenta per cento, e glielo fa comunque pagare il venti per cento in piú.
Marianna esce dall’atelier e si avvia verso casa. Il percorso è breve, da via Principe Amedeo a via Giolitti, ma anche un percorso breve può nascondere delle insidie se lo si compie pensando a Shakespeare, e Marianna sta appunto pensando a «Non ha limiti il mio amore, come il mare, e altrettanto è profondo; piú te ne do, piú ne resta per me, perché come il mare è infinito», e chiude gli occhi accecata dal desiderio di poter dire quei versi a un uomo, credendoci, e siccome Shakespeare è tutto, ma un angolino per Eros Ramazzotti rimane sempre, mentre ha gli occhi chiusi lancia anche il suo grido interiore, il suo motto d’appartenenza, e chiede dove sarai, stella gemella, anima bella, dove sarai, e tanto è il desiderio di quella stella gemella che tiene gli occhi chiusi anche mentre attraversa, e non si accorge della moto che sopraggiunge senza colpe ma troppo veloce da via delle Rosine. E cosí, proprio mentre nella sua mente si forma la parola «sarai», viene investita da Ludovico De Marchi, alla guida della sua Guzzi California 1400 Touring.
– Non ha voluto assolutamente andare all’ospedale, –spiega Ludovico a Eleonora, mentre insieme stendono Marianna su un divano. L’ha portata in braccio per due rampe di scale, dato che il palazzo di via Giolitti non è dotato di ascensore, ma non dimostra né stanchezza né affanno, e con preziosa delicatezza scosta dal viso di Marianna una ciocca di capelli.
– Non c’è motivo. Non mi sono rotta niente. Solo una botta.
– Hai battuto la testa? – chiede Eleonora, che si è presa un colpo vedendo arrivare un uomo bellissimo con sua sorella apparentemente morta in braccio.
– No… ho battuto solo le gambe, le braccia e la schie…ahia!
Per fortuna la mamma non c’è. C’è Margherita, che ha riconosciuto il portatore di Marianna, e lo fissa con intenso odio silenzioso. Eleonora si chiede perché con un centesimo del cervello, mentre con tutto il resto telefona a Carla Olivetti, la sua amica dottoressa.
– Grazie… davvero… sei sicura che… okay, ti aspetto.
Carla passerà a vedere Marianna, e decidere se è il caso di portarla al Pronto soccorso. Marianna stessa esclude questa possibilità, e Ludovico De Marchi detto Lux è d’accordo con lei.
– Guarda, è caduta bene, sul serio. Deve solo stare ferma e mettere tanto Lasonil sui lividi. Ce l’hai il Lasonil?
Eleonora è del parere che sia meglio aspettare il responso di Carla, ma Ludovico non aspetta, mai, niente. Si rivolge a Margherita con un sorriso che dovrebbe trasformarla all’istante in un mucchietto di gelatina.
– Senti… avresti voglia di scendere a prenderlo? La farmacia di via della Rocca è ancora aperta. Ti spiace?
– Sí, mi spiace, – dice seria Margherita, – e fosse per te non ci andrei di sicuro, ma visto che è per Mari, ci vado.
Ludovico si mette una mano in tasca, ma Eleonora lo blocca con un semplice sguardo. – Vieni, – dice alla sorella, – ti do i soldi.
Marianna e Ludovico restano soli. Si guardano negli occhi. Poi lui dice, con voce roca: – Perché tua sorella ce l’ha con me?
– Non lo so… – risponde Marianna con voce altrettanto roca, perdendosi negli occhi verdi di lui persi negli occhi azzurri di lei, – forse pensa che sia colpa tua se mi hai investita.
– Ha ragione.
– No… io avevo gli occhi chiusi…
– E quando ti ho vista, li ho chiusi anche io.
Si guardano, e ridono. Tutto è cosí meraviglioso, e assurdo, e completamente fuori luogo.
A rimettere tutto in luogo, riappare Eleonora, seguita da sua madre, che è tornata, e si agita come un robot fatto ad anguilla. Ma nonostante questo, Ludovico non prende garbatamente congedo. Sopporta tutto: ringraziamenti, recriminazioni, offerta di caffè, Coca-Cola, limoncello, non accetta niente ma non se ne va, e non se ne va neanche quando arriva la dottoressa Carla, a stento riescono a tirarlo fuori dal salotto quando Carla visita Marianna, e nessuno lo smuove finché non riceve conferma della non-necessità di portare l’offesa al Pronto soccorso. Rimane ancora anche quando la dottoressa Olivetti va via, nonostante lei tenti di portarselo appresso, ed è evidente che vorrebbe essere lui a spalmare il Lasonil sopraggiunto sui lividi di Marianna, ma a questo punto Eleonora ritiene che sia arrivato il momento di dire basta, e lo fa.
– Senti, sei stato davvero gentilissimo, piú che gentile, ma adesso credo che sarebbe meglio se Marianna andasse a letto.
– Certo, – lui sembra entusiasta all’idea. – Va bene.
– E tu andassi a casa, – completa Eleonora.
– Ah –. Questo gli piace meno.
Si avvicina a Marianna, è evidente l’intenzione di baciarla, che per fortuna rientra all’ultimo istante, ricacciata in sede da un’occhiata della madre.
– Ti chiamo dopo, – le sussurra, e lei gli risponde: – Sí, – come se quella telefonata fosse la piú normale delle consuetudini. Appena la porta si chiude alle spalle di Ludovico, le Cerrato entrano in totale e simbiotica agitazione. La prima a esplodere è Margherita.
– Lo sapete chi è quello? – strilla. – Quel grandissimo stronzo?
– De Marchi ha detto che si chiama? Mai sentito, – risponde sua madre, che dello sconosciuto ha notato soltanto, con sfavore, alcuni tatuaggi fuoriusciti dalle maniche, tre orecchini e un piercing al sopracciglio.
– Detto Lux! – esclama trionfante Margherita, ma i sei occhi che la guardano sono vacui.
– Madonna, ma non sapete proprio niente! Lux dei Superbuddha!
Ancora nulla? Ancora nulla.
– I Superbuddha! È un gruppo, sono abbastanza famosi. Hanno fatto un cd orribile, e il singolo è una schifosissima canzone che si intitola Anziani Muffosi, sui BEATLES! – Margherita è fuori di sé. – Li insulta! Ed è pure entrata in classifica a Radio Mole 24! Io li odio, anche se quelle cretine delle mie compagne sbavano per questo Lux, che figo, che fiiigooo… – Margherita imita le sue compagne, dotandole di una vocetta stridula e svenevole. – Quando sapranno che ha investito mia sorella diventeranno pazze! Ma voi non fatelo piú entrare qui dentro se no lo spolpo!
– È un cantante? Ah ecco! – commenta soddisfatta Maria Cristina, trovando una spiegazione sostenibile per tatuaggi, piercing e orecchini, e annullando all’istante Lux come possibile Grande Amore per sua figlia.
– Ehi, mà, non dirlo come se fosse tipo un morbo. È un cantante. Un cantante di successo pure, a giudicare dalla moto –. Eleonora ha notato lo stordimento di Marianna, e vede con favore un possibile e imminente crollo della Turris Eburnea.
– E che importanza ha se è un cantante o un coltivatore di farfalle, se ha la moto o una piccola volpe? – chiede, molto scossa, Marianna. – Perché pensate a queste cose squallide? Avete visto com’è, no? Ha un sacco di… non so… empatia. È una persona speciale, cioè, proprio lui come persona.
Poi si volta verso il muro, e non parla piú con nessuno. Mamma ed Eleonora si guardano. Ci siamo. Speriamo solo che lui, oltre a suonare nei Superbuddha, abbia anche un lavoro. Nessuna delle due dubita minimamente che l’evidente colpo di fulmine non sia a doppio senso. Sperano soltanto che il senso non sia vietato.
Il giorno dopo Maria Cristina rientra gongolando da una visitina pomeridiana ai Pettinengo e comunica soltanto a Eleonora le ragioni per cui gongola. Ha saputo da Consolata che Ludovico De Marchi nasce di buonissima famiglia, suo padre è primario al Cto, in ortopedia. Certo, preferirebbe che fosse, lui, Ludovico, il primario, ma Consolata l’ha, appunto, consolata, dicendo che i De Marchi pazziano tutti da giovani, poi rientrano nei ranghi con docilità. In fondo, Ludovico ha solo ventott’anni, e da qualche parte deve anche aver preso una laurea. Basta che.
– Basta che la smetta con questa faccenda del gruppo. Ci mancherebbe altro, povera Marianna, trovarsi sposata con uno che è sempre in tournée, con quelle ragazze che bazzicano.
Eleonora è stupefatta. – Mamma, l’ha investita con la moto, non le ha chiesto di sposarlo.
– Sí, lo so, probabilmente prima convivranno per un po’ –. Maria Cristina sospira, rassegnata a concedere qualcosa al ventunesimo secolo. – Ma appena arriverà un bambino, vedrai che si sposano. Succede sempre cosí. Guarda tua cugina Beatrice.
Eleonora non vuole affatto guardare sua cugina Beatrice.
– Beh, vedremo, – dice cauta, e riempie il bollitore di acqua.
– Brava, il tè è proprio quello che ci vuole, – fa le fusa sua madre.