3

Sabato, ore 7:05.

Clancy scese i gradini del comando di Polizia del 52° Distretto, seguito da Kaproski. Salirono in macchina e, con una svolta a U, partirono alla volta dell’Uptown Hospital. Il traffico del primo mattino li fece rallentare. In una città, fornita dei migliori servizi pubblici di trasporto del mondo, pensò Clancy, sembrava che sempre più gente usasse le automobili. O i furgoni. O le biciclette e le motociclette. Chissà poi, come riuscivano a parcheggiarle! Stentava lui, malgrado il distintivo di poliziotto.

Kaproski diede un’occhiata al viso tirato di Clancy. — Non avete l’aspetto di uno che abbia dormito molto, tenente.

— Infatti. Erano quasi le quattro e mezzo quando sono venuto via dall’ospedale. Ho cercato di fare un sonnellino nel mio ufficio, ma non riesco a dormire su una sedia.

— Nemmeno io. Come sta Rossi, tenente?

Clancy sbadigliò. — Bene, credo. Nessuno mi ha telefonato, da quando ho lasciato l’ospedale.

— Pensate che se la caverà?

— Sarà meglio per tutti. In ogni modo, è quello che vedremo ora. — Aspettò che il semaforo diventasse verde e attraversò pazientemente, dietro un grosso camion traballante, l’incrocio congestionato di traffico. — Facciamo una capatina all’ospedale per aver notizie e poi andiamo all’albergo Farnsworth, a mettere al torchio il direttore. Tu, stanotte, hai trovato qualcosa?

Kaproski scosse il capo. — Assolutamente niente. Ho messo i sigilli alla stanza. Poi ho perquisito tutti i guardaroba e i ripostigli dell’albergo, fino al seminterrato. Ho perfino esaminato tutti gli aggeggi che tengono in quel puzzolente ascensore di servizio.

— Chi sono gli altri ospiti dell’albergo?

— Da una settimana non c’è stato nessun nuovo arrivo. Diavolo, mezzo albergo è vuoto e nell’altra metà c’è gente che sta lì da un secolo.

— Hai visto il direttore?

— Certo. — Kaproski parve un po‘ impacciato. — Tenente… Non credo che c’entri in quest’affare.

— No? — Clancy lo guardò incuriosito. — Se Chalmers dice la verità, il direttore è l’unica persona che può aver visto e riconosciuto Rossi. E non credo che Chalmers menta. Non è stupido… Non si arriva alla posizione di vice-procuratore distrettuale, se lo si è. Il suo difetto è l’ambizione. Il direttore è anche la sola persona che sapeva il numero della stanza. Perché pensi che sia estraneo alla cosa?

Kaproski guardò dal finestrino. — Dovete vederlo di persona per capire cosa voglio dire.

— Bene — disse Clancy. — Tra pochi minuti lo vedremo.

Fermò l’auto davanti all’ospedale, di fianco a una macchina ferma, e spense il motore. Guardò la fila compatta di macchine, parcheggiate sui due lati della strada, a perdita d’occhio.

— Pare che il divieto di parcheggio non impressioni molto la gente, da queste parti — disse disgustato. — Resta in macchina. Se qualcuno va via, prendi il posto. Torno tra un minuto. Vado solo a vedere come sta Rossi.

— Certo, tenente. — Kaproski scivolò al posto di guida.

Clancy entrò nell’atrio, e vide, con sorpresa, che alla scrivania c’era ancora la stessa infermiera. — Come va, signorina? Siete di servizio ventiquattro ore?

— Buongiorno, tenente. No. Il mio turno è da mezzanotte alle otto del mattino. Sapete, sono passate solo quattro ore da quando siete stato qui, stanotte.

Clancy sorrise e si passò una mano sul volto.

— Ho perso la nozione del tempo. — Si avviò all’ascensore. — Il dottor Willard è ancora di turno?

— Sì, le camere dei medici sono al quinto piano. Volete che gli telefoni?

— No, lo vedrò dopo aver dato un’occhiata al nostro uomo. Sapete in che camera l’hanno messo?

— La quattordici, al sesto piano.

Con un sorriso di ringraziamento, Clancy entrò nell’ascensore. Uscito al sesto piano, percorse il corridoio lucido e girò l’angolo. Barnett era seduto davanti alla porta della camera, e faceva del suo meglio per passare inosservato. Alzò il capo all’avvicinarsi di Clancy, e si alzò, con aria mesta.

— Salve, tenente. — Il grosso poliziotto si guardò attorno tentennando il capo. — Gesù, che razza d’incarico!

Clancy lo guardò vivacemente. — Che cosa c’è? Qualcosa che non va?

— No. È solo che questo posto non è il Bellevue. Ho l’impressione che la gente, qui, non abbia mai visto un poliziotto in un ospedale. Mi guardano come se fossi un fenomeno da circo.

— È un incarico come un altro, Frank. Comunque, intendono trasportare quest’uomo in un altro ospedale, appena possibile. Probabilmente questa mattina. Spero, fuori dal mio distretto.

— Lo spero anch’io, tenente — disse Barnett con calore.

Clancy sorrise. — Come sta?

— Non ne ho la minima idea. È entrato a vederlo solo il medico. Un paio di volte.

— E allora?

Barnett scrollò le spalle. — Non mi ha detto niente.

— Parlerò poi con il medico.

Aprì la porta in silenzio ed entrò richiudendola dietro di sé. La veneziana era tutta abbassata e la stanza, quindi, era completamente buia. Sul letto s’intravedeva, sotto il lenzuolo, la sagoma confusa dell’uomo. Clancy si avvicinò adagio e lo guardò. Il viso, avvolto dalle bende, era girato verso la parete, la bocca aperta in modo grottesco. Clancy fissò la testa sul guanciale, poi il volto gli si oscurò. Posò due dita sulle labbra semiaperte dell’uomo e si sentì gelare il sangue nelle vene. «Oh, Dio mio!», mormorò. «Santo cielo!»

In un attimo, andò alla finestra e alzò la veneziana inondando di luce la stanza. Tornò di nuovo presso il letto, osservò il lenzuolo buttato in disordine sul corpo e, con una imprecazione soffocata, lo tirò via. Un coltello da cucina era conficcato ne. l torace dell’uomo rattrappito. La luce si rifranse sui chiodi di rame del manico di legno e fece scintillare il pezzo di lama che sporgeva dal corpo. Bestemmiando, Clancy corse alla porta e la spalancò.

— Barnett!

— Eccomi, tenente! — La sedia nel corridoio cadde a terra con un tonfo. Barnett s’affacciò alla porta. Alla vista del corpo, s’inoltrò nella stanza, con gli occhi dilatati, fissi sul coltello.

— Chi?…

Clancy richiuse di colpo la porta. — Proprio! Chi? Chi è venuto in questa stanza?

— Nessuno, tenente. Lo giuro! Nessuno.

Clancy corse alla finestra. Era chiusa, col saliscendi abbassato. Tornò presso il letto e con sforzo abbassò la voce. — Barnett — lo apostrofò minaccioso. — Che cosa hai fatto? Sei uscito a prendere un caffè?

— No, ve lo garantisco, tenente! — Il volto del grosso poliziotto era cinereo. — Lo giuro sulla tomba di mia madre. Non mi sono mai mosso di qui, da quando l’hanno portato sul lettino a rotelle, neanche per andare al gabinetto.

— Barnett, qualcuno è venuto in questa stanza e ha pugnalato Rossi. Chi?

— Ve l’ho detto, tenente. Nessuno è entrato, tranne il medico, un paio di volte, e voi.

I denti di Clancy scricchiolarono. — E come sai che era proprio il medico?

— Aveva il camice — sbottò disperato Barnett. — E la maschera, i guanti, e tutta quella roba, come si vede alla televisione.

— E perciò doveva essere per forza un medico — disse, sarcastico, Clancy, fulminando con occhi l’agente intimorito. — Era lo stesso dottore, entrambe le volte?

Barnett fissò il pavimento, disorientato, evitando il suo sguardo.

— Accidenti! Credo di sì. È difficile dirlo. Sembrano tutti uguali con quei camici bianchi.

— Quando è venuto l’ultima volta, il dottore?

— Non molto tempo fa. — Barnett cercò affannosamente di ricordare. — Direi meno di mezz’ora fa. Non ho verificato l’ora.

Clancy cercò di riprendere il controllo di sé. — Non ti muovere di qui. Lui è stato ucciso e tu non l’hai impedito. Guarda almeno se puoi fare in modo che qualcuno non rubi il cadavere, finché non torno.

Uscì nel corridoio. I suoi passi echeggiarono sulla scala di marmo che scendeva al quinto piano. Sul pianerottolo, guardò con impazienza in entrambe le direzioni. Un segnale luminoso, che risaltava anche sull’accecante colore delle pareti del corridoio, indicava le stanze dei medici. Vi si diresse e spinse bruscamente la porta. Il dottor Willard, con i piedi sulla scrivania e una tazza di caffè in mano, alzò il capo.

— Salve, tenente. Siete mattiniero. Volete un caffè? — Fece l’atto di prendere il termos dalla scrivania.

— No, grazie. — Clancy si guardò intorno. Poi, impassibile, si rivolse di nuovo al medico: — Come sta il vostro paziente?

3.

— Bene. Proprio bene, effettivamente. Quando sono andato a visitarlo l’ultima volta, il decorso era buono. Polso e respirazione, secondo le previsioni.

— Quanto tempo fa?

Il medico guardò l’orologio al polso. — Circa un’ora fa, direi. — Sorseggiò il caffè. — Volete dargli un’occhiata?

— Se non vi dispiace.

— Affatto. — Finì il caffè e tirò giù dal tavolo i piedi. Prese dal cassetto lo stetoscopio e se lo appese al collo. — Si sta riprendendo bene, se si considera in che stato era. Però, detto tra noi, sarò felice quando lo porteranno via.

Clancy non rispose. Lo precedette nel corridoio deserto. Salirono le scale, fianco a fianco. Voltato l’angolo del corridoio, il medico domandò sorpreso: — Dov’è l’uomo di guardia?

— È nella camera.

Il dottor Willard guardò Clancy con una strana espressione, allungò il passo e varcò la porta della camera, seguito dal poliziotto. Il fiato gli si mozzò, alla vista del corpo. Corse avanti. Meccanicamente, sollevò una palpebra e tastò il polso. Lasciò ricadere il braccio inerte e allungò la mano verso il coltello, ma subito si trattenne e si passò la mano sui calzoni bianchi.

— È morto…

— Proprio così.

— Stava così bene. Era… — I suoi occhi erano fissi sul manico del coltello, la sua bocca era semiaperta.

— Già. — Clancy tirò su il lenzuolo e coprì il volto contorto. Indietreggiò, strofinandosi involontariamente le dita. — Quanti medici ci sono nell’ospedale?

— Quanti medici? — L’assistente sembrò sorpreso della domanda.

— Non preoccupatevi delle mie domande e non cercate di analizzarle. Rispondete e basta.

Willard annuì. — Cinque medici fanno parte del corpo sanitario, ma l’unico interno sono io. Il solo che faccia il turno di notte, stando così le cose. Vedete, questa è più una casa di cura che un ospedale…

— Lo so. E se lo sento dire ancora una volta, urlo. E le infermiere quante sono?

— Non lo so. Otto o nove, del turno di notte. Posso informarmi, se è importante.

— Non è importante. — Clancy guardò l’agente che stava silenzioso in disparte. — Barnett, va‘ a chiamare Kaproski. È nella mia macchina, davanti all’ospedale o da qualche parte qui vicino. Digli di venire nello studio del medico, al quinto piano. — Si girò. — Andiamo, dottore. Avremo una piccola riunione giù. — Guardò la porta.

— Si possono chiudere queste stanze?

Il giovane medico si frugò in tasca e tirò fuori un mazzo di chiavi.

— Certo, ma…

— Datemi la chiave di questa camera.

Il medico armeggiò col portachiavi, ne tolse la chiave giusta e gliela porse. Clancy fece strada fuori, chiuse la porta a chiave e se la infilò in tasca. Barnett, in silenzio, prese l’ascensore, mentre gli altri scendevano per le scale.

Nel piccolo studio, il giovane assistente si lasciò cadere in una poltrona. Clancy si sedette sull’angolo della scrivania, col viso contratto, in profonda riflessione. Aspettarono in silenzio. Infine, nel corridoio risuonarono dei passi rapidi e la porta si spalancò per lasciare entrare Barnett e un eccitato Kaproski.

— Gesù, tenente! Barnett mi ha detto…

Clancy, con un gesto, lo interruppe. — Già.

— Santi numi, tenente! Che cosa dirà Chalmers?

— Lascia perdere Chalmers. — Il tenente guardò i tre uomini con aria cupa. Si sentiva invadere dalla stanchezza e con sforzo cercò di concentrarsi. — Poco meno di un’ora fa, qualcuno, travestito da medico, è entrato in quella stanza e ha ucciso il nostro uomo, con un coltello da cucina. Nessuno lo ha visto, o, come è successo a Barnett, nessuno ha fatto caso a lui, vedendolo… Ciò deve aver richiesto della premeditazione, a meno che l’individuo non avesse puntato sulla fortuna. E anche in questo caso, ne avrebbe avuto bisogno di più che un acrobata con due biciclette. Doveva scoprire chi era Rossi, dov’era e come raggiungerlo. Tutto in un lasso di tempo brevissimo. — Sospirò profondamente. — Questo è pressappoco quanto abbiamo, su cui procedere…

— Procedere? Kaproski lo guardò meravigliato. — Diamine, tenente, appena la Omicidi lo riferirà a Chalmers, lui avrà un travaso di bile. Perderà certamente le staffe e ve lo toglierà subito di mano.

— Ecco perché non chiameremo la Omicidi — disse Clancy tranquillamente. — Almeno non adesso.

Tre paia di occhi lo fissarono incredibili. Lui fece un pacato cenno di assenso, prese una sigaretta, ostentando una calma che era ben lungi dal provare. Accese con lentezza la sigaretta. Kaproski trangugiò nervosamente; ancora non del tutto certo di aver capito bene.

— Non avvertirete la Omicidi di questo assassinio? Voi, tenente?

— Non adesso — ripetè Clancy.

— Ma come pensate di tener segreta una cosa simile, tenente? — continuò Kaproski con voce quasi lamentosa. — Avete detto che Chalmers stamani avrebbe mandato qui un altro medico a visitarlo.

— Proprio così. — Clancy osservò il fumo della sua sigaretta e poi si voltò all’assistente, che era sbiancato in volto. — Dottore, avete un obitorio o una cella frigorifera dove poter tenere questa salma, ventiquattr’ore?

Il dottor Willard si umettò le labbra. — Non abbiamo un obitorio vero e proprio. C’è però un magazzino che è servito qualche volta a quello scopo. C’è l’aria condizionata…

— Bene. — Clancy sbriciolò la sigaretta nel portacenere. — Lo sistemeremo là, allora. Ci va qualcuno, là dentro?

— Quasi mai nessuno, ma… — L’assistente lo guardò, con espressione curiosa. — Non mi va. Perché dovrei rischiare dei guai? Che cosa dirò quando il medico mandato da Chalmers vorrà vedere quell’uomo?

— Direte semplicemente che stamattina presto il tenente Clancy è venuto con una autoambulanza privata e ha portato via il vostro paziente. E, dato che il tenente Clancy è un poliziotto, non potevate farci niente. — Fece una pausa riflettendo. — Naturalmente, non sapete dove sono andati.

Il dottore sembrò sconcertato, dal suggerimento. — Perché dovrei farlo? Perché dovrei mentire?

— Sentite, dottore, voi non conoscete il signor Chalmers, come lo conosco io. Metterebbe in croce me, voi, l’ospedale e tutti, se venisse a conoscenza dell’accaduto, ora. Se non ci fosse di mezzo Chalmers, sarei il primo a riferire quanto è successo. Tanto perché lo sappiate, non ho mai fatto niente di simile, prima d’ora. Non è cosa che facciano i tenenti di polizia, ma ora come ora, la nostra unica speranza è andare fino in fondo alla faccenda, prima che il signor Chalmers possa affondare il remo e intorbidare le acque. Saremmo così occupati a scansare le accuse, che nessuno avrebbe tempo di cercare l’assassino. — Indugiò e poi aggiunse: — Ed è questo che mi preme.

Kaproski guardò nella sua direzione con espressione decisa. — Il rischio è mio. Ci sono dentro fino al collo, comunque. Ditemi come potrei correre rischi peggiori?

Il medico aveva ancora la fronte aggrottata. — Non mi piace…

— Sentite, dottore, assumo io tutta la responsabilità, se qualcosa va male. Vi posso dire che, solo in questo modo, voi e l’ospedale eviterete fastidi. Voi non conoscete Chalmers — scrollò le spalle. — Lo avete sentito: «Siete responsabile della vita di Rossi». Se capita qui ora, se la prenderà con tutti. È un tipo vendicativo.

— È solo per ventiquattro ore?

— Non di più. Sarò fortunato se riuscirò a tenere Chalmers lontano dalle mie calcagna così a lungo. E se il tetto crollasse, vi prometto di farvi uscire senza danno.

— D’accordo — disse, senza entusiasmo, il medico. — Spero sappiate cosa state facendo, tenente.

Clancy sorrise tristemente al suo parziale trionfo. — Siamo in due, dottore.

— In tre — aggiunse Kaproski.

Clancy scrutò, con occhi penetranti, il poderoso agente. — Sei con me, Kap?

— Certo che sono con voi, tenente. Diavolo, tutto questo è avvenuto in massima parte per colpa mia. Se fossi stato più perspicace, al Farnsworth, non sarebbe successo niente di tutto questo. — Accennò, col capo, al silenzioso agente in divisa. — Che ne sarà di Frank?

— Occhio d’aquila? — Clancy sorrise freddamente. — Frank ha lasciato passare un assassino dalla porta che doveva sorvegliare. Se la caverà. Non è vero, Frank?

Barnett fece un sorriso sforzato.

— Chi, io? Sono con voi, tenente.

— Si raschiò nervosamente la gola.

— Caspita, non prendo gli ordini da voi, forse? Non lo faccio sempre?

Clancy non si curò di rispondere. La sua mente galoppava. Si voltò di scatto, serrando la mascella, deciso. — Bene. Ecco il programma, dottore, voi provvederete a sistemare il cadavere nel magazzino…

— La chiave…

Clancy gliela diede e continuò: — Fatelo senza farvi vedere. I miei ragazzi vi aiuteranno; forza ne hanno. Non toccatelo… nel trasportarlo. Poi, tu, Kaproski, setaccia l’ospedale da cima a fondo…

— Per cercare che cosa, tenente?

Clancy sbuffò. — L’equipaggiamento da medico, naturalmente. Devi scoprire da dove l’assassino è entrato e uscito. Chiedi alle infermiere di turno se hanno visto qualcuno e cerca di sapere da dove proviene quel coltello. — Si voltò verso Barnett: — Tu, dopo aver aiutato il dottore, con i tuoi muscoli, torna al comando e riferisci al sergente quanto ti dico. Ho trasportato Rossi in un altro ospedale e tu hai finito il tuo servizio qui. Rintraccia Stanton e digli che voglio vederlo all’albergo Farnsworth… No, è meglio che venga al bar all’angolo tra la Broadway e la Novantatreesima Strada, a un paio di caseggiati dall’albergo. Digli di venire là. Adesso, vado a far colazione. — Guardò l’orologio. — Stanton dove trovarsi al bar tra una mezz’ora.

Si rivolse di nuovo all’assistente. — Quando verrà il medico mandato dal vice-procuratore, voi sapete che cosa dovete dire. — Aggrottò la fronte. — E l’infermiera nell’atrio?

— Le parlerò io. Lei è… Be‘, siamo, per così dire, fidanzati…

— Bene, dottore, dove possiamo trovarvi, in caso di bisogno?

— Io resto qui, all’ospedale. Quando non dormo, lavoro, e viceversa.

— Allora siamo a posto. Possiamo andare.

— Gesù, tenente — mormorò preoccupato Kaproski. — Spero proprio…

— So quello che faccio — finì Clancy con un sorriso agro.

Sabato, ore 8, 45.

Clancy scostò il piatto, sorseggiò il suo caffè e posò la tazzina sul tavolo. Accese una sigaretta e aspirò profondamente, mandando nuvole di fumo verso il banco del bar.

— Dunque, questo è il punto della situazione — disse a Stanton. — adesso non dirmi anche tu: «Spero che sappiate cosa state facendo…»

— Va bene — disse Stanton, in tono rassegnato. — Lo spero proprio, ecco tutto. — Fissò la sua tazzina come se nei fondi del caffè fosse contenuta la spiegazione di qualche grande mistero. — Così il mio pollo è morto…

— Il tuo pollo? — Clancy lo guardò di traverso.

— Già. Mi doveva, sulla parola, sessanta dollari e rotti a ramino. Dovevamo sistemare tutto prima di martedì. — Stanton bevve il caffè e mise giù, amareggiato, la tazza cercando di non sbatterla. — Dovevo saperlo che era troppo bello per essere vero.

Clancy scosse tristemente il capo. — Abbiamo tutti i nostri guai -— disse sarcastico.

— Già. — Stanton diede una filosofica scrollata di spalle e non pensò più alla sua sfortuna. Guardò Clancy. — Avete qualche idea su questo affare, tenente?

— Nessuna molto chiara — disse accigliato Clancy. — Chi gli ha sparato, all’albergo, potrebbe aver saputo che era stato portato in quell’ospedale, se è rimasto nelle vicinanze. Il punto è: chi sapeva che Rossi era in quell’albergo? Solo il direttore. — Guardò Stanton, pensosamente. — Ha telefonato a qualcuno ieri, Rossi?

— No. Non ha né fatto, né ricevuto telefonate.

Clancy scrollò le spalle, finì la sigaretta e la schiacciò nei resti del caffè. — Andiamo all’albergo.

Uscirono dal bar, immersi nei loro pensieri, attraverso l’incrocio della West Avenue e si avvicinarono all’albergo. Entrati nell’atrio, indugiarono un momento sulla soglia per abituare gli occhi all’oscurità dell’interno. Un vecchio, dai capelli candidi, seduto su una sedia a dondolo dietro il bancone, sorrise loro amichevolmente. Si alzò a fatica dalla sedia, e, zoppicando, si accostò al bancone.

— Artrite — spiegò in tono di scusa, con un sospiro. — Il fatto è che non sono più giovane come una volta. Un tempo…

— Già — disse bruscamente Clancy. — Vorremmo vedere il direttore.

— Oh, sono io il direttore — dichiarò il vecchio con un sorriso. I suoi occhi azzurri ammiccarono come per una facezia spesso ripetuta. — Sono anche portiere, centralinista e cassiere. Abbiamo un inserviente, però. Purtroppo, non riuscirei a fare anche quello.

Clancy l’osservò. L’abito del vecchietto era lucido e Clancy non aveva visto, da anni, una cravatta come la sua, ma, sorprendentemente, entrambi erano in ordine e puliti. Cominciò a capire cosa aveva voluto dire Kaproski.

— Capisco. Possiamo andare da qualche parte a parlare? Siamo della polizia.

È per la notte scorsa? —• Si guardò attorno con sgomento. — Non potremmo parlare qui? Vedete, l’inserviente è fuori per una commissione e…

— Come volete. — Clancy spinse il cappello sulla nuca. — Prima di tutto, vorrei dei particolari sulla prenotazione della camera quattrocentocinquantasei. Se volete esaminare il vostro registro, fate pure.

— Oh, mi ricordo — s’affrettò a rispondere. — Sono vecchio, ma ho buona memoria. È solo questa artrite che mi dà fastidio, a volte, soprattutto quando è umido. Telefonò il signor Chalmers per prenotarla. Disse che era il vice-procuratore distrettuale e che desiderava una camera per un certo signor Randall… James Randall. Lasciò il suo numero di telefono, sia d’ufficio, sia di casa, in caso avessi avuto bisogno di mettermi in contatto con lui, per la prenotazione. Ma, abbiamo parecchie stanze libere… in questo periodo dell’anno.

— Già.

— E quando, la notte scorsa, è successo quel guaio gli ho telefonato, naturalmente — concluse il vecchio con semplicità.

— Sì, ma dopo aver visto questo Randall, avete capito che si trattava di Johnny Rossi, non è così?

Il vecchio lo guardò perplesso. — Che cosa avete detto?

— Avete sentito? Non vi meravigliò che Johnny Rossi venisse in un albergo come questo?

Gli occhi azzurri presero un’espressione ferita. — Non c’è niente di male nel mio albergo, signore. Non è nuovo, lo ammetto, ma è pulito e ha prezzi ragionevoli. Cambiamo le lenzuola ogni giorno. Per questi motivi, i nostri ospiti, sono qui da anni. Sono il proprietario, signore. Ho quest’albergo da quasi quarantanni. Anch’io vivo qui.

Clancy si sentì a disagio sotto quello sguardo dolente e accusatore.

— Non ho niente da dire contro il vostro albergo, vi ho solo chiesto se non vi sorprese che un uomo come Johnny Rossi volesse venir qui.

— Continuate a dire Rossi, ma l’uomo era Randall per me. Perché avrebbe dovuto sorprendermi? Non conoscevo il signor Randall o Rossi che sia, ma gente molto importante è stata qui, in passato. Molto importante. Perché non avrebbe dovuto venirci il signor Rossi? È pulito, decente… — Abbassò gli occhi al ricordo della notte precedente.

— È la prima volta che capita una cosa del genere. Non abbiamo mai avuto né incidenti né scandali, qui…

— Non sapete chi è Johnny Rossi? — chiese incredulo Clancy. — Non ne avete mai sentito parlare? Non leggete i giornali?

Lui tentennò il capo, canuto. — Non molto spesso, temo. Non sono molto piacevoli. Guerre, sparatorie, bombardamenti… — Si strinse le mani grinzose. — E ora se ne vengono fuori con questa bomba atomica…

Stanton si protese sul banco, fissando l’ometto. — Non sentite la radio?

Gli occhi azzurri s’illuminarono.

— Oh, certo! La musica e qualche romanzo a puntate. Un mucchio di gente dice che i romanzi sono… be‘, macchinosi, suppongo sia la parola esatta, ma a me piacciono. È vero che sono densi di guai, ma agli uomini capitano realmente i guai, sapete. Io ascolto volentieri quelle trasmissioni. Mi piacciono proprio. Ed effettivamente per la maggior parte, contengono dell’ottimismo, se uno sa capire il messaggio contenuto…

Clancy sospirò e diede a Stanton uno sguardo rassegnato.

-— Già. È proprio così. La vita è piena di avversità. Dobbiamo esaminare di nuovo quella camera, lino dei miei uomini, Kaproski, vi ha messo i sigilli, la notte scorsa.

— Oh, sì. Lo ricordo. È un uomo molto garbato.

— È un bonaccione — esclamò Stanton. — Andiamo, tenente.

— Un momento. Il quattrocentocinquantasei ha ricevuto o fatto telefonate?

— Stavo giusto verificando le telefonate notturne, quando siete entrati. — Andò zoppicando a un tavolino presso la sedia a dondolo e tornò con un blocchetto che prese a sfogliare. — Sì. Ce ne sono state due.

— Due? — Clancy prese il blocchetto dalle sue mani, deformate dall’artrite. — Murray Hill 7… All’inferno! Una era per me e quest’altra all’Uptown Hospital. — Buttò il blocchetto sul bancone. — Sono le sole telefonate di quella camera?

Il vecchio riprese il suo blocchetto e annuì serio serio. — Sì, soltanto queste, la notte scorsa. Il portiere di notte è molto preciso. Però ce n’è stata un’altra, ieri mattina, mentre ero qui io. Il signor Randall o Rossi che sia, la fece poco dopo il suo arrivo.

Gli occhi di Clancy s’illuminarono. — Avete preso nota del numero?

— Dovrei averlo segnato. —- Il vecchio corrugò la fronte, pensando. Zoppicò di nuovo verso il tavolino e dopo avere osservato alcuni blocchetti di appunti, scartandoli, ne trattenne uno e tornò da Clancy, sfogliandolo.

— Eccolo. University 6-7887.

Il tenente prese il foglietto e guardò il numero scribacchiato, sogghignando. Sentì dileguare, in parte, la sua stanchezza. — Ricopio questo numero se non vi dispiace. Volete, per favore, chiamarci la centrale dei telefoni?

— Certamente.

Il vecchio si avvicinò al centralino e con un sorrisetto di scusa, per la sua goffaggine, vi si sedette davanti. Le sue dita nodose fecero il numero e armeggiarono con la spina. Rimase un momento in ascolto e poi fece un cenno ai due uomini. — Potete usare quello lì…

Clancy, ringraziandolo col capo, sollevò la cornetta del telefono posto sul bancone.

— Pronto? Potete passarmi il signor Johnson, dell’ufficio informazioni, per favore? Grazie. — Preparò la penna e avvicinò il blocco di appunti. — Pronto, Johnson? Sono il tenente Clancy del 52° Distretto. Bene e voi? Potreste darmi una informazione? Avrei bisogno dell’indirizzo che corrisponde al numero University 6-7887… Certo, aspetto. — I suoi occhi rimasero fissi sul telefono, mentre i minuti passavano. Stanton se ne stava silenzioso, al suo fianco. Il vecchio, seduto presso il centralino, con le mani intrecciate sulle ginocchia, osservava calmo la scena.

— Pronto? Dite pure. Sì, ho capito. Ottantaseiesima Strada numero milleduecentodieci. Appartamento numero dodici. — Prese rapidamente nota, mentre parlava. — Molte grazie. Sì, certo. Una di queste sere… Grazie. — Mise giù il ricevitore, piegò il foglietto e se lo mise in tasca. I suoi occhi erano sfavillanti quando si voltò verso Stanton.

— Stanton, dovrai perquisire quella stanza, da solo. Voglio andare a fare un’ispezione a questo numero di telefono. Ti raccomando di fare un trattamento completo… Etichette, bagaglio, abiti, ogni cosa. Fodere e tutto. Portami quello che trovi nelle tasche.

Stanton annuì. Il possibile indizio di quel numero telefonico aveva risollevato il morale anche a lui.

— Certo, tenente. Non mi sfuggirà nulla. Dove ci vediamo, poi?

— Sarò in sede oppure ti lascerò un messaggio. Aspettami là.

— Okay. — Stanton esitò. — Se tornate al comando, tenente, Chalmers vi piomberà addosso in un minuto.

Clancy batté la tasca, dove aveva riposto il foglietto. — Forse, per allora, avrò qualcosa per lui. — Si girò all’ometto curvo presso il centralino. — Molte grazie per il vostro aiuto. Se i giornalisti o qualcun altro vi facessero delle domande… — Vide gli occhi azzurri rannuvolarsi. — Non vi sto chiedendo di mentire — disse Clancy, dolcemente. — Dite soltanto che la polizia vi ha ordinato di non dire nulla.

Il vecchio assentì, mentre i suoi occhi si rischiaravano. Clancy s’avviò alla porta, salutò con la mano e uscì. Il vecchio guardò Stanton.

— È un uomo molto simpatico.

— Già — disse Stanton andando verso l’ascensore. — Molto. Spero che sia altrettanto fortunato…