5

Sabato, 12:45 del pomeriggio. Clancy scese dal tassì all’incrocio della Trentanovesima Strada con la Decima Avenue, pagò il conducente, ed entrò nel bar all’angolo. Andò subito nel retro, al telefono. S’infilò nella stretta cabina e fece un numero.

Rispose una voce aspra, accompagnata da un cozzare di palle da biliardo, sullo sfondo.

— Pronto?

— Porky? — disse Clancy.

— Aspettate. — Dall’altra parte non ci fu alcun tentativo di coprire la cornetta: un grido fracassò quasi i timpani di Clancy. — Ehi, Porky, c’è uno che vuol parlarti.

La voce nel ricevitore cambiò: — Sì?

— Porky, vorrei scommettere su Bar-Fly.

Ci fu una brevissima esitazione. — Quanto?

— Uno e un quarto.

È tutto?

— Sì.

— È piuttosto tardi… per una scommessa così piccola.

La voce di Clancy s’indurì. Lui strinse il ricevitore e lo fissò, come se i suoi occhi potessero trafiggere l’uomo attraverso il filo. — Non è mai troppo tardi, per un vecchio amico.

Il tono minaccioso non intaccò minimamente il tono noncurante dell’altro. — Va bene, allora, vecchio amico. Sei coperto.

— Grazie. — Clancy riappese il microfono, guardò l’orologio e s’inoltrò nel locale stretto e scuro. Scelse un separé vuoto, si tolse il cappello e si passò una mano sulla fronte. «Dovrei mangiare qualcosa» pensò. «Tempo ne ho abbastanza.». Ma, stranamente, l’idea di mangiare non lo attirava affatto. Un uomo col grembiule comparve dal bar, e si curvò sul tavolo, con aria distratta.

— Frappé — disse Clancy. — Un bicchiere grande.

— Va bene. — Il cameriere se ne andò via, silenziosamente. Clancy si fregò il volto, chiuse gli occhi, preparandosi ad attendere.

Sabato, 1, 15, del pomeriggio.

La popolare idea che gli informatori della polizia siano piccoli individui, segaligni, servili e sporchi è, naturalmente, ridicola. Gli informatori, come tutti i professionisti, in qualsiasi campo, sono di ogni tipo, specie e carattere, ma quelli che hanno più successo sono di solito piuttosto estroversi, simpatici e amichevoli. Gli ometti segaligni, servili e sporchi troverebbero difficoltà a ingraziarsi la gente e quindi ad avere importanti informazioni. E l’informazione importante è quella che i confidenti raccolgono e vendono.

Un perfetto esempio era Porky Frak, un uomo corpulento, elegante, di bell’aspetto e allegro, che campava facendo l’allibratore. Il suo giro d’affari era piccolo, ma buono e onesto. Il successo di quell’attività non lo aveva indotto però a rinunciare al mestiere d’informatore della polizia. Lui godeva dei contatti che gli procurava e, per di più, gli offriva una profittevole occasione di utilizzare le informazioni che gli capitavano sott’occhio, spesso per puro caso, informazioni che, altrimenti, sarebbero andate sprecate. E lo spreco, come era stato insegnato a Porky da una madre austera, era un vizio.

Lui entrò nel bar con passo disinvolto, quasi spavaldo e s’inoltrò nella penombra del retro, con un amabile sorriso di saluto al cameriere. Si sedette di fronte a Clancy, dando un’occhiata soddisfatta al costoso orologio che aveva al polso.

— Non c’è male: l’una e un quarto esatta. Se si considera che voi aspettate sempre l’ultimo momento. Fortunatamente, ero libero. — Guardò stupefatto il bicchiere davanti a Clancy. — Che cosa è quello?

—- Un frappé.

Porky si ritrasse. — Volete dire che vi attenete veramente al regolamento di non bere alcolici quando siete in servizio?

Clancy sorrise. — Volete sapere la verità?

— Certamente — disse Porky. — È la sola informazione che valga la pena di avere.

— Ebbene, la verità è che ho dormito solo cinque ore nelle ultime quarantotto e sono stanco morto: una birra mi manderebbe lungo disteso.

— Be‘, io, grazie al Cielo, ho dormito le mie otto ore regolarmente, stanotte. Questo è il lato piacevole del mio lavoro: si può avere un orario decente. Così, se non vi dispiace… — Fece un cenno al cameriere, ordinò e si sedette. Clancy sorseggiò il suo frappé finché il cameriere non ebbe messo un bicchiere davanti al suo compagno.

Porky bevve intento, e depose il bicchiere.

— Allora, signor C. Qual è il vostro problema?

— Rossi. Johnny Rossi.

Il volto di Porky si tese impercettibilmente. Era evidentemente un argomento che lui non si aspettava.

Fissò il tenente un momento, pensosamente, poi abbassò lo sguardo sul bicchiere. Quando rialzò gli occhi, il suo viso era diventato una maschera senza espressione. Giocherellò col bicchiere.

— Perché chiedete di lui? È ben lontano e fuori dal vostro distretto. Non è vero?

Clancy corrugò la fronte. Era una domanda molto strana da parte di un confidente della polizia. Particolarmente, poi, da uno come Porky che lui conosceva molto bene. — Da quando in qua, vi preoccupate di cose come queste?

— Io? — Porky scrollò le spalle, rigirando distrattamente tra le dita il bicchiere. — Non mi preoccupo mai di niente, eccetto forse dei brocchi e di quelli che non pagano le scommesse, naturalmente. Soltanto è strano che mi chiediate di lui.

— Perché?

Porky fece per portare il bicchiere alle labbra, ma lo rimise giù. — Ci sono in giro strane chiacchiere.

Clancy frenò la sua impazienza. — Per esempio?

Porky gli diede uno sguardo significativo. — Be‘, per esempio, il Sindacato è scontento di Johnny Rossi. Dispiaciuto. Forse di tutta la famiglia.

— Per qualche motivo particolare?

— Questioni finanziarie, a quanto si dice. E pare che loro abbiano una buona ragione. Ritengono che Johnny Rossi avrebbe dovuto studiare di più l’aritmetica a scuola…

— Ha mischiato male le carte?

— A quanto pare — mormorò Porky. — Non è che abbia veramente mischiato male le carte, ha tagliato il mazzo, e si è dimenticato semplicemente di rimettere sul tavolo ventisei carte.

Clancy annuì. La storia era indicativa in rapporto a quanto già lui sapeva e poteva spiegare un mucchio di cose. — E come può un uomo riuscire a fare una cosa del genere, nell’organizzazione? Non fanno di solito controlli e bilanci?

— L’amministrazione viene tenuta a Chicago — disse Porky. — Ci vuole tempo. — Scrollò le spalle. — Come fa uno ad appropriarsi del denaro di una banca e svignarsela?

— Ma, loro, normalmente, non lo fanno.

— Be‘, quello che si dice è che Johnny Rossi può o non può averlo fatto.

Clancy aggrottò la fronte a questa affermazione sibillina. — Che fondamento hanno queste voci?

Porky si strinse nelle spalle. — Voi sapete com’è. Si sente un mucchio di cose, ma nessuna arriva con una dichiarazione giurata. Personalmente, non ci scommetterei, comunque.

Clancy rifletté un momento. — Dite che il Sindacato è scontento di tutta la famiglia. Anche il fratello di Johnny, Pete, è dentro la cosa?

Non lo so. — Porky sembrò dolente di dover ammettere quella lacuna. — Non risulta che lo sia, ma voi conoscete i fratelli Rossi. Sono sempre stati inseparabili, sin da ragazzi. Io credo che i contabili del Sindacato stiano facendo precisi controlli per scoprirlo.

— Capisco. E dov’è ora Johnny Rossi?

La domanda colse Porky di sorpresa. Osservò Clancy ambiguamente e bevve una lunga sorsata.

— Non vorrete toreare con un vecchio torero, signor C, vero?

Clancy s’irrigidì. — Cosa volete dire?

— Vi dirò perché mi era sembrato strano che voleste parlare dei Rossi. Pensavo che voi poteste dirmi il nuovo indirizzo di Johnny.

Gli occhi di Clancy trafissero quelli di Porky e la mascella s’irrigidì.

— Si dice questo in giro? Che io lo so?

Porky alzò la mano. — Non voi, signor C. La polizia in generale. Avete anche voi nella polizia i vostri segreti, eh?

— Già.

Porky inarcò le folte sopracciglia, assumendo un’espressione comica.

— Nessuna dichiarazione per i ragazzi della stampa?

Clancy si alzò, duro, impassibile. Senza curarsi di rispondere alla domanda, si mise il cappello e disse: — Arrivederci.

— A proposito, signor C. — esclamò Porky, con aria umile — quel Bar-Fly… era proprio un brocco. Ha abbandonato la corsa.

— Ah! — Clancy affondò la mano in tasca, contò del denaro e lo pose sul tavolo.

— Grazie. — Porky si mise negligentemente il denaro in tasca e rimase a fissare pensieroso il fondo del bicchiere. Clancy uscì dal bar e chiamò un tassì.

Maledetto Chalmers e la sua lingua lunga! Così si era sparsa la voce che la polizia aveva nascosto Johnny Rossi. Magnifico! Salito sul tassì, scacciò quel pensiero e cercò di valutare quanto era venuto a sapere. Non molto più di quanto già presumesse, ma almeno ne era, in parte, una conferma. Effettivamente, molto poco. «Un altro filo della matassa» pensò con amarezza. «E il guaio, con quei fili, è che, più li si sbroglia, più sfuggono.»

Sabato, 2:05 del pomeriggio.

Con passo stanco. Clancy entrò al posto di polizia, il sergente alzò gli occhi dalla scrivania. Uno sguardo al volto segnato e affaticato di Clancy bastò a fargli capire che sarebbe stato inutile dirgli delle continue telefonate del vice-procuratore. Inutile e, probabilmente, pericoloso.

Clancy capì l’espressione dei suoi occhi e sorrise. — Ha telefonato ancora Chalmers?

Il sergente sembrò sollevato, ma anche un po‘ a disagio, come se avesse colpa lui, in certo modo, delle continue telefonate del vice-procuratore. — Sì, signore.

Clancy alzò le spalle. — Qualcun altro?

— Ha telefonato Stanton, dieci o quindici minuti dopo che siete uscito — disse il sergente, contento di cambiare argomento. — Gli ho mandato Mary Kelly. Chiamava dall’albergo New Yorker. Penso che Mary Kelly sia giunta in tempo, perché non ho più saputo niente.

Clancy annuì soddisfatto. — Che ne è di Kaproski?

— Non è ancora tornato.

Clancy si diresse al suo ufficio.

— Sergente — disse arrestandosi — manda qualcuno qui all’angolo a prendermi un panino al prosciutto, sottaceti e senape. E anche un caffè ristretto.

— Credevo foste andato a mangiare.

— Ho dimenticato il dessert — disse brevemente Clancy.

Raggiunse il suo ufficio, lanciò il cappello sgualcito sopra lo schedario e si lasciò cadere sulla sua sedia, guardando la finestra. Fuori, le tute stese erano state sostituite, durante la sua assenza, da una fila di flosci calzini. Li osservò con aria tetra. Quando aveva visto quella corda senza la biancheria stesa? Forse il giorno dell’Espiazione. «Dov’ero quel giorno?» pensò.

Il telefono trillò. Allungò la mano, conscio della sua estrema stanchezza e intontimento. «È meglio che mi svegli o che vada a dormire. Così come sono ora, mi sembra tutto diffìcile.»

— Sì?

— Tenente — si scusò il sergente. — Ho dimenticato di dirvi che Stanton ha lasciato gli effetti personali dell’uomo dell’albergo Farnsworth nel cassetto di mezzo della vostra scrivania. C’è anche un messaggio per voi. Ha detto che non ha avuto la possibilità di parlarvene quando vi ha visto.

— Grazie — disse Clancy. — Li guarderò subito.

Aprì il cassetto centrale della scrivania. C’era una piccola busta marrone sopra la solita roba in disordine. La prese, sorpreso della sua leggerezza e richiuse il cassetto. La busta conteneva un portafoglio.

Il portafoglio era nuovo, di tipo ordinario. Un comune portafoglio di plastica, imitazione cuoio, venduto in tutti i grandi magazzini e quindi non identificabile. Le tasche laterali erano vuote. Guardò nell’interno del portafoglio: c’erano delle banconote e un foglietto di carta. Contò il denaro. Due biglietti da cento dollari, quattro da cinquanta, quattro da venti, tre da dieci e due da uno. In tutto cinquecentododici dollari. Scrisse la cifra sulla busta e poi spiegò il foglietto. Un sorriso gli salì alle labbra come lesse il messaggio di Stanton.

«È come l’ho trovato. Non l’ho toccato, ma sessanta dollari sono miei. Cioè sarebbero miei se al mondo ci fosse giustizia, ma non c’è. Nessun documento di identità. Nella stanza nemmeno. Le tasche completamente vuote, tranne il portafoglio. Non ci sono etichette. C’è una piccola borsa da aereo, senza la targhetta col nome. È servita probabilmente per la vestaglia e il pigiama. All’infuori di questo, nient’altro. Non una camicia pulita, né un paio di scarpe e nemmeno un paio di calzini. Ho lasciato tutto com’era, nel caso che voleste verificare di nuovo. Stan.»

Clancy tastò il portafoglio. Il sorriso svanì.. Una così completa anonimità era difficile a capirsi, specialmente in un uomo che portava la sua identità sul volto. Non un paio di scarpe, né una camicia pulita… Nemmeno i calzini di ricambio.

Rimise il denaro nel portafoglio, fece scivolare questo nella busta e chiuse la busta nel cassetto. Più tardi l’avrebbe messo in cassaforte. Più tardi. «Non c’è niente che mi aiuti» pensò scoraggiato. «Probabilmente se non fossi così spossato potrei vedere qualcosa che forse ho davanti al naso. Una buona dormita servirebbe di più di cento indizi, per risolvere questo caso.»

Lo squillo del telefono interruppe le sue riflessioni. Prese il ricevitore, soffocando uno sbadiglio.

— Sì?

— C’è un uomo che vuole vedervi. — il sergente esitò calando di tono. — È Pete Rossi…

Clancy raddrizzò il busto sulla sedia. I suoi occhi si contrassero, e non sentì più la stanchezza.

— Fallo entrare.

— C’è anche il vostro panino — aggiunse il sergente, impacciato. — Devo tenerlo qui finché non sarete libero?

— Mandami anche quello. Pete avrà già visto un uomo mangiare. — Mise giù la cornetta e si grattò la guancia pensosamente, accorgendosi, d’un tratto, che aveva bisogno di farsi la barba. E anche di un vestito nuovo, di un buon sonno, e della risposta a numerose domande se doveva risolvere quel caso in ventiquattro ore, pensò.

Un agente entrò e mise sulla scrivania un panino e una tazza di cartone. Come uscì, apparve sulla soglia un uomo sulla cinquantina, vestito impeccabilmente, ma con la fisionomia dura e inconfondibile del criminale di professione che nessun benessere può mascherare. Un abito da trecento dollari cadeva in modo perfetto sulle sue spalle ampie e poderose e una cravatta di seta pura da quindici dollari gli serrava il collo taurino. «Un’edizione più vecchia dell’uomo dell’albergo Farnsworth» pensò Clancy. La somiglianza era forte. L’uomo dalla soglia girò lo sguardo nel piccolo ufficio. I suoi occhi, socchiusi, filtrarono la scrivania ammaccata, gli schedari rigati, lo squallido scenario dalla finestra. Le sue labbra si curvarono sprezzanti.

Clancy prese il panino imbottito e cominciò a scartarlo.

— Venite avanti — disse. — Sedetevi.

Rossi prese una sedia, l’avvicinò alla scrivania e vi si sedette. Poi cercò con lo sguardo un posto per appoggiare la lobbia grigio-perla e decise che il suo ginocchio era il posto più pulito. Clancy, reprimendo un sorriso, tolse il coperchio dal la tazza di cartone. I piccoli occhi di fronte a lui lo fissavano freddi, come quelli di un rettile.

— Ebbene — disse Clancy, portandosi il panino alla bocca — che cosa posso fare per voi?

— Dov’è mio fratello? — La voce era stridula e aspra, come se, per una lesione alle corde vocali, gli riuscisse penoso parlare.

Clancy mandò giù un boccone e bevve un sorso di caffè. Fece una smorfia: il caffè era freddo e, come al solito, sapeva di cartone. Alzò gli occhi sul visitatore, e lo guardò tranquillamente.

—- Avete sbagliato reparto. L’ufficio «persone scomparse» è in fondo all’atrio.

Le mascelle dell’uomo si serrarono minacciosamente. — Non fate il furbo con me, tenente! Non con me.. Non sono uno dei vostri gaglioffi locali. Sono Pete Rossi. Dov’è mio fratello?

— Che cosa vi fa pensare che io lo sappia?

— Non raccontatemi storie — agitò una mano ben curata, pelosa e dura, facendo scintillare un enorme brillante al mignolo. — Ho appena parlato con Chalmers nell’ufficio del Procuratore Distrettuale. Dov’è?

— E che cosa vi ha detto Chalmers?

— Voi lo sapete che cosa mi ha detto. Dov’è Johnny?

Clancy diede un altro morso al suo panino. Era pessimo. Lo mise da una parte e guardò Pete Rossi.

— Chalmers vi ha anche detto, per combinazione, che qualcuno ha sparato a vostro fratello, e non lo ha mancato?

— Sì, me l’ha detto, ma ha aggiunto che non era niente di serio. — Strinse il pugno. — Mi ha detto inoltre che voi lo avete portato via dall’ospedale e nascosto. Voglio sapere dove e perché.

Clancy prese il resto del panino e lo buttò nel cestino della carta e allontanò, disgustato, la tazza di caffè. Accese una sigaretta e guardò curiosamente il suo visitatore, attraverso la nube di fumo.

— Da quando siete a New York, Rossi?

— Sentite, tenente. Sono venuto qui a far domande, non a rispondere.

— Rispondete a questa.

Qualcosa negli occhi inflessibili del tenente rese l’uomo consapevole di trovarsi in un ufficio di polizia. — Un paio di giorni. Perché?

— E che cosa fate qui a New York? È stagione morta, per voi, sulla costa occidentale?

— Sono venuto perché m’interessano alcune riviste musicali — disse con voce inespressiva. — Mi piace guardare i grattacieli. E ora, tenente, finitela di menare il can per l’aia. Dov’è mio fratello Johnny?

— Come mai siete andato da Chalmers? — chiese Clancy con tono d’innocente curiosità. — Cercate sempre vostro fratello nell’ufficio del Procuratore Distrettuale, quando si smarrisce? — La sua voce s’indurì d’un tratto. — O è andata un po‘ diversamente? È Chalmers che è venuto da voi?

— In questa città circolano parecchie voci, tenente — rispose Rossi, con un risolino sprezzante. — Allora, dov’è?

— Ditemi una cosa — disse pigramente Clancy, seguendo con gli occhi la lenta spirale di fumo della sigaretta. — Che cosa ne pensate di questo attentato a vostro fratello?

Il volto di fronte a lui pareva essere scolpito nel marmo. — Uno sbaglio — mormorò Rossi. — Penso sia stato uno sbaglio.

— Cosa intendete per sbaglio? Volete dire sbaglio di persona? Oppure pensate che qualcuno, credendo di essere in un baraccone di tiro a segno, abbia preso Johnny per una girandola? O per un anatroccolo? — Clancy fece un sorriso soave. — O forse per un «piccione informatore»?

Non un muscolo si mosse sul volto di Pete Rossi.

— Uno sbaglio — ripetè.

— Sono d’accordo con voi. Ma da parte di chi?

Rossi si protese verso la scrivania. — Sentite, tenente, non starei a pensar troppo. — La sua voce stridula era intensa. — Troveremo noi l’individuo che ha sparato e non avremo bisogno dell’aiuto dei piedipiatti. Sistemiamo le nostre faccende da soli, nella famiglia Rossi. Pensiamo noi a sbrogliare i nostri guai.

Clancy sollevò le sopracciglia.

— Voi trascurate il fatto che qualcuno ha sparato su vostro fratello e sparare su un uomo è contro la legge — disse semplicemente. — Questo, naturalmente, significa che la polizia è costretta a occuparsene. Ma c’è un altro punto… — I suoi occhi inchiodarono quelli dell’altro. — Si dice che la famiglia Rossi, forse, non è più così forte. E, forse, non può più pensare da sola, ai propri guai.

Gli occhi di Rossi divennero due punte di spillo. Ci fu un attimo di silenzio.

— Avete sentito male, tenente. Ma tagliamo corto con queste chiacchiere. Dov’è mio fratello Johnny?

— Ve l’ho detto — disse pazientemente Clancy. — Avete sbagliato ufficio. Provate a quello delle «persone scomparse».

Pete Rossi diede uno sguardo al volto tirato e stanco davanti a lui e si alzò in piedi, stringendo sul petto la lobbia grigia.

— A proposito di sbagli, ne state facendo uno voi, ora, tenente. Un grosso sbaglio. Io ho degli amici.

— Ne sono certo. E anche provvisti di mitra.

Pete Rossi aprì la bocca e la richiuse. I suoi occhi incrociarono impassibili quelli di Clancy.

— Un piedipiatti. Un misero piedipiatti mal pagato. Per me, non siete neanche all’altezza di fare il servizio di pattuglia a Staten Island. — Si voltò verso la porta.

— Non siate amaro… — cominciò Clancy, ma si accorse di stare parlando in una stanza vuota.

Andò verso la finestra, pensando che significato implicito poteva avere la visita di Pete Rossi. Le calze stese ad asciugare dondolavano dolcemente mosse dal vento.