Sesto discorso
Esiste solo la risposta
La prima domanda
Amato Maestro,
ho la sensazione di conoscere le risposte. Come mai permetto ancora alle domande di diventare problemi?
Savita, non ci sono risposte, esiste solo la risposta. E quella risposta non appartiene alla mente, quella risposta non può essere frutto della mente. La mente è una molteplicità. La mente ha risposte su risposte, ma non ha la risposta.
Quella risposta è uno stato di nonmente. È non verbale. La puoi conoscere, ma non la puoi ridurre a sapere. La puoi conoscere, ma non la puoi esprimere verbalmente. È conosciuta nei recessi più intimi del tuo essere. È luce che illumina semplicemente la tua interiorità.
Non è una risposta a una domanda specifica. È la fine di ogni interrogarsi, non si relaziona affatto a una domanda. Dissolve semplicemente tutte le domande e resta uno stato privo di qualsiasi interrogativo... quella è la risposta. E se non si giunge a conoscere questo, non si sa nulla.
Ecco perché, puoi avere la sensazione di conoscere le risposte, ma ancora in te continueranno a balzar fuori degli interrogativi, ancora le domande continueranno a torturarti. È inevitabile che in te sorgano delle domande, poiché ancora non sono state tagliate le radici. Spunteranno nuove foglie, nasceranno nuove ramificazioni.
Le radici sono tagliate solo quando disconnetti te stesso dalla mente, quando diventi così consapevole, così attento da percepire la mente come separata da te. Quando tutte le identificazioni con la mente sono lasciate cadere, quando sei un osservatore sulla collina, e la mente viene lasciata nell’oscurità delle valli; quando tu sei sui picchi assolati, in quanto puro testimone, che osserva, che guarda, ma che non si identifica con alcunché – buono o cattivo, peccatore o santo, questo o quello – in quella testimonianza, ogni interrogativo si dissolve. La mente si fonde, evapora. Vieni lasciato in quanto puro essere, come una pura esistenza – un respiro, un palpito del cuore, assolutamente nel momento, senza passato, senza futuro, e pertanto senza neppure un presente.
Se non insorge quello stato dell’essere, molte volte avrai la sensazione di conoscere le risposte, ma ogni risposta creerà solo nuovi interrogativi. Ogni risposta scatenerà in te una nuova catena di interrogativi. Puoi leggere, puoi studiare, puoi pensare, ma cadrai sempre di più nel pantano della mente, ne sarai sempre più invischiato, sempre più intrappolato. Scivola fuori dalla mente!
Per questo, io non vi do delle risposte, cerco di indicarvi la risposta. Non si può usare il plurale, in questo caso, perché è una sola. È uno stato di assoluto silenzio, di pace, di nonpensiero. Buddha lo chiama “giusta presenza attenta” – “sammasati”. E dichiara che a quanti sono pienamente consapevoli, attenti, all’erta, la verità giunge spontaneamente. Non occorre andare da nessuna parte, essa viene. Non occorre neppure cercare, non occorre indagare: come potresti? Quale frutto della tua ignoranza, qualsiasi cosa farai porterà solo un’ignoranza maggiore. Quale frutto della tua ignoranza, ovunque andrai, ti perderai. Partendo dalla tua confusione, come puoi trovare chiarezza? Partendo dalla tua confusione diventerai sempre più confuso... in cerca di chiarezza!
Per questo Buddha afferma: “Il Maestro osserva, il Maestro ha chiarezza. Aes dhammo sanantano – questa è la legge, la legge suprema, eterna, inesauribile”.
Essere in silenzio, significa avere la risposta. Essere in silenzio significa essere privi di domande... e la radice è tagliata, in questo caso non spuntano più nuove foglie.
Savita, tu dici: “Ho la sensazione di conoscere le risposte”.
È solo un’illusione. E la mente è astutissima nel creare nuove illusioni. La mente è abilissima nell’ingannare: può ingannarti anche per ciò che riguarda la conoscenza. Ti può ingannare in ogni situazione! Ti può perfino far credere che sei illuminato, che sei già un buddha. Stai attenta! La mente è l’unico nemico; non ne esistono altri.
Gli antichi testi sacri parlano della mente. Usano un nome particolare: la chiamano “il Diavolo”. Il Diavolo non è qualcuno esterno a te; è la tua mente che continua a tentarti, che continua a ingannarti, a manipolarti, a crearti sempre nuove illusioni. Stai attenta, osserva la mente! E nell’osservare, le domande scompaiono... non ricevono una risposta, lasciamelo ripetere.
Il Buddha non conosce alcuna risposta... non è che sia arrivato alla conclusione di ogni interrogativo; no, niente affatto! Al contrario, non ha più interrogativi. Poiché non ha più interrogativi, tutto il suo essere è diventato la risposta.
Savita, quel momento può accadere.
Tutto il mio lavoro qui, in questo posto, tende unicamente a quello. Io non sono qui per darvi ulteriori informazioni; quelle le puoi ottenere da qualsiasi altra parte. Esistono migliaia di università, migliaia di biblioteche. Le informazioni le puoi ottenere ovunque; se vuoi diventare colto, puoi andare da qualsiasi altra parte. Il mio sforzo è farti disimparare qualsiasi cosa tu abbia imparato finora; renderti innocente, in modo tale che tu possa iniziare a funzionare da uno stato di non-conoscenza; in modo tale che tu non abbia più alcuna risposta, in modo tale che tu possa agire spontaneamente, non in funzione del passato e delle conclusioni a cui sei giunto. In questo modo non avrai più una formula pronta per ogni cosa... sarai come un bambino che riflette la realtà.
E quando sarai silente, senza che alcun sapere rumoreggi all’interno, la tua percezione sarà limpida, non ci sarà più polvere sullo specchio... rifletterai ciò che è. E da quel riflesso, qualsiasi azione insorga è virtuosa.
La seconda domanda
Amato Maestro,
Tu vuoi che siamo individui, ma sul lavoro, nell’ashram, dobbiamo essere molto disciplinati.
Disciplina e individualismo non sono diametralmente opposti?
Sudarshan, io vorrei che foste individui, ma non individualisti. E la differenza è enorme. L’individualista non è ancora un individuo. L’individualista che crede nell’individualismo è solo un egoista. Ed essere egoisti non equivale a essere un individuo; è l’esatto contrario: l’individuo non ha ego alcuno, e l’ego non ha alcuna individualità.
L’ego è un fenomeno molto comune: ce l’hanno tutti! Non è nulla di speciale, niente di unico. Tutti hanno l’ego. È del tutto comune! La cosa straordinaria è l’assenza dell’ego. Solo una consapevolezza priva di ego consegue l’individualità. E per individualità intendo semplicemente il significato letterale della parola: “individuo” significa “indivisibile”, “individuo” indica un essere integro; “individuo” è un essere che non è più una moltitudine, non è più una folla, non è più multipsichico; è un essere che ha raggiunto l’unità, che si è cristallizzato.
Gurdjieff ha usato la parola cristallizzazione per indicare l’individualità; ma il requisito fondamentale per la cristallizzazione è abbandonare l’ego, perché l’ego è una falsa entità. Non ti permette di essere reale, non ti permette di essere autentico. Non ti permette di crescere. È falso, è un inganno, un’illusione. Tu non sei separato dall’esistenza, ma l’ego continua a fingere la separazione.
Anche l’altra parola da te usata nella tua domanda deve essere compresa: “disciplina”. Disciplina non significa farsi dominare. In questa Comune nulla è imposto; se entri in questa Comunità, è una tua scelta. Le porte sono aperte, puoi andartene in ogni momento. Di fatto, entrarvi è molto difficile, e noi facciamo ogni sforzo possibile per aiutarti ad andartene. Nessuno ti trattiene qui, e per di più facciamo ogni sforzo possibile per impedirti di entrare, per rendere molto difficile il tuo ingresso.
Se decidi di entrare a far parte di questa Comunità, lo fai per tua scelta: vuol dire che sei pronto a impegnarti, a essere coinvolto in questo esperimento. La disciplina sorge da questa decisione. Puoi scegliere di andartene da questa Comunità, ma l’esserci entrato significa che ti sei preso una responsabilità. Ed è solo attraverso le responsabilità che si cresce. La crescita diviene possibile nell’adempiere in pieno le proprie responsabilità.
Ci sono alcune persone, tra i presenti, solo alcune, che insistono nel tentativo di ingannare la Comunità. Stanno semplicemente ingannando se stesse: nessun altro viene imbrogliato! Non vogliono lavorare, cercano di evitare il lavoro usando tutti gli espedienti possibili; trovano scuse, cadono perfino malate... solo per evitare il lavoro. Ma si tratta di un atteggiamento stupido!
Siete entrati nella Comune per lavorare su voi stessi. Siete entrati nella Comune per operare uno sforzo concentrato che vi porti a diventare individui integri. Siete entrati in questa Comune per la vostra crescita spirituale, per l’illuminazione. E se sfuggite... e questa sembra essere la vera domanda, dietro il tuo apparente interrogativo, Sudarshan.
Tu dici: “Disciplina e individualismo non sono diametralmente opposti?”.
Non lo sono! Un individuo è sempre un essere disciplinato. Una persona priva di disciplina non è un individuo: è solo un caos, è multiframmentario. Tutti i suoi frammenti funzionano separatamente, perfino in opposizione l’uno con l’altro. Ed è così che la gente vive normalmente: una parte della mente va a sud, un’altra parte va a nord; una parte dice una cosa, l’altra parte dice l’opposto. E tu lo sai! È un semplice dato di fatto, lo puoi osservare facilmente. Una parte dice: “Fai questo”. Un’altra immediatamente replica: “No!”. Qualcosa dice: “Sì”, e qualcosa subito lo distrugge immediatamente, dicendo: “No”.
Questa è la vostra situazione. Anche tu vivi in una situazione simile! Non sei in grado di dire un sì totale, o un no totale? Sei sempre coinvolto a metà, e anche i tuoi sì sono stentati, e pensi di essere un individuo? Un individuo è un essere che funziona come una totalità, come un’unità organica. Come puoi diventare un’unità organica? Può accadere solo attraverso una disciplina consapevole.
Questo è ciò che Buddha continua a mettere in evidenza: perseveranza, sforzo, uno sforzo deliberato e consapevole per crescere. E uno sforzo totale, privo di titubanze. Devi bollire a cento gradi. Certo, a volte è doloroso, ma tutto dipende da te, da come lo interpreti. Se veramente vuoi crescere, non è doloroso; è enormemente piacevole. Ogni passo fatto più in profondità nella disciplina procura una gioia sempre più grande, perché ti dona sempre di più un’anima, un essere vero.
Disciplina è disposizione a imparare – da qui la parola “discepolo”: derivano dalla stessa radice. Chi è un discepolo? Colui che si inchina, che si arrende ed è pronto a imparare. E cos’è la disciplina? Disponibilità, apertura, vulnerabilità ad apprendere.
Entrando in questa Comunità, sei entrato in un buddhafield. È una resa, è fiducia! Io sono qui per fare di te un individuo, ma dovrai passare attraverso gli stratagemmi più strani. Dovrai bruciarti alla fiamma di mille fuochi, dovrai vivere mille prove: solo così, lentamente, ti ricomporrai in un’unità.
Per troppo tempo sei stato una persona dai mille volti, lo sei stato per tante vite; pertanto, adesso, solo compiendo uno sforzo concentrato, solo lasciandoti aggredire da ogni parte, solo sfruttando ogni spiraglio, solo se vengono usati gli stratagemmi più impensati per spezzare il tuo sonno, solo se vieni scrollato e martellato a forza, solo così l’individuo che è in te potrà venire alla luce.
Il lavoro che accade nella Comunità non è realmente ciò che appare in superficie; è qualcos’altro, è uno stratagemma! E noi dobbiamo usare tutti gli stratagemmi possibili.
Per esempio, se qualcuno si presenta da me, e vuole far parte della Comune, si sente dire: “Vai da Deeksha”. Deeksha è un mio stratagemma! Le ho dato totale potere perché è così amorevole, così dolce, così piena di attenzioni... ferisce le persone, ma le guarisce anche. Con una mano martella, con l’altra consola. È un espediente!
E quando ti dico: “Vai a lavorare con Deeksha”, e lei ti urla dietro e ti provoca in tutti i modi possibili, occorre osservare la disciplina – non reagire nei vecchi modi, non replicare come hai sempre fatto. E Deeksha è così materna che è facilissimo reagirle contro, come hai sempre fatto con i tuoi genitori. È semplicissimo, ed è facile che essa provochi in te la reazione che tua madre faceva scattare. Le madri sono creature intollerabili... e Deeksha è una madre perfetta!
Lo so, Sudarshan, è difficile... ma la crescita è difficile. E io creerò una infinità di altri stratagemmi! Verrai portato a visitare mille dimensioni diverse del tuo essere: neppure un angolo deve restare all’oscuro, tutto deve giungere a una evoluzione, altrimenti resterai storpiato.
E ricorda: il primo principio della disciplina è la resa. Apparentemente sembra una contraddizione, perché ti hanno insegnato che se ti arrendi non sarai mai più un individuo. E io ti dico: se non sei in grado di arrenderti, non sei affatto un individuo. Solo un individuo può arrendersi. La resa è un fenomeno così grande che solo un uomo di grande volontà riesce a operarla: è la forma più evoluta della volontà. Abbandonare la tua volontà richiederà inevitabilmente una volontà totale. Mettere da parte te stesso, metterti assolutamente in disparte, e dire un sì totale a qualcosa verso la quale la tua mente e tutte le tue vecchie abitudini resistono... E a volte tu hai ragione! E proprio in questo sta il bello! Tu hai ragione, eppure devi arrenderti a qualcosa che, dal punto di vista logico, non sembra affatto giusta.
Deeksha è matta! Tu puoi essere un intellettuale molto più colto di lei, molto più razionale... ma ti devi arrendere a lei! La sua follia è la sua qualità, per questo l’ho scelta. Nella Comune ci sono persone molto più razionali: avrei potuto scegliere un professore, che avrebbe saputo essere persuasivo. Ma quando sei convinto, e ubbidisci, quello non è arrendersi. Quando non sei affatto convinto, quando vedi l’apparente stupidità di una certa cosa, e tuttavia ti arrendi, quello è un grande passo, un passo immenso che ti porta a uscire dal tuo passato.
Questa Comune è un laboratorio, qui avviene un processo alchemico. Tu vieni qui, portando in te una folla, e io ti devo restituire alla tua integrità, alla tua unità... dovrai sopportare le forche caudine, e un giorno uscirai da qui come un puro individuo. La disciplina è la via per creare individualità.
Ma ricorda: essere un individuo non vuol dire essere individualista. L’individualismo è un’espressione dell’ego. E le persone che credono nell’individualismo non sono individui, ricordalo, ricordalo bene.
In profondità, sanno di non essere individui, perciò creano una facciata filosofica, logica, pronta a discutere, perché in profondità sentono di non essere individui. All’esterno fingono di esserlo, e per questo dicono di credere nell’individualismo. Credere nell’individualismo non significa diventare individui.
Credere in qualcosa è sempre falso.
Quando sei un individuo, non hai bisogno di credere nell’individualismo. Quando è una verità del tuo essere, non hai bisogno di crederci. È necessario credere, solo se si vuole nascondere qualcosa: non conosci Dio, eppure credi in lui. Chi crede è un ateo; può essere un cristiano, un hindu, un musulmano, un buddhista, non ha importanza: un credente è un ateo. Non sa niente su Dio, eppure crede in lui. È un segno che sta cercando di imbrogliare perfino Dio! È un ipocrita, un pappagallo... continua a ripetere ciò che dicono i testi sacri, quello che gli altri dicono, come un pappagallo.
E i pappagalli possono ripetere a meraviglia, senza capire niente, senza conoscere nulla, in maniera meccanica.
Un negro entrò in un negozio di animali a Harlem. Voleva comperare un pappagallo che parlasse alla perfezione. Il proprietario disse di averne un ampio assortimento.
Il negro chiese di vederne uno da cinquanta dollari...
“Loreto vuole un biscotto?” chiese, non appena gli fu presentato l’animale, ma questi non si degnò neppure di rispondere.
“Voglio un pappagallo che parli correttamente,” disse, “me ne mostri uno veramente valido!” Il proprietario gli portò un pappagallo da duecento dollari: “Loreto vuole un biscotto?”. Tentò il negro, ma non venne nessuna risposta.
“Amico, è questo il tuo miglior animale?” chiese il negro, “io ne voglio uno che parli veramente bene, questo mi sembra muto!”
Il proprietario lo portò in una stanza sul retro, dove in una gabbia speciale, intarsiata d’oro, grande come una cameretta, sedeva l’orgoglio della sua collezione: un pappagallo da mille dollari.
Il pappagallo, vestito in smoking di seta, seduto su un trespolo intrecciato con fili d’argento, fumava la pipa e leggeva il “Financial Times”.
“Loreto vuole un biscotto? Loreto vuole un biscotto?” si fece avanti il negro fiducioso.
Il pappagallo tirò su col naso, squadrò l’uomo abbassando appena gli occhialetti cerchiati d’oro con aristocratico disdegno, e tornò a leggere.
“Loreto vuole un biscotto? Loreto vuole un biscotto?” insistette l’uomo, alzando la voce.
“Loreto vuole un biscotto?” ripeté l’animale con un impeccabile accento di Oxford... “Negro vuole melone?”
Chi crede è un pappagallo. Il credente non sa nulla, è un ateo mascherato. Sta cercando di imbrogliare se stesso, il mondo e Dio.
L’uomo che crede nell’individualismo non è un individuo. Un uomo che sia veramente un individuo non ha bisogno di credere: egli conosce, che senso ha credere? Solo se sei ignorante, hai bisogno di credere; e l’individualismo è un credo. Essere un individuo è un’esperienza!
L’individualismo costa poco, mentre invece, per essere un individuo, occorre sottoporsi a un’ardua disciplina. Occorre perseveranza, lavoro costante, osservazione. E accade solo dopo anni di sforzo nell’essere attenti, nella meditazione.
E ricorda, Sudarshan, tutto ciò che accade in questa Comune non è altro che una serie di modi diversi per introdurvi alla meditazione. In cucina, nella falegnameria, nel laboratorio di ceramica, nella boutique... qualunque cosa ti stia accadendo, a una prima occhiata sembra una normale attività; non è così. Se vai a vedere i falegnami mentre lavorano, naturalmente li vedrai lavorare come tutti i falegnami di qualsiasi altra parte del mondo, ma essi hanno una qualità diversa; e quella qualità non è visibile. Solo se partecipi, solo allora, lentamente, inizierai a percepirla. Quella qualità è la fiducia, l’amore.
I miei sannyasin sono qui perché mi amano, per nessun altro motivo all’infuori di questo. Sono qui con me, semplicemente per essere con me. Pur di stare qui con me, sono pronti a fare qualsiasi cosa; ma qualsiasi cosa li vedrai fare, quella sarà solo la parte esteriore. Vedrai la forma del lavoro, ma non sarai in grado di vedere lo spirito del lavoro. Per vederne lo spirito, dovrai partecipare.
Sudarshan, sembra che tu sia ancora uno spettatore. Forse stai lavorando nella Comunità, ma ancora non vi partecipi, altrimenti una domanda come questa non sarebbe mai sorta dentro di te!
La terza domanda
Amato Maestro,
perché ho la sensazione che mi manchi qualcosa? Che dovrei essere qualcos’altro? Per favore, aiutami a liberarmi da questo pattume.
Dhyana Yogi, se è pattume, se veramente comprendi che si tratta di pattume, non c’è motivo alcuno che io ti aiuti a liberartene. Sapendo che si tratta di immondizia, lasciala andare!
Ma sembra che tu l’affermi solo per averlo sentito dire da me. In te è diventata una credenza; non è qualcosa che sai tu, non è una tua esperienza... ancora ci sei aggrappato.
In cuor tuo, ancora pensi che sia prezioso, che non è per niente immondizia. In cuor tuo, pensi ancora che questi siano diamanti, non pietre colorate. In cuor tuo, in un luogo imprecisato del tuo essere, credi ancora che sia un tesoro da proteggere e custodire.
Non iniziare a credere in me: questo non farà alcuna differenza. Hai creduto in Maometto, o in Cristo, o in Buddha... adesso vieni qui, e inizi a credere in me. Quella non è rivoluzione, non è una conversione... ti limiti semplicemente a cambiare l’oggetto della tua fede, ma la professione di fede rimane: la stessa mente che crede! Credi in Gesù, ma egli parla una lingua che risale a duemila anni fa; non puoi cavarne alcun significato: il contesto in cui quelle parole avevano rilievo è perduto. Io parlo la lingua del ventesimo secolo: puoi capirne il significato, pertanto ecco che togli la tua fede a lui e inizi a credere in me. È elementare, e non costa nulla!
Non ti sto dicendo di credere in me. Ti dico di lasciar cadere ogni fede e di iniziare a vedere; e questo perché se credi rimarrai cieco... inizia a vedere! È vero pattume quello che ti stai tirando dietro? È una tua comprensione la sensazione che sia pattume? In questo caso non chiederesti come fare per liberartene: nessuno chiede come fare a liberarsi dall’immondizia. Il problema sorge solo perché, in cuor tuo, sai che si tratta di oro. Ma qualcuno afferma che si tratta di immondizia, ed è così convincente, da impedirti ogni discussione: vieni zittito. E l’uomo che lo dice possiede una tale autenticità, una tale integrità, che in sua presenza vieni inondato dal suo essere. Ti ritrovi semplicemente a ripetere: “Sì, è pattume”. Ma in cuor tuo, ancora sai che non è così: è oro puro! Per questo sorge il problema: come liberarsene?
Se comprendi in prima persona che si tratta di pattume, non chiederai mai come liberartene. Vedere che è immondizia è liberarsene; riconoscere che è immondizia è liberarsene! L’immondizia non si aggrappa a te... tu ti aggrappi a lei! L’immondizia non si preoccupa minimamente di te, non è affatto interessata alla tua persona. Se te ne liberi, non farà alcun clamore, non protesterà: “Perché ti vuoi liberare di me?”. Non dirà una sola parola, non ti creerà alcun problema. Non si rivolgerà a un tribunale... non devi divorziare! Se te ne disfi, di fatto l’immondizia sarà più felice di quanto non lo sia... ora avrà chiuso con te, si sarà liberata di te. Di certo si sta stancando di te... sei tu che ti aggrappi a lei! E come mai? Perché qualcuno si aggrappa a qualcosa? Perché in cuor suo continua a credere che sia preziosa.
Dhyana Yogi, tu dici: “Perché ho la sensazione che mi manchi qualcosa?”.
Perché fin dalla tua infanzia ti è stato insegnato che sei intrinsecamente indegno. Così come sei non hai alcun valore. Il valore deve essere conseguito, il merito deve essere provato. Fin dalla tua infanzia tutto questo ti è stato ripetuto milioni di volte. I genitori, gli insegnanti, i preti, i politici, tutti sono coinvolti in una segreta cospirazione finalizzata alla distruzione del bambino; e il modo migliore per distruggere un bambino è annientare la sua fiducia in se stesso.
Per distruggere la fiducia che il bambino ha in se stesso, gli devi dimostrare che il merito non è un dato di fatto, deve essere conseguito nella vita e lo si può mancare. Se non lavori, se non sei oltremodo ambizioso, se non lotti contro tutti... è una lotta all’ultimo sangue, e per arrivare ad averlo devi tagliare la gola a chiunque si pari sulla tua strada. Sei stato condizionato a essere violento, ambizioso, pieno di desideri: avere più soldi, avere più potere, avere più prestigio. Poiché ti è stato detto che, da un punto di vista intrinseco, non hai alcun valore, è sorto questo problema.
E io affermo che voi siete meritevoli in voi stessi, nascete in quanto buddha. Siete inconsapevoli, assolutamente dimentichi della realtà del vostro essere, ma voi siete divinità nascoste.
Ciò che dico è del tutto diverso da ciò che vi è sempre stato detto, per questo sorge un problema. Io dichiaro che voi siete buddha – lo siete in questo preciso istante! – ma l’intero vostro addestramento, tutta la vostra educazione, tutto il vostro condizionamento, vi portano a dire: “Come possiamo essere un buddha in questo preciso istante? Forse domani, di certo un giorno, in una vita futura accadrà... ma in questo preciso istante?”. Sembra impossibile!
Avete creduto troppo ai vostri genitori, ai vostri insegnanti, ai vostri uomini politici, ai vostri preti, e avete raccolto qualsiasi cosa vi abbiano detto. È immondizia, ma vi siete tirati dietro quel pattume così a lungo che ora lasciarlo cadere d’acchito sembra impossibile: per troppo tempo vi siete rimasti attaccati, per troppo tempo avete pensato che fosse qualcosa di meraviglioso, di prezioso, di nutriente. E ora io vi dico: sono solo assurdità senza senso! Lasciatelo cadere, liberatevene, e siate dei buddha da questo preciso istante! Non si tratta di conseguire, non si tratta di diventare consapevoli. Si tratta solo di essere coscienti, all’erta, svegli... non è affatto qualcosa da realizzare.
E a questo punto, tu mi ascolti... una parte della tua mente dice: “Certo, il Maestro deve aver ragione!”. Una parte di te si limita ad annuire, perché queste parole sono semplici verità esistenziali; ma tutta la tua educazione contrasta con quelle parole.
Quando mi sei vicino, inizi a sentire che è vero. Quando ti allontani, la mente ripiomba in scena e ti sopraffà, con spirito vendicativo; e, ovviamente, è molto potente. La mente è potentissima, per questo distrugge la tua intelligenza.
L’intelligenza non ha nulla a che vedere con la mente; l’intelligenza ha a che fare col cuore. È una qualità del cuore, mentre l’intelletto è una qualità della mente, è cerebrale. L’intellettuale non è necessariamente una persona intelligente, e la persona intelligente non è necessariamente un intellettuale.
Il tuo intelletto è carico di immondizia, e io sto cercando di risvegliare la tua intelligenza. L’intera società ha cercato di renderti inconsapevole della tua intelligenza. Essa è contro l’intelligenza: vuole che voi siate mediocri, perché solo le persone mediocri possono essere buoni schiavi. Non vuole che siate intelligenti, ma stupidi, perché solo gli stupidi possono essere dominati.
E gli stupidi sono ubbidienti; gli stupidi non si ribellano mai, si limitano a vegetare. Non fanno alcuno sforzo per vivere le proprie vite al meglio. Non cercano di far brillare la torcia della loro vita da entrambi i lati, contemporaneamente. Non hanno alcuna intensità... la stupidità è ubbidienza, e l’ubbidienza crea stupidità.
Un cow-boy entra a cavallo in una città del West, in pieno giorno, completamente nudo. Lo sceriffo lo chiama e gli chiede: “Dimmi Jake, come mai ti trovi a cavalcare in città, senza un vestito addosso?”.
“Vede, sceriffo,” replica Jake, “è una lunga storia. Stavo cavalcando per venire in città a fare provviste, quando ho incontrato una signorina, seduta sul ciglio della strada, che mi ha chiesto aiuto. Mio padre mi ha sempre detto di essere gentile e di aiutare le signore in difficoltà, per cui sono subito sceso da cavallo e l’ho aiutata a trasportare il suo carico verso un prato... si è rivelato essere un cestino da picnic. La donna mi ha poi chiesto di aiutarla ad aprirlo sull’erba, e da lì in poi l’ho aiutata a fare tutto ciò che mi ha chiesto. Alla fine la donna mi ha domandato: ‘Che ne dici di toglierti gli stivali, cow-boy?’. E subito le ho ubbidito. Poi mi ha chiesto: ‘E che ne dici di toglierti i vestiti?’. Ho replicato: ‘Con vero piacere, gentile signora’. Ed ecco che anche lei si è sfilata ogni cosa... nuda come mamma l’ha fatta, si è sdraiata sul prato e ha esclamato: ‘E ora cavalca, cow-boy!’. E io subito sono salito a cavallo... e mi son fatto una bella cavalcata fino qui, sceriffo!”
L’ubbidienza è una forma di stupidità, e la società vuole che siate stupidi. Gli stupidi sono brave persone; restano sempre fedeli allo status quo, non vanno mai contro il potere costituito. Anche se vedono il marcio del sistema, si limitano a chiudere gli occhi, oppure sono pronti ad accogliere qualsiasi stupida spiegazione.
Per esempio, l’India è stata povera per secoli, ha fatto la fame, ha patito a ogni livello. Tuttavia, poiché la gente è religiosa, ubbidiente, stupida, ha accettato di buon grado ogni sorta di spiegazione, e ha accettato la situazione. Qualcuno crede che Dio li abbia creati poveri, perché la povertà è qualcosa di molto pio. Costoro adorano la povertà. In India la povertà è adorata: se rinunci a tutte le tue ricchezze e diventi un fachiro che non ha abiti addosso, milioni di persone penseranno che sei un grande saggio. Forse sei solo stupido, ma poiché hai rinunciato a tutte le tue ricchezze, appari come un grande saggio. Ho visto una infinità di saggi semplicemente stupidi.
Ebbene, questa è una contraddizione in termini: come può uno stupido essere un saggio? Un saggio deve essere saggio! Ma in questo mondo è difficilissimo essere davvero saggi, ed essere adorati. I saggi vengono assassinati, crocefissi, avvelenati. Gli stupidi sono adorati. Gli stupidi si limitano semplicemente a seguire qualsiasi cosa la società dica. Qualsiasi cosa la società voglia che facciano, essi si limitano a farla. Pertanto, qualcuno ha adorato la povertà.
Gandhi definiva i poveri “daridra narayana”, cioè “i poveri sono divini”... La povertà è divina? I poveri sono dei! Se questo è vero, chi non vorrebbe essere povero? Se i poveri sono dèi, chi non vorrebbe essere un dio?
Ma ci sono anche altre spiegazioni: sei povero perché hai peccato nelle tue vite passate. Queste spiegazioni sono state inventate da coloro che non credono in Dio. I giainisti, i buddhisti, non credono in Dio, pertanto a loro non puoi dare la prima spiegazione. Ne hanno bisogno di un’altra: la teoria del karma... ma lo scopo è lo stesso! Se hai peccato nella tua vita precedente, allora è meglio chiudere quel karma: sperimenta la povertà, e attraversala senza opporre resistenza. Se opponi una qualsiasi resistenza, tornerai a creare un cattivo karma e soffrirai nella tua vita futura. Dopotutto, il troppo stroppia! Quindi, chiudi definitivamente quella storia, soffri in questo momento con gioia, accettando... ed ecco che la gente si è ridotta a vivere come mucche, come bufali; accettano la sofferenza, senza opporre resistenza, senza ribellarsi.
La società vuole che siate stupidi, privi di intelligenza. L’intelligenza è pericolosa; intelligenza vuol dire che iniziate a pensare in prima persona, iniziate a guardarvi intorno con i vostri occhi. Non crederete più ai testi sacri, crederete solo alla vostra esperienza.
Dhyana Yogi, ti prego: non credere a ciò che dico.
Esperimenta, medita, fai esperienza... se non diventa una tua comprensione, non servirà a nulla.
Mi chiedi: “Perché ho la sensazione che mi manchi qualcosa?”. Perché ti è sempre stato ripetuto che devi trovare qualcosa. E poiché tu non lo trovi, ecco che sorge in te la sensazione che ti manchi qualcosa. E io ti dico che, in primo luogo, non l’hai mai perduto! Per favore, smetti di cercare di trovarlo... smetti di ricercare e di indagare. Lo possiedi già! Qualsiasi cosa sia necessaria, la possiedi già. Guarda semplicemente dentro di te, e troverai tesori infiniti, inesauribili tesori di gioia, amore, estasi.
Se guardi dentro di te, vedrai che non ti manca nulla; ma se continui a cercare all’esterno, ti sentirai sempre più frustrato. E man mano che invecchi, ovviamente, avrai la sensazione che la tua vita ti stia scivolando via dalle mani, e ancora non hai trovato nulla. E l’ironia della storia è che non hai mai perso nulla. È sempre stato dentro di te... in questo momento è dentro di te.
Ma non credermi. Io non sono qui per creare dei fedeli, sono qui per aiutarti a sperimentare. Nel momento in cui diventa la tua esperienza, ti libera. La verità libera, dice Gesù... non la fede, ma la verità.
La mia verità non può essere la tua; la mia verità potrà essere la tua professione di fede. Solo la tua verità può essere vera, per te. Certo, la verità libera, ma lasciatemi aggiungere che la verità deve essere vostra. Nessuna verità di qualcun altro potrà mai liberarvi... la verità altrui diventerà solo una prigionia.
Dhyana Yogi, non ti manca nulla. A nessuno manca nulla. La natura stessa delle cose ci impedisce di perdere qualcosa: noi siamo parte di Dio e Dio è parte di noi. Non è possibile, non c’è modo di perdere tutto questo... come potrai fuggire da te stesso? E dove? Ovunque andrai, rimarrai te stesso. Perfino all’inferno rimarrai te stesso, poiché non potrai mai fuggire da te, non potrai mai fuggire da Dio.
Egli sta aspettando, aspetta con pazienza che tu guardi dentro di te.
Tu dici: “...Che dovrei essere qualcos’altro?”.
È ciò che ti è stato ripetuto in continuazione: “Sii qualcuno! Guarda Gautama il Buddha, guarda Krishna, guarda Cristo. Sii un Buddha, sii un Krishna, sii un Cristo!”. In questo caso, di certo morirai infelice, angosciato, frustrato – assolutamente frustrato, disperato e in lacrime – perché non potrai mai essere un buddha. Non è previsto che tu sia un buddha! Non puoi essere un Cristo, non puoi essere un Krishna. Puoi solo essere te stesso.
Zusiya, un grande maestro chassidico, stava morendo. La gente si era riunita – discepoli, simpatizzanti. Qualcuno, un vecchio, chiese: “Zusiya, quando sarai al cospetto di Dio – e tra breve ti troverai davanti a lui, visto che stai morendo – potrai dirgli di aver seguito Mosè con fedeltà, senza distorsione alcuna?”.
Zusiya aprì gli occhi... e queste furono le sue ultime parole: “Smetti di dire assurdità! Dio non mi chiederà mai: ‘Zusiya, perché non sei stato un Mosè?’. Mi chiederà: ‘Zusiya, perché non sei stato uno Zusiya?’”.
Dovete essere semplicemente voi stessi, nessun altro. E di fatto, essere un buddha significa proprio questo: essere se stessi. Quello è ciò che significa “coscienza cristica”: essere semplicemente se stessi.
Buddha non fu un’imitazione di qualcun altro. Pensate forse che non siano esistiti prima di lui moltissimi uomini grandi? Di certo deve essergli stato detto: “Sii un Krishna! Sii un Parshvanath! Sii un Adinatha!”. Deve aver sentito raccontare storie bellissime, mitologie. Deve aver letto i Purana, gli antichi racconti dei grandi uomini, Rama, Krishna, Parasuram. Deve aver sentito i racconti delle loro vite, deve averne ricevuta l’eredità. Ma non cercò mai di essere qualcuno. Volle essere se stesso, volle conoscere chi era. Non imitò mai nessuno, ecco perché un giorno si risvegliò.
Gesù non cercò mai di essere Abramo, Mosè, Ezechiele. Gesù cercò semplicemente di essere se stesso. Quello fu il suo crimine, per quello fu crocefisso. Le stesse persone che crocefissero Gesù lo avrebbero adorato se fosse semplicemente stato un imitatore, una copia di Mosè. Se fosse stato solo un disco rotto che ripeteva i dieci Comandamenti, gli ebrei lo avrebbero adorato. Invece, dovettero crocefiggerlo... era semplicemente se stesso.
La marcia società, la massa, la psicologia di massa, non può tollerare gli individui: non riescono a tollerare un Socrate, è impossibile. Sapete quale fu l’accusa mossa a Socrate? Esattamente la stessa che viene rivolta a me! Il crimine di Socrate era questo: corrompeva le menti dei giovani. È precisamente ciò che i miei nemici dicono di me: io sto corrompendo le menti delle persone, in particolare le menti dei giovani.
Socrate corrompeva le menti della gioventù? Cercava di risvegliare la loro intelligenza, ma la società si spaventò. Se tante persone diventano autentiche, vere, gli interessi istituzionali sono in pericolo. In quel caso, non sarà più possibile condurre la gente come mandrie; ed è ciò che i preti godono nel fare, e come loro i politici.
Esiste una cospirazione che unisce il prete e il politico nello sfruttamento della gente, nel dominarla, nell’opprimerla. E la regola fondamentale è questa: non permettere mai all’intelligenza di svilupparsi e sostituirla con dei surrogati... e qual è il sostituto dell’intelligenza? L’intellettualità. Dà loro un’educazione; manda quelle persone a scuola, al college, all’università, in modo che diventino degli intellettuali.
Avete mai sentito di un’università che crei intelligenza? Quegli istituti creano intellettuali, studiosi, creano persone che conoscono i testi sacri – possono ripeterli per intero, a memoria – ma non creano persone intelligenti. Essi sono al servizio della società; il sistema scolastico è stato inventato da questa marcia società, per servire i propri scopi. Non esiste per aiutare te, esiste per tenerti in schiavitù.
Dhyana Yogi, io non posso aiutarti a liberarti da questa immondizia, posso solo aiutarti a essere più consapevole. E se sei consapevole, quell’immondizia cadrà da sola. Un giorno, all’improvviso, scoprirai che è scomparsa... all’improvviso, è svanita. Man mano che la consapevolezza acquista profondità, ogni pattume scompare... così come scompare l’oscurità, allorché introduci una luce.
Buddha dice: diventa più consapevole e la luce inizierà a riversarsi in te... aes dhammo sanantano.
La quarta domanda
Amato Maestro,
spesso leggo l’“Inno dell’amore”, nel Nuovo Testamento. A me sembra che questo sia esattamente il tuo messaggio. Inoltre, è significativo che non venga mai usata la parola “Dio”. Non riesco a trovare nulla che contraddica il tuo messaggio essenziale, in questo piacevolissimo poema. Al contrario, sembra che sia proprio questo ciò che affermi nei tuoi discorsi. Ho ragione?
Hai una voce così bella... mi piacerebbe molto sentirti leggere quel poema, in parte o per intero, in particolare adesso, perché ho la sensazione che presto smetterai di parlare in pubblico. Ti mando una copia di questo inno.
Premartha, il messaggio di tutti i buddha è sempre lo stesso, perché la verità è una. Le espressioni possono cambiare, si possono usare linguaggi diversi, ma ciò che viene indicato è identico.
Milioni di dita possono indicare la stessa Luna. Le dita saranno inevitabilmente diverse: il mio dito è diverso da quello di Gesù, o di Buddha, o di Mosè, o di Abramo... ma la Luna è la stessa. E questo inno è un bellissimo dito che indica la Luna. È l’essenza stessa di tutti gli insegnamenti di tutti i buddha di tutti i tempi... passati, presenti, e anche futuri.
Se parlo le lingue degli uomini
e anche quelle degli angeli,
ma non ho amore,
sono un metallo che rimbomba,
uno strumento che suona a vuoto.
Se ho il dono d’essere profeta
e di conoscere tutti i misteri,
se possiedo tutta la scienza
e anche una fede da smuovere i monti, ma non ho amore,
io non sono niente.
Se do ai poveri tutti i miei averi,
se offro il mio corpo alle fiamme,
ma non ho amore,
non mi serve a nulla.
Chi ama
è paziente e generoso.
Chi ama
non è invidioso
non si vanta
non si gonfia di orgoglio.
Chi ama
è rispettoso
non cerca il proprio interesse
non cede alla collera
dimentica i torti.
Chi ama
non gode nell’ingiustizia,
la verità è la sua gioia.
Chi ama
tutto scusa
di tutti ha fiducia
tutto sopporta
mai perde la speranza.
L’amore non tramonta mai:
cesserà il dono delle lingue,
la profezia passerà,
finirà il dono della scienza.
La scienza è imperfetta,
la profezia è limitata,
ma verrà ciò che è perfetto
ed esse svaniranno.
Quando ero bambino
parlavo da bambino,
come un bambino
pensavo e ragionavo.
Da quando sono uomo,
ho smesso di agire così.
Ora la nostra visione è confusa,
come in un antico specchio;
ma un giorno saremo a faccia a faccia
dinanzi a Dio.
Ora lo conosco solo in parte,
ma un giorno lo conoscerò
come lui mi conosce.
Ecco dunque le tre cose che contano:
fede, speranza, amore.
Ma più grande di tutte è l’amore.
Queste sono le qualità essenziali di una persona religiosa. Questo è il mio messaggio... questo è il messaggio!
Il linguaggio è arcaico, e poiché è antico ha una sua bellezza: più vetusto è il linguaggio, maggiore è la sua poesia. Man mano che il nostro linguaggio si è fatto più preciso, è diventato sempre più scientifico.
Poiché questo inno ha duemila anni, ha in sé qualcosa di innocenza primeva, l’infantile qualità della meraviglia, dell’essere sorpreso dal mistero. Ma, Premartha, hai perfettamente ragione: non c’è nulla in esso che mi contraddica, né vi è qualcosa che io vorrei contraddire. Chiunque abbia detto quelle cose deve essere stato un illuminato.
Tuttavia, non continuare a ripeterlo, non limitarti a questo. È bello ripeterlo, è bello cantarlo, ma non è sufficiente. Mettilo in pratica, lascia che diventi la fragranza stessa della tua vita. Lascia che si dissolva nel tuo sangue, nelle tue ossa, nel tuo midollo. Lascia che ti circondi come un’aura invisibile. Non limitarti solo a ripeterlo; è bello, e questo è il pericolo. Puoi esserne così affascinato, puoi essere così ipnotizzato dalla sua bellezza, che puoi continuare a ripeterlo per tutta la vita. E più lo ripeti, più bello ti sembrerà... poiché questi messaggi antichi hanno un potere immenso, e molti strati di significati.
Ma non scendere in analisi linguistiche o filosofiche. È una preghiera, e una preghiera non è qualcosa da ripetere verbalmente ma che deve essere sentita; inoltre ricorda, una preghiera non è qualcosa da leggere, bensì da vivere. Vivila!
Ed è vero:
Ecco dunque le tre cose che contano:
fede, speranza, amore.
Ma più grande di tutte è l’amore.
Puoi pensare all’amore, puoi avere splendidi voli dell’immaginazione riferiti all’amore, e puoi fare sogni splendidi rispetto all’amore, ma non servirà. Ciò che servirà è questo: devi diventare amore. L’amore deve diventare la tua essenza più intima. Ogni altra cosa deve essere sacrificata all’amore, ogni altra cosa deve diventare parte della tua vita amorevole.
Solo allora questa preghiera sarà vera per te. E in quel caso non sarà cristiana, non apparterrà al Nuovo Testamento... sarà qualcosa che appartiene al tuo cuore; la respirerai. E chiunque si avvicinerà a te, ne percepirà un riflesso. Un po’ di luce verrà diffusa sul sentiero di tutti... se la vivi.
Le scritture possono essere comprese solo se, come prima cosa, vengono messe in pratica. La gente fa l’esatto opposto: legge i testi sacri e cerca di comprenderli. Da un punto di vista intellettuale non è difficile capire queste scritture, sono semplici. Le persone diventano veri esperti, maestri nel ripetere questi testi... e non vanno oltre. Restano pappagalli.
E cosa puoi capirne? Da un punto di vista intellettuale, qualsiasi cosa comprenderai, non sarà giusta, perché rifletterà il tuo stato mentale, non quello di chi pronunciò queste parole.
Un ranchero in pensione, età sessantacinque anni, decise di andare a New York per guardarsi in giro.
Scelse un albergo nel cuore della City, salì le scale, si mise a suo agio e si sdraiò sul letto per riposarsi.
Mentre era immerso nel dormiveglia, vide la porta aprirsi lentamente, e si trovò di fronte un’avvenente biondona, vestita solo di una vestaglia trasparente.
“Oh,” si scusò la donna, vedendo il vecchietto, “devo essere nella stanza sbagliata!”
“No,” la corresse l’uomo, “sei nella stanza giusta... solo con quarant’anni di ritardo!”
L’interpretazione sarà sempre tua. Puoi leggere Gesù, puoi leggere Buddha, ma chi interpreterà le loro parole? Tu le interpreterai... e qual è la tua comprensione? Che luce possiedi? Quelle splendide parole rimarranno meravigliose, meravigliosi nulla. Certo, è bellissima poesia, ma la poesia non ti può liberare, a meno che non diventi la tua esperienza personale, a meno che tu non diventi un testimone di quelle scritture.
“La tua continua infedeltà dimostra che sei un vero cialtrone” esplose la moglie indignata, per aver trovato il marito a flirtare con l’ennesima donna.
“Al contrario!” venne la fredda risposta. “Dimostra solo che sono troppo buono per essere vero.”
Le tue interpretazioni rifletteranno sempre e soltanto te. Quando guardi in uno specchio, vedrai il tuo volto, vedrai te stesso. Non puoi vedere lo specchio, puoi solo vedere il tuo volto riflesso in lui. Sarai in grado di vedere lo specchio solo quando avrai perso il tuo volto, quando avrai perso la tua testa, quando non sarai più. Quando sarai diventato un nulla, un nessuno, allora mettiti di fronte a uno specchio, e vedrai lo specchio e il suo riflettere, ma tu non sarai riflesso in lui, non verrai rispecchiato. Non sarai presente in quello specchio... prima di diventare un’assenza, non serve mettersi di fronte allo specchio.
Ed è ciò che la gente continua a fare: legge la Bibbia, il Corano, il Dhammapada... e legge se stessa.
La madre preoccupatissima stava dando alla figlia quindicenne alcuni consigli di morale sessuale. “Capisco, tesoro, che potresti essere tentata, mentre sei fuori con un ragazzo... ma, se lo fossi, per favore, concediti qualche minuto di raccoglimento e poniti questa domanda importantissima: un’ora di piacere, vale una vita di umiliazioni?”
“Caspita, mamma,” chiese la figlia tutta eccitata, “mi spieghi come fai a farlo durare un’ora?”
Ricorda sempre: non puoi capire Gesù, Mosè, Zarathustra... la tua “faccia” interferirà troppo.
Un paziente, sposino da pochi mesi, spiegava al proprio medico la sua situazione matrimoniale, che gli aveva causato uno strano malessere: la prima volta che aveva fatto l’amore con la moglie era stato meraviglioso, ma la seconda volta si era trovato tutto sudato e ansante.
Il medico decise di consultare anche la donna: “Non è strano”, esordì, quando la donna entrò nello studio, “che la prima volta suo marito abbia provato una sensazione meravigliosa, e la seconda si sia trovato tutto sudato e ansimante?”.
“Perché dovrebbe?” replicò la donna, torcendo la bocca, “la prima volta è successo in gennaio e la seconda a luglio!”
Non puoi affrontare direttamente i detti dei buddha. Come prima cosa dovrai entrare in te stesso. L’incontro fondamentale deve avvenire con la tua originalità, solo allora tutti i buddha ti appariranno limpidi e cristallini. A quel punto, accadrà anche un’altra cosa: Gesù, Buddha, Mosè e Maometto non dicono cose diverse... dicono esattamente le stesse cose.
Se una persona non diventa un testimone diretto della verità suprema, continuerà a pensare che Buddha stia dicendo una cosa, e Gesù dica l’esatto contrario; che il buddhismo sia contro l’induismo, l’induismo contro il giainismo, il giainismo contro l’islamismo. Se non sei un testimone del vero, continuerai a credere in queste trecento religioni, e parteciperai al litigio comune, al conflitto, all’antagonismo che si perpetua continuamente tra le religioni. Il giorno in cui vedrai la verità del tuo stesso essere, tutte queste trecento religioni semplicemente scompariranno, evaporeranno.
Una volta – proprio come ha fatto Premartha – un missionario cristiano andò da un Maestro zen. Voleva convertirlo, per cui portò con sé il Sermone della montagna. Iniziò a leggerlo, ma fece in tempo a completare solo le prime due o tre frasi, perché il Maestro lo zittì: “Smetti! Chiunque abbia detto queste cose era un buddha!”.
Il missionario era sorpreso. Replicò: “Ma sono le parole di Gesù!”.
E il Maestro: “Non importa il nome del buddha, chiunque le abbia dette era un buddha! È arrivato a casa”.
E io lo ripeto a te, perché anch’io lo so. Una volta che hai assaporato il vero, lo sai. In qualsiasi forma la verità si presenti, la riconosci immediatamente. Ma come prima cosa, diventa un testimone.
L’ultima domanda
Amato Maestro,
solo un passo?
Digambara, certo, di fatto, neppure quello... perché non dobbiamo andare da nessuna parte. Siamo già in Dio! Dico: “solo un passo” per consolarvi, perché se non ci fosse neppure un passo, sareste troppo perplessi. Riduco tutto al minimo, a un singolo passo, così che vi resti qualcosa da fare, perché voi capite solo il linguaggio del fare. Siete persone che fanno! Se dicessi: “Non si deve fare nulla, non si deve fare neppure un singolo passo”, sareste incapaci di dare un senso a ciò che dico.
La verità è che non occorre fare neppure un passo. Seduti in silenzio, senza fare nulla, viene la primavera e l’erba cresce da sola.
Ma questo potrebbe essere troppo... la vostra mente potrebbe semplicemente ignorare tutto quanto, oppure potrebbe pensare che siano assurdità. Come puoi raggiungere Dio senza fare nulla? Certo, la mente può comprendere l’esistenza di una scorciatoia; per questo dico: “Solo un passo”, è la via più breve... non si può ridurre oltre!
Un singolo passo! Serve solo a farvi capire che nessun agire è essenziale. Per conseguire l’essere, il fare è del tutto inessenziale. Quando sarete d’accordo, e vi sarete convinti che occorre fare solo un passo, allora vi sussurrerò nell’orecchio: “Neppure uno, sei già arrivato!”.
Rabiya, una grande mistica sufi, stava passando... era la strada che percorreva ogni giorno per andare alla piazza del mercato... ci andava ogni giorno, per urlare la verità che aveva conseguito.
Da giorni osservava un mistico, un mistico molto famoso, Hassan, seduto sulla soglia della moschea, che pregava Dio: “O Signore, apri la porta! Per favore, apri la porta! Lasciami entrare!”.
Quel giorno Rabiya non poté sopportarlo. Hassan stava piangendo, lacrime calde scorrevano sul suo volto, ed egli continuava a urlare: “Apri la porta! Lasciami entrare! Non mi ascolti? Perché non ascolti le mie preghiere?”.
Ogni giorno Rabiya ne rideva, ogni volta che sentiva Hassan rideva, ma quel giorno era davvero troppo. Lacrime... Hassan stava veramente piangendo, singhiozzava disperato, aveva il cuore a pezzi. Si avvicinò, scrollò Hassan e disse: “Smetti queste assurdità! La porta è aperta... di fatto, tu sei già entrato!”.
Hassan guardò Rabiya, e quel momento divenne un istante di rivelazione. Guardando Rabiya negli occhi, si inchinò, le toccò i piedi e disse: “Sei venuta al momento giusto; altrimenti sarei andato avanti a invocare per tutta la vita! Per anni l’ho fatto... dov’eri in tutto questo tempo? E so che passi lungo questa strada ogni giorno. Devi avermi visto piangere, pregare”. Rabiya disse: “Certo, ma la verità può solo essere detta in un momento particolare, in uno spazio preciso, in un certo contesto. Aspettavo il momento giusto, che i tempi fossero maturi. Oggi è arrivato il momento giusto, per questo mi sono avvicinata a te. Se te lo avessi detto ieri, ti saresti sentito irritato; avresti potuto andare in collera. Avresti potuto reagire contro di me; avresti potuto dirmi: ‘Hai disturbato la mia preghiera!’. E non è giusto disturbare una persona quando prega”.
Perfino a un re non è concesso disturbare la preghiera di un mendicante. Perfino un criminale, un assassino, se in un paese musulmano sta pregando, deve essere lasciato in pace: la polizia deve aspettare fino a quando ha finito di pregare, solo allora lo può arrestare. La preghiera non dovrebbe essere disturbata.
Rabiya disse: “Ho dovuto aspettare per dirti questo: ‘Hassan, non essere sciocco, la porta è aperta... di fatto, sei già entrato!’. Ma ho dovuto aspettare il momento giusto”.
Digambara, io dico: “solo un passo”... e perfino questo ti sembra incredibile, per questo hai fatto questa domanda.
Mi chiedi: “Amato Maestro, solo un passo?”.
Neppure quello, Digambara. Ma il momento giusto ancora non è venuto, perlomeno per te. Quando verrà, sussurrerò nel tuo orecchio: “Sei già entrato. Non occorre fare neppure un passo”, perché non ci stiamo muovendo verso l’esterno. I passi sono necessari per muoversi all’esterno, non ne occorrono per entrare dentro di noi.
È come se un uomo sognasse, e nel suo sogno andasse lontanissimo. Avrà bisogno di un lungo viaggio per tornare a casa? È già a casa, sta dormendo a casa sua... ma nel suo sogno può essere a Timbuktu. Tutto ciò che serve è scuoterlo!
Così come Rabiya scosse Hassan, Digambara, un giorno io scuoterò te! Hai solo bisogno di qualcuno che ti tiri addosso dell’acqua fredda: acqua veramente ghiacciata, in modo che, a causa dello shock, tu apra gli occhi. Pensi forse che mi chiederai: “Come farò per tornare a casa... visto che sono a Timbuktu?”. No, non chiederai nulla, se vedi di essere già a casa, riconoscerai di esserti addormentato e di aver sognato Timbuktu. Non ci sei mai andato.
Non sei mai uscito da Dio! Non puoi, è impossibile, perché solo Dio esiste. Dove mai potremmo andare? Non esiste alcun luogo in cui Dio non esista. Noi siamo sempre in lui, e lui è sempre in noi. Ma questo richiede un risveglio.
Neppure un singolo passo... questo serve solo a portarvi vicino alla verità. Pian piano, dovete essere persuasi. Mille passi vengono ridotti a uno solo, e alla fine vi porterò via anche quell’unico passo. Ma per farlo, occorre il momento giusto. Le verità supreme possono solo essere dette nella giusta situazione, quando i tempi sono maturi.
Anche quel momento verrà.
Sii pronto ad accoglierlo, a dargli il benvenuto...
Per oggi basta.