Primo discorso
Siamo ciò che pensiamo
Siamo ciò che pensiamo.
Tutto ciò che siamo sorge con i nostri pensieri.
Con i nostri pensieri formiamo il mondo.
Parla o agisci con mente impura
e sarai seguito da guai
così come la ruota segue il bue che tira il carro.
Siamo ciò che pensiamo.
Tutto ciò che siamo sorge con i nostri pensieri.
Con i nostri pensieri formiamo il mondo.
Parla o agisci con mente pura
e la felicità ti seguirà
come ombra, inamovibile.
“Guarda come mi sfrutta e mi maltratta
come mi malmena e mi deruba.”
Vivi con pensieri simili e vivrai nell’odio.
“Guarda come mi sfrutta e mi maltratta,
come mi malmena e mi deruba.”
Abbandona questi pensieri, e vivi in amore.
In questo mondo
l’odio non ha mai scacciato l’odio.
Solo l’amore scaccia l’odio.
Questa è la legge,
antica e inesauribile.
Anche tu sei di passaggio.
Sapendolo, come puoi metterti a discutere?
Facilmente il vento sradica un alberello.
Cerca la felicità nei sensi,
indulgi nel cibo e nel sonno,
e anche tu verrai sradicato.
Il vento non può divellere una montagna.
La tentazione non può toccare l’uomo
risvegliato, forte e umile,
che è padrone di se stesso e osserva la legge.
Se i pensieri di un uomo sono oscuri,
se egli non si cura delle conseguenze ed è pieno di sotterfugi,
come potrà indossare la veste gialla?
Chiunque sia padrone della propria natura,
luminoso, chiaro e sincero,
egli può indossare la veste gialla.
Miei amati bodhisattva certo... così io vi vedo. Ed è così che voi dovete iniziare a vedere voi stessi. “Bodhisattva” indica un buddha in essenza, un buddha in seme, un buddha addormentato, ma con tutto il potenziale per essere sveglio. In questo senso, chiunque è un bodhisattva, ma non tutti possono essere chiamati così: solo coloro che hanno iniziato a brancolare verso la luce, che hanno iniziato a desiderare l’alba, nel cui cuore il seme non è più un seme ma è diventato un germoglio... ha iniziato a crescere.
A causa del vostro desiderio di essere coscienti, svegli, a causa della vostra ricerca della verità, voi siete bodhisattva.
La verità non è remota, ma al mondo vi sono pochissimi fortunati che la desiderano. Non è lontana, ma è difficile, è arduo conseguirla.
È difficile raggiungerla, non per sua natura, ma a causa dei nostri investimenti nelle menzogne.
Per molte vite abbiamo fatto investimenti nelle menzogne. Il nostro investimento è così forte che l’idea stessa di verità ci spaventa. La vogliamo evitare, vogliamo sfuggire la verità. Le bugie sono splendide scappatoie: sogni comodi, confortevoli. Ma i sogni sono sogni. Possono incantarti per un momento, possono imprigionarti per un istante, ma solo per un istante. E ogni sogno è seguito da una tremenda frustrazione, e ogni desiderio è seguito da un profondo fallimento.
Tuttavia, noi continuiamo a correre verso nuove menzogne; se le vecchie vengono smascherate, immediatamente ne inventiamo di nuove. Ricordate: solo le bugie possono essere inventate; non è possibile inventare la verità. La verità esiste già! La verità deve essere scoperta, non inventata. Le menzogne non si possono scoprire, devono essere inventate.
La mente si sente a suo agio con le bugie, perché ne diventa l’inventore, “colui che agisce”. E quando la mente diventa colui che agisce, si crea l’ego.
Con la verità non devi fare nulla... e poiché non hai nulla da fare, la mente si arresta, e con la mente scompare, evapora anche l’ego. Questo è il rischio, il rischio supremo.
Ma voi vi siete incamminati verso quel rischio. Avete fatto alcuni passi; incerti, traballanti, a tentoni, esitando, colmi di dubbi... tuttavia, avete fatto alcuni passi. Per questo vi chiamo bodhisattva.
E il Dhammapada, l’insegnamento di Gautama il Buddha, può essere insegnato solo ai bodhisattva. Non può essere insegnato all’umanità comune e mediocre, perché non lo può comprendere.
Queste parole del Buddha provengono da un silenzio eterno. Vi possono raggiungere solo se le ricevete in silenzio. Queste parole del Buddha provengono da un’assoluta purezza. Se non diventate un medium, un ricettacolo; se non siete umili, privi di ego, attenti, consapevoli, non sarete in grado di comprenderle.
Intellettualmente, le comprenderete: sono parole semplicissime, le più semplici possibili. Ma proprio la loro semplicità è un problema, perché voi non siete semplici. Per comprendere la semplicità hai bisogno di semplicità di cuore, perché solo un cuore semplice può comprendere la semplice verità. Solo il puro può comprendere ciò che è nato dalla purezza.
Ho aspettato a lungo... ora il tempo è maturo, siete pronti. I semi possono essere gettati. Queste parole incredibilmente importanti possono essere pronunciate di nuovo.
Da venticinque secoli, non è mai esistita un’assemblea come questa. Certo, ci sono stati alcuni Maestri illuminati intorno ai quali si sono raccolti alcuni discepoli – mezza dozzina, al massimo una dozzina – e il Dhammapada è stato insegnato a questi piccoli gruppi. Ma consensi così piccoli non sono in grado di trasformare un’umanità così numerosa; è come buttare zucchero nell’oceano, usando un cucchiaino: non lo si può addolcire, quello zucchero andrà semplicemente sprecato.
È necessario compiere un esperimento di grande portata, senza confronti, su scala così vasta che ne sia toccata almeno la parte essenziale dell’umanità: quanto meno l’anima, il centro dell’umanità ne sia risvegliato. Alla periferia, le menti mediocri continueranno a dormire – lasciate che dormano – ma al centro, là dove dimora l’intelligenza, si può accendere una luce.
I tempi sono maturi, è giunto il tempo in cui questo accada. Il mio sforzo, in questo posto, è essenzialmente teso a creare un buddhafield, un campo di energia in cui queste verità eterne possano essere pronunciate di nuovo. È un’opportunità rara. Solo occasionalmente, una volta ogni tanto, dopo secoli, esiste un’opportunità come questa... non perdetela! Siate molto attenti, coscienti.
Ascoltate queste parole, non solo con la testa, ma con il cuore, con ogni fibra del vostro essere. Lasciate che la vostra totalità ne venga colpita.
E dopo i miei ultimi dieci giorni di silenzio, questo è l’esatto momento in cui riportare alla luce il Buddha, per renderlo vivo tra voi ancora una volta, per lasciarlo camminare tra di voi, per permettere ai venti del Buddha di attraversarci.
È vero, è possibile rievocarlo perché nessuno scompare mai. Buddha non è più una persona racchiusa in un corpo; sicuramente non esiste più da qualche parte, in quanto individuo; ma la sua essenza, la sua anima, ora è parte dell’anima cosmica.
Se molte, moltissime persone, animate da un profondo anelito, spinte da un anelito immenso e appassionato, forti di un cuore colmo di preghiera, lo desiderano, lo desiderano appassionatamente, allora l’anima che è scomparsa nell’anima cosmica può tornare a manifestarsi in milioni di modi.
Un vero Maestro non muore, non può mai morire. La morte non accade mai ai Maestri: per loro non esiste; per questo sono Maestri. Hanno conosciuto l’eternità della vita; hanno visto che il corpo scompare, ma che il corpo non è tutto: il corpo è solo la periferia, il corpo è solo un involucro. Il corpo è la casa, la dimora, ma l’ospite non scompare mai.
L’ospite si limita a spostarsi da una dimora all’altra. Alla fine, un giorno, inizia a vivere sotto il cielo, senza dimora alcuna... ma l’ospite permane sempre. Solo i corpi, solo le dimore, vengono e vanno. Nascono e poi muoiono; ma esiste un flusso interiore ininterrotto, una continuità interiore che è eterna, al di là del tempo, al di là della morte.
Ogni volta che riesci ad amare un Maestro – un Maestro come Gesù, Buddha, Zarathustra, Lao Tzu – se la tua passione è totale, immediatamente si crea il contatto.
Il mio parlare sul Buddha non è solo un commentario alle sue parole: è creare un ponte. Buddha è uno dei Maestri più importanti mai esistiti sulla Terra – è unico, incomparabile – e se riuscite ad avere un assaggio del suo essere, ne trarrete un beneficio enorme, una benedizione infinita.
Io sono immensamente contento, perché dopo questi dieci giorni di silenzio, vi posso annunciare che molti di voi, ora, sono pronti a comunicare con me in silenzio.
Questa è la somma comunicazione: le parole sono inadatte; le parole esprimono solo in modo parziale. Il silenzio comunica totalmente.
Inoltre, usare le parole è un gioco pericoloso, perché il mio significato resterà in me, a voi arriveranno solo le parole; e voi darete loro il vostro significato, le vostre sfumature: non conterranno più la stessa verità che avrebbero dovuto contenere.
Conterranno qualcos’altro, qualcosa di estremamente più povero. Conterranno il vostro significato, non il mio. Potete deformare il linguaggio – di fatto, è pressoché impossibile evitare una deformazione – ma non potete deformare il silenzio: o lo capite oppure non lo capite.
In questi dieci giorni erano presenti solo due categorie di persone: coloro che capivano e coloro che non capivano; ma non c’era una sola persona che fraintendeva. Non è possibile fraintendere il silenzio: questa è la sua bellezza. La demarcazione è radicale: o lo capite, oppure semplicemente non lo capite; non c’è nulla da fraintendere.
Con le parole si verifica la situazione esattamente opposta: è difficilissimo capire, ed è difficilissimo capire di non capire... sono due cose pressoché impossibili. E la terza è l’unica possibilità: fraintendere.
Questi dieci giorni sono stati di una bellezza strana e hanno anche avuto una maestà misteriosa: io, di fatto, non appartengo più a questa sponda; da lungo tempo la mia nave mi sta aspettando, me ne sarei già dovuto andare. È un miracolo che io sia ancora nel corpo; e voi ne siete l’unica causa, a voi spetta ogni merito: il vostro amore, le vostre preghiere, il vostro anelito. Vorreste che io mi attardi ancora un po’ su questa sponda, per questo l’impossibile è diventato possibile.
In questi dieci giorni, io non mi sentivo unito al corpo. Mi sentivo molto sradicato, distaccato: è strano essere nel corpo, senza sentire di esserci. Ed era altrettanto strano continuare a vivere in un luogo a cui non si appartiene più: la mia casa è sull’altra sponda, e il richiamo è sempre più insistente... ma, poiché voi avete bisogno di me, grazie alla compassione dell’universo – potete chiamarla “la compassione di Dio” – mi è permesso restare nel corpo un po’ più a lungo.
Era strano, era bello, era misterioso, era maestoso, era magico. E molti di voi l’hanno percepito. Molti di voi l’hanno sentito, in modi diversi. Alcuni l’hanno percepito come un fenomeno terrificante, come se la morte bussasse alla porta. Alcuni l’hanno percepito come una grande confusione. Alcuni si sono sentiti sconvolti, assolutamente sconvolti... tuttavia, in un modo o nell’altro, tutti ne sono stati colpiti.
Solo i nuovi arrivati erano un po’ persi: non riuscivano a comprendere cosa accadesse; ma anche a loro va la mia riconoscenza. Anche se non capivano cosa accadeva, hanno aspettato: aspettavano che io parlassi, aspettavano che io dicessi qualcosa... speravano. Molti hanno avuto paura che io non parlassi mai più... anche quello era possibile, io stesso non ne ero sicuro.
Per me, le parole stanno diventando sempre più difficili. Stanno diventando uno sforzo sempre più grande. Ho qualcosa da dire, per cui continuo a parlarvi; ma vorrei che vi preparaste, quanto prima, in modo che si possa sedere semplicemente in silenzio... ascoltare gli uccelli e le loro canzoni... oppure ascoltare semplicemente il battito del proprio cuore... essere semplicemente qui, senza far nulla...
Preparatevi il più presto possibile, perché da un giorno all’altro posso smettere di parlare. E fate in modo che a ogni angolo del mondo si diffonda questa notizia: coloro che mi vogliono capire solo attraverso le parole, devono venire al più presto, perché ogni giorno posso smettere di parlare. Un giorno qualsiasi, all’improvviso, può accadere: può accadere perfino nel bel mezzo di una frase. In quel caso non la completerò mai più! Rimarrà in sospeso per sempre e in eterno... incompleta.
Ma questa volta mi avete richiamato indietro...
Questi detti del Buddha sono definiti Dhammapada, un nome che deve essere compreso.
“Dhamma” ha molti significati. Indica la “legge suprema”, il logos. Con “legge suprema” si intende la legge che tiene insieme l’intero universo. È invisibile, è intangibile, ma è certo che esiste! In caso contrario, l’universo si frantumerebbe.
Un universo così infinito e così vasto, che procede così dolcemente e in modo tanto armonico, è una prova sufficiente che deve esistere un flusso sotterraneo che collega ogni cosa, che unisce tutte le cose, che connette il Tutto... noi non siamo isole, e il più piccolo filo d’erba è collegato alla stella più grande. Distruggi un filo d’erba, e avrai distrutto qualcosa che per l’intera esistenza ha un valore immenso.
Nell’esistenza non c’è alcuna gerarchia, non c’è nulla di piccolo e nulla di grande. La stella più grande e il più piccolo filo d’erba esistono entrambi su un piano di uguaglianza. Ciò implica un altro significato di “dhamma”; questo secondo significato è “giustizia”, “uguaglianza”, un’esistenza non gerarchica.
L’esistenza è assolutamente comunista, non conosce classi, è un’unica entità. Quindi, il secondo significato di “dhamma” è “giustizia”.
E il terzo è “virtù”, “equanimità”. L’esistenza è assolutamente virtuosa. Anche se trovi qualcosa che non riesci a definire virtù... dipende solo da un tuo fraintendimento. Altrimenti, l’esistenza è assolutamente virtuosa. Qualsiasi cosa accada in questa esistenza, accade sempre nel modo giusto.
Non accade mai nulla di sbagliato. Forse a te sembra sbagliato perché hai un’idea precisa di cosa sia il giusto, ma quando guardi senza pregiudizio, nulla è sbagliato, tutto è giusto. La nascita è giusta, la morte è giusta. Il bello è giusto, il brutto è giusto.
Ma la nostra mente è ristretta, la nostra comprensione è limitata... non siamo in grado di vedere il Tutto: vediamo sempre e solo una piccola parte. Assomigliamo a una persona che si nasconde dietro una porta chiusa e guarda la strada dal buco della serratura. Certo, continua a vedere qualcosa... qualcuno cammina, una macchina sta passando... un minuto fa non c’era, è presente per un attimo, e dopo un istante è scomparsa per sempre. Allo stesso modo, noi guardiamo l’esistenza: diciamo che qualcosa è nel futuro, poi diventa presente, e poi se ne va nel passato.
Di fatto, il tempo è un’invenzione umana. È sempre qui-e-ora! L’esistenza non conosce passato, né futuro: conosce solo il presente; ma noi siamo seduti dietro al buco di una serratura e guardiamo da lì.
Una persona non c’è, poi compare all’improvviso; poi, così come è apparsa, in un baleno sparisce. In quel caso si deve creare il tempo. Prima di comparire, quella persona era nel futuro; esisteva, ma per te era nel futuro. Poi è apparsa, ora è nel presente... ed è la stessa persona! Poi non sei più in grado di vederla dal tuo piccolo buco della serratura... è diventata passato. Nulla è passato, nulla è futuro: tutto è sempre presente. Ma il nostro modo di percepire il reale è limitatissimo.
Per questo continuiamo a chiedere come mai nel mondo vi è infelicità, come mai c’è questo e quest’altro... perché? Se si riesce a guardare il Tutto, questi interrogativi scompaiono completamente. E per guardare il Tutto, dovrai uscire dalla tua stanza, dovrai aprire... la porta, dovrai abbandonare questa percezione tanto ristretta.
Questo è la mente: un buco di serratura, ed è un buco piccolissimo. Paragonati alla vastità dell’universo, cosa sono i nostri occhi, le orecchie, le mani? Cosa possiamo afferrare? Nulla di gran rilievo. E noi ci aggrappiamo disperatamente a quei minuscoli frammenti di verità.
Se vedi il Tutto, tutto è come dovrebbe essere: questo è il senso di “tutto è giusto”. L’errore non esiste. Esiste solo Dio; il diavolo è una creazione dell’uomo.
Il terzo significato di “dhamma” potrebbe essere Dio. Ma Buddha non usò mai il termine “Dio’, perché era erroneamente associato all’idea di una persona; e la legge è una presenza, non una persona. Pertanto Buddha non usò mai la parola “Dio”, ma ogni volta che volle comunicare qualcosa su di lui, usò la parola “dhamma”.
La sua è la mente di uno scienziato molto profondo. Per questo, molti hanno pensato che fosse un ateo: non lo è. È il teista più grande che il mondo abbia mai conosciuto o che mai conoscerà, ma non parla mai di Dio. Semplicemente non usa mai quella parola; ma con “dhamma” intende esattamente la stessa cosa: “ciò che è”, cioè il significato della parola “Dio”... questo è precisamente il significato di “dhamma”.
“Dhamma” significa anche “disciplina”: si tratta di dimensioni differenti della parola. Chi vuole conoscere la verità dovrà disciplinare se stesso, in modi diversi. Non scordare il significato del termine “disciplina”: indica semplicemente la capacità di apprendere, la disponibilità ad apprendere, la ricettività per apprendere. Da qui il termine “discepolo”.
“Discepolo” indica colui che è pronto ad abbandonare i suoi vecchi pregiudizi, a mettere in disparte la sua mente, e a guardare all’interno di ciò che ricerca senza alcuna concezione a priori, senza alcun pregiudizio: è questa la “disciplina” del “dhamma”.
E “dhamma” indica anche la verità suprema. Quando la mente scompare, quando l’ego scompare, a quel punto cosa resta? Di certo resta qualcosa, ma non è possibile definirlo “qualcosa”, per cui Buddha lo chiama “il nulla” (nothing in inglese). Ma, per non fraintenderlo, lascia che ti ricordi questo: ogni volta che egli usa il termine “nulla”, vuol significare “nessun oggetto” (no thing in inglese). Spezza la parola in due, non usarla come un unico termine, inserisci un trattino tra “no” e “thing”, in questo caso saprai con precisione cosa significhi “nothing” (il nulla).
La legge suprema non è una cosa. Non è un oggetto che si possa osservare. È la tua interiorità, è soggettività.
Buddha sarebbe stato pienamente d’accordo con il pensatore danese Kierkegaard. Egli dice: “La verità è soggettività”. Questa è la differenza tra il fatto e la verità. Un fatto è una cosa oggettiva; la scienza continua a cercare con insistenza fatti su fatti, per cui non arriverà mai alla verità: è impossibile per definizione stessa. La verità è l’interiorità dello scienziato, ma lui non guarda mai in quella direzione. Continua a osservare altre cose, non diventa mai consapevole del proprio essere.
Quello è l’ultimo significato di “dhamma”: la tua interiorità, la soggettività, la tua verità.
Inoltre, ricorda una cosa di estrema importanza, lascia che scenda in profondità nel tuo cuore: la verità non è mai una teoria, non è mai un’ipotesi, è sempre un’esperienza. Pertanto, la mia verità non potrà mai essere la tua verità. La mia verità è inevitabilmente mia; rimarrà mia, non potrà mai appartenerti. Non la possiamo spartire: la verità non si può spartire, né trasferire, non è comunicabile, è inesprimibile.
Posso spiegarti come l’ho conseguita, ma non posso dire di cosa si tratti. Il “come” è spiegabile, ma non il “perché”. Si può mostrare la disciplina, non la meta. Ognuno deve arrivarci per suo conto. Ciascuno deve arrivarci nel proprio essere interiore: viene rivelata in estrema solitudine.
La seconda parola è “pada”. Anche “pada” ha molti significati. Uno, il più fondamentale, è “sentiero”. La religione ha due dimensioni: la dimensione del “cosa” e la dimensione del “come”.
Non si può parlare del “cosa”: è impossibile. Ma il “come” può essere descritto. Il “come” può essere condiviso. Questo è il significato di “sentiero”. Io ti posso indicare il sentiero, ti posso mostrare come ho viaggiato, come ho raggiunto le vette luminose. Te ne posso descrivere l’intera geografia, dartene la topografia dettagliata. Ti posso dare una mappa tratteggiata, ma non ti posso dire come ci si sente su un picco luminoso.
È come se chiedessi a Edmund Hillary e a Tenzing come hanno raggiunto la vetta più alta dell’Himalaya, l’Everest. Possono darti la mappa dettagliata di come sono arrivati in cima; ma se chiedi loro come si sono sentiti quando ci sono arrivati, possono solo stringersi nelle spalle.
La libertà che devono aver sentito è inspiegabile; la bellezza, la benedizione, il cielo sconfinato, l’altezza... e le nuvole ricche di colori... e il sole e l’aria cristallina... e le nevi vergini su cui nessuno prima di loro era mai passato... tutto questo è impossibile comunicarlo. Per conoscerlo si devono raggiungere quelle stesse vette luminose.
“Pada” significa “sentiero”; e “pada” significa anche “passo”, “gradino”, “fondamento”. Sono tutti significati importanti. Devi partire da dove ti trovi: devi diventare un grande processo, una crescita.
La gente è diventata pozze stagnanti: deve diventare fiumi, perché solo i fiumi possono raggiungere l’oceano... e “pada” vuole anche dire “fondamento”, perché si tratta della verità fondamentale della vita. Senza il “dhamma”, senza una qualche relazione con la verità suprema, la tua vita non ha fondamento, né significato, né un senso, né può avere alcuna gloria. Sarà un esercizio di pura futilità... se non sei collegato alla totalità, da solo non potrai mai avere alcun significato: rimarrai un relitto alla deriva, in balìa dei venti, senza sapere dove stai andando e senza sapere chi sei.
La ricerca della verità, la ricerca appassionata della verità, crea il ponte, ti dà un fondamento.
Questi sutra sono stati redatti come Dhammapada: non devono essere compresi intellettualmente, ma esistenzialmente. Trasformati in una spugna: lascia che vengano assorbiti, lascia che sedimentino in te. Non startene seduto a criticare, altrimenti ti lascerai sfuggire il Buddha. Non startene seduto a chiacchierare mentalmente, senza fermarti un attimo; non parlottare in te stesso, per decidere se siano veri o falsi: ti lascerai sfuggire il nocciolo della questione! Non preoccuparti se quanto viene detto è giusto o sbagliato.
La prima cosa, la cosa essenziale, è capire di cosa si tratta: cosa dice il Buddha, cosa cerca di esprimere.
Ora come ora, non è necessario giudicare. La prima cosa, la vera necessità primaria, è comprendere con esattezza cosa egli intende. E la sua bellezza è questa: se comprendi con esattezza cosa intende, ti convincerai della sua verità, la conoscerai. La verità ha vie proprie per convincere la gente, non le occorrono altre prove.
La verità non discute mai: è un canto, non un sillogismo.
I sutra:
Siamo ciò che pensiamo.
Tutto ciò che siamo sorge con i nostri pensieri.
Con i nostri pensieri formiamo il mondo.
Vi è stato detto e ripetuto che i mistici orientali credono che il mondo sia illusorio. È vero: non solo credono che il mondo sia falso, illusorio, maya – sanno che è maya, è un’illusione, un sogno. Ma quando usano la parola “samsara” – il mondo – non parlano del mondo oggettivo, quello che la scienza scruta, niente affatto. Non intendono affatto il mondo degli alberi e delle montagne e dei fiumi, proprio per niente! Parlano del mondo che tu crei, che tessi e cuci nella tua mente... della ruota della mente, che continua a girare e a intessere.
Il “samsara” non ha nulla a che vedere con il mondo esterno.
Dovete ricordare tre cose. La prima è il mondo esterno, il mondo oggettivo. Buddha non ne parlerà mai, perché non gli interessa; egli non è un Albert Einstein.
Poi viene un secondo mondo: il mondo della mente, il mondo studiato dagli psicoanalisti, dagli psichiatri, dagli psicologi. Buddha dirà poche parole in proposito, non molte, solo alcune, di fatto una sola: che è illusorio, che non ha verità, né oggettiva né soggettiva, che è una infrastruttura.
Il primo mondo, il mondo oggettivo, è quello investigato dalla scienza. Il secondo è il mondo della mente, ed è investigato dagli psicologi. E il terzo è la tua soggettività, la tua interiorità, il tuo sé interiore.
Le indicazioni del Buddha si rivolgono all’essenza più intima del tuo essere; ma tu sei troppo coinvolto con la mente. Se non ti aiutasse ad allontanarti dalla trappola della mente, non conosceresti mai il terzo, il mondo reale: la tua sostanza interiore.
Per questo, egli inizia affermando:
Siamo ciò che pensiamo.
È ciò che tutti sono: la mente.
Tutto ciò che siamo sorge con i nostri pensieri.
Prova a immaginare solo per un istante che tutti i pensieri si arrestino... cosa saresti? Se tutti i pensieri si arrestassero per un singolo istante, chi sei? Non sorgerà in te alcuna risposta. Non puoi dire: “Sono cattolico”, “Sono protestante”, “Sono un hindu”, “Sono un musulmano”, non lo puoi dire. Tutti i pensieri si sono arrestati; pertanto, sono scomparsi il Corano, il Vangelo, la Gita... tutte le parole sono svanite! In questo caso, non puoi neppure pronunciare il tuo nome. Ogni linguaggio è scomparso, pertanto non puoi dire a quale paese appartieni, né a quale razza.
Quando i pensieri si arrestano, chi sei? Un vuoto assoluto, un nulla, nessuna cosa.
Ecco perché Buddha ha utilizzato una parola strana; nessuno prima di lui, né in seguito, ha mai fatto una cosa simile. I mistici hanno sempre usato il termine “sé”, per indicare l’essenza più intima del tuo essere, Buddha usò il termine “non-sé”. E io sono assolutamente d’accordo con lui; è molto più vicino alla verità, è più preciso. Usare la parola “sé”, e anche se usi “Sé” con la maiuscola, non fa molta differenza, continua a darti l’idea di ego, e con la S maiuscola ti può dare perfino un ego più grande.
Buddha non usa le parole “atman”, “Sé”, “atta”. Usa i termini esattamente opposti: “anatma”, “non-sé”, “anatta”. Egli afferma che, quando la mente si arresta, non rimane alcun sé: diventi universale, trabocchi oltre i limiti dell’ego, sei puro spazio, non contaminato da nulla. Sei solo uno specchio che non riflette nulla.
Siamo ciò che pensiamo.
Tutto ciò che siamo sorge con i nostri pensieri.
Con i nostri pensieri formiamo il mondo.
Se vuoi conoscere veramente chi sei nella realtà, devi imparare ad arrestarti in quanto mente, devi imparare come arrestare il pensiero. La meditazione non è altro che questo: meditazione significa uscire dalla mente, abbandonare la mente e avviarsi in uno spazio chiamato nonmente. E nella nonmente conoscerai la verità suprema, il “dhamma”.
Spostarsi dalla mente alla nonmente è il passo, “pada”: questo è tutto il segreto del Dhammapada!
Parla o agisci con mente impura
e sarai seguito da guai
così come la ruota segue il bue che tira il carro.
Ogni volta che il Buddha usa il termine “mente impura” è possibile fraintenderlo: con “mente impura” egli intende la mente, perché tutta la mente è impura. La mente in quanto tale è impura, e la nonmente è pura. Purezza significa “nonmente”; impurità, mente.
Parla o agisci con mente impura...
...parla o agisci con la mente...
e sarai seguito da guai...
L’infelicità è una conseguenza, è l’ombra della mente, l’ombra della mente illusoria. L’infelicità è un incubo. Soffri solo perché sei addormentato. Ed è impossibile sfuggire la sofferenza mentre si è addormentati: se non ti svegli, l’incubo persisterà. Potrà cambiare forma, potrà assumere milioni di forme, ma l’incubo persisterà.
L’infelicità è l’ombra della mente: mente significa sonno, inconsapevolezza, incoscienza. Mente significa non sapere chi sei, e tuttavia fingere di saperlo. Mente significa non sapere dove stai andando, e tuttavia fingere di conoscere la meta, sapere a cosa serve la vita... non sapere nulla sulla vita, e tuttavia credere di saperlo.
Questa mente ti porterà di certo infelicità... così come la ruota segue il bue che tira il carro.
Siamo ciò che pensiamo.
Tutto ciò che siamo sorge con i nostri pensieri.
Con i nostri pensieri formiamo il mondo.
Parla o agisci con mente pura
e la felicità ti seguirà
come ombra, inamovibile.
Di nuovo, ricorda: quando il Buddha parla di “mente pura”, intende la nonmente. È molto difficile tradurre un uomo come Buddha; è in pratica un compito impossibile, perché un uomo come il Buddha usa il linguaggio a modo suo: crea il proprio linguaggio. Non può usare il linguaggio comune, con i significati usuali, perché possiede qualcosa di straordinario da comunicare.
Le parole comuni sono assolutamente prive di senso, se riferite all’esperienza del Buddha. Ma dovete capire il problema: di fatto, egli non può usare un linguaggio del tutto nuovo. Se lo facesse, nessuno lo capirebbe: sembrerebbe un parlare senza senso, del tutto astruso: ciò che in inglese è chiamato gibberish.
Ecco come nacque questa parola. L’origine risale a un mistico sufi, di nome Ghibar, che inventò un linguaggio nuovo. Nessuno era in grado di vederci un senso: come potresti comprendere un linguaggio assolutamente nuovo? Sembrava un pazzo che diceva cose assurde, folli. È così: se ascolti un cinese, e non conosci il cinese, ti sembrerà una sequenza di assurdità.
Qualcuno chiese a un uomo tornato dalla Cina: “Come fanno a trovare nomi così strani per i bambini? Ching, Chung, Chang?”. E l’uomo rispose: “Hanno un metodo: raccolgono tutti i cucchiai che hanno in casa, li lanciano in aria, e quando cadono... ching, chung, chang! Qualsiasi suono producano... quello diventa il nome del bambino”.
Ma è vero anche l’opposto: se un cinese ascoltasse un inglese, penserebbe: “Che assurdità!”.
E se questo vale per il linguaggio comune, usato da milioni di persone, cosa accadrebbe se Buddha inventasse un proprio linguaggio? Lui solo lo capirebbe, nessun altro riuscirebbe a comprenderlo.
Ghibar lo fece: deve essere stato un uomo coraggiosissimo... la gente pensava che fosse pazzo. Il termine inglese gibberish viene da Ghibar. Nessuno sa cosa disse: nessuno cercò di raccogliere le sue parole... come trascriverle? Non c’era alcun alfabeto; e ciò che diceva non aveva alcun senso; pertanto non sappiamo quali tesori abbiamo perso.
Buddha ha questo problema: o deve usare il vostro linguaggio come lo usate voi – in questo caso non può affatto trasmettere la propria esperienza – oppure deve inventare un nuovo linguaggio, che nessuno capirà. Pertanto, tutti i grandi Maestri devono restare esattamente nel mezzo. Useranno il vostro linguaggio, ma daranno alle vostre parole i loro colori, la loro fragranza. I recipienti saranno vostri, il vino sarà loro. E, pensando che sia le bottiglie che il vino siano vostri, le porterete con voi nei secoli a venire. Ed è possibile che, pensando al vino come vostro – visto che è vostra la bottiglia – a volte vi arrischiate a berne, e potreste ubriacarvi.
Per questo una traduzione è qualcosa di estremamente difficile. Buddha usa un linguaggio che era compreso dalle persone che gli stavano intorno, ma girò e rigirò le parole in maniera così impercettibile che perfino quanti sapevano quella lingua non se ne accorsero, non ne furono sconvolti. Pensavano di ascoltare il proprio linguaggio quotidiano.
Buddha usa la parola “mente pura” per “nonmente”, perché se dicesse “nonmente” diventerebbe impossibile capire. Mentre, dicendo “mente pura”, diventa possibile una comunicazione... pian piano, egli vi convince che “mente pura” significa “nonmente”. Ma perché accada ci vorrà tempo, molto lentamente dovrai venir accalappiato ed essere intrappolato in un’esperienza del tutto nuova. Ma ricorda sempre: mente pura ha il significato di nonmente, impuro indica la mente.
Aggiungendo questi aggettivi, impuro e puro, Buddha scende a compromessi con voi, così che non vi mettiate sul chi vive troppo presto, per poi fuggire. Dovete venir sedotti, essere incantati.
Tutti i grandi Maestri sono seduttori: questa è la loro arte. Ti seducono in modo tale che, pian piano, sei pronto a bere qualsiasi cosa, qualsiasi cosa ti diano. All’inizio ti offrono della semplice acqua; poi, pian piano, ci mescolano del vino. Infine, l’acqua viene lasciata da parte... e un giorno sarai completamente ubriaco. Ma deve essere un processo lentissimo.
Andando sempre più a fondo nei sutra, te ne accorgerai.
Mente impura indica la mente, mente pura indica la nonmente. E la felicità ti seguirà se avrai una mente pura, o nonmente...
L’infelicità è una conseguenza, e così la beatitudine. L’infelicità è una conseguenza dell’essere addormentato, la beatitudine è una conseguenza dell’essere sveglio. Per questo non puoi cercare direttamente la beatitudine, e coloro che ricercano la beatitudine direttamente falliranno inevitabilmente, sono condannati al fallimento. La beatitudine può essere conseguita solo da coloro che non la ricercano direttamente. Al contrario, essi cercano consapevolmente. E quando la consapevolezza sopravviene, la beatitudine viene di per sé, simile a un’ombra, inamovibile.
Una cosa di un’importanza profonda: l’odio esiste col passato e il futuro... l’amore non ha bisogno di passato né di futuro. L’amore esiste nel presente. L’odio ha un riferimento nel passato: ieri qualcuno ti ha fatto un torto, e tu lo porti in te come una ferita, un ricordo; oppure temi che qualcuno ti farà del male domani... una paura, l’ombra di una paura. E ti stai già preparando, ti prepari ad affrontarla.
L’odio dimora nel passato e nel futuro. Nel presente non puoi odiare, provaci e sarai assolutamente impotente. Provaci oggi: siedi in silenzio e odia qualcuno nel presente, senza rapporto col passato o col futuro... non lo puoi fare. La natura stessa delle cose te lo vieta, è impossibile. L’odio può esistere solo se ti ricordi del passato. Ieri quest’uomo ti ha fatto del male: in questo caso è possibile l’odio. Oppure, quest’uomo domani ti prevaricherà: anche in questo caso è possibile odiare. Ma se non hai alcun riferimento con il passato o il futuro, quest’uomo non ti ha fatto nulla e non ti farà nulla... quest’uomo sta semplicemente seduto per i fatti suoi, come puoi odiarlo? Tuttavia, lo puoi amare.
L’amore non ha bisogno di alcun riferimento: questa è la bellezza dell’amore e la sua libertà. L’odio è un limite, è una prigionia imposta a te stesso da te stesso. E l’odio crea odio, l’odio provoca odio. Se odi qualcuno, crei odio verso di te nel cuore di quella persona. E il mondo intero esiste nell’odio, nella distruttività, nella violenza, nella gelosia, nella competitività. La gente si attanaglia alla gola a vicenda, vuoi di fatto – nella realtà, nelle azioni – vuoi nelle loro menti, nei loro pensieri: tutti uccidono, fanno stragi.
Ecco perché abbiamo trasformato questo mondo bellissimo in un inferno... mentre avrebbe potuto diventare un paradiso!
Ama, e il mondo torna a essere un paradiso. E il bello dell’amore è che non ha riferimenti. L’amore sorge da te, senza motivo alcuno... è lo sprigionarsi della tua beatitudine, è la condivisione del tuo cuore. È condividere il canto del tuo essere. E la condivisione è felicità, per questo si condivide. La condivisione è fine a se stessa, non ha altre implicazioni.
Ma l’amore che hai conosciuto in passato non è l’amore di cui parla il Buddha o di cui parlo io. Il tuo amore è solo l’altro lato dell’odio. Per questo ha un fuoco d’attenzione ben preciso: ieri qualcuno è stato gentile con te, così gentile che ora tu provi per lui un amore immenso. Questo non è amore, è l’altra faccia dell’odio: il riferimento lo dimostra.
Oppure, può succedere che qualcuno sarà gentile con te domani: il modo in cui ti sorride, il modo in cui ti parla, il modo in cui ti invita ad andare a casa sua domani... ti sta dimostrando amore; e in te sorge un amore immenso.
Questo non è l’amore di cui parlano i buddha. Questo è odio mascherato da amore: ecco perché il tuo amore si può trasformare in odio a ogni istante. Gratta un pochino e l’amore scompare, sostituito dall’odio: non è neppure epidermico. Perfino i cosiddetti “grandi amanti” continuano a litigare, si azzannano in continuazione: si aggrediscono, si punzecchiano, sono distruttivi. E la gente pensa che questo sia amore...
Potete chiedere ad Astha e ad Abhiyana: vivono un amore così grande che Astha quasi ogni giorno ha un occhio nero! Grandi litigi! Ma quando questi litigi persistono, la gente pensa che stia accadendo qualcosa. Quando non accade nulla – nessuna lotta, nessuna discussione – la gente si sente vuota.
“È meglio litigare che essere vuoti,” così la pensano milioni di persone nel mondo. Quanto meno il litigio ti mantiene occupato, quanto meno il litigio ti tiene coinvolto; inoltre, il litigio ti rende importante – la vita sembra avere un significato – qualcosa di orribile, ma perlomeno ha un senso.
Il tuo amore non è vero amore: è il suo esatto opposto. è odio mascherato da amore, camuffato come amore, che si atteggia ad amore. Il vero amore non ha alcun fuoco d’attenzione, non implica un partner. Non pensa a ieri e non pensa al domani. Il vero amore è uno zampillare spontaneo di gioia all’interno del tuo essere... e la condivisione... e l’irradiarla... senza motivo alcuno, senza altra ragione che non sia la semplice gioia di condividerla.
Gli uccelli che cantano al mattino, questo cuculo che chiama in lontananza... senza motivo. Il cuore è così colmo di felicità che si eleva un canto, ecco tutto. Quando io parlo d’amore, parlo di questo amore; ricordalo. E se riesci a entrare nella dimensione di questo amore, sarai immediatamente in paradiso; e inizierai a creare un paradiso qui, sulla Terra.
L’amore crea amore, proprio come l’odio crea odio.
In questo mondo
l’odio non ha mai scacciato l’odio.
Solo l’amore scaccia l’odio.
Questa è la legge,
antica e inesauribile.
Aes dhammo sanantano... questa è la legge, eterna, antica e inesauribile.
Qual è la legge? Che l’odio non scaccia mai l’odio. L’oscurità non potrà mai scacciare l’oscurità: solo l’amore scaccia l’odio. Solo la luce può scacciare l’oscurità: l’amore è luce, la luce del tuo essere, e l’odio è l’oscurità del tuo essere. Se sei oscuro all’interno, continuerai a riversare odio tutt’intorno a te. Se all’interno sei luce, sei luminoso, continuerai a irradiare luce intorno a te.
Un sannyasin, un ricercatore del vero, deve essere amore radiante, una luce radiante.
Aes dhammo sanantano... Buddha lo ripete in continuazione: questa è la legge eterna. Qual è la legge eterna? Solo l’amore scaccia l’odio, solo la luce disperde l’oscurità. Come mai? Perché di per sé, l’oscurità è solo uno stato negativo, in sé non ha alcuna positività. Di fatto, non esiste! Come potresti scacciarla? Contro l’oscurità non puoi fare nulla direttamente. Se vuoi fare qualcosa nei suoi confronti, dovrai operare attraverso la luce: introduci la luce e l’oscurità è svanita, togli la luce e appare l’oscurità; ma non puoi portare o togliere l’oscurità direttamente: nei suoi confronti non puoi fare nulla di nulla.
E ricorda: neppure con l’odio puoi fare nulla. Ecco dove si differenziano gli insegnanti di morale dai mistici religiosi. I professori di morale continuano a propagandare la falsa legge: continuano a sostenere: “Lotta contro l’oscurità, lotta contro l’odio, lotta contro la rabbia, lotta contro il sesso, lotta contro questo e quest’altro!”. Il loro intento è essenzialmente questo: “Si deve lottare contro ciò che è negativo”; viceversa il vero Maestro, quello reale, vi insegna la legge positiva: “Aes dhammo sanantano... questa è la legge eterna: non lottare contro l’oscurità!”. E l’odio è oscurità, il sesso è oscurità, la gelosia è oscurità, l’avidità è oscurità, la rabbia è oscurità.
Immetti la luce... ma come è possibile immetterla nel proprio essere?
Diventa silente, libero da pensieri, all’erta, consapevole, sveglio... in questo modo si introduce la luce nel proprio essere. E nel momento in cui sei attento, consapevole, non si troverà più odio. Prova a odiare qualcuno con consapevolezza... sono esperienze da mettere in pratica, non sono solo parole da comprendere: questi sono esperimenti da provare. Per questo ti dico: “Cerca di capire non solo intellettualmente: diventa uno sperimentatore esistenziale”.
Prova a odiare qualcuno coscientemente, e scoprirai che è impossibile. O scompare la consapevolezza, e puoi odiare; oppure, se sei consapevole, scompare l’odio: non possono coesistere. È impossibile la loro coesistenza: la luce e l’oscurità non possono esistere insieme, poiché l’oscurità non è altro che assenza di luce.
I veri Maestri ti insegnano come arrivare a Dio; non ti dicono mai di rinunciare al mondo. La rinuncia è negativa. Non ti dicono di sfuggire il mondo: ti insegnano a rifugiarti in Dio. Ti insegnano a conseguire la verità, non a lottare contro le bugie. E le bugie sono milioni; se insisti nella lotta, ci vorranno milioni di vite... e anche in quel caso non se ne ricaverà nulla. E la verità è una, per questo può essere conseguita all’istante, è possibile in questo preciso istante.
Anche tu sei di passaggio.
Sapendolo, come puoi metterti a discutere?
La vita è così breve, così momentanea, e tu la sprechi in discussioni? Usa tutta la tua energia per meditare: è la stessa energia. La puoi usare per lottare, oppure, grazie a lei, puoi diventare una luce.
Facilmente il vento sradica un alberello.
Cerca la felicità nei sensi,
indulgi nel cibo e nel sonno,
e anche tu verrai sradicato.
Buddha dice: ricorda, se dipendi dai sensi, rimarrai fragilissimo, perché i sensi non ti possono dare alcuna forza. Non ti possono dare forza perché non sono in grado di darti fondamenta solide. Sono in un flusso continuo, tutto è mutamento. Dove puoi trovare dimora? Dove puoi fissare le fondamenta?
Ora come ora, una donna ti sembra bella, l’istante successivo è un’altra donna. Se ti limiti a decidere attraverso i sensi, rimarrai in una costante agitazione: non puoi scegliere, perché i sensi continuano a mutare le loro opinioni. Per un istante qualcosa sembra meravigliosa, il momento successivo è di una bruttezza orripilante, insopportabile. E noi dipendiamo da questi sensi.
Buddha dice: non dipendere dai sensi, fondati sulla consapevolezza. La consapevolezza è un’entità nascosta dietro ai sensi. Non è l’occhio che vede... se vai da uno specialista degli occhi, ti dirà che è l’occhio a vedere, ma non è vero: è solo un meccanismo attraverso il quale qualcun altro guarda. L’occhio è solo una finestra, la finestra non è in grado di vedere.
Quando ti affacci alla finestra, puoi vedere all’esterno. Chi passa per la strada potrebbe pensare: “La finestra mi sta guardando”. L’occhio è solo una finestra, un’apertura. Chi c’è dietro l’occhio?
L’orecchio non sente: chi si trova dietro l’orecchio ad ascoltare? Chi è colui che percepisce? Continua a ricercare questo “qualcuno” e troverai fondamenta reali; altrimenti, la tua vita non sarà altro che una foglia secca nel vento.
Il vento non può divellere una montagna.
La tentazione non può toccare l’uomo
risvegliato, forte e umile,
che è padrone di se stesso e osserva la legge.
La meditazione ti renderà consapevole, forte e umile. La meditazione ti renderà consapevole, perché ti darà la prima esperienza di te stesso. Tu non sei il corpo, tu non sei la mente: tu sei la pura testimonianza della consapevolezza. E quando questa consapevolezza-testimone viene toccata, accade un grande risveglio: è come se un serpente, che stava avvolto su se stesso, all’improvviso si drizzasse; è come se qualcuno, che stava dormendo, venisse scosso e si svegliasse. All’improvviso si ha un grande risveglio interiore. Per la prima volta senti di essere. Per la prima volta percepisci la verità del tuo essere.
Di certo questo ti rende forte; non sei più fragile, non sei più un alberello che qualsiasi alito di vento può sradicare. Ora puoi diventare una montagna! Ora puoi avere un fondamento, ora hai radici: nessun vento può divellere una montagna. Acquisti forza, sei sveglio, e tuttavia diventi umile.
Questa forza non porta in te alcun ego. Diventi umile perché diventi consapevole. La stessa anima testimone esiste in chiunque, perfino negli animali, negli uccelli, nelle piante, nelle pietre. Questi sono solo modi diversi di dormire! Qualcuno dorme sul fianco destro, qualcuno dorme sul fianco sinistro e qualcuno dorme supino... questi sono solo diversi modi di dormire.
Una roccia ha un suo modo di dormire, un albero ha un modo diverso di dormire da un uccello, e così via; ma non si tratta altro che di questo: modi e metodi diversi di sonno, altrimenti – nel centro più intimo di ogni essere – vi è lo stesso testimone, lo stesso Dio.
Saperlo ti rende umile, perfino di fronte a una roccia sai di non essere nulla di speciale, perché l’intera esistenza è formata della stessa sostanza chiamata consapevolezza. E se sei sveglio, forte e umile, questo ti darà padronanza su te stesso.
Buddha scelse per i suoi sannyasin la veste gialla, come io ho scelto l’arancione. Questa è la differenza tra il mio approccio e quello di Buddha. Il giallo rappresenta la morte: la foglia gialla; il giallo rappresenta il sole che tramonta, la sera.
Buddha ha enfatizzato troppo la morte: si tratta di un metodo. Se enfatizzi troppo la morte, aiuta: la gente diventa sempre più consapevole della vita, in contrasto con la morte. E quando insisti con continuità nell’enfatizzare la morte, la gente ne trae un aiuto al risveglio. Si deve svegliare, perché la morte si sta avvicinando.
Ogni volta che Buddha dava l’iniziazione a un nuovo sannyasin, gli diceva: “Vai al cimitero e stai semplicemente lì a osservare senza interruzione le pire funerarie, i cadaveri trasportati, bruciati... continua a osservare. E non smettere mai di ricordare che anche a te accadrà quella stessa cosa, inevitabilmente: medita per tre mesi sulla morte, e poi ritorna”.
Quello era l’inizio del sannyas.
Vi sono solo due sentieri possibili. Uno è questo: enfatizza la morte; e l’altro: enfatizza la vita. Perché questi sono i due soli elementi dell’esistenza! La vita e la morte. Buddha scelse la morte come simbolo, ecco perché scelse la veste gialla.
L’arancio rappresenta la vita: è il colore del sangue. Rappresenta il sole del mattino, l’alba, l’arrossarsi del cielo a Oriente.
La mia enfasi va alla vita. Ma lo scopo è lo stesso. Io voglio che tu sia così appassionatamente innamorato della vita, che la tua stessa passione per la vita ti renda consapevole, la tua stessa intensità verso la vita ti renda sveglio. E la morte è nel futuro, mentre la vita è adesso. Per cui, se pensi alla morte, penserai al futuro. Se pensi alla morte, sarà un’illazione: vedrai sempre qualcun altro morire, non vedrai mai morire te stesso.
Puoi immaginare, puoi ipotizzare, puoi pensare, ma sarà solo un pensiero.
La vita non ha bisogno di essere pensata, può essere vissuta. Ti può aiutare meglio della morte a essere meno mentale. Per questo, la mia scelta è di gran lunga migliore di quella del Buddha, perché la vita esiste in questo preciso istante; non occorre che tu vada al cimitero. Tutto ciò che ti occorre, è essere sveglio, e la vita è ovunque... nei fiori, negli uccelli, nella gente intorno a te, nei bambini che ridono... e in te! E proprio ora! Non occorre che ci pensi, non occorre fare illazioni. Puoi semplicemente chiudere gli occhi e sentirla: puoi sentirne il pulsare, ne puoi sentire la presenza.
Ma si possono usare entrambi i metodi: per farti diventare un meditatore si può usare la morte, oppure si può usare la vita.
Io ho scelto la vita. E vorrei ripetere e sottolineare che la mia scelta è di gran lunga migliore di quella di Buddha: la sua scelta di scegliere la morte come simbolo ha aiutato l’India a diventare un paese morto, spento, a perdere vitalità. Il mio scegliere la vita come simbolo può risvegliare questo intero paese; e non solo questo paese, ma il mondo intero. Perché Buddha non è stato il solo ad aver scelto la morte come simbolo: anche il cristianesimo lo ha scelto, con la croce. Pertanto, le due religioni più grandi del mondo – il cristianesimo e il buddhismo – sono orientate verso la morte. E a causa di queste due religioni... e il loro impatto è stato enorme: il cristianesimo ha trasformato l’intero Occidente, e il buddhismo ha trasformato l’intero Oriente.
Gesù e Buddha sono stati i due Maestri più grandi, ma la scelta della morte come simbolo si è rivelata pericolosa, si è trasformata in una calamità.
Io scelgo la vita. Vorrei che tutto questo mondo sia colmo di vita, una vita sempre più viva, una vita pulsante. Ma ciò che Buddha dice sulla sua veste gialla, io vorrei dirlo anche per il mio abito arancio.
Egli dice:
Ciò che egli dice sulla veste gialla, io lo dico sulla tunica arancione:
Chiunque sia... luminoso, chiaro e sincero, egli può indossare la veste arancione.
Aes dhammo sanantano!
Per oggi basta.