Settimo discorso

Osservando...

Lo sciocco è incurante.
Ma colui che è sovrano della propria vita coltiva
con costanza la propria osservazione:
è il suo tesoro più prezioso.

Egli non si lascia mai sedurre dal desiderio.
Egli medita.
E nella forza del suo proposito
scopre la vera felicità.

Egli vince il desiderio –
e dalla torre di saggezza
guarda verso il basso con distacco imparziale
la folla immersa nell’afflizione.
Egli guarda verso il basso
coloro che vivono attaccati al suolo.

Con presenza cosciente tra gente incosciente,
risvegliato mentre gli altri sognano,
veloce come un cavallo da corsa
egli distanzia la folla.

Con l’osservazione
Indra divenne il re degli dei.

Quale meraviglia è l’osservazione,
quale follia è dormire.

Il bhikkhu che osserva con attenzione la propria mente
e disdegna la caparbietà dei propri pensieri
distrugge col fuoco della propria coscienza vigile
tutti i vincoli del mondo.

Il bhikkhu che osserva con attenzione la propria mente
e disdegna la propria confusione
non potrà cadere.
Egli ha trovato la via che conduce alla pace.

La vita è tridimensionale, e l’uomo è libero di scegliere. La libertà che l’uomo ha è, al tempo stesso, una maledizione e una benedizione. Può scegliere di elevarsi, può scegliere di cadere. Può scegliere la via delle tenebre, oppure può scegliere la via della luce.

Nessun altro essere ha la libertà di scegliere. Le vite di tutti gli altri esseri viventi sono predeterminate. Poiché sono predeterminate, essi non possono perdersi... questa è la loro bellezza. Ma poiché sono predeterminate, sono meccaniche, automatiche, e questa è la parte orribile della loro realtà.

L’uomo non è ancora un essere, nel vero senso della parola. È solo un divenire, è sulla strada. Sta ricercando, indaga, brancola; ancora non è cristallizzato. Per questo non sa chi egli sia – poiché ancora non è, come può conoscere chi egli sia? Prima che si possa conoscere, deve accadere l’essere. E l’essere è possibile solo se scegli nel modo giusto, consapevolmente, in piena coscienza.

Jean-Paul Sartre ha ragione, quando dice che l’uomo è un progetto, che l’uomo crea se stesso col proprio sforzo, che l’uomo è nato solo in quanto opportunità, come una possibilità, non come una attualità. Deve diventare attuale... ed esiste ogni possibilità che manchi il bersaglio. Milioni di persone mancano il bersaglio: è rarissimo che una persona trovi il suo essere. Quando una persona trova il proprio essere, è un buddha.

Ma il requisito fondamentale è questo: scegli la tua vita con consapevolezza. In ogni caso, devi scegliere – che tu scelga con consapevolezza oppure no, non fa alcuna differenza, si deve scegliere. Tu non sei libero, nel senso che non ti sarà permesso di non prendere alcuna decisione, qualora lo volessi. Non sei libero di non scegliere: perfino non scegliere diventerà una scelta.

Alle moltitudini che si perdono, ciò accade perché non scelgono. Si limitano ad aspettare; continuano a sperare che qualcosa accada; in quel modo, nulla accade mai. Devi creare il contesto, lo spazio, perché qualcosa di valore ti accada, perché qualcosa di essenziale ti accada.

Nel mondo esistono due scuole di filosofi. Una crede che l’uomo sia nato in quanto essenza; è la scuola degli essenzialisti: afferma che l’uomo nasce già pronto, fatto e finito... questa è l’idea dei fatalisti. L’altra scuola è quella di coloro che si definiscono esistenzialisti. Essi credono che l’uomo non sia nato in quanto essenza, ma solo in quanto esistenza.

Qual è la differenza? L’essenza è predeterminata; la porti con la tua vita, è un’impronta dentro di te. Devi solo svilupparla, ma sei già fatto e finito. Non hai alcuna possibilità di creare te stesso, di farti. È un punto di vista estremamente vuoto di creatività: riduce l’uomo a una macchina.

L’altra scuola crede che l’uomo sia nato solo in quanto esistenza. L’essenza deve essere creata; non è già presente. Devi creare te stesso, devi trovare mezzi e modi per diventare, per essere. Devi diventare un ventre per il tuo stesso essere, devi dare vita a te stesso. La nascita fisica non è la vera nascita; devi rinascere un’altra volta.

Gesù dice a Nicodemo: “Se non torni a nascere, non entrerai nel regno del mio Dio”. Cosa vuol dire? Nicodemo deve forse morire prima in quanto corpo? Niente affatto. Gesù intende dire qualcosa di totalmente diverso: deve morire in quanto ego, in quanto personalità; in quanto passato; deve morire in quanto mente, solo quando si muore in quanto mente, si nasce in quanto essere.

In Oriente, abbiamo definito i buddha “due volte nati, dwij”. La gente comune nasce solo una volta; un buddha è nato due volte. Il primo dono della vita avviene attraverso i genitori, il secondo dono dovete darvelo voi stessi.

Potete scegliere fra queste tre dimensioni. Se scegliete una dimensione, conseguirete una particolare integrità, ma poiché è unidimensionale, non sarà totale e non sarà integra. La prima dimensione è quella della scienza, del mondo oggettivo, degli oggetti, delle cose, dell’altro.

La seconda dimensione è l’estetica: il mondo della musica, della poesia, della pittura, della scultura, il mondo dell’immaginazione.

E la terza dimensione è quella della religione... soggettiva, interiore.

Scienza e religione sono polarità opposte: la scienza è estroversa, la religione è introversa. E tra le due si estende il mondo dell’estetica. È il ponte: è entrambe e nessuna delle due cose. Il mondo dell’estetica, il mondo dell’artista, in un certo senso è oggettivo, ma solo in un certo senso... dipinge, e poi il dipinto nasce in quanto oggetto. Ed è anche soggettivo, perché prima di poter dipingere deve creare il dipinto nella propria interiorità, nella sua soggettività. Prima che un poeta possa cantare la propria canzone, egli la canta nei recessi più intimi del proprio essere. Prima la canta lì, solo in seguito essa fuoriesce e spunta nel mondo esterno.

È scientifica, nel senso che l’arte crea oggetti, ed è religiosa nel senso che, qualsiasi cosa l’arte crei, come prima cosa viene visualizzata nell’essere interiore di una persona. È il ponte tra la scienza e la religione. La religione è assoluta interiorità; è incamminarsi nell’essenza più intima del proprio essere, è soggettività.

Queste sono le tre dimensioni.

Se diventi uno scienziato e perdi contatto con il mondo dell’estetica e con quello della religione, sarai un uomo a una dimensione. Sarai solo un terzo, non sarai integro. Forse conseguirai una certa integrità, come la puoi vedere in un uomo come Albert Einstein – una individualità precisa, una bellezza, una verità, ma solo parziali.

Puoi scegliere di essere un artista: puoi essere un Picasso, un van Gogh, un Beethoven, un Rabindranath, ma anche in quel caso... sarai un po’ migliore, perché il regno dell’estetica è un regno di mezzo, è il mondo del crepuscolo... avrai in te qualcosa della religione. Ogni poeta ha qualcosa di religioso in sé; può esserne consapevole, può non esserlo, in ogni caso nessun poeta può essere privo di un sapore religioso. È impossibile. Perfino il più esteta degli artisti avrà inevitabilmente in sé una sorta di religiosità. Senza, non sarebbe un genio. Senza, sarebbe solo un esperto, un artigiano, ma non un artista.

Perfino un uomo come Jean-Paul Sartre – che è un ateo indefesso, che non ammetterà mai di essere religioso – perfino lui, in un certo senso è religioso. Ha creato grandi romanzi, e quei romanzi e i suoi personaggi possiedono una profonda interiorità. Quell’interiorità è stata vissuta da quest’uomo, altrimenti non ne avrebbe potuto scrivere. Quell’interiorità è stata sperimentata.

Inoltre, chi si addentra nel regno dell’estetica, avrà inevitabilmente in sé anche delle qualità scientifiche. Sarà una persona più logica dell’uomo religioso, sarà più orientata verso l’oggetto dell’uomo religioso – certo, meno fissa sugli oggetti dello scienziato, meno logica dello scienziato, ma più logica della persona religiosa. Sarà più equilibrata.

È meglio vivere nel mondo dell’arte, perché in qualche modo possiede qualcosa di tutte e tre le dimensioni – ma solo qualcosa, ancora non è totale.

L’uomo religioso, di nuovo, è unidimensionale, proprio come lo scienziato. Albert Einstein è unidimensionale, e così è Gautama il Buddha. E proprio perché l’Oriente è diventato unidimensionale, la religione ha sofferto molto.

Oggigiorno l’Occidente sta soffrendo moltissimo, e la causa è sempre l’unidimensionalità. L’Occidente è in bancarotta, per ciò che concerne il mondo interiore; e l’Oriente è in bancarotta, per ciò che concerne il mondo esterno.

Non è un caso che l’Oriente sia povero e denutrito: ha scelto di essere così. Ha negato la scienza; ha perfino negato il mondo della realtà oggettiva. Dichiara che il mondo è illusorio; se il mondo è illusorio, come puoi creare una scienza? Manca il primo requisito: non puoi creare una scienza da maya, da un’illusione. Come puoi creare una scienza partendo da qualcosa che non esiste neppure? Se neghi il mondo, hai negato radicalmente la dimensione della scienza.

Ecco perché l’Oriente è povero e denutrito. E se il genio orientale non lo comprende, potremo continuare a importare la scienza dall’Occidente, ma essa non metterà mai radici nei nostri esseri. Se il nostro approccio resta lo stesso degli ultimi cinquemila anni, la scienza esisterà unicamente come qualcosa di estraneo. Questo è ciò che accade oggi.

In India è facile trovare uno scienziato, famoso nel mondo per le sue ricerche, che vive una vita estremamente priva di scientificità. Magari consulta l’astrologo, o il mago; continua a fare il bagno nel Gange, per ripulirsi dai peccati di infinite incarnazioni. Può credere ancora in mille e una cosa che non sono altro che semplici superstizioni... eppure è uno scienziato! La scienza resta qualcosa di periferico; la sua anima resta ancora radicata nell’antico passato dell’Oriente, che è del tutto non scientifico.

L’Oriente ha sofferto moltissimo a causa della sua unidimensionalità. E oggi l’Occidente sta soffrendo di nuovo, per la stessa ragione: l’unidimensionalità. L’Occidente ha scelto di essere scientifico, pagando come prezzo l’essere religioso. Si nega Dio, e si nega l’anima. Come inizio l’uomo è stato ridotto a un animale, e ora a una macchina. L’uomo ha perso ogni gloria, ogni splendore; l’uomo ha perso ogni speranza, ogni futuro. Nel momento in cui l’uomo perde la propria interiorità, perde profondità, diventa superficiale. L’uomo occidentale è ricco, per ciò che concerne gli oggetti, ma è poverissimo per ciò che concerne l’anima – da un punto di vista interiore è povero, da un punto di vista esteriore è ricco.

Così stanno le cose, ora come ora.

E tra queste due realtà, esistono alcuni artisti che hanno qualcosa di entrambe le dimensioni. Ma perfino l’artista non è appagato, perché ha qualcosa di entrambe ma non è né uno scienziato, né una persona religiosa: possiede semplicemente guizzi di entrambi i mondi. Vive in una sorta di limbo; non si acquieta mai, resta un vagabondo. Si muove come fosse una navetta che collega i due mondi. Il suo contributo non è gran cosa: poiché non è uno scienziato, non può dare alcun contributo scientifico; e poiché non è un uomo religioso, non è in grado di dare un contributo in questo senso. Al massimo, la sua arte resta decorativa; al massimo, può rendere la vita un po’ più bella, un po’ più comoda, un po’ più confortevole. Ma questo non è gran cosa.

Io propongo la quarta via. Il vero uomo sarà simultaneamente tutte e tre le cose: sarà uno scienziato, un artista, e un religioso. E definisco questo quarto uomo “l’uomo spirituale”. Ecco dove differisco da Albert Einstein e da Gautama il Buddha e da Picasso, ecco dove mi stacco da tutti e tre... dovete ricordare le mie differenze.

Buddha è unidimensionale, incredibilmente bello! Per ciò che riguarda il suo mondo interiore, egli è il Maestro più grande, il Maestro del regno interiore, insuperabile, ma resta unidimensionale. Consegue una pace immensa, un silenzio, una beatitudine, ma non dà un contributo al mondo, da un punto di vista oggettivo.

Albert Einstein contribuisce al mondo in maniera estremamente oggettiva, ma non contribuisce per nulla riguardo al regno interiore – ecco perché il suo contributo divenne una maledizione.

Per tutta la vita soffrì, poiché egli fu l’uomo che propose la creazione delle bombe atomiche. Aveva scritto una lettera al presidente americano: “Ora è tempo – se non creiamo bombe atomiche, la guerra potrà continuare per anni e anni, e sarà oltremodo distruttiva. Sarà sufficiente costruire alcune bombe atomiche, lanciarle... e la guerra finirà!”.

Ma una volta che il potere – qualsiasi forma di potere – arriva nelle mani dei politici, non li si può più controllare, non si può impedire loro di usarlo. Il politico è il tipo di persona più stupido che esista, vera scimmia, va matto per il potere.

Una volta che la bomba atomica fu nelle mani dei politici americani, dovette essere lanciata da qualche parte. Hiroshima, Nagasaki furono inevitabili. E quando tutto questo accadde, per Albert Einstein divenne una ferita, una ferita profonda. Si pentì per tutta la sua vita.

Ormai morente, quando qualcuno gli chiese: “Se Dio ti desse un’altra opportunità di rinascere, vorresti tornare a essere uno scienziato?”.

Egli rispose: “No, certamente no, assolutamente no! Piuttosto vorrei essere un idraulico, ma non un fisico, non uno scienziato. Mi è bastato! Non sono stato una benedizione per questo mondo, bensì una maledizione”.

Certo, egli arricchì il mondo esterno, ma senza una crescita interiore parallela, qualsiasi realizzazione nel mondo esterno crea squilibrio.

Possiedi molte cose, ma non possiedi te stesso. Hai tutto ciò che ti può rendere felice, ma non sei felice, perché la felicità non potrà mai essere frutto di possessi. La felicità è un affiorare interiore; è un risveglio delle tue energie; è un risveglio della tua anima.

Buddha ha contribuito immensamente alla dimensione soggettiva; egli è il Maestro per eccellenza. Qualsiasi cosa dica è assolutamente vera, ma è unidimensionale – non scordatelo mai.

Qui, il mio sforzo è creare la quarta via: un uomo che riunisca in sé tutte e tre queste dimensioni della vita, che diventi una trinità, una trimurti, che abbia in sé tutti e tre questi aspetti di Dio. Che abbia tanta mente logica, quanta ne occorre per essere scientifici, ma che abbia anche tanta poesia, quanta ne occorre per avere senso estetico, e che abbia anche tanta meditazione e presenza attenta, quanta tutti i buddha hanno proposto.

Il quarto uomo è la speranza del mondo. La quarta via è la sola possibilità, se si vuole che l’uomo sopravviva. Se si vuole che l’uomo continui a esistere su questa Terra, dobbiamo trovare una grande sintesi fra queste tre dimensioni. E se tutte e tre queste dimensioni si incontrano, si fondono e si dissolvono in una sola, ovviamente la sintesi che ne risulterà sarà la quarta via!

Io parlo di Buddha, di Mahavira, di Gesù, di Patanjali, di Lao Tzu e di molti altri. Ma vorrei che vi ricordaste sempre che tutte queste persone sono unidimensionali. È mia intenzione arricchire la vostra vita con i loro insegnamenti, ma non fermatevi lì. Vorrei che andaste un po’ più a fondo anche in altre dimensioni.

Per questo la nuova Comune sarà un luogo in cui Oriente e Occidente si incontreranno, in cui la sfera soggettiva e quella oggettiva si fonderanno l’una nell’altra. Nella nuova Comune avremo scienziati, artisti, poeti, pittori, cantanti, musicisti, meditatori, yogin, mistici... ogni sorta di persone riverserà le proprie energie in un unico grande fiume. Ed è così che vorrei fosse tutto questo mondo.

Buddha deve essere incorporato in quella realtà, per questo ne parlo. E, ovviamente, la terza dimensione, la dimensione religiosa, è una delle più importanti, la più importante... senza, tutto sarebbe privo di anima.

I sutra di oggi:

Lo sciocco è incurante.

Ma colui che è sovrano della propria vita
coltiva con costanza la propria osservazione:
è il suo tesoro più prezioso.

Buddha definisce “sciocco” l’uomo, non perché sia ignorante, non perché non sia colto. Secondo Buddha, un uomo è uno sciocco se è inconsapevole, se si comporta inconsapevolmente, se vive nel sonno, se è sonnambulo. Se continua ad agire privo di qualsiasi consapevolezza, in questo caso è uno sciocco. La parola ha un significato particolare, ricordalo: inconsapevolezza, incoscienza, assenza di presenza cosciente... questa è la definizione che Buddha dà dello sciocco.

Egli si muove nella vita come un legno alla deriva, in balìa dei venti. Non sa chi è, non sa da dove viene, non sa dove sta andando, è del tutto accidentale; si limita a vivere per caso. Non possiede una ricerca cosciente e determinata dell’essere, della verità, della realtà. Segue la massa, rimane membro della psicologia di massa. Non è un individuo. Non ha una reale intelligenza personale, segue semplicemente gli altri. I genitori hanno detto qualcosa, o i preti, o i politici, ed egli continua a seguire ogni sorta di consiglio. Non ha alcuna idea del perché esiste, per quale scopo, né di cosa fa, e perché lo fa. Non si pone mai domande simili.

Per lui queste domande sono estremamente scomode. Gli creano ansia, pertanto le evita. Si limita a credere nelle risposte che gli vengono messe in mano; non le mette mai in dubbio. Non è che abbia conseguito fiducia – niente affatto, non ha neppure fiducia – semplicemente si limita a reprimere il suo dubbio, perché gli crea disagio.

Resta un hindu, un musulmano, un cristiano. Non si interroga mai e non rischia mai nulla per indagarsi. Non si addentra mai alla ricerca di chiarimenti: non è un avventuriero, la sua vita non è affatto un’avventura. È bloccato, dorme, ristagna. Non lo potrai mai separare dalla folla a cui appartiene, è simile a una pecora. Buddha lo definisce “sciocco”.

Lo sciocco può essere estremamente colto – di fatto, lo è quasi sempre. Può essere un pundit, uno studioso, un insigne professore – è così che nasconde la propria stupidità. Raccoglie sapere alla circonferenza e nasconde l’ignoranza che esiste al centro.

Esistono due tipi di persone: quelle estremamente colte ma che in realtà non sanno nulla, possiedono una sorta di sapere ignorante. E quelle che non sono colte, ma che sanno, possiedono una sorta di ignoranza sapiente.

Quando Buddha usa il termine “sciocco”, non parla della seconda categoria – poiché Buddha stesso non è molto colto, né lo è Gesù, né lo è Maometto. Essi sono innocenti, semplici, ma la loro semplicità, la loro innocenza, il loro essere immediati come bambini, sono tali da aver permesso loro di penetrare l’essenza più intima dell’essere. Sono riusciti a conoscere la propria verità; sono riusciti a raggiungere l’essenza più intima della loro esistenza. Essi sanno, ma non sono colti. Il loro sapere non deriva dalle scritture: la loro sapienza scaturisce da una osservazione attenta e consapevole.

Ricordate la fonte: la vera sapienza nasce dalla meditazione, dalla presenza attenta, dalla consapevolezza, dall’essere totalmente coscienti, dall’osservazione, dall’essere un testimone.

Viceversa, il falso sapere nasce dalle scritture. Puoi apprendere il falso sapere molto facilmente e te ne puoi gloriare, ma rimarrai uno sciocco – uno sciocco colto, ma pur sempre uno sciocco.

Se vuoi veramente conoscere, dovrai lasciar cadere tutto il tuo sapere, dovrai tornare a disimpararlo. Dovrai tornare a essere ignorante, simile a un bambino, con occhi colmi di meraviglia, assolutamente all’erta. In questo caso, non solo conoscerai il tuo essere, ma anche l’essere che esiste nel mondo... l’essere che esiste negli alberi e negli uccelli e negli animali e nelle rocce e nelle stelle. Se riesci a conoscere te stesso, arrivi a conoscere tutto ciò che esiste.

Dio è un altro nome per indicare tutto ciò che esiste.

Lo sciocco è incurante. Con “incurante” Buddha intende dire che si comporta inconsapevolmente. Non sa ciò che sta facendo. Si limita semplicemente ad agire, perché non riesce a stare senza fare niente; ricerca una continua occupazione. Non sa stare solo, ricerca una costante compagnia. Non può stare disoccupato, neppure per un solo istante, e questo perché quando non fa nulla, quando è solo, inizia a confrontarsi con se stesso... e la cosa lo terrorizza.

Non vuole scendere nell’abisso del proprio essere. Laggiù, tutto ciò che sa è del tutto privo di significato. Tutto ciò che sa, non può portarlo in quella dimensione. Tutto il suo sapere, tutta la sua efficienza, tutte le sue scritture, tutte le sue teorie, sono assolutamente futili nel mondo interiore. Si aggrappa al mondo esterno perché in esso egli è qualcuno. Nel mondo interiore non è nessuno.

Prova a osservare la gente! Di fatto è il maggior spettacolo che esista: mettiti sul lato della strada e osserva semplicemente i passanti. Cosa fanno? Perché lo fanno? E poi osserva te stesso – cosa fai tu? E perché?

Un uomo abborda una donna in una hall dell’albergo e va con lei nel suo appartamento. Entrambi si spogliano, ma a quel punto la donna dice: “Prima di tutto inseguimi e cerca di afferrarmi! Voglio infiammarmi, eccitarmi!”.

Per due ore l’uomo cerca di acchiapparla, ma non ci riesce... alla fine se ne va disgustato.

La notte successiva l’uomo vede la stessa donna che si lascia abbordare da un’altra vittima, e decide di curiosare dalla scaletta antincendio le peripezie del povero malcapitato. Eccolo quindi appollaiato che sbircia quel gran gioco di gambe da uno spiraglio lasciato dalle tende, quando suo malgrado si ritrova a commentare ad alta voce: “Ah, fratello, stai proprio facendo il pieno!”.

“L’hai detto,” sussurra una voce nel suo orecchio, “ma avresti dovuto vedere lo stronzo che ci è cascato ieri notte!”

Osserva le persone, è sufficiente: cosa fanno? Inseguono ombre, inseguono cose di cui non hanno bisogno, si impegnano in sforzi sovrumani per conseguire qualcosa e, una volta raggiuntala, non sanno cosa farsene. È così che la gente insegue il denaro, o il potere politico. Una volta che ce l’hai non sai cosa fartene.

Una donna dice a un’altra: “Non ti preoccupa tuo marito? Continua a tampinare donne... e tu lo sai!”.

L’altra donna ride e replica: “Non c’è nulla di cui preoccuparsi: è un po’ come i cani che inseguono le automobili!”. L’amica commenta: “Non capisco. Cosa vuoi dire?”.

E l’altra spiega: “Certo, i cani inseguono le automobili ma, una volta raggiunte, non sanno che farsene... la stessa cosa vale per mio marito. Insegue le donne, le acchiappa. Ma poi non sa cosa fare con loro. Lo conosco! Per questo non mi preoccupo”.

Questa è la situazione. Qualcuno vuole essere molto famoso, spreca tutta la sua vita per esserlo, e poi non sa cosa farsene della sua celebrità. Di fatto, una volta che diventi molto famoso, vuoi tornare a essere un perfetto ignoto... è un tale peso! Non ti puoi rilassare, non puoi andare da nessuna parte senza che una folla ti guardi. Non hai più alcuna privacy, non puoi più vivere una vita che sia tua. Tutti ti guardano, ti scrutano, indagano nella tua vita. Non puoi ridere, non puoi parlare tranquillamente... tutto diventa difficile.

Proprio qualche giorno fa, Jimmy Carter ha detto che se Kennedy si vorrà confrontare con lui nella campagna presidenziale, si troverà a “pulirgli il culo con la lingua”. Adesso tutto il mondo lo critica per aver usato quell’espressione... non gli è permesso neppure usare un’espressione così innocente... ora di certo si starà pentendo amaramente per averlo detto. Ha commesso un crimine.

Quando sei famoso, non hai più una vita privata – quando sei il presidente di un paese, il vincitore di un Premio Nobel, sei un personaggio pubblico. Sei sempre in scena, sei sempre in esposizione; devi essere sempre vestito di tutto punto! Non puoi fare neppure un gesto in piena libertà.

La gente ha soldi... ma non sa cosa farne.

L’uomo occidentale è sciocco. L’uomo saggio si muove con determinazione, compie ogni passo in piena coscienza. La sua vita è una costante ricerca del vero. Non è mai dispersivo; rimane all’erta in ogni sua azione... non a causa degli altri; è all’erta perché solo così acquisterà una integrità, solo così si cristallizzerà.

Lo sciocco è incurante. Il saggio è attento: attento a se stesso, alla propria vita, e anche agli altri. Si prende cura di ogni cosa, perché valorizza la propria vita. Sa che è preziosissima, che è un dono datogli da Dio quale opportunità per crescere, che non deve essere perduta in una sorta di ubriacatura.

Una prostituta, che ha ritrovato la retta via e si è unita all’Esercito della Salvezza, sta dando testimonianza della propria conversione in una strada di New York. “Mi concedevo a ogni uomo,” proclama con voce ispirata, “bianchi, neri, cinesi... adesso mi concedo solo a Dio Padre, a suo figlio Gesù e allo Spirito Santo!”

“Brava, sorella,” urla un ubriaco confuso tra la folla riunitasi ad ascoltarla, “scopateli tutti!”

Osserva la gente e osserva te stesso, e ti stupirai di quanto inconsapevoli e ubriachi siamo! Quanto siamo disattenti! Non ascoltiamo cosa viene detto, non vediamo ciò che abbiamo davanti agli occhi. I nostri occhi sono annebbiati, le nostre menti confuse, i nostri esseri non hanno alcuna chiarezza. Non siamo affatto percettivi, non abbiamo alcuna sensibilità.

Continuiamo a dire cose che non intendiamo, e poi soffriamo a causa loro. Continuiamo a dire cose che non avremmo mai voluto dire. Continuiamo a fare cose – perfino mentre le facciamo, non vorremmo farle, eppure continuiamo... una forza inconscia continua a spingerci. A volte decidiamo perfino di non fare una certa cosa, di non dire una certa cosa – ma poi la facciamo, anche se contrasta con la nostra decisione. Non abbiamo alcuna determinazione, non abbiamo alcuna risolutezza, non abbiamo alcuna volontà.

La donna sapeva che aveva solo poche ore di vita, per cui chiamò il marito e con voce imperiosa gli dettò le sue ultime volontà.

“Lo so,” disse, “che tu e mamma non siete mai andati d’accordo. Ma fammi un favore, portami al cimitero nella stessa auto su cui c’è lei!”

“Va bene,” replica il marito sconsolato, “ma sappi che mi rovinerà la giornata!”

Di fatto non è una barzelletta, accade ogni giorno. Dici cose che – dovresti saperlo – non va bene dire. Ma lo riconosci solo più tardi, quando il male è stato fatto... parli inconsapevolmente.

Quest’uomo, che stava piangendo, che diceva alla moglie: “Senza di te mi sarà impossibile vivere. Senza di te la mia vita sarà vuota, una parte della mia anima morirà con te...” e cose simili... all’ultimo momento si dimentica di tutto!

Lo sciocco è incurante.

Ma colui che è sovrano della propria vita
coltiva con costanza la propria osservazione:
è il suo tesoro più prezioso.

Lo sciocco resta uno schiavo – schiavo degli istinti, schiavo dei desideri inconsci, schiavo dei capricci, schiavo della società in cui è nato, schiavo delle mode – schiavo di tutto ciò che accade intorno a lui. Si limita a collezionare gesti imitativi... se il vicino compra una macchina nuova, deve comprarla anche lui, anche se non ne ha bisogno. Se il vicino compra una casa in collina, deve comprarla anche lui. Troverà difficoltà a mettere insieme i soldi, difficile gestire l’operazione; forse dovrà prendere del denaro in prestito, gli ci vorranno anni per pagare il debito, ma deve comprarla. Il suo ego è ferito... la gente vive imitando, senza prendersi affatto cura della propria vita.

Tra gli esquimesi c’è una tradizione, una tradizione molto bella: ogni anno, il primo giorno dell’anno, ogni famiglia guarda in tutta la casa per decidere ciò che non serve e ciò che serve. Ripuliscono ogni cosa: conservano solo ciò che è assolutamente necessario; tutto ciò che non lo è, viene dato agli altri.

E vi stupirà sapere che le case degli esquimesi sono le case più pulite che ci siano al mondo, hanno una purezza squisita – nessun pattume, nessun accumulo. Sono spaziose, piccole ma spaziose; si conserva solo ciò che è necessario, assolutamente necessario...

Prova solo a pensare a tutte le cose che continui ad accumulare: sono veramente necessarie? Ne hai veramente bisogno? Oppure le accumuli solo perché anche gli altri vivono accumulando?

L’uomo che osserva diventa padrone della propria vita. Vive in funzione della propria luce, non in base alla vita degli altri. Vive in funzione dei propri bisogni. E ricorda, i tuoi bisogni non sono molti: se sei saggio, se osservi in piena coscienza, vivrai una vita estremamente appagata, e semplicissima, attorniato da pochi oggetti.

Se invece imiti, allora la tua vita diventerà molto complessa, inutilmente complessa. E non voglio darvi alcuna direzione particolare su ciò che dovreste avere, o non dovreste avere. Vi dico semplicemente: continuate a osservare... qualsiasi cosa vi sia necessaria, abbiatela; e qualsiasi cosa non vi sia necessaria, dimenticatevene. Questa è la via del sannyas.

Io non sono favorevole alla rinuncia, ma di certo sono del tutto favorevole alla rinuncia di ciò che è inutile. E non solo voi collezionate cose inutili... desiderate anche cose inutili, e non meditate mai sul fatto che quelle cose non sono veramente necessarie. Vi aiuteranno in qualche modo? Vi renderanno più felici, più estatici?

Prima di iniziare a desiderare una cosa, pensateci tre volte... e rimarrete sorpresi: su cento cose che desiderate, novantanove sono assolutamente inutili. Vi tengono semplicemente occupati; quella è la loro unica funzione. Vi mantengono lontani da voi stessi; quella è la loro unica utilità. Non vi permettono di avere tempo o spazio per essere voi stessi. Sono pericolose: ed è a causa di queste cose inutili che sprecherete la vostra vita, e morirete in bancarotta.

...colui che è sovrano della propria vita
coltiva con costanza la propria osservazione...

Ho sentito raccontare:

Marito e moglie stanno impazzendo a causa della presenza ossessiva del fratello della moglie, venuto a trascorrere un week-end che sta durando sei mesi. Decidono una soluzione drastica: la moglie cucinerà un pollo e il marito esploderà infuriato, dicendo che è bruciato! Passeranno quindi la questione al cognato... se dirà che è buono, il marito lo accuserà di parteggiare per la moglie, e lo butterà fuori casa; se dirà che è cattivo, sarà la moglie a cacciarlo.

Sicuri di non poter fallire, preparano la scena nei dettagli, e il marito esplode in una furia che pare non lasciare dubbi, mentre il cognato gli allontana il piatto per evitare che venga travolto da quella tempesta incontrollata.

La moglie replica con la stessa foga... d’un tratto i due smettono di urlare, e si rivolgono a lui: “Harry”, chiedono in coro, “cosa ne pensi tu?”.

“Io,” replica Harry, sgranocchiando una coscia del pollo incriminato, “io penso di restare altri tre mesi!”

Deve essere stato un uomo molto attento. Deve essere stato molto cosciente, all’erta. Non si è lasciato prendere in quella trappola, pur così ben congegnata. Se non fosse stato più che attento, ci sarebbe inevitabilmente caduto: non dà alcuna opinione, si limita a dichiarare un fatto puro e semplice: “Penso di restare altri tre mesi”.

Vivi osservando attentamente e non verrai intrappolato. Vivi inconsapevolmente e verrai intrappolato a ogni passo; la tua vita diventerà sempre di più una prigione. E nessuno ne sarà responsabile, a eccezione di te.

Ma colui che è sovrano della propria vita
coltiva con costanza la propria osservazione:
è il suo tesoro più prezioso.

Qualsiasi cosa fa, la fa con piena consapevolezza. Qualsiasi cosa fate voi, la fate praticamente da automi, meccanicamente. Dovrete deautomatizzare voi stessi. E la meditazione non è altro che questo: un processo di deautomatizzazione.

Siete diventati macchine, agite per automatismi. Mentre guidate, fumate una sigaretta, parlate con un amico e pensate in cuor vostro a mille e una cosa. La maggior parte degli incidenti accadono per questo motivo. Ogni anno, sono più le persone che muoiono in incidenti stradali, in incidenti ferroviari e aerei, che non in guerra. Adolf Hitler può non aver ucciso tante persone quante ne sono uccise ogni anno dal comportamento automatico dell’uomo, in tutto il mondo.

Ma cosa potete farci? Quello è il vostro stile di vita: è così che vivete. Mangiate – ma vi limitate a rimpinzarvi, non prestate alcuna attenzione a ciò che mangiate. Fate l’amore con vostra moglie, o vostro marito, e non lo guardate neppure in faccia. Avete perso ogni sensibilità; continuate a muovervi, ma i vostri sono gesti vuoti, privi di qualsiasi sostanza, privi di significato: non possono averne, a meno che non siate pienamente consapevoli.

È la luce della consapevolezza che rende preziose le cose, le rende straordinarie; in questo caso, le piccole cose non sono più piccole. Quando un uomo all’erta, sensibile, in amore, tocca un comune sasso sulla spiaggia, quella pietra diventa un diamante.

Se invece tocchi un diamante nel tuo stato di inconsapevolezza, si riduce a un comune sasso, anzi, meno ancora. La tua vita avrà tanta profondità e tanto significato, quanta sarà la tua consapevolezza.

Oggi, in tutto il mondo, la gente chiede: “Qual è il significato della vita?”. Ovviamente, il significato è perduto, perché avete perso la strada che porta a trovarlo, e quella strada si chiama consapevolezza... il suo tesoro più prezioso.

Egli non si lascia mai sedurre dal desiderio.

Cosa intende Buddha con “desiderio”? Il desiderio indica tutta la tua mente. Desiderio significa non essere quieora. Desiderio significa spostarsi altrove, in un futuro che non è ancora. Desiderio indica i mille e un modo con cui si sfugge dal presente. Desiderio equivale alla mente. Nella terminologia di Buddha, il desiderio è la mente.

E il desiderio è anche il tempo.

Quando dico che il desiderio è anche il tempo, non parlo del tempo cronologico, intendo il tempo psicologico. Come crei il futuro nella tua mente? Desiderando. Vuoi fare qualcosa domani, devi creare quel domani; altrimenti il domani non esiste ancora da nessuna parte, non è ancora arrivato. Ma tu vuoi fare qualcosa domani, pertanto devi creare un domani psicologico.

E la gente crea anni davanti a sé, intere vite future. Pensa persino a cosa fare dopo la vita, dopo la morte... prepara perfino quello! E queste persone vengono ritenute religiose, non lo sono affatto. Il desiderio ti allontana dal quieora, e il qui-e-ora è la sola realtà.

Per questo Buddha dice: Egli non si lascia mai sedurre dal desiderio.

Non si sposta mai nel futuro, vive nel presente. Vivere nel futuro significa vivere una vita falsa, una vita artificiale.

Un’attricetta avvenente rifiuta con fermezza gli inviti di un giovanotto che torna continuamente alla carica, insistendo sul suo essere un ricco ebreo... deride perfino la sua offerta di centomila franchi. Arriva a dirgli che, per mostrare quanto poco tenga in conto il suo denaro, gli concederà di fare all’amore con lei per tutto il tempo che i suoi soldi impiegheranno a bruciare. L’uomo si presenta il giorno dopo col denaro, allinea i biglietti, sovrapponendoli l’uno all’altro, accende il primo e si precipita nel letto della donna, che lo sta aspettando nuda. Non appena l’ultimo biglietto va in fumo, la donna lo allontana bruscamente.

“Bene, ti ho avuta!” esclama l’uomo trionfante.

“Certo,” sorride lei, “ma i tuoi centomila franchi sono andati in fumo!”

“Che importa?” sorride l’uomo, accendendosi una sigaretta, “erano falsi!”

L’uomo che vive nel futuro, vive una vita falsa. Non vive veramente, finge solo di vivere. Spera di vivere, desidera vivere, ma non vive mai. E il domani non arriva mai... è sempre e solo oggi! E qualsiasi cosa giunga, è sempre e solo qui-e-ora, e quell’uomo non sa come vivere qui-e-ora; sa solo fuggire dal qui-e-ora. La via per fuggire è chiamata “desiderio”, “tanha”... questa è la parola che Buddha usa per indicare la fuga dal presente, dal reale all’irreale.

L’uomo che desidera è un escapista.

Ebbene, la cosa stranissima è che i meditatori vengono ritenuti escapisti. Si tratta di una vera e propria assurdità. Solo chi medita non è un escapista, tutti gli altri lo sono. Meditazione significa uscire dal meccanismo del desiderio, uscire dai pensieri, uscire dalla mente. Meditazione significa rilassarsi nel momento, nel presente.

La meditazione è l’unica cosa al mondo che non sia escapismo, anche se viene considerata la prima forma di escapismo! Le persone che condannano la meditazione, lo fanno sempre argomentando che si tratta di una fuga dalla realtà, di una fuga dalla vita. Dicono semplicemente cose assurde; non capiscono ciò che dicono.

Meditazione non è affatto fuggire dalla vita: è fuggire nella vita. La mente è una fuga dalla vita, il desiderio è una fuga dalla vita.

Egli non si lascia mai sedurre dal desiderio.
Egli medita.

Egli torna a riportare se stesso al presente, continuamente e ripetutamente. In continuazione la mente torna a mettersi in funzione, e sempre egli la riporta al presente. Pian piano, inizia ad accadere: la finestra si schiude, e per la prima volta vedi il cielo per ciò che è. E per la prima volta senti il vento e la pioggia e il sole, nella loro immediatezza, perché tu diventi meditativo. Inizi a toccare la vita. In questo caso, la vita non è più una parola, bensì una realtà tangibile; in questo caso, l’amore non è più una parola, ma un’energia straripante. Allora la benedizione non è più solo un desiderio, una speranza... tu la senti, la possiedi, sei una benedizione!

Egli medita... Buddha non è favorevole alla preghiera, egli opta per la meditazione, perché la preghiera è di nuovo una sorta di desiderio. Quando preghi, desideri. La preghiera è sempre orientata nel futuro: preghiera vuol dire chiedere qualcosa. Forse non chiedi denaro, forse chiedi Dio in persona... ma è la stessa cosa. Chiedi, e ti sei allontanato dal presente. Meditazione è uno stato di non-richiesta, di non-domanda, di non-pensiero. La preghiera è ancora parte del pensiero: un bellissimo pensiero, ma pensare è pensare; una splendida prigione, ma una prigione è pur sempre una prigione.

Inoltre, la mente che prega è avida, e la mente che prega non vive alcun processo di trasformazione; resta la stessa mente di sempre. E la preghiera nasce da quella stessa mente, non può avere alcuna qualità che la diversifichi: come puoi pregare per chiedere qualcosa che sia diversa da ciò che sei? Sarà la tua preghiera. Rifletterà la tua mente, uscirà dalla tua mente, fiorirà dalla tua mente... come può portarti oltre la mente? La preghiera non potrà mai portarti oltre la mente, solo la mente può farlo.

La meditazione è uno stato di nonmente. La preghiera è uno stato di mente religiosa, ma la mente è sempre presente. E quando ha splendidi paramenti sacri che la adornano, diventa ancor più pericolosa.

Un ragazzino, in gita coi genitori, si allontana da loro... All’improvviso si rende conto di essersi perso, e la notte sta calando inesorabilmente. Sempre più spaventato, dopo aver girovagato senza speranza per un po’, urlando per farsi sentire dai genitori, ma senza ottenere risposta, si inginocchia e prega levando le mani al cielo: “Signore,” implora con intenzione, “per favore, aiutami a trovare papà e mamma, e non picchierò più la mia sorellina, lo giuro!”.

Mentre è così raccolto in devozione, un uccello in volo caga proprio nelle mani del piccolo, devotamente elevate a Dio. Il ragazzino esamina perplesso quella risposta, poi torna a levare gli occhi al cielo e implora: “Ti prego, o Signore, non scagazzarmi così... mi sono veramente perso, lo giuro!”.

La tua preghiera sarà la tua preghiera; è parte di te, è un’estensione di ciò che sei; non ti può aiutare ad andare oltre te stesso. La meditazione è la sola via che può condurti oltre ciò che sei, il solo modo per trascendere se stessi.

E cos’è la meditazione? Non significa meditare su qualcosa: il termine tradotto con “meditazione” è fuorviante. Nelle lingue occidentali non esiste una parola che possa veramente tradurre la parola usata da Buddha: “sammasati”. È stato tradotto come “meditazione”, come “giusta presenza attenta”, come “presenza cosciente”, come “consapevolezza”, come “stato di all’erta”, come “osservazione cosciente”, come “essere testimone”... ma di fatto non esiste una sola parola che dia la qualità del “sammasati”.

“Sammasati” significa: è presente la consapevolezza, ma senza un contenuto. Non c’è pensiero, nessun desiderio, nulla che si agiti dentro di te. Non stai contemplando Dio, né una qualsiasi altra cosa... la natura e la sua bellezza, la Bibbia, il Corano, i Veda, e le loro affermazioni incredibilmente significative. Non stai affatto contemplando! E neppure sei concentrato su un oggetto in particolare. Non canti nessun mantra, poiché quelle sono tutte cose della mente, si tratta pur sempre di contenuti mentali. Non fai nulla di nulla! La mente è assolutamente vuota, e tu sei semplicemente presente in quel vuoto. Una sorta di presenza, una presenza pura, senza alcuna meta da raggiungere... assolutamente rilassato in te stesso, a riposo, a casa. Quello è il significato che Buddha dà alla parola “meditazione”.

E nessun altro ha mai raggiunto una simile bellezza di espressione, per ciò che riguarda questo termine. Molte persone si sono realizzate, ma nessuno è stato altrettanto espressivo, nessuno è riuscito più di Buddha a convogliare il messaggio:

Egli non si lascia mai sedurre dal desiderio.
Egli medita.

E nella forza del suo proposito
scopre la vera felicità.

La beatitudine è vera felicità. Ciò che voi definite felicità è semplice miseria, sotto mentite spoglie. Ciò che definite felicità, non è altro che piacere, svago, divertimento. È momentaneo, non può essere vero. La verità deve avere una qualità, e cioè il sapore dell’eterno. Se qualcosa è vero, è eterno; se è falso, è momentaneo.

La vera felicità si trova solo quando la mente arresta del tutto le proprie funzioni. Non proviene dall’esterno. Affiora all’interno del tuo essere, inizia a straripare da te... diventi luminoso, diventi una fontana di beatitudine.

Egli vince il desiderio –

e dalla torre di saggezza

guarda verso il basso con distacco imparziale
la folla immersa nell’afflizione.

Egli guarda verso il basso

coloro che vivono attaccati al suolo.

Allorché si diventa un buddha – vinto il desiderio, vinta la mente, vinto il tempo, trasceso l’ego – non si è più parte di questa Terra. Si vive ancora sulla Terra, ma l’anima si libra così in alto che, dalle vette assolate del suo essere, il buddha può vedere la folla disperata che vagola nelle valli oscure della vita, muovendosi a tentoni, ubriaca, lottando, persa nell’ambizione, nell’avidità, nella rabbia, nella violenza... un vero e proprio spreco di opportunità immense. Nel suo essere affiora un’immensa compassione... tutta la sua passione attraversa un disincanto e diventa compassione.

Passione vuol dire usare l’altro come uno strumento... e quello è il fondamento dell’immoralità. Usare qualcuno come uno strumento... come un mezzo è l’atto più immorale che esista al mondo, perché ogni persona è fine in se stessa. Usarla come mezzo significa sfruttarla. Ed è ciò che noi chiamiamo amore: il marito usa la moglie, la moglie usa il marito; i bambini usano i genitori, e i genitori in seguito usano i propri figli. Questo è ciò che noi definiamo amore!

Non è amore, è una strategia della mente; è veleno ricoperto da zucchero. Questo amore è veramente disgustoso. Ecco perché vedete il mondo intero immerso in qualcosa di tanto disgustoso; questo amore rivolta lo stomaco... ha nauseato l’intera anima dell’umanità, poiché non è affatto amore. È passione, lussuria, è usare l’altro come un mezzo.

Quando inizi a meditare, ti sposti su un secondo livello, il disincanto – l’amore scompare. Entri in una fase neutrale; proprio come, in auto, se vuoi cambiare marcia devi passare in folle, allo stesso modo la passione deve entrare in una fase di neutralità – diventa disincanto. L’amore scompare. Per un momento, in quell’intervallo, l’uomo che si sta incamminando verso la buddhità, diventa assolutamente freddo, privo di qualsiasi passione.

E poi si raggiunge il terzo stadio. Quando si è conseguita la buddhità, quando si è conseguita la beatitudine, e si è trovata la fonte inesauribile di beatitudine – aes dhammo sanantano – allorché si è trovato il principio dell’eternità, quando si è trovato l’inesauribile tesoro della vita, si inizia a straripare. L’amore ritorna... di fatto, l’amore affiora per la prima volta: è compassione. Ora quell’uomo riversa la propria compassione su qualsiasi essere umano; qualsiasi persona si avvicini a lui, egli la inonda con la propria beatitudine, condivide la propria strada, condivide la propria intuizione.

Con presenza cosciente tra gente incosciente,
risvegliato mentre gli altri sognano,

veloce come un cavallo da corsa

egli distanzia la folla.

Allorché sei stabile nella meditazione e nella compassione, non cadi più vittima del sonno e dei sogni. Rimani sveglio, anche mentre dormi. Allora la tua vita diventa una freccia che si muove precisa e diritta, a velocità incredibile, alla velocità della luce, verso la meta. Per la prima volta, diventi essere.

Veloce come un cavallo da corsa

egli distanzia la folla.

Con presenza cosciente tra gente incosciente,
risvegliato mentre gli altri sognano.

Quella è la differenza tra Buddha e gli altri. Gli altri sognano, di fatto non stanno realmente vivendo; sperano di vivere un giorno, si preparano a vivere, ma di fatto non vivono. E quel giorno non arriva mai... prima di quel giorno, arriva la morte.

Un buddha è risvegliato. Perfino mentre dorme non sogna. Quando il desiderio scompare, scompaiono anche i sogni. I sogni sono desideri tradotti nel linguaggio del sonno. Un buddha dorme in piena consapevolezza. Dentro di lui la luce continua ad ardere. Il corpo ha bisogno di riposo, per questo dorme, ma egli non ha bisogno di riposo alcuno – l’energia è inesauribile. E lì, nel centro del suo essere, una piccola luce continua ad ardere. L’intera circonferenza è profondamente addormentata, ma quella luce è sveglia, vigile, all’erta.

Noi dormiamo anche quando siamo svegli: egli è sveglio anche quando dorme.

Con l’osservazione

Indra divenne il re degli dei.

Quale meraviglia è l’osservazione,
quale follia è dormire.

Il bhikkhu che osserva con attenzione la propria mente e disdegna la caparbietà dei propri pensieri
distrugge col fuoco della propria coscienza vigile
tutti i vincoli del mondo.

“Bhikkhu” è la parola che Buddha usa per indicare il sannyasin. “Sannyasin” è la parola che uso io, per indicare il bhikkhu. Non ho scelto il termine usato da Buddha, per un motivo ben preciso... letteralmente, bhikkhu significa “mendicante”.

Buddha rinunciò al suo regno per diventare un mendicante. Certo, perfino da mendicante cammina come un imperatore; certo, egli è di gran lunga più aggraziato di quanto non lo fosse in passato, ed è molto più ricco di un tempo. Ma, poiché ha rinunciato al proprio regno, la gente iniziò a definirlo “bhikkhu”, un mendicante. E, pian piano, il nome venne adottato anche dai suoi seguaci.

Io non voglio che voi siate dei mendicanti. Io voglio che siate signori, padroni di voi stessi, sovrani, maestri. Per questo ho scelto il termine “sannyasin”. Un sannyasin è qualcuno che sa come vivere nel modo giusto. Non è una rinuncia; al contrario, è gioire, è celebrare.

Il bhikkhu che osserva con attenzione la propria mente
e disdegna la caparbietà dei propri pensieri
distrugge col fuoco della propria coscienza vigile
tutti i vincoli del mondo.

Certo, la meditazione è fuoco: arde i tuoi pensieri, i tuoi desideri, i tuoi ricordi; incenerisce il passato e il futuro. Brucia la tua mente e l’ego. Ti sottrae tutto ciò che pensi di essere. È una morte e una rinascita, è una crocefissione e una resurrezione. Rinasci di nuovo. Perdi totalmente la tua identità, e consegui una nuova visione della vita.

Quella visione della vita è ciò che si intende con Dio, dhamma, tao, logos. Puoi scegliere il nome che più ti piace, per indicarla, poiché non ha un nome proprio. Di fatto, non è affatto esprimibile; può solo essere indicata, accennata.

Il bhikkhu che osserva con attenzione la propria mente e disdegna la propria confusione
non potrà cadere.

Egli ha trovato la via che conduce alla pace.

La mente è confusione. Pensieri e pensieri... migliaia di pensieri che rumoreggiano, che si schiantano gli uni sugli altri, che lottano tra loro, che litigano per attirare la tua attenzione. Migliaia di pensieri che ti strattonano in mille direzioni. È un miracolo come tu riesca a tenerti insieme. In qualche modo riesci a non esplodere in mille frammenti... ma è solo apparenza, è solo una facciata. In profondità, dentro di te, esiste una folla che rumoreggia, una guerra civile, una continua lotta fratricida. I pensieri lottano tra loro, i pensieri vogliono tutti che tu li appaghi. È una gran confusione... ed è ciò che tu definisci “mente”.

Ma se sei consapevole che la mente è confusione, e non ti identifichi con la mente, non cadrai mai. Diventerai “a prova di caduta”! La mente diventerà impotente; e poiché tu osserverai incessantemente, le tue energie pian piano si ritireranno, si allontaneranno dalla mente; non le daranno più alcun nutrimento.

E allorché la mente morirà, tu nascerai come nonmente. Quella nascita è l’illuminazione. Quella nascita ti porta per la prima volta nella regione in cui dimora la pace, il paradiso del fiore di loto. Ti porterà nel regno della beatitudine, della benedizione. Altrimenti, rimarrai un inferno. Ora come ora sei in un inferno. Ma se prendi una decisione, se decidi, se scegli la consapevolezza, in questo preciso istante puoi fare un salto, un balzo dall’inferno al paradiso.

Dipende da te: puoi scegliere l’inferno, puoi scegliere il paradiso. L’inferno non costa nulla. Il paradiso richiede un grande sforzo, perseveranza, determinazione. L’inferno significa che puoi restare inconsapevole, puoi restare così come sei. Il paradiso significa che devi elevarti al di sopra di te stesso, devi trascendere. Devi spostarti dalle valli verso le vette.

E quelle vette ti appartengono, ma devi pagare per conseguirle. Scalarle è uno sforzo strenuo. Osserva, sii consapevole, medita, e un giorno ti troverai su quei picchi assolati. Quella è liberazione, quella è moksha. Quello è Nirvana... l’arresto dell’ego e la nascita di Dio.

Voi tutti avete le qualità per essere divinità. Se non lo siete, la responsabilità è solo vostra, di nessun altro. Ascoltate Buddha; e non limitatevi ad ascoltare lui, agite, dedicatevi a una vita di consapevolezza, coinvolgetevi.

Ma lasciate che ve lo ricordi ancora una volta: questa è solo una dimensione della vita – infinitamente ricca, ma pur sempre una sola dimensione. Dovrete fare qualcosa di più. Io vi do un compito ancor più arduo di quello che diede Buddha. Buddha diede una sola dimensione; io voglio che voi abbiate tutte e tre le dimensioni... e una sintesi.

La Terra ha bisogno di un uomo nuovo. Il vecchio tipo di uomo è ormai marcio, è finito, non ha futuro, non può sopravvivere. È arrivato alla fine della corsa... si trova sdraiato sul letto di morte. Se non nasce un uomo nuovo – in cui si incontrino Oriente e Occidente, in cui si sommino tutte e tre le dimensioni – l’umanità è condannata.

L’esperimento, che sto portando avanti qui, tende solo a creare i primi prototipi dell’uomo nuovo. Voi state partecipando a un grande esperimento, la cui importanza è immensa. Sentitevi benedetti. Sentitevi fortunati. Forse non siete consapevoli di ciò a cui state partecipando, ma voi potreste creare la storia! Tutto dipende da come vi impegnerete, da come vi coinvolgerete con me e con il mio esperimento.

Questa è la più grande sintesi possibile, la sintesi più grande che mai sia stata tentata...

Per oggi basta.