18

Wolfe, alla sua scrivania, depose la tazza del caffè e posò lo sguardo sull’ex presidente del Comitato contro il Plagio.

«Preferisco far le cose a modo mio, signor Harvey» disse asciutto. «Potrete farmi delle domande quando avrò finito di parlare, se non vi avrò già risposto.» Passò in rivista i presenti con un lungo sguardo. «Potrei semplicemente fare il nome del colpevole e assicurarvi che ho le prove sufficienti per farlo condannare, ma la vostra curiosità rimarrebbe inappagata.»

Mortimer Oshin sedeva sulla poltrona rossa, come si conveniva al nuovo presidente del comitato. I suoi sudditi e la segretaria occupavano le due batterie di poltrone gialle, di fronte alla scrivania del principale. In prima fila c’erano Amy Wynn, Philip Harvey e Cora Ballard. In seconda fila, Reuben Imhof, Thomas Dexter e Gerald Knapp. Raggruppati intorno al mappamondo c’erano Dol Bonner, Sally Corbett, Saul Panzer, Fred Durkin e Orrie Cather. In regale solitudine, seduta a un capo della mia scrivania, Alice Porter beveva birra con polso fermissimo. Io avevo optato per il caffè: gli altri avevano beveraggi vari; solo Mortimer Oshin aveva dato la preferenza al cognac. Evidentemente se ne intendeva: dopo averne assaggiato un sorso, aveva chiesto di vedere la bottiglia. Sì era attardato a osservare l’etichetta, aveva bevuto un altro sorso, poi aveva commentato: «Fantastico! Ne avete molto, in cantina?» Io avevo capito l’antifona e mi ero precipitato a rifornirgli il bicchiere. Per cinque minuti almeno, Oshin non aveva acceso una sigaretta.

Wolfe lanciò di nuovo uno sguardo ai presenti.

«Devo spiegarvi la ragione dello scatto della signorina Porter» disse. «La signorina non ha tutti i torti: infatti, è qui perché le ho mentito. Al telefono, le ho lasciato intendere che le avrei consegnato un documento a firma della signorina Wynn e del signor Imhof, in cambio di una certa dichiarazione firmata, da parte sua. Per essere onesto nei suoi confronti, devo dire che la sua indignazione, quando è arrivata e ha trovato un folla, era giustificata. La signorina non se n’è andata perché le ho detto che vi avrei dato le prove di un suo grave reato, e le ho consigliato di stare ad ascoltarmi.»

«Allora, ammettete che siete un bugiardo!» sbottò Alice Porter.

Wolfe l’ignorò.

«Innanzitutto, vi riassumerò i punti essenziali» disse. «Poi vi fornirò i particolari. Otto giorni fa, il signor Goodwin vi riferì le brevi conversazioni che aveva avuto con quattro persone: Simon Jacobs, Jane Ogilvy, Kenneth Rennert e Alice Porter. Io non so se qualcuno di voi ha notato che il colloquio con Alice Porter è stato decisamente strano, soprattutto per quanto riguarda l’atteggiamento della signorina. Il signor Goodwin le disse che un giornale di New York aveva intenzione di farle una grossa offerta per i diritti del suo racconto Il destino bussa, e che cosa rispose, la signorina? Che ci avrebbe pensato sopra. Al di fuori di questo, non una parola. Non una domanda. Voi tutti conoscete gli scrittori meglio di me, ma io conosco un poco la natura umana. La signorina Porter non è una scrittrice famosa, non ha successo di cassetta: i suoi racconti sono appena sufficienti, in qualità e quantità, per mantenerla nel novero dei professionisti. Eppure, non ha domandato al signor Goodwin nemmeno il nome del giornale. Non gli ha domandato nulla di nulla. Questo mi è parso singolare. A voi no?»

«A me, effettivamente, sì» rispose Cora Ballard. «Ma Alice Porter era in una situazione critica. Ho pensato che avesse paura.»

«Di che cosa? Se dubitava della buona fede del signor Goodwin, se sospettava che l’offerta fosse fasulla, perché non è andata un po’ più a fondo? A me è parso che la spiegazione fosse una sola: la signorina Porter non si limitava a dubitare o a sospettare che il signor Goodwin mentisse, ma ne aveva addirittura la certezza. La signorina sapeva che ero stato assunto dal Comitato contro il Plagio e che il mio assistente tentava quello stratagemma per ottenere una copia del racconto sul quale lei basava la sua accusa contro la signorina Wynn. Al momento...»

«Come poteva saperlo?» domandò Harvey. «Chi gliel’aveva detto?»

Wolfe fece un cenno d’assenso.

«Appunto. Questo era il nocciolo della questione. Al momento, la mia supposizione era di relativo interesse, ma l’indomani, quando si diffuse la notizia della morte di Simon Jacobs, cominciò ad assumere consistenza, e crebbe d’importanza man mano che morivano Jane Ogilvy e Kenneth Rennert, mentre Alice Porter rimaneva in vita. Tutta la mia attenzione era concentrata su di lei, ma io continuavo a non credere che fosse, diciamo, la mia preda, poiché non riuscivo a capacitarmi che avesse inventato lo stile di Soltanto l’amore, l’avesse ripreso per Attesa e per In terra e in cielo e l’avesse poi abbandonato, sa il cielo perché, tornando al suo stile normale per Il destino bussa, il racconto della querela contro Amy Wynn. Ma ieri sera...»

«Un momento» interruppe Mortimer Oshin. «Chi dice che la signorina Porter non abbia valutato esattamente l’impressione che ci avrebbe fatto un pasticcio simile?» Il nuovo presidente aveva ancora in mano il bicchierino del cognac, e niente sigarette.

«Giusto, signor Oshin» approvò Wolfe. «Ieri sera il signor Goodwin mi ha portato qui la signorina Porter, e, dopo un’ora di colloquio, ero tormentato anch’io dallo stesso dubbio. E se fosse stata così furba, mi domandavo, da rendersi conto, fin da principio (quando si era assicurata la complicità di Simon Jacobs contro Richard Echols) che per mettersi al sicuro contro eventuali sospetti le conveniva ricorrere a una tattica così fantastica da non essere neppure presa in considerazione? Dopo un’ora di colloquio, ripeto, non mi sentivo di escludere un’astuzia così raffinata, nel caso della signorina Porter, e, se non altro, valeva la pena di andare un po’ a fondo. Quando la signorina ha lasciato casa mia, ho immediatamente chiamato cinque abilissimi investigatori, invitandoli a presentarsi l’indomani mattina da me, al più presto. Poiché sono tra noi, vorrei presentarveli. Abbiate la compiacenza di voltarvi.»

Il comitato eseguì.

«In prima fila, a sinistra, c’è la signorina Teodolinda Bonner. Accanto a lei, la signorina Sally Corbett. Dietro di loro, nell’ordine, il signor Saul Panzer, il signor Orrie Cather e il signor Fred Durkin. Ora li pregherò di farvi direttamente il loro rapporto, ma devo premettere che stamane si sono messi al lavoro dopo essere stati forniti di alcune fotografie che il signor Panzer si era procurato presso la redazione di un giornale. Signor Cather?»

Orrie si alzò, andò a piantarsi accanto alla scrivania di Wolfe e attaccò, rivolto al comitato:

«Io ero incaricato di scoprire se la persona in questione aveva avuto contatti con Simon Jacobs. Naturalmente, la fonte più attendibile era la vedova. Sono andato nella Ventunesima Strada, ma...»

«Stringete, Orrie. Solo i fatti essenziali.»

«Sissignore. Ho trovato la vedova da un’amica, nel New Jersey. Non voleva parlare e mi ha fatto sudare sette camicie. Finalmente, le ho mostrato la foto e lei l’ha riconosciuta. Aveva visto la persona due volte, tre anni fa. La persona era andata a trovare suo marito, e si era trattenuta per più di due ore. La signora Jacobs ignorava l’argomento della conversazione. Suo marito le aveva detto che si trattava dell’eventuale pubblicazione di alcuni racconti su una rivista. Ho cercato di farle definire l’epoca con maggior precisione, ma la signora Jacobs ha saputo dirmi soltanto che era stato nella primavera del cinquantasei. Suo marito non le aveva detto il nome della visitatrice. «

«La fotografia è stata riconosciuta senza dubbio possibile?» domandò Wolfe.

«La signora Jacobs era certissima. L’ha riconosciuta immediatamente. Ha detto che...»

«Mentite!» gridò Alice Porter. «Non sono mai stata da Simon Jacobs! Non l’ho mai visto in vita mia!»

«Verrà anche il vostro turno, signorina Porter» la placò Wolfe. «Basta così, Orrie. Signorina Corbett?»

Sally Corbett è una delle due ragazze che, un paio di anni fa, mi hanno indotto a pensare che il mio atteggiamento verso le donne poliziotto non fosse del tutto ragionevole. L’altra è Dol Bonner. Sono due tipi molto diversi, ma fanno voltare gli uomini per strada con pari entusiasmo, e sono anche due ottime investigatrici. Sally prese il posto di Orrie, diede uno sguardo al Capo, e a un suo cenno cominciò:

«Il mio compito era simile a quello del signor Cather. Solo che io dovevo occuparmi di Jane Ogilvy, anziché di Simon Jacobs. Non sono riuscita a vedere la madre di Jane fino a questo pomeriggio. Le ho mostrato la fotografia e le ho domandato se riconosceva la persona. Dopo un attento esame la signora ha detto di sì, che ne era sicura. Ha soggiunto che, più di due anni fa, la persona era andata a trovare sua figlia e che si erano ritirate nel chiostro. Dai giornali, saprete del piccolo edificio che Jane chiamava il chiostro. Di lì a mezz’ora, le due ragazze erano tornate alla villa, perché l’impianto di riscaldamento del chiostro non funzionava, ed erano salite in camera di Jane, dove si erano trattenute tre ore e più. La signora Ogilvy non aveva saputo il nome della persona, e non l’aveva più rivista. Collegando la cosa con altri avvenimenti, è stata in grado di dirmi che l’episodio era accaduto nel febbraio del cinquantasette. Ha soggiunto che senz’altro riconoscerebbe la persona, se la rivedesse.»

 

Mi voltai a guardare Alice Porter. Era seduta sull’orlo della sedia, rigida, tesa, con gli occhi semichiusi e le labbra strette. Fissava Wolfe come un falco, evidentemente ignara che tutti i presenti, me compreso, stavano fissando lei. Fred Durkin sostituì Sally, accanto alla scrivania direttoriale, ma lo sguardo di Alice Porter non abbandonò Wolfe, nemmeno quando Fred cominciò a parlare.

«Io dovevo occuparmi di Kenneth Rennert» attaccò Fred. «Ed era un bel guaio, perché, nel suo caso, non c’erano né vedove, né madri, da interrogare. Ho parlato con una ventina di persone: inquilini del palazzo, il portiere e alcuni amici, ma nessuno ha riconosciuto la fotografia. Finalmente, qualcuno mi ha accennato a un ristorante che Rennert frequentava spesso, il ”PotauFeu”, e lì ho pescato il cameriere che lo serviva sempre. Ha riconosciuto la persona perché l’aveva vista due volte con Rennert, una volta a pranzo e una volta a cena. Quel cameriere stava molto sulle sue. Con una ventina di dollari sarebbe diventato più comunicativo, ma la cosa era fuori questione. Naturalmente, il cameriere sapeva che Rennert era stato assassinato e siccome gli era simpatico, mi ha detto qualcosa, sperando che servisse a far arrestare l’assassino. Aveva visto la persona al principio della primavera, l’anno scorso. Non poteva identificare la foto con certezza, ma se avesse visto il soggetto in persona...»

«Basta così, Fred» l’interruppe il Capo. «Signor Panzer?» Mentre Saul dava il cambio a Fred, Wolfe disse, rivolto all’assemblea: «Devo spiegarvi che l’incarico del signor Panzer era di natura completamente diversa. È stato affidato a lui perché richiedeva una vera e propria violazione di domicilio. Saul?».

«Ieri sera, secondo le istruzioni, sono andato in macchina alla residenza della signorina Porter, arrivando a mezzanotte e dieci. Ho aperto la porta con una chiave dell’assortimento che avevo portato con me, sono entrato in casa ed ho compiuto una perquisizione.

Sullo scaffale di un armadio a muro, ho trovato un dattiloscritto di venticinque pagine. Il frontespizio diceva: Il destino bussa, di Alice Porter. Era l’originale, non una copia carbone. L’ho portato via e l’ho consegnato al signor Wolfe.»

Diede un’occhiata al Capo, che intervenne:

«Il manoscritto è ora in un cassetto della mia scrivania. L’ho letto. La trama e i personaggi sono identici a quelli del manoscritto di Il destino bussa, rinvenuto in un incartamento della Victory Press, ma mentre quest’ultimo era scritto nello stile consueto di Alice Porter (quello de La falena che mangiava noccioline per intenderci), il racconto trovato dal signor Panzer in casa della signorina Porter era scritto nello stile fittizio che la signorina Porter aveva usato per i tre racconti delle querele per plagio. La deduzione era ovvia: per il racconto che servì di base alla querela contro Amy Wynn, la signorina Porter aveva tentato entrambi gli stili, e poi aveva deciso, per chissà quale ragione, di servirsi di quello consueto. Che cos’altro avete trovato, Saul?»

«Nient’altro, in casa» proseguì Saul, guardando fisso Alice Porter. «Ma la signorina era andata a New York, col signor Goodwin, lasciando a casa la sua giardinetta e, sotto il sedile anteriore, avvolto in un giornale, ho trovato un coltello lungo una ventina di centimetri e largo quasi tre, con il manico nero. Ho consegnato anche quello al signor Wolfe che l’ha esaminato con...»

Saul balzò in avanti. Alice Porter era schizzata fuori dalla poltrona e si era lanciata contro Amy Wynn, con le mani artigliate. Io ero più vicino e l’afferrai per il braccio destro, un secondo prima che Saul l’afferrasse per il sinistro, ma le sue unghie avevano già lasciato un lungo binario sanguigno sulla guancia di Amy Wynn. Philip Harvey e Reuben Imhof erano chini sulla vittima, in atteggiamento sollecito e consolatorio. Alice Porter tentava di svincolarsi, ma Saul e io la tenevamo salda, per cui smise di contorcersi e cominciò a strillare:

«Sporca bugiarda! Vigliacca! Bugiarda! Vigliacca!»

«Voltatela verso di me» ordinò Wolfe, e Saul e io obbedimmo. «Siete impazzita?» domandò alla furia scatenata.

Nessuna risposta. Alice Porter ansimava.

«Perché avete assalito Amy Wynn? Non è stata lei a mettervi con le spalle al muro. Sono stato io.»

«Non sono con le spalle al muro. Dite a questi due di lasciarmi andare.»

«Vi dominerete?»

«Sì.»

Saul e io mollammo la presa, ma ci tenemmo fra lei ed Amy Wynn, spalleggiati da Harvey e Imhof. Alice Porter piantò gli occhi in faccia a Wolfe.

«Io non so se siete d’accordo con lei, ma vi giuro che ve ne pentirete. È una bugiarda, un’assassina, e crede di farmi pagare per lei, ma si sbaglia. E vi sbagliate anche voi. Non è vero niente, che io ho visto tutta quella gente. E se hanno trovato un manoscritto in casa mia e un coltello in macchina è stata lei, che ce li ha messi.»

«Volete dire che Amy Wynn ha ucciso Simon Jacobs, Jane Ogilvy e Kenneth Rennert?»

«Sì. E giuro al cielo, vorrei non averla mai incontrata. È una bugiarda, una traditrice, un’assassina, e io posso provarlo.»

«Come? «

«Non vi preoccupate. Vi dico che posso provarlo. Ho in mano la macchina con cui ha scritto Soltanto l’amore e so come ha fatto a far finire il manoscritto di quel racconto nel cassettone di Ellen Sturdevant. Ve lo ripeto: se siete d’accordo con lei, ve ne pentirete. E adesso me ne vado» tuonò, voltando le spalle a Wolfe.

Saul ed io non ci spostammo di un millimetro.

«Non sono d’accordo con lei, signorina Porter» disse Wolfe con voce tagliente. «Al contrario. Sono dalla vostra parte, entro certi limiti. Ora vi farò una domanda, e non c’è motivo che non mi rispondiate. Non è forse vero che avete scritto un resoconto dei vostri rapporti con la signorina Wynn, affidandolo poi a una persona di vostra fiducia, con l’ordine di aprire la busta solo nel caso che vi fosse accaduto qualcosa?»

Alice Porter fece tanto d’occhi e tornò a sedersi.

«Come fate a saperlo?»

«Non lo sapevo. L’avevo dedotto. Era il modo più semplice di spiegare come mai non eravate stata uccisa ed eravate tanto tranquilla. Dov’è quella lettera? Ormai potete dirmelo, dal momento che il suo contenuto non è più un segreto.»

«L’ha una certa signora Garvin. Ruth Garvin.»

«Benissimo.» Wolfe si appoggiò allo schienale della poltrona e trasse un profondo sospiro. «Avreste facilitato le cose, per voi e per me, se aveste detto la verità, ieri sera. Mi avreste risparmiato la fatica di montare tutta questa commedia, per costringervi a parlare. La signorina Wynn non ha nascosto in casa vostra né manoscritti né coltelli, e il signor Panzer non ha perquisito nulla. È rimasto alzato tutta la notte a comporre un racconto che corrispondesse, grosso modo, a quello che vi ha descritto, nel caso che fosse stato necessario mostrarvelo, per indurvi a dire quel che sapevate. E stamane, è andato a comprare un coltello col manico nero.»

Alice Porter sbarrò di nuovo gli occhi.

«Allora erano tutte bugie. E voi siete proprio d’accordo con lei!»

Wolfe tentennò il capo.

«Se pensate che io sia d’accordo con la signorina Wynn per far pagare a voi i suoi delitti, vi assicuro di no. Quanto ai miei agenti, non hanno detto l’ombra di una menzogna. Hanno semplicemente lasciato credere a tutti di aver mostrato in giro la vostra fotografia, mentre, in realtà, si trattava della fotografia di Amy Wynn. Oh, a proposito, adesso possiamo sentire la signorina Bonner. Non è necessario che vi alziate, signorina. Fateci un breve rapporto.»

Dol Bonner si schiarì la voce.

«Ho mostrato la fotografia di Amy Wynn alla direttrice della Collander House, la signora Ruth Garvin. Mi ha detto che Amy Wynn ha abitato nella sua casa albergo per tre mesi, nell’inverno cinquantaquattro cinquantacinque, e che Alice Porter ci abitava nello stesso periodo. Basta così?»

«Per il momento, sì.» Wolfe posò lo sguardo sul suo sestuplice cliente, il comitato.

«Credo che sia sufficiente. Ho stabilito con sicurezza il legame tra la signorina Wynn e ognuno dei suoi complici, e d’altro canto, avete sentito la signorina Porter. Se lo desiderate, io posso raccogliere le prove inoppugnabili per far condannare Amy Wynn come truffatrice, ma sarebbe fatica sprecata, poiché sarà processata e condannata per omicidio. Provvederà il Procuratore Distrettuale. Quanto a...»

Reuben Imhof esplose improvvisamente:

«Mio Dio, non posso crederci!» E si appellò ad Amy Wynn. «Ma dì qualcosa! Non stare lì, con quell’aria inebetita! Per l’amor del cielo, Amy, dì qualcosa!»

Amy Wynn non badò a Reuben Imhof. Probabilmente non l’udì nemmeno. Aveva gli occhi fissi su Wolfe e muoveva le labbra, senza che ne uscisse alcun suono.

Mortimer Oshin si alzò, andò al tavolo, si versò una tripla dose di cognac e lo buttò giù d’un fiato. Amy Wynn si rivolse a Wolfe con voce così roca che la si udiva appena.

«Lo sapevate dal primo giorno, dalla prima volta che siamo venuti qui, vero?»

«No, signorina. Non sono un veggente.»

«Quando l’avete saputo?» Amy Wynn pareva in trance.

«Ieri sera. Alice Porter, senza rendersene conto, mi ha dato un indizio. Quando le ho dimostrato che la sua posizione era insostenibile e le ho detto che vi avrei consigliato di denunziarla immediatamente, è rimasta tranquillissima, anzi, mi ha risposto che voi non avreste osare fare una cosa simile, ma quando ho soggiunto che avrei consigliato anche al signor Imhof di ricorrere alla legge, contro di lei, si è subito allarmata. Questo era altamente indicativo. L’ho mandata a casa, poco dopo, e mi sono affrettato a fare una cosa che avrei dovuto aver fatto da tempo: ho letto il vostro libro, «Bussate alla mia porta», o almeno ne ho letto abbastanza per convincermi che eravate voi l’autrice dei primi tre racconti. Il vostro stile lo dimostrava senza possibilità di dubbio.»

«Io avrei giurato che avevate capito tutto anche prima» insisté lei. «Avevo paura che aveste letto il libro. L’ho temuto da quando ci avete detto che avevate analizzato lo stile dei tre racconti. E stato allora, che ho capito di essere stata una sciocca a non cercare di alterare il mio modo di scrivere. Ma, vedete, ero convinta che solo i bravi scrittori avessero uno stile. È stato questo, il mio grande errore, vero?»

«Una svista, forse. Ma, tutto sommato, signorina Wynn, direi che non avete commesso nessun errore.»

«Ma certo, che ne ho commessi.» Amy Wynn era mitemente indignata. «Voi cercate di consolarmi. Ma io non ho fatto che sbagliare, per tutta la vita. Il mio grande errore è stato di voler diventare una scrittrice. Ma ero così giovane, allora... Vi dispiace se ne parlo?»

«Fate pure, ma ci sono altre dodici persone che ascoltano.»

«È a voi, che voglio parlare. L’ho desiderato da quando sono venuta qui la prima volta. Se ne avessi trovato il coraggio, non sarei stata costretta a fare... quello che ho fatto. Certo, non immaginavo di sentirvi dire che non avevo commesso nessun errore. Tuttavia... non avrei dovuto parlare di voi ad Alice. L’avete detto poco fa, che vi ha dato un indizio. Ma avevo commesso un errore ancora più grave, prima, quando lei mi ha accusata di plagio, servendosi del mio stesso sistema. Naturalmente, era una specie di giustizia divina. So che me lo meritavo. Ma dopo tanti anni, quando, finalmente, un mio libro aveva successo, si vendeva come il pane ed era arrivato al terzo posto nella lista dei best-sellers... proprio allora il mio avvocato ha ricevuto quella lettera da Alice, e io ho perso la testa. È stato un errore terribile. Avrei dovuto dirle che non le davo neanche un soldo, sfidarla a denunziarmi. Ma ero spaventata e ho ceduto. Non è stato un errore?»

«Non madornale» replicò Wolfe. «La signorina Porter aveva il coltello per il manico, specialmente da quando si è trovato il manoscritto del racconto, nell’archivio della Victory Press.»

«Ma anche quello è stato uno strascico del medesimo errore iniziale... Sono stata io a mettere là il manoscritto. Alice aveva minacciato di vuotare il sacco, se non l’avessi fatto, e naturalmente...»

«Signore Iddio...» Reuben Imhof diede un gemito e afferrò la ragazza per un braccio. «Amy, guardami. Accidenti, guardami! Sei stata tu a mettere quel manoscritto nell’archivio?»

«Mi fai male al braccio!» si lamentò lei.

«Guardami! Sei stata tu?»

«Sto parlando col signor Wolfe.»

«Incredibile!» Imhof gemette di nuovo e lasciò il braccio di Amy Wynn. «Assolutamente incredibile.»

«Dicevate, signorina Wynn?» intervenne Wolfe.

«Alice mi comunicò di avere scritto tutto in una lettera, da aprirsi se fosse morta. Io non mi ero resa conto del pericolo che costituiva la macchina da scrivere sulla quale avevo battuto Soltanto l’amore. Anzi, mi era parsa una buona idea lasciarla a lei, dato che, ufficialmente, aveva scritto il racconto, e non pensavo che potessero risalire fino a me che l’avevo comprata. Ma le macchine da scrivere hanno un numero, da qualche parte. Avanti, perché continuate a sostenere che non ho commesso errori? Dovreste dire, piuttosto, che non ne ho imbroccata una giusta!»

«Ci vorrebbero ore per elencare tutto quello che avete fatto con suprema abilità, signorina Wynn. La concezione e l’esecuzione delle vostre truffe è stata impeccabile. La scelta dei complici, ammirevole. Il vostro modo di fronteggiare la situazione, nelle ultime due settimane, è stato superbo. Ho una notevole esperienza in fatto di persone che fingono sotto la pressione degli eventi, ma non ho mai visto nessuno recitare come voi. Dal primo giorno, qui, all’intervento durante il consiglio dell’ANSED, siete stata straordinaria.» Wolfe compì un breve gesto caratteristico con una mano: voltò la palma all’insù. «In un’occasione, in particolare, avete dimostrato un acume straordinario : venerdì, cinque giorni fa, quando la signorina Porter è venuta a trovarvi. Ormai, la signorina Porter vi teneva sospesa sul capo una minaccia ben più grave che non un’accusa di estorsione: cioè, un’accusa di assassinio. Non è così?»

«Sì, per questo è venuta da me. E in che senso, avrei dimostrato dell’acume?»

«Il signor Imhof vi ha definita con la parola giusta, signorina: incredibile. A quanto pare, voi avete compiuto prodigi di sagacia senza rendervene conto. Probabilmente, le vostre facoltà eccezionali operano al livello dell’inconscio. Quando la signorina Porter è venuta a casa vostra, venerdì, vi ha detto di essere stata seguita?»

«No, ma temevo che potessero tenerla d’occhio.»

«È ancora meglio di quanto io non pensassi. Così, voi avete telefonato al signor Imhof dicendogli che la signorina Porter era venuta a offrirvi una transazione, e avete chiesto il suo consiglio. Un lampo di genio. Non ne convenite?»

«Ma no!» Amy Wynn parlava terribilmente sul serio. «Quello è stato semplice buon senso.»

Wolfe tentennò di nuovo il capo.

«Siete oltre i confini delle mie facoltà. Come abbiate fatto a commettere i tre delitti quasi perfetti, mentre dovevate essere sull’orlo del panico, io proprio non lo capisco. Vorrei suggerirvi una cosa. Chiedete al procuratore distrettuale di far consegnare il vostro cervello a una commissione di scienziati. Lo farete? Ne parlerò io stesso all’ispettore Cramer.»

Cora Ballard emise un gemito. Era il primo segno di vita che venisse da uno dei nostri clienti, escluso Imhof, dopo il rapporto di Dol Bonner. Ma gli altri non la degnarono d’uno sguardo. Tutti fissavano Amy Wynn.

«Lo dite per consolarmi» ripetè la ragazza. «Se fossi stata intelligente, tutto questo non sarebbe accaduto. Non ho commesso altro che errori...»

«Forse ne avete commesso uno. Avreste dovuto impedire che mi assumessero. Non sto facendo lo sbruffone. Penso soltanto che difficilmente un altro avrebbe saputo districare la verità dalla combinazione delle brillanti manovre che avevate ordito. Bene. Volevate parlare e vi abbiamo ascoltata. Avete altro da dire?»

«No, nient’altro. Ma ora, ho qualcosa da fare, prima... prima di...» Amy Wynn si incamminò verso l’uscita. Cos’avevano detto? Che era incredibile? Eccome, lo era. Mi sembrava di essere incollato alla sedia. Amy Wynn passò lentamente davanti a Philip Harvey, a Cora Ballard e a Mortimer Oshin. Solo a due passi dalla porta, si trovò il cammino sbarrato da Saul, Fred e Orrie. Allora, si voltò a guardare Wolfe. Non disse una parola. Ma lo guardò a lungo.

«Chiamate il signor Cramer, Archie» mi ordinò Wolfe.

Mentre mi voltavo, per sollevare il ricevitore, Cora Ballard gemette di nuovo, più forte.

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FINE

Revisione e ipertesto di Bandinotto (marzo2014)

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