Capitolo terzo
In una fresca mattina di ottobre, Marida Simoni beve il caffè sul terrazzo, sfogliando i giornali sull’iPad. Lo fa soltanto per assicurarsi che durante la notte non sia successo qualcosa di significativo: morti eccellenti, scoppi di guerre, fughe di principesse con centometristi. La vera lettura dei giornali a scopo di piacere avverrà piú tardi, in forma cartacea. Marida finisce il caffè, chiude l’iPad, e osserva pensierosa il fiammeggiante autunno che si srotola davanti al suo terrazzo, situato in via Villa della Regina, strada dritta e però in pendenza che congiunge brevemente una piazza centrale di Torino con la collina. L’osserva pensierosa, ma non lo vede, perché in realtà è molto concentrata su Maria Cristina Cerrato. A dimostrazione, si volta verso la sua fidanzata e convivente Virginia, vicequestore aggiunto, e dice:
– Vorrei fare qualcosa per Maria Cristina.
– Troviamole un marito, – sbadiglia Virginia. Per essere un vicequestore aggiunto credibile, assomiglia troppo a una diva italiana degli anni Quaranta, quelle brune, voluttuose e con le calze nere a mezza coscia, ma provate a essere un delinquente torinese, e vedrete.
– Troppo presto. Pensavo piuttosto a Marianna.
In realtà, Marida sta già facendo molto, per Maria Cristina, perché continua a trattarla esattamente come l’ha sempre trattata, ovvero con un affettuoso senso di superiorità. Per molto tempo Maria Cristina è stata per lei, oltre che un’amica e compagna di burraco, anche una cliente, e per la precisione la cliente ideale di una stilista con ambizioni locali. Da vent’anni Marida manda avanti con impeccabile slancio l’atelier Simoni, punto fermo nella vita delle signore torinesi benestanti, di buon gusto, e riluttanti a indossare capi firmati da gente che va sui giornali. Negli ultimi dieci anni Marida ha aggiunto un frisson quasi violento al placido tran tran dell’atelier aprendo una boutique annessa, in cui si vendono anche sciarpe, gioielli, borsette e altri oggetti di pronto consumo. E in tutto questo tempo Maria Cristina non ha mai fatto mancare il suo contributo al pingue Iban della titolare. Facile da vestire grazie a un fisico eccellente che tale si manteneva senza sforzo col passare degli anni, facile da accontentare grazie a un carattere amabile e a una scarsa dose di vanità, dotata di buon gusto ma disponibile, se incoraggiata, a qualche piccola eccentricità, assidua e puntuale nei pagamenti. Che meraviglia! Marida se l’è goduta per anni, e ora che Maria Cristina come cliente ha chiuso, questa severa signora bionda, un po’ imperiosa, fa quello che può per addolcirle le mutate condizioni. E quello che può è questo:
- Continuare a invitarla alle sfilate, anche se sa che l’amica non è in grado di acquistare neanche la piú semplice blusa in crêpe senza applicazioni, tinta unita, collo tondo, maniche corte, chiusura sul retro, bottoni, senza tasche, riprese. Farle capire con delicatezza che potrebbe comunque acquistare la piú semplice blusa in crêpe e saldare il conto con piccolissime rate da diluire nei mesi a venire.
- Non offendersi per il categorico rifiuto della signora, avversa ai debiti in modo convulsivo, e continuare comunque a invitarla per le serate di burraco.
- Offrire un lavoro a Marianna.
Il punto 3 non è però motivato esclusivamente da antica amicizia e generosità d’animo. Da anni la signora Marida sogna di arruolare Marianna. E non per i motivi che potremmo avventatamente desumere dal fatto che il vicequestore aggiunto che ama si chiama Virginia. La signora Marida tiene molto ben distinta la vita privata da quella professionale, e mai ha allungato un’unghia sulle belle signorine che lavorano per lei. Al massimo, qualche volta, ha preso a lavorare per lei qualche bella signorina su cui aveva già abbondantemente allungato le unghie. No, Marida ritiene semplicemente, e a ragione, che avere Marianna nell’atelier sarebbe molto ma molto utile. Bellissima, avrebbe attirato i mariti; morigeratissima, avrebbe evitato di portarseli a letto. Educatissima, avrebbe incantato le mogli. Modesta, innocente, taglia perfetta, grazia naturale, voce melodiosa, e gusto innato, sarebbe stata uno specchietto per ogni genere di allodola.
E adesso, mentre uno scoiattolo purtroppo grigio (per informazioni sullo straripare degli scoiattoli grigi a spese di quelli rossi consultare il sito www.scoiattologrigio.org) passa di ramo in ramo davanti a lei, Marida pidocchia sul cellulare e combina di vedere Maria Cristina al piú presto.
E cosí, la sera dopo, mentre mescola le carte, Marida ha l’occasione per dire alla sua amica: – Senti, Cri…
Le due signore stanno assaporando un tranquillo burraco a due nel confortevole soggiorno di casa Cerrato.
Alla fine l’appartamento è venuto niente male. Con un raro impulso di indipendenza, Edoardo ha preteso che la matrigna e le sorellastre prendessero tutti i mobili che preferivano («Cosa se ne fanno di queste meraviglie in quella stamberga dove vanno a stare?» aveva obiettato Rossana) e dunque la casa è arredata abbastanza al di sopra delle proprie possibilità, con un effetto piacevolmente iperrealista.
– Stavo pensando… ti dispiacerebbe se proponessi a Marianna di venire a lavorare per me?
Maria Cristina mette giú un inizio di burraco e scuote la testa, malinconica. – Non saprei… lavorare… – pronuncia questo esotico termine come se sputasse un nocciolo di ciliegia. Poi sospira: – Non so se è tanto il suo campo.
– La moda?
– No, lavorare in genere.
– Ah… – Marida è spiazzata. Essendo figlia di un idraulico e di un’ostetrica, ha sempre ritenuto il lavoro una componente abbastanza ovvia dell’esistenza umana, ma è evidente che Maria Cristina la considera un’opzione fra tante. – Non so neanche se definirlo proprio «lavoro»… piú che altro, dovrebbe creare un’atmosfera. Aggirarsi.
– Oh, se è per quello, si aggira benissimo! – concorda Maria Cristina, sentendosi su un terreno piú familiare. – E con grande charme! È esattamente quello che fa al museo.
– Sí, ma io la pagherei, – precisa Marida, calando un tris di re.
Eleonora insegna alla scuola elementare Niccolò Tommaseo, e la troviamo piantata davanti all’ingresso su via dei Mille, ore dodici e trenta, mentre osserva con una certa soddisfazione tutti i suoi alunni, classe IIIA, solidamente recuperati da genitori, parenti o colf. Ogni tanto si chiede cosa bisognerebbe fare se ne vedesse uno tristemente dimenticato nel cortiletto della scuola. Ad esempio le gemelle Claudia e Raffaella, dizigotissime, una grassa e l’altra magra, nessuna delle due particolarmente sveglia. O Paola Borio, piccolina, caschetto, già impiegata di concetto a soli otto anni. O Maurizio Grasso, bambino bruno, appuntito e romantico. Dovrebbe portarseli a casa? Arrivare e dire a sua madre: «Guarda, questo bambino non l’hanno preso, e siccome sono la sua maestra, per il momento dobbiamo tenerlo noi».
Niente, anche oggi la sfanga, tutti sistemati, e lei può andarsene ad aspettare Margherita, che esce da scuola all’una e venti. Si avvia insieme alla sua collega maestra Anna, che è molto presa da un problema etico che la tormenta da qualche mese.
– Secondo te cosa devo fare?
– Mollalo, – è la risposta che, da qualche mese, le dà costantemente Eleonora.
– Ma non possiamo vivere l’uno senza l’altra, lo capisci? Ci abbiamo provato, è impossibile.
– Lui può. Quest’estate è stato via un mese ed è tornato fresco come un fiore.
Eleonora è in grado di valutare lo stato di salute dell’innamorato di Anna perché costui è il loro preside, Claudio Parenzo, bell’uomo napoletano maritato con una bella donna napoletana, e padre di tre bei bambini napoletani uno dei quali è allievo di Eleonora, Leone Parenzo.
– Erano negli Usa, che poteva fare? Mi avrà mandato un milione di sms.
– E scommetto che mentre ti mandava gli sms ha messo incinta la moglie e fra un po’ avremo il quarto marmocchio Parenzo.
– Sei pazza? Sono anni che non tocca piú sua moglie.
– Oh, Anna… e dài… ancora credi a queste puttanate?
– Ci credo perché è vero. Lei è cicciona.
– Non è cicciona, è curvy. Ad ogni modo, a te non te ne deve fregare se la tocca o no, perché tu, guardami bene in faccia, tu lo devi mollare.
– E tu guarda bene in faccia me e ficcati in testa questo: non lo posso mollare perché lo amo.
– Non importa. Che sarà mai. Mollalo lo stesso, perché tanto con lui ti fai solo un fegato cosí.
– Dice che dopo la prima comunione di Leone se ne va di casa. Non vuole rovinargli quella giornata.
– Eh già. Peccato che la prima comunione a Leone gliela farà fare a ventisei anni. Anna, senti qua, da quant’è che state insieme?
– Tre anni e sei mesi.
– Se l’uomo non molla la moglie entro i primi due anni, non la molla piú.
– Ele, tu non capisci un cazzo dell’amore.
– Ah, perché per te questo sarebbe amore? Dài Anna, fallo per me, mollalo. E vedrai che poi l’amore lo incontri.
– Seee… come no. Magari il nuovo bidello, eh?
– Buttalo via... Ha l’occhio lascivo.
– Appunto. Lascia perdere. Ci facciamo un aperitivo?
– Non posso, oggi. Vado a prendere Margherita.
– E perché? Abitate a cento metri dalla sua scuola, no?
– Sí, ma voglio vedere i suoi compagni di classe. Finora non ha portato a casa nessuno.
Anna sbuffa. – Eh già, per lei sarà un trauma aver cambiato genere. Dopo quei pesci secchi dell’Adoration!
L’Adoration è la costosa scuola privata e monacale che Margherita ha frequentato fino al momento del tracollo. Ovviamente nessuna delle sue compagne ha iniziato le superiori al per nulla esclusivo liceo Gioberti, hanno proseguito tutte all’Adoration medesima, che affligge le giovani con classi che coprono l’intero arco degli studi dall’asilo alla maturità. Solo alcune si sono lanciate nell’inquietante mondo della scuola pubblica presso il comunque abbastanza fighetto liceo D’Azeglio.
Quando vede le classi sciamare dal portone del Gioberti, Eleonora manda un pensiero affettuoso al defunto avvocato Cerrato, che grazie al vizio del gioco aveva, sia pure come effetto secondario, tolto Margherita da quel viscido acquario per sbatterla qui, tra esseri viventi. Tra gli esseri viventi di diverse età che si mescolano ai ragazzini, Eleonora nota un giovane uomo che punta decisamente verso di lei, affiancando una scarmigliata Margherita.
– Ciao Ele! Lui è Giulio Balbis. Sai quello che diceva zio Gianmaria…
– Ah… buongiorno. Ciao.
Ciascuno dei due vede subito nell’altro qualcosa di interessante. Lei trova singolare che lui abbia capelli e occhi esattamente della stessa sfumatura di ambra. Lui apprezza il contrasto tra il fisico sottile e l’apparente terza misura di lei. Si avviano insieme, perché Giulio quel giorno è invitato a pranzo da sua madre, e sua madre, la ben nota Adriana Balbis, abita a un tiro di sputo dalle Cerrato, in piazza Cavour, in un alloggio di classe che dà sui giardini. Giulio accompagna le sorelle Cerrato fino alle vistose colonne che fiancheggiano il numero 45 di via Giolitti, rivangando conoscenze e remote parentele in comune.
– Bene, allora… – dice lui al momento dei saluti…
– Ciao, e mi raccomando, fammi sapere se questa qui si comporta male nell’intervallo, – dice Eleonora, che fin dalla piú tenera infanzia ha sempre dimostrato un’ottima padronanza dei luoghi comuni.
– Ciao mamma! Come stai oggi?
Adriana Balbis scrolla le spalle, un’azione di un certo impegno, perché sono due belle spallone carnose, attaccate a una schiena di ampie dimensioni. Nell’insieme, il corpo, o corpaccione, di Adriana non è un oggetto che si scrolla facilmente, anche perché è sempre imbrigliato da oscuri indumenti intimi che comprimono, tendono, stringono, assottigliano, e da lucenti indumenti esterni che hanno l’andazzo della corazza pur essendo di materiali tessili. La definizione «donnone» trova in Adriana Balbis la sua perfetta incarnazione. Eppure lei è convinta di essere fragile, e si comporta come se lo fosse, scrollando le spalle e mugolando come una Sylphide dei Ballets Russes.
– Cosí. Come vuoi che stia. La sciatica non mi dà tregua, e Olena anche oggi ha rotto una tazza. E naturalmente non una tazza qualsiasi. E no, troppo comodo. Ha rotto una delle mie Rosenthal, quelle della zia Ottavia… un dolore grande, sapessi!
Giulio fatica a comprendere il complesso rapporto che lega sua madre a Olena, la domestica ucraina. Olena a quanto pare non sa passare l’aspirapolvere, stira malissimo, rompe ogni giorno qualcosa, usa il telefono fisso per chiamare i parenti a Kharkov e la domenica esce con compatrioti probabilmente delinquenti o comunque, secondo un’espressione cara alla signora Balbis, «col coltello facile». E allora perché, perché e poi ancora perché, si chiede anche quel giorno Giulio mentre si lava le mani per andare a tavola, non la licenzia, procurandosi un esemplare migliore fra le schiere angeliche di ragazze che cercano lavoro presso le famiglie della città, e che provengono, come il papa recentemente eletto, dai piú remoti luoghi di questa terra? Perché non mettere in regola una gentile peruviana, una energica senegalese, una silenziosa filippina, una statuaria moldava? Perché accanirsi con Olena, che ha due lauree, e appena può declama versi del poeta Ševčenko?
Per distrarre la mamma dai pensieri sicuramente amari che le curvano perennemente le labbra all’ingiú, Giulio le racconta di aver appena conosciuto Eleonora Cerrato, sorella di un’allieva del Gioberti. Non l’avesse mai fatto. Le labbra di sua madre si curvano ulteriormente all’ingiú, fino quasi a spezzarsi.
– Per carità! Le Cerrato! Stai ben bene alla larga!
– Perché? Mi sembrano ragazze carine. Sono parenti dei Pettinengo, quindi anche nostre, alla lontana, no?
– I parenti uno non se li sceglie. Gianmaria e Consolata sono ottime persone, ma frequentano male, lo sanno tutti. E le Cerrato sono donne da poco. Tanto per cominciare, sono sicura che Maria Cristina fosse l’amante di suo marito.
– Scusa?
– Sí, prima, quando lui era ancora sposato con la povera Andreina. Che, tra parentesi, potrebbero benissimo averla ammazzata loro.
– Ma non è quella che è morta di malaria?
– E allora? Si fa presto a dire «malaria».
È difficile controbattere a un’affermazione del genere, e Giulio, per lunga pratica, sa che è meglio sviare che opporsi.
– Ad ogni modo, le ragazze sembrano…
– Sgualdrinelle, cosa vuoi che siano. Figlie di quella donna… saranno tutte amanti di uomini sposati.
– Tutte? Una ha quattordici anni.
– Peggio che andar di notte. Adesso le ragazzine adescano gli uomini per comprarsi i cosi… gli smarfon. Li hai visti quei film francesi, no?
– A proposito, quand’è che parti per Mentone?
– Non so. Rudi deve restare ancora una settimana in Kenya.
In Kenya, Rudi Lantelme, il fidanzato di sua madre, ha una fabbrica di mattonelle, parquet e laterizi. Roba che non sempre si comporta come dovrebbe, e che spesso lo costringe a prolungare i suoi soggiorni piú del previsto.
– Potresti cominciare ad andare tu, poi lui ti raggiunge. Cosí apri casa in santa pace.
– Santa pace? Non scherzare. Io da sola non vado da nessuna parte.
– C’è Olena…
– E certo! Che appena arriviamo va a farsela bene coi mafiosi ucraini di Mentone! – Adriana Balbis affonda la forchetta nel risotto, e la tira su immediatamente, irritata. – Ecco! Lo sapevo. Se c’è una cosa che Olena proprio non sa fare è il risotto.