9
Sabato, ore 22:25. I quattro uomini salirono lo scalone della Centrale, separandosi, di quando in quando, per lasciar scendere la gente. Entrati nell’atrio affollato, si riunirono, tra l’andirivieni della gente e si guardarono attorno. L’agente alla scrivania delle «Informazioni» scorse Clancy e lo chiamò.
— Tenente, cercate il capitano Wise?
Clancy gli si avvicinò sorpreso. — Il capitano Wise? Che fa qui? Supponevo fosse a letto… malato.
L’agente si strinse nelle spalle. — È venuto poco fa. È nell’ufficio dell’ispettore Clayton.
— Sarà meglio che lo veda, allora — disse senza entusiasmo Clancy. -— Kap, va‘ alla telescrivente e aspetta quella foto. Portamela nell’ufficio dell’ispettore Clayton.
— Quando arriverà, tenente?
Clancy lo fulminò con gli occhi.
Tutta la stanchezza, il disappunto, la frustrazione che erano in lui, sembrarono ribollire. — Arriverà quando arriverà — esplose. — In nome del Cielo perché non impari a eseguire gli ordini senza far mille domande?
Kaproski dilatò gli occhi, mortificato. — Lo stavo solo chiedendo, tenente.
Clancy si passò la mano sul volto. — Mi dispiace, Kap. Non ho il diritto di parlarti in questo modo. Ti sei dato da fare, per questo caso, quanto me e hai fatto un lavoro molto migliore del mio. Devi scusarmi. Ho i nervi a fior di pelle.
Il volto di Kaproski si addolcì. — Non importa, tenente. Siete stanco, ecco tutto.
Clancy guardò il suo faccione pieno di premura.
— E tu allora? Sei stato su, quanto me, probabilmente anche di più.
— Io? Sono un solido polacco — sogghignò Kaproski. — Aspetterò la telefoto, tenente.
Si allontanò nell’atrio, a grandi passi, scansando agilmente la gente, con le spalle un po‘ erette per le parole di Clancy. Il dottor Freeman guardò curiosamente il tenente.
— Siete un tipo strano, Clancy.
— Buffo — convenne lui.
— Non intendevo per Kaproski. Perché volete vedere Sam Wise? — Tentennò il capo. — Non avete giocato abbastanza a guardie e ladri oggi? Se Sam è con l’ispettore, andate solo in cerca di guai, entrando là dentro. Perché non diciamo a Kaproski di portare la foto nel piccolo ristorante italiano, qui accanto? Almeno così potremmo mangiare qualcosa, mentre aspettiamo.
— Certo — fu d’accordo Stanton. — È un’idea, tenente.
— Andate avanti voi due — disse Clancy. — Io non ho fame. Devo proprio vedere il capitano.
— Perché? — insistette il medico. — Ditemi il motivo.
Clancy fissò la figura grassoccia.
— Sentite, dottore. Apprezzo ciò che credete di fare per me, ma se volete veramente farmi un favore, andate a casa. Non fatemi da mamma. Lasciatemi in pace.
— Pazzo — borbottò il dottore.
— Va bene, Stanton. Andiamo a mangiare. Hai sentito il tenente?
Stanton esitò e poi scosse il capo mestamente. — Andate voi, dottore. Io rimango con il tenente.
— Accidenti! — sbottò disgustato il dottor Freeman. — È così toccante da far vomitare. — Sospirò.
— Sta bene, Clancy, andate dal capitano Wise se volete proprio rovinarvi. Vi aspetteremo qui.
Un lievissimo sorriso allentò i tratti di Clancy. — C’è una panca fuori dall’ufficio dell’ispettore. Potete sedervi là.
— Ottima idea — disse con soddisfazione il dottor Freeman. — Quando avrete finito, andrò dentro io e racconterò tutto a Sam Wise. Servirà a spedirvi a casa.
Stanton sospirò profondamente e il dottor Freeman lo guardò.
— Rilassati. Non dirò niente a nessuno. Se avessi buon senso, lo farei, ma se avessi buon senso non sarei qui, anzitutto. Ebbene, Clancy, che cosa aspettate. Muoio di fame, e so benissimo che non mangeremo finché non avrete visto il capitano.
— Vado. — Clancy sorridendo imboccò il corridoio, seguito dagli altri due. Davanti alla porta dell’ufficio dell’ispettore, esitò un attimo, poi scrollate, fatalisticamente, le spalle, girò il pomolo. Entrò e richiuse adagio la porta dietro di sé. Il capitano Wise e l’ispettore Clayton alzarono il capo, sorpresi. Erano seduti uno dirimpetto all’altro e curvi sulla scrivania. Entrambi, alla vista di Clancy, si appoggiarono allo schienale come colti in flagrante. Il capitano Wise si girò.
— Clancy! Che cosa fai qui a quest’ora? Sei venuto a confessarti? — Nella sua voce si sentiva l’affetto, ma insolitamente anche un certo nervosismo.
— Sono venuto a sedermi. — Clancy si lasciò cadere su una sedia presso la parete, con un accenno di saluto all’ispettore, che lo ricambiò in silenzio, osservando con occhi vivaci la scena. L’ispettore aveva da tempo trovato che il miglior modo di agire con i subalterni bravi e fidati era di lasciarli fare.
Clancy soffocò uno sbadiglio. — Sto aspettando una telefoto e ho sentito che eravate qui… — Scrutò, attraverso gli occhi socchiusi, il volto solenne dell’ispettore, e poi tornò a guardare il capitano. — Una domanda più giusta sarebbe, cosa fai tu qui? Pensavo che tu fossi a letto ammalato.
— A letto malato? Con un pazzo irlandese in libertà nel Cinquantaduesimo Distretto? — Il capitano Wise cercò d’avere un tono scherzoso, ma i suoi occhi ansiosi rivelavano la preoccupazione. Prese di tasca una pipa e cominciò a succhiarla rumorosamente, senza accenderla.
— Sei una maledizione del Cielo, Clancy. Come va?
Clancy chiuse gli occhi. — Malissimo.
Il capitano Wise parve irrigidirsi leggermente.
— Che cosa avete in mente, Clancy? — Entrò in scena l’ispettore Clayton.
— Andare in pensione — disse sommessamente Clancy, aprendo gli occhi e fissando la parete spoglia che aveva di fronte. — Un piccolo torrente di montagna, per pescare, una casetta con il tetto di paglia e rose rampicanti sulla dannata porta…
-— Sciocchezze! — La brusca esclamazione di Sam Wise fu seguita da un sospiro di rammarico. — E va bene, Clancy. Prenditela con me. Urla pure, ma, credimi, ho fatto quello che ho potuto…
— Prendermela con te? — Clancy si riscosse dalla sua visione e si drizzò sulla sedia. — Perché dovrei prendermela con te?
— Ho fatto quello che ho potuto — ripetè Wise a voce bassa, cercando, con gli occhi una conferma da parte del suo superiore. — Domandalo all’ispettore. Ma sono solo un capitano, capisci, non il gran Capo.
— Ne ringrazio il Cielo — mormorò Clancy e poi sorrise, evitando lo sguardo dell’ispettore. — No, non è vero. Magari, tu fossi il nostro Capo, Sam. Su, forza, che cosa vuoi dire?
— Chalmers non ti ha trovato?
Gli occhi di Clancy fissarono prima l’uno poi l’altro. — Chalmers? No.
— A che ora sei uscito dal Distretto?
— Circa venti minuti fa. Forse anche di più. Il traffico era bestiale. Perché?
— L’hai schivato per un pelo, allora. — Lo guardò, con una cert'aria compassionevole. — Ha un’ingiunzione…
Clancy si drizzò a sedere. Nei suoi occhi scuri cominciò ad addensarsi la burrasca. — Un’ingiunzione? Per che cosa?
— Per la consegna della salma di Johnny Rossi. — I loro occhi s’incrociarono. — Dove l’hai nascosto, Clancy?
Ti avevo chiesto ventiquattro ore. Pensavo che tu fossi mio amico!
— Sono tuo amico. Sei troppo stanco e non riesci a riflettere. Ho detto di aver fatto quello che potevo, ed è così. Ma sono solo un capitano. — Scrollò le spalle. — Tu non mi hai nemmeno accennato quello che stava succedendo. Non ti sei messo in contatto con me, una sola volta, in tutto il giorno. Avresti potuto telefonarmi a casa, lo sapevi… Non mi hai dato munizioni.
— Munizioni? — Clancy sorrise freddamente. — Non ne avevo. — Sam Wise sostenne il suo sguardo un attimo, poi i suoi occhi si abbassarono. — Che altro c’è, Sam?
Il capitano deglutì. — Chalmers dice che ti accuserà di negligenza e di aver ostacolato la giustizia. Al telefono, sembrava sicuro del fatto suo, dopo aver ottenuto quell’ingiunzione.
— Che buffonata! — esclamò Clancy disgustato. — Se non fosse stato per Chalmers, le cose sarebbero andate in modo del tutto diverso, sin dal principio. — Scosse il capo sconsolatamente. — Be‘, suppongo che sia troppo tardi per occuparsi di questo, ora.
— Clancy, Clancy! — Sam Wise si protese verso di lui. — Perché non lo precediamo? Dillo a noi, dove hai nascosto quell’uomo, e perché. Rivelaci quello che hai scoperto. Agiremo con il maggior numero di uomini possibile. — I suoi occhi cercarono conferma in quelli dell’ispettore, che annuì silenziosamente.
Clancy fissò i due uomini. — Ho scoperto tante cose, che ci vorrebbe tutta la sera per riferirle. E nessuna di esse ha significato.
— Prova! — esclamò il capitano Wise, in tono implorante. — Deve esserci una spiegazione. Perché non hai fiducia in noi, Clancy? È il solo modo per salvare la tua testa.
— Penso proprio che dovrò parlare. — Clancy sorrise. — Ma non salverò la mia testa.
— Vedremo. Perché non cominci… be‘, dalla foto che stai aspettando dalla telescrivente?
— La foto? — Clancy scosse il capo. — Non significa niente. Dovrebbe servire a confermare l’identificazione di una persona che siamo quasi sicuri di aver già identificato. Un’altra pagliuzza alla quale mi sono aggrappato, ecco tutto.
Bussarono alla porta, Stanton mise dentro la testa.
— Chalmers è nell’atrio, tenente — disse in fretta.
Fu spinto da una parte. L’inappuntabile vice-procuratore distrettuale fissò dalla soglia gli astanti, con un gelido sorriso di trionfo, sulle labbra sottili. Si girò e chiuse la porta in faccia a Stanton.
— Eccomi, signori — disse mellifluo.
— Prego, accomodatevi. — Clancy additava la sedia al suo fianco.
— Rimango in piedi, se non vi dispiace — esclamò Chalmers ripetendo, con ostentazione, le parole dette da Clancy, il giorno prima. S’infilò la mano in tasca e tirò fuori un foglio protocollo. I suoi occhi azzurri erano freddi. — Per quanto tempo ancora credevate di potermi evitare, tenente?
Clancy, senza curarsi di rispondere alla domanda, guardò il foglio che quello teneva in mano. — È per me?
Il sorriso continuava ad aleggiare sulle labbra di Chalmers. — Sì, tenente, è per voi. È una ingiunzione…
— So di che cosa si tratta — disse deciso Clancy. — Considerate pure l’ingiunzione notificata. — Gli prese il foglio di mano e se lo cacciò in tasca, senza guardarlo. Il sorrisetto gelido di Chalmers sbiadì, immediatamente.
— Allora, tenente?
— Allora che cosa?
— Vi conformerete all’ingiunzione o no?
— Mi conformerò all’ingiunzione. Ora sto riposandomi. Ho avuto una giornata faticosa e sono stanco. Perché non vi sedete, signor Chalmers?
L’altro lo fulminò con un’occhiata. — Ascoltatemi bene, tenente. Siete già abbastanza nei guai senza bisogno di menare il can per l’aia.
— Non ci penso nemmeno. Sono semplicemente stanco. — Clancy fece un lungo sbadiglio a prova della sua asserzione e guardò l’orologio da polso, senza vederlo. — In ogni caso penso che non cambi niente, ora…
Bussarono di nuovo alla porta e Kaproski si affacciò.
— La foto, tenente. — Porse a Clancy alcune carte, con aria impacciata, accorgendosi di aver interrotto una riunione. — C’è anche un messaggio.
— Grazie.
Kaproski diede uno sguardo agli astanti e uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Chalmers si sporse in avanti, con sussiego. — Che cos’è?
— Lo saprete presto. — Clancy, senza fretta, diede un’occhiata al messaggio che accompagnava la telefoto.
«Nessuno in casa Renick. È l’unica fotografia che siamo riusciti a procurarci, imprestata dai vicini. È una foto del rinfresco di nozze. Domani cercherò di avere un ritratto vero e proprio. Indagheremo sugli altri dettagli e v’informeremo al più presto. Martin.»
Scrollando le spalle, Clancy si mise in tasca il biglietto e guardò la fotografia. Essa mostrava, in una grande sala, una tavola apparecchiata e infiorata. Intorno alla tavola, un sorridente gruppetto di persone in pose rilassate. Alle spalle, uno dei convitati con un sorriso ebete tendeva verso l’obiettivo una coppa di champagne, pericolosamente inclinata. «La tipica foto di nozze» pensò Clancy, guardando attentamente la persona seduta a capotavola. Per un momento, non si rese conto di quello che vedeva. Poi, improvvisamente colpito, s’irrigidì. Le dita gli si contrassero, la sua mente turbinava. «Ingegnoso» pensò «oh, veramente ingegnoso!» La stanchezza sembrò lasciarlo, come per incanto, mentre il significato della fotografia penetrava nel suo cervello. A uno a uno gli avvenimenti di quel giorno cominciavano a trovare il loro posto, come ingranaggi ben lubrificati per far scattare una complicata serratura. A uno a uno, i fatti di quel giorno cominciavano a coordinarsi, ognuno ora con un aspetto diverso e collimavano tra loro. Avevano finalmente senso.
— Clancy! — Il capitano Wise lo stava fissando. — Che cos’è?
Non rispose. I suoi occhi fissavano la fotografia, ma senza vederla. Lui vedeva, invece, un cadavere col petto squarciato, disteso in un magazzino che puzzava di muffa; una felice, bella ragazza che si metteva lo smalto sulle unghie, un torvo gangster con un abito costoso e cravatta da quindici dollari e un giovane medico impaurito; un piccolo cameriere vizioso e una cassiera acuta osservatrice… Infine, su un letto insanguinato un corpo nudo e martoriato, con le braccia aperte legate alla spalliera del letto da un nastro adesivo… I suoi occhi si alzarono, scintillanti.
— Kaproski! Stanton!
I due uomini irruppero nella stanza, come se pensassero che Chalmers potesse aver tentato di usare la forza con il loro tenente. Si arrestarono di colpo, di fronte al quadro che si presentava loro: il capitano Wise, insaccato nella sedia, con una mano immobile sulla pipa vuota; l’ispettore Clayton, seduto a suo agio dietro la scrivania, con gli occhi vigili sugli astanti; Chalmers con la bocca semiaperta e la fronte corrugata, in piedi accanto agli altri, e Clancy curvo sulla foto, con una espressione eccitata.
— Sì? Che c’è, tenente?
Clancy alzò il capo. Il quadro si era mosso. Guardò l’orologio al polso. E questa volta lo vide.
— Stanton… Corri all’aeroporto di Idlewild. Volo ottocentoventicinque dell’United Airlines, per Los Angeles. L’aereo parte pochi minuti dopo la mezzanotte… Pete Rossi ha prenotato un posto.
— Va bene! — Stanton si avviò alla porta, ma si fermò.
— Già — disse Clancy. — Sarà meglio che ti dica che cosa devi fare. Lascia che lui consegni il bagaglio al controllo, poi va‘ dove lo caricano, prendi le valigie e aprile…
— Che cosa devo cercare, tenente?
— Un fucile da caccia avvolto nei vestiti. Sarà smontato per poter stare nella valigia. Non toccarlo perché ci potrebbero essere delle impronte, benché ne dubiti.
— Arresto Rossi?
Clancy lo guardò. — Quel fucile è l’arma di un delitto. Tu, cosa pensi?
— Penso di arrestarlo.
— Io pure — disse Clancy. — Muoviti.
— È stato lui? — domandò stupito Kaproski. — Ha sparato a suo fratello?
— Era un complice — disse gravemente Clancy. — Sono nello stesso calderone. — Si guardò attorno. — Dov’è il dottor Freeman?
— Deve essersi stancato di aspettare — rispose Kaproski. — Si è alzato ed è andato via.
Chalmers aveva assistito alla scena con un’espressione glaciale sul volto.
— Arma del delitto? Assassinio? Di che si tratta, tenente?
— Silenzio — disse Clancy. Fece per alzarsi, ma si risedette e i suoi occhi sfavillarono. — Kap, dammi quell’elenco delle navi in partenza stasera.
Qualcosa era scattato nella sua memoria, ora. Prese da Kaproski il ritaglio di giornale e fece scorrere il dito lungo la lista. Il dito si fermò.
— Kap, tu non hai controllato i cargo, vero?
— Non me ne avevate parlato.
— Perché sono stato stupido. Anche le navi da carico trasportano passeggeri. Se non fossi stato stupido, non avrei nemmeno avuto bisogno di quella fotografia. — Si mise in tasca l’elenco.
— Ispettore, ho bisogno di un autoradio con autista.
L’ispettore, annuendo, allungò una mano verso il telefono, senza chiedere spiegazioni. — Quanti uomini, tenente?
— Tre dovrebbero essere sufficienti, con me e Kaproski. In borghese e armati.
— Includi anche me — disse il capitano Wise, eliminando con un gesto ogni possibile obiezione. — Sto benissimo. Forse è questa la medicina di cui ho bisogno, non di brodo di pollo.
Chalmers si scosse. La situazione stava per sfuggirgli ineluttabilmente di mano e non gli andava proprio a genio. — Sentitemi bene, tenente. Voi non andrete in nessun posto, finché…
— Tacete. Se volete, potete aggregarvi a noi, ma in silenzio. -— Si rivolse quindi all’ispettore: — Ho bisogno di una rivoltella — disse con decisione.
Clayton aveva finito di telefonare le istruzioni. Aprì un cassetto e tirò fuori un’automatica. Clancy estrasse l’arma dalla fondina per verificarla e la mise nella tasca della giacca.
— Non dimenticate dove l’avete messa — disse l’ispettore. — Ho chiesto due macchine. Saranno qui fra un minuto. Dove andate, tenente?
— Al molo sedici A, a North River.
Il capitano Wise si alzò. Chalmers aprì la bocca per parlare, incontrò lo sguardo di Clancy e la richiuse. Wise sorrise.
— Ci siamo — disse, abbozzando una strizzatina d’occhi. — Speriamo di farcela.
— Non dire così, Sam. — Clancy rabbrividì. — Non pensare nemmeno che possa andare diversamente!
Sabato, ore 23, 30.
Il molo 16 A, a North River, si protendeva dall’oscurità della West Street nelle nere e oleose acque dell’Hudson, poco sopra la Cinquantaduesima Strada. Le due autoradio scesero dalla sopraelevata allo sbocco della Trentaquattresima Strada, rallentarono passando tra enormi camion con rimorchio, parcheggiati al buio, tra i pilastri. Girarono unite in tandem tra le navi in disarmo e si arrestarono infine accanto al basso parapetto che fronteggiava l’acqua oltre il molo 17. Intorno era silenzio. Spenti i fari, i quattro uomini scesero dalla macchina.
La Aalborg stava terminando i preparativi per la partenza. Gli argani sul ponte della motonave di 12. 000 tonnellate avevano agganciato la copertura del boccaporto e la stavano abbassando lentamente. Riflettori, montati agli angoli del lungo magazzino del molo, agevolavano, con la loro luce il lavoro sulla nave. Marinai correvano qua e là agli ordini impartiti, con il megafono, da un ufficiale di coperta, dall’alto del ponte di comando. Le luci ammiccavano dagli oblò, indicando il fervore nell’interno della nave. Clancy guidò il gruppetto da una parte, nell’oscurità del magazzino del molo 17.
— Stiamo inseguendo l’autore di un duplice assassinio — disse piano. Sentì l’esclamazione soffocata di Chalmers, ma continuò, senza prestargli attenzione: — È senza dubbio armato, perciò dobbiamo stare attenti. L’essenziale è impedirgli di filar via. A dieci miglia dalla costa, a bordo di quella nave, sarebbe fuori dalle nostre mani. Tu, Sam, con due uomini sorveglia l’entrata del molo. Io, Kaproski e… — Esitò, indicando l’uomo in borghese…
— Come si chiama?
— Wilken, signore.
— Bene, noi andremo dentro. Se i passeggeri hanno già passato la dogana e sono saliti a bordo, dobbiamo cercare di acciuffarlo nella cabina. Speriamo che non sia così: non vorrei creare un incidente internazionale. Se invece i passeggeri sono ancora sul molo, lo prenderemo là. Ricordatevi che è armato.
— Che aspetto ha quell’uomo?
— domandò il capitano Wise.
— Statura media, tarchiato, camuffato da beatnik -— disse Clancy.
Forse sarà ancora travestito così, barba posticcia e occhiali scuri.
— Chi è? — domandò Chalmers.
Senza dargli ascolto, Clancy continuò: — Potrebbe essere accompagnato da una donna, piccola e bionda. -— Si guardò attorno. — Non perdiamo altro tempo, andiamo.
Chalmers serrò le labbra. Era la perfetta caricatura del vice-procuratore pronto a dar battaglia. — Non so di che cosa si tratta, tenente, ma non vi perderò di vista. Vengo con voi.
Clancy lo guardò senza interesse. — Va bene. Se ci fosse una sparatoria, aspettate nelle vicinanze. — Si girò. — Io, Kap e Wilken andiamo avanti. Voi seguiteci. Non restiamo troppo uniti. Se succede qualcosa, nell’interno, non lasciate l’ingresso senza sorveglianza. Bisogna imbottigliarlo sulla banchina, se le cose non andassero nel verso giusto.
Il capitano Wise annuì. Clancy si voltò e si mosse lungo la sponda, accompagnato da Kaproski e Wilken.
Chalmers si affrettò a seguirli. La prua della motonave si ergeva sopra di loro, adesso. Le linee d’immersione si vedevano nitide e chiare, alla luce bianca dei riflettori. Voci dal ponte della nave giungevano fino a loro, insieme al rombo soffocato delle automobili sfrecciatiti sulla superstrada, lì vicino. Si portarono all’angolo del magazzino del molo 16A. Ora, le luci della nave che si erano lasciati alle spalle non erano più visibili. Il buio della notte sembrava ancor più profondo, per l’improvviso contrasto. Clancy sostò un momento, guardandosi attorno e si avvicinò all’entrata del molo. I grossi cancelli, davanti al silenzioso magazzino, erano aperti quel tanto da permettere l’accesso delle automobili, alla banchina. Clancy entrò senza far rumore, seguito dagli altri.
All’interno, il magazzino era illuminato soltanto da piccole lampadine distanziate, in alto, tra gli archi d’acciaio. Gli uffici erano bui. Pochi carrelli carichi di merce in attesa di essere imbarcata, erano allineati lungo la parete del fabbricato. Non si vedeva nessuno e il silenzio era completo. Clancy corrugò la fronte. I banchi riservati alla dogana erano da una parte, e il magazzino appariva deserto.
I loro passi echeggiarono nel vasto stanzone. Oltrepassata un’alta cascata di sacchi che impediva la vista, Clancy scorse un grosso grappolo di luci, dove le passerelle della nave s’inserivano nel magazzino.
Un ufficiale di marina, curvo su una scrivania, stava esaminando delle carte. All’avvicinarsi degli uomini, alzò lo sguardo, fermando meccanicamente il dito sull’elenco.
— Posso esservi utile?
L’accento tradiva la sua origine straniera. Clancy annuì.
— Gli impiegati della dogana se ne sono già andati?
— Sì, signore. La merce è stata controllata a bordo e il nostro manifesto di carico ha avuto il benestare. Desiderate vederli per qualche particolare motivo?
— No, no. — Clancy gli mostrò il portafoglio con il distintivo e la tessera del Servizio Informazioni. — Dovrò chiedervi il permesso di salire a bordo.
L’ufficiale corrugò la fronte. — E io dovrò parlarne col capitano, voi capite… Potete dirmi di che cosa si tratta?
— Certamente — rispose Clancy, rimettendosi il portafoglio in tasca. — Avete a bordo un passeggero, un certo signor Roland…
— Roland? — ripetè l’ufficiale perplesso, ma anche, in un certo qual modo, sollevato. — Dev’esserci uno sbaglio. Abbiamo solo sei passeggeri e nessuno di loro…
Clancy si sarebbe dato un pugno in testa. Era così semplice… a pensarci.
— Un certo Renick? — domandò.
L’ufficiale annuì, prendendo le liste. — Sì, c’è un certo signor Renick con signora, però solo la signora è a bordo. Lei ha fatto controllare il bagaglio. Il signor Renick non si è ancora visto… — Diede un’occhiata all’orologio. — Dovrebbe arrivare a momenti. Salpiamo entro un’ora.
Clancy si voltò. — Wilken, tu rimani qui presso la passerella. Kap, vieni con me.
Tornò indietro nel magazzino buio, lasciando l’ufficiale a bocca aperta. Fu poi raggiunto da Chalmers, che gli toccò il braccio.
— Che cosa c’è, tenente? Chi è questo Renick?
— Silenzio… — Clancy s’interruppe. Un tassì si era fermato all’entrata del magazzino e un uomo ne stava scendendo. Nonostante la calda serata, indossava un impermeabile rialzato e aveva il cappello a larga tesa, abbassato sulla fronte. Si chinò a pagare il conducente ed entrò nel magazzino. I suoi passi pesanti risuonarono sul pavimento. I fari della macchina nel fare manovra illuminarono un istante l’interno del magazzino. Clancy si riparò dietro una pila di sacchi accatastati su un carrello, e trasse vicino a sé gli altri. Sbirciando attraverso una fessura, vide, alle spalle della frettolosa figura che stava avanzando nel magazzino deserto, il capitano Wise e gli altri portarsi davanti all’entrata e bloccarla.
— È lui! Tienti pronto, Kap.
Aspettò, trattenendo il respiro, e con le pulsazioni più affrettate. Dietro di sé, udiva il respiro soffocato dei suoi due compagni. La sua preda passò sotto una lampadina e la luce rivelò, per un istante, parte del volto sotto l’ala del cappello. Si potè vedere un pizzetto e il riflesso degli occhiali scuri. Poi l’uomo uscì dal cono di luce e il volto disparve di nuovo nell’ombra. Lui avanzò verso i mucchi di sacchi come se non li vedesse con gli occhi fissi sulla passerella e sui due uomini lì accanto. Clancy aspettò immobile, poi, quando l’uomo stava per oltrepassare il suo nascondiglio, balzò prontamente fuori e gli si parò dinanzi. La massiccia figura si arrestò di colpo. Gli occhiali scuri oscillarono. L’esitazione fu di un brevissimo istante: con un grido rauco l’uomo fece un passo indietro e si portò la mano alla tasca. Le grosse dita di Kaproski si strinsero sul suo braccio come una morsa. L’uomo diede un violento strappo per svincolarsi, ansimando.
Il capitano Wise e un agente stavano accorrendo dall’entrata e, dall’altra estremità, Wilken e l’ufficiale della nave. L’uomo cessò improvvisamente di lottare e affondò il volto pallido nel bavero dell’impermeabile.
— Cosa significa? Che cosa volete? — La sua voce era smorzata dalla stoffa.
— È finita — disse Clancy. — Siete in arresto, signor «Renick» e l’accusa è di duplice omicidio.
L’uomo stretto nella ferrea morsa di Kaproski sembrò afflosciarsi. Chalmers incapace di contenersi più a lungo si fece avanti.
— Che cosa vuol dire tutto questo, Clancy? Chi è quest’uomo?
Clancy lo fissò. Tutta la tensione e la stanchezza di quei due giorni cominciò a riaffiorare in lui. Ora che il caso era risolto, l’energia che lo aveva animato sembrò svanire improvvisamente. Diede a Chalmers uno sguardo vacuo. — Costui? — disse infine con voce opaca. -— Lo volevate a tal punto da far emettere una ingiunzione. È Johnny Rossi…