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Thomas Dexter della Title House raddrizzò le spalle e strinse le mascelle.

«Non m’importa di come la vedete voi, signor Harvey» dichiarò. «So come la vedo io. Io non condanno il signor Wolfe, né questo comitato e nemmeno me stesso, ma provo un forte senso di colpa. Mi considero colpevole d’istigazione all’omicidio. Istigazione involontaria, siamo d’accordo, però a che cosa mi è servito il cervello? Avrei dovuto valutare le conseguenze dell’impegno a non perseguire legalmente Simon Jacobs.»

Era il giorno dopo, mercoledì. Se ne avete abbastanza di sedute del comitato, figuratevi Wolfe e il sottoscritto! Non vi dico, poi, lo stato d’animo in cui erano i vari componenti del comitato. Due ore dopo il mio colloquio con Purley, erano stati visitati dai criminologi municipali. Knapp era stato strappato a una partita di bridge. Oshin aveva dovuto interrompere una cena da ”Sardi”. Imhof e Amy Wynn erano stati costretti ad abbandonare una seduta con tre alti papaveri della Victory Press. Dexter, Harvey e Cora Ballard si erano visti invadere l’intimità domestica.

Harvey aveva proclamato a gran voce questi strazianti particolari, affinché Wolfe si rendesse conto della gravita della situazione.

Erano arrivati alle undici e tiravano avanti da un’ora, con voci sferzanti e parole brucianti, senza mai raggiungere l’unanimità. Ad esempio: accettavano l’ipotesi che Jacobs fosse stato ucciso per impedire che parlasse? Knapp e Harvey dicevano di no, che poteva trattarsi di una coincidenza. Dexter e Oshin dicevano di sì, che non potevano liberarsi delle loro responsabilità dando la colpa al caso. Imhof, Amy Wynn e Cora Ballard erano incerti. Wolfe mise termine alla discussione, dichiarando che non gli importava niente se loro accettavano l’ipotesi o no: la polizia l’aveva avanzata, e lui l’accettava come punto di partenza per le sue indagini.

Naturalmente, questo tirava in ballo una questione molto più spinosa. Se Jacobs era stato ucciso per impedire che rivelasse chi aveva scritto Attesa e chi l’aveva, precedentemente, indotto a querelare Richard Echols, l’assassino doveva essere a conoscenza del nostro stratagemma. Chi gliene aveva parlato? Era questo che i poliziotti avevano cercato di sapere dagli oltraggiati componenti il comitato, era questo che Wolfe voleva sapere, ed ecco quanto riuscirono ad appurare:

 

Amy Wynn ne aveva parlato con due amici, un uomo e una donna, con cui aveva cenato il lunedì sera. Cora Ballard ne aveva parlato con il presidente e con il vicepresidente dell’ANSED, e poi, con due componenti il consiglio. Mortimer Oshin ne aveva parlato col suo legale, col suo agente, col suo produttore e con sua moglie. Gerald Knapp l’aveva detto al suo avvocato e a due colleghi. Reuben Imhof a tre funzionari della Victory. Philip Harvey non l’aveva detto a nessuno, a sentir lui. Thomas Dexter aveva cantato con la sua segretaria, col suo avvocato e con sei consiglieri della Title House. Così, contando il comitato nostro cliente, Wolfe e me, trentatré persone erano al corrente della faccenda. Supponendo che ciascuno avesse confidato la cosa a un’altra persona, si arrivava a un totale di sessantasei. E supponendo... Be’, continuate voi.

Altro problema. Che cosa doveva fare, adesso, il comitato? Secondo Gerald Knapp non doveva far niente. Bisognava aspettare gli eventi. La cosa poteva presentare aspetti spiacevoli, ma bisognava riconoscere, insisteva il biondissimo, che al confronto delle risorse della polizia, le risorse del comitato erano pressoché nulle. Quindi, tanto valeva far girare i pollici. Philip Harvey era d’accordo, probabilmente perché si era dovuto alzare prima di mezzogiorno, per la terza volta in nove giorni, e voleva rifarsi del sonno perduto. Amy Wynn supponeva che non ci fosse niente di male a stare a vedere che cos’avrebbe fatto la polizia, e Cora Ballard pensava che si dovesse riunire al più presto in seduta plenaria il consiglio direttivo dell’ANSED per decidere il da farsi.

Viceversa, Thomas Dexter e Mortimer Oshin non la vedevano così, e tanto meno Reuben Imhof. Loro sostenevano con forza che Wolfe doveva continuare, ma ciascuno per ragioni diverse. Secondo Imhof, chissà quanto ci avrebbe messo la polizia a scoprire il plagiario, se mai l’avesse trovato, e, in ogni caso, l’avrebbe fatto suscitando uno scalpore disastroso per scrittori ed editori. Il punto di vista di Oshin era molto più personale: lui aveva stanziato diecimila dollari per arginare l’azione di Kenneth Rennert, e voleva che Wolfe procedesse, con o senza la benedizione del comitato. Il punto di vista di Dexter era ancora più personale, come avrete visto dal suo discorso ad Harvey. Lui si considerava un istigatore all’omicidio. Evidentemente, era provvisto di una coscienza piuttosto antiquata. Proseguì poi dicendo che non si poteva scaricare la responsabilità sulla polizia : lui voleva che Wolfe facesse il fattibile, e avrebbe pagato tutto il necessario. Non soggiunse nemmeno «entro i limiti del ragionevole».

Concluse proponendo una mozione, e il presidente chiese che si votasse per alzata di mano. Tre mani si alzarono immediatamente: quelle di Dexter, di Imhof e di Oshin. Poi quella di Amy Wynn, con scarso entusiasmo. Cora Ballard dichiarò che, non facendo parte del comitato, non aveva diritto di voto e Gerald Knapp insisté perché si mettesse a verbale che lui votava contro.

«Anche se il presidente potesse votare, saremmo sempre quattro contro due» osservò Harvey, e si rivolse a Wolfe. «Quindi, procedete. L’ultima volta, avete fatto assassinare un uomo. E adesso?»

«L’idea era stata mia ma il voto fu unanime!» protestò Mortimer Oshin.

Harvey l’ignorò.

«E allora?» ripeté, rivolgendosi a Wolfe.

Wolfe si schiarì leggermente la gola.

«Sono stato due volte babbeo» dichiarò.

Tutti fecero tanto d’occhi, e lui annuì.

«Innanzitutto, non avrei dovuto accettare un comitato come cliente. È stata una monumentale imbecillità. In secondo luogo, non avrei dovuto prestarmi ad adescare un mio simile. Questa, è stata una deplorevole leggerezza. Essendo entrato a far parte d’una congiura che, ovviamente, poteva mettere in pericolo la vita d’un uomo, avrei dovuto calcolare che tutti voi ne eravate al corrente e che, presto, altri l’avrebbero saputo. Sono stato un babbeo, a non prendere precauzioni. Dovevo far proteggere il signor Jacobs. Tanto più che non consideravo affatto impossibile che la sporca figura che mi ero impegnato a mascherare fosse uno di voi.»

«Fuoco, fuochino...» rise Harvey.

«Potreste essere benissimo voi, quanto a questo, signor Harvey. I vostri libri sono ottimi, ma, forse proprio per questo, il più fortunato ha raggiunto a stento le novemila copie. Non dovreste essere insensibile alla tentazione. Perciò, sebbene io non condivida il senso di colpa del signor Dexter, sono profondamente consapevole di essere stato maldestro. Senza il mio errore Mr. Jacobs sarebbe vivo e noi avremmo il nostro uomo. È stato stabilito che avreste interrotto il mio incarico quando avreste voluto e io vi invito a farlo ora.»

Tre di loro dissero di no – Oshin, Imhof e Dexter. Gli altri non dissero nulla. Wolfe chiese al Presidente «Volete metterlo ai voti, Mr. Harvey?»

«No» rispose Harvey. «Sarebbe di nuovo quattro a uno.» «Sarebbe unanime» disse Gerald Knapp «Non suggerirei di terminare l’incarico».

Wolfe grugnì. «Benissimo. Voglio dirvi che anche se voi decideste il contrario, io non mi ritirerò. Ho una faccenda da sistemare – con me stesso. Ho danneggiato la mia autostima e intendo riparare. Voglio scoprire l’assassino di Simon Jacobs, prima della polizia se possibile, e probabilmente ciò risolverà anche il vostro problema. Lo farò comunque, ma se agirò dietro vostro incarico, lo farò con le mani libere. Non voglio dirvi ciò che intendo fare. Se qualcuno di voi mi fornirà un suggerimento pubblico, come ha fatto Mr. Oshin, io lo rifiuterò indipendentemente dalla sua bontà. Anche se non posso basarmi sulla vostra discrezione, voi dovrete basarvi sulla mia.».

«Ci sarebbero molte cose da chiarire» disse Knapp.

«No. Non c’è niente da chiarire. Vi sto solo avvertendo. Se vi dicessi di fare qualcosa e ne facessi un’altra, io sarei ancora da voi incaricato. Dovete fidarvi della mia onestà e del mio giudizio in qualunque circostanza, oppure sciogliere il mandato.»

«Che diavolo» disse Oshin «avete avuto i miei diecimila, andate avanti e usateli.» Guardò il suo orologio e si alzò. «Sono in ritardo per un appuntamento».

L’incontro terminò alle 12:48 senza ulteriori istanze. Thomas Dexter restò per scambiare due parole con Wolfe, non per dare un suggerimento privato ma per ripetere che si sentiva personalmente responsabile e che avrebbe contribuito con ogni importo necessario. Questa volta aggiunse però «ragionevolmente». È bello avere una coscienza ma non devi lasciarla libera di fare ciò che vuole.

Quando Dexter andò via, Wolfe si chinò all’indietro e chiuse gli occhi. Io rimisi le sedie a posto, mi consentii una buon stiracchiata, andai in cucina e bevvi un bicchiere d’acqua, e ritornai. Mi fermai a guardarlo.

«Mi chiedevo» dissi «sono incluso anche io?»

«In cosa?» mi rispose senza aprire gli occhi.

«Tra coloro che non devono sapere nulla Non sarò di molto aiuto se vi rifiutate di dirmi cosa intendete fare.»

«Pfui»

«Lieto di sentirlo. Vorrei dire che anch’io ho un po’ di autostima, ovviamente non quanto la vostra, e vuole considerazione. Ieri Purley Stebbins mi ha chiesto, testualmente «Perché diavolo avete incastrato così quel tizio e ora vi aspettate di ritrovarlo intero? Questa è stata la prima volta che un poliziotto mi ha chiesto qualcosa cui non potevo rispondere. Se gli avessi detto perché voi siete un babbeo e così anch’io, avrebbe voluto includerlo nel mio verbale.» Lui grugnì. Non aveva aperto gli occhi. «Così andiamo avanti» dissi «Il pranzo è quasi pronto e gli affari non sono permessi a tavola, e Voi dovete far riposare il cervello durante la digestione, per cui dovete darmi istruzioni adesso. Da dove cominciamo?» «Non ne ho idea.»

«Sarebbe un buon piano averne una, poiché intendete anticipare la polizia. Suppongo che potrei chiamare i membri del comitato separatamente e chiedere suggerimenti»

«Silenzio!» Così tornammo alla normalità.

 

Quando Wolfe salì sulla serra alle quattro ancora non avevo istruzioni, ma non mi stavo mangiando le unghie. Durante l’ora e mezza trascorsa dal pranzo lui aveva preso il libro che stava leggendo quattro volte, letto un paragrafo, e lo aveva di nuovo riposto; aveva acceso la televisione tre volte e l’aveva spenta; aveva contato i tappi di bottiglia nel cassetto della sua scrivania due volte; si era alzato e camminato fino al mappamondo e passato dieci minuti a studiare geografia. Così poiché stava lavorando sodo, non c’era motivo di punzecchiarlo.

Trascorsi un’ora di tempo confrontando il dattiloscritto di ”La fortuna bussa alla porta” di Alice Porter con ”C’è solo amore”, ancora di Alice Porter, e ”Ciò che è mio è tuo”, di Simon Jacobs. Nessun paio sulla stessa macchina. Rilessi il mio verbale dato a Purley Stebbins, non trovando nulla da correggere. Rilessi il pezzo sull’omicidio del Times del mattino, e quando arrivò la Gazette, intorno alle quattro e mezzo, la lessi. Il Times non menzionava il plagio o l’ANSED o l’ERA. La Gazette aveva un paragrafo sull’accusa di plagio di Jacobs contro Richard Echols nel 1956, ma non c’era alcun cenno a un collegamento con la sua morte. Mi stavo chiedendo perché Lon Cohen non aveva chiamato quando squillò il telefono ed era lui. Mi espose la sua tesi: io avevo chiamato nove giorni fa per chiedergli sull’ANSED e sull’ERA. Simon Jacobs, ammazzato lunedì notte, era un membro dell’ANSED. Martedì sera io ero arrivato alla Omicidi Ovest sulla ventesima strada con il Sergente Stebbins, che stava lavorando al caso Jacobs, e c’ero rimasto quattro ore. Voleva pertanto chiedermi immediatamente perché avevo chiesto dell’ANSED, chi era il cliente di Wolfe, chi ha ucciso Jacobs e perché, con tutti i dettagli rilevanti che il pubblico ha il diritto di conoscere. Gli dissi che lo avrei chiamato non appena avessi avuto qualcosa da mandare in stampa, probabilmente entro due mesi, e che sarei stato contento di mandargli una mia foto scattata di recente che il pubblico ha il diritto di vedere.

Ci fu un’altra telefonata, di Cora Ballard, la segretaria esecutiva. Disse di essere preoccupata della decisione del comitato di far andare avanti Nero Wolfe con le mani libere. Lei apprezzava il fatto che un detective privato non potrebbe dire a un gruppo di persone cosa sta facendo o sta per fare, ma il comitato non ha autorità di ingaggiare un detective per indagare su un omicidio, e naturalmente era preoccupata. Non è facile riunire in breve tempo una larga presenza nel consiglio dell’ANSED, ma lei avrebbe potuto riuscirci per lunedì o martedì della prossima settimana, e vorrebbe chiedere a Mr. Wolfe di non intraprendere passi importanti fino ad allora? Lei temeva che se lui fosse andato avanti facendo qualcosa di drastico lo avrebbe fatto senza alcuna autorità, e lei pensava che lui doveva esserne portato a conoscenza. Le dissi che lo pensavo anch’io e che glielo avrei riferito. Non c’è bisogno di essere sgarbato quando puoi terminare una conversazione rapidamente comportandoti diplomaticamente.

 

Alle sei, mentre ascoltavo il giornale radio, il Grande Capo scese dalla serra con un mazzo di Phalaenopsis e le dispose in un vaso, sulla sua scrivania. Era l’unico lavoro pesante che compisse in casa, e lo lasciai fare. Un po’ di ginnastica gli giovava. Quando ebbe terminato, chiusi la radio e dichiarai:

«Niente notizie, sul caso dei plagi. Se la polizia sa qualcosa, tiene il becco chiuso. Penso...»

Fui interrotto da una scampanellata imperiosa. Uscii nell’atrio e sbirciai fuori, attraverso il vetro della porta, che è trasparente da una parte sola. Mi bastò un’occhiata.

Rientrai in ufficio e annunciai a Wolfe:

«Cramer.»

Lui fece una smorfia.

«Solo?»

«Sì.»

Un profondo sospiro.

«Fatelo entrare.»

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