NOTE

 

N. 1: Anche senza essere sordi, si può benissimo essere molto vicini alla comunità dei sordi (se non farne davvero parte). Occorre, ovviamente, conoscere i sordi e simpatizzare con loro; ma soprattutto è necessario saper usare con scioltezza i Segni. Se mai persone udenti sono state accolte a pieno titolo nella comunità dei sordi, queste sono i figli udenti di genitori sordi: per loro, infatti, i Segni sono la lingua nativa. E' questo il caso di Henry Klopping, l'apprezzato soprintendente della California School for the Deaf a Fremont. Uno dei suoi ex allievi, che ho incontrato alla Gallaudet, mi ha detto segnando: «Lui è un Sordo, anche se ci sente».

N. 2: Il mondo dei sordi, come tutte le sottoculture, si forma in parte per esclusione (dal mondo degli udenti) e in parte in seguito all'aggregarsi di una comunità e di un universo intorno a un differente centro - il suo centro. In quanto si sentono esclusi, i sordi possono sentirsi isolati, messi da parte, discriminati. In quanto formano un mondo sordo, volontariamente, per sé soli, essi si sentono a proprio agio al suo interno, lo amano, lo vedono come un porto e un rifugio. Sotto questo aspetto il mondo dei sordi si sente autosufficiente, non isolato - non ha alcun desiderio di assimilarsi o di essere assimilato; al contrario, ha cari il proprio linguaggio e le proprie immagini, vuole proteggerli.

Un aspetto di tutto ciò è la cosiddetta diglossia dei sordi. Così un gruppo di sordi, alla Gallaudet o altrove, conversa in Segni se non ci sono udenti, ma, se ne sopraggiunge uno, passa immediatamente all'uso dell'inglese segnato (o simili), per tornare ai Segni non appena il nuovo venuto si allontana. L'A.S.L. è talvolta trattata come una proprietà intima e quanto mai personale, da tenere al riparo da occhi estranei e indiscreti. Barbara Kannapell è giunta a dire che, se tutti imparassimo i Segni, il mondo dei sordi ne sarebbe distrutto:

«L'A.S.L. ha una funzione unificante, perché i sordi sono tenuti uniti dalla loro lingua comune. Nello stesso tempo, però, l'uso dell'A.S.L. separa il popolo dei sordi dal mondo degli udenti. Così le due funzioni sono prospettive differenti della medesima realtà - una dall'interno del gruppo che viene unificato, l'altra dall'esterno. Il gruppo è separato dal mondo udente. Questa funzione separatrice è una protezione, per i sordi. Per esempio, possiamo parlare di quello che ci pare mentre ci troviamo nel bel mezzo di una folla di persone udenti: sappiamo che non ci capiranno.

«E' importante comprendere che l'A.S.L. è l'unica cosa che appartenga completamente ai sordi. E' l'unica cosa che sia nata dal loro gruppo.

Forse noi abbiamo paura di spartire la nostra lingua con le persone udenti. Forse la nostra identità di gruppo scomparirebbe se gli udenti conoscessero l'A.S.L.» (Kannapell, 1980, pagina 112).

N. 3: Anche quegli insegnanti che usano i Segni tendono però a usare una forma di inglese segnato piuttosto che l'A.S.L. Fatta eccezione per la Facoltà di Matematica, in cui la maggior parte dei docenti è sorda, solo una minoranza degli attuali membri delle Facoltà della Gallaudet è sorda. Così purtroppo stanno le cose oggi, in generale, nell'istruzione dei sordi. Sono ben pochi i docenti di sordi che siano sordi essi stessi, e i docenti udenti per lo più non conoscono l'A.S.L. o non la usano.

N. 4: Talvolta si crede che i sordi "siano" privi della voce, che abitino in un mondo di silenzio; ma non sempre è così. Possono, se lo vogliono, gridare molto forte, e spesso lo fanno per attirare l'attenzione degli altri. Se parlano, possono farlo a voce molto alta; modulano poco l'emissione, perché non possono controllarla con l'udito. Infine, possono, senza rendersene conto, fare vocalizzazioni di vario genere, spesso molto energiche: movimenti accidentali o inavvertiti dell'apparato vocale, non intenzionali e non controllati, che di solito avvengono quando essi sono agitati, quando fanno uno sforzo fisico, quando comunicano qualche cosa che li emoziona.

N. 5: Il risentimento provocato da questo «paternalismo» (o «mammismo») è molto evidente nell'edizione speciale del giornale studentesco («The Buff and Blue») del 9 marzo. Vi compare una poesiola intitolata "Mammina cara", che comincia così:

 

Della Spilman i figli, poverina,

Le sfuggono, si voglion ribellare.

Ah, perché non ascoltan la mammina

E le storie che essa sa narrare?

 

e continua su questo tono per tredici versi. (La Spilman era comparsa in televisione per difendere la causa della Zinser, dicendo tra l'altro: «Abbiate fiducia in noi; lei non vi deluderà»). Di questa poesiola furono fatte migliaia di copie: le si vedeva svolazzare per tutto il campus.

N. 6: Padden e Humphries, 1988, pagina 6. Sarà bene tener conto di queste considerazioni nell'attuale controversia tra fautori delle scuole «speciali» e fautori dell'«integrazione». Quest'ultima implica far frequentare ai bambini sordi le stesse scuole di quelli non sordi, insieme - con il vantaggio di far conoscere i sordi al resto della gente (almeno, questa sarebbe l'ipotesi); ma potrebbe anche provocare una nuova forma di isolamento, escludendo i sordi dal loro linguaggio e dalla loro cultura.

N. 7: Ben presto i corsi di studio furono divisi: gli allievi ciechi furono separati dai «sordomuti» (come allora si usava chiamare i sordi congeniti, che non parlano affatto o parlano poco e male). Dei duemila studenti sordi che ci sono oggi alla Gallaudet, circa venti sono anche ciechi. Questi, com'è facile immaginare, devono sviluppare una sorprendente intelligenza e sensibilità tattile, come accadde a Helen Keller.

N. 8: Si veda Gallaudet, 1983.

N. 9: I protagonisti di questa contesa, Bell e Gallaudet, erano entrambi figli di madre sorda (ma le due madri avevano atteggiamenti opposti nei confronti della propria sordità). Entrambi si dedicarono appassionatamente alla causa dei sordi, ma ciascuno a proprio modo, ed è impossibile immaginare due esseri umani più diversi (si veda Winefield, 1987).

N. 10: In un solo settore si è sempre continuato a usare la lingua dei segni, malgrado il cambiamento dei costumi e il divieto dei pedagogisti: nella celebrazione delle funzioni religiose per i sordi.

Attraversando imperturbabili le infinite dispute sull'oralismo e l'eclisse dei Segni nell'istruzione secolare, i membri del clero non si dimenticarono mai delle anime dei loro parrocchiani sordi, impararono i Segni (spesso dai sordi stessi) e continuarono a celebrare funzioni in Segni. L'interesse di de l'Epée era stato in primo luogo religioso; tale interesse, accompagnato dalla pronta percezione che quello era il «linguaggio naturale» dei sordi, si è mantenuto ben saldo per duecento anni, non scalfito dalle vicissitudini esterne. Dell'uso religioso dei Segni si occupa Jerome Schein:

«Che i segni abbiano un aspetto spirituale non deve sorprendere nessuno, specie se si pone mente al loro uso negli ordini religiosi che osservano il silenzio, o da parte di sacerdoti che si occupano dell'educazione di bambini sordi. Ciò di cui invece ci si deve rendere conto, per apprezzare i segni al loro giusto valore, è che essi sono particolarmente adatti alle funzioni religiose. La profondità di espressione che si può raggiungere con i Segni sfida qualsiasi descrizione. Il premio Oscar vinto da Jane Wyman nel 1948 come attrice protagonista nel film "Johnny Belinda" (nel quale impersonava una ragazza sorda) fu certo dovuto, in buona parte, alla sua magnifica (e corretta) recitazione del Padrenostro in Ameslan.

«Proprio nelle funzioni religiose, forse, la bellezza dei Segni rifulge maggiormente. Ad esempio, in alcune chiese si istruiscono cori in segni: è difficile, senza averli visti, immaginare la solennità che ispirano i coristi schierati mentre segnano all'unisono» (Schein, 1984, pagine 144-145).

N. 11: Non ho potuto discutere questo aspetto con Carol Padden e Tom Humphries, e me ne rammarico; infatti, essendo entrambi sordi e scienziati, possono vedere questi eventi sia dall'interno sia dall'esterno. Il capitolo «A Changing Consciousness» del loro libro "Deaf in America" offre, in poche pagine, la descrizione più illuminante di come è mutato l'atteggiamento nei riguardi dei sordi e tra i sordi stessi, negli ultimi trent'anni.

N. 12: Padden, 1980, pagina 90.

N. 13: Stokoe, 1980, pagina 266 e seguenti.

N. 14: Ma Klima e Bellugi raccontano che nel 1965, durante un convegno, quando Chomsky parlò del linguaggio come di «una specifica corrispondenza suono-significato», gli fu chiesto come considerasse le lingue dei segni dei sordi, nell'àmbito di tale caratterizzazione.

Chomsky si mostrò molto aperto, e rispose che non vedeva perché la componente suono dovesse essere cruciale; quindi ridefinì il linguaggio come «corrispondenza segnale-significato» (Klima e Bellugi, 1979, pagina 35).

N. 15: Fant, 1980.

N. 16: Oggi gli insegnanti (ma non solo loro) sono incoraggiati a parlare e segnare simultaneamente; si spera che questo metodo («Sim Com») possa assicurare i vantaggi di entrambe le modalità - ma in pratica ciò non avviene. Il parlato risulta forzatamente rallentato, per consentire di fare i segni; ma questi ne risentono comunque, sono eseguiti malamente, con l'omissione di alcuni elementi cruciali - al punto da risultare inintelligibili per i sordi, che ne sono i destinatari. E' pur vero che è quasi impossibile usare l'A.S.L. e contemporaneamente parlare, perché le due lingue sono del tutto diverse: quasi altrettanto impossibile che parlare inglese e contemporaneamente scrivere in cinese - anzi, è probabile che l'impossibilità sia di natura neurologica.

N. 17: Tuttavia negli Stati Uniti non c'è ancora stato alcun tentativo ufficiale di dare ai bambini sordi un'istruzione bilingue eccezion fatta per alcuni modesti esperimenti pilota, come quello riferito da Michael Strong (Strong, 1988). Un programma educativo bilingue è stato invece adottato, su larga scala, in Venezuela, e ha avuto successo; il programma rientra nella politica nazionale dell'istruzione, e prevede anche l'impiego di un numero sempre maggiore di adulti sordi come assistenti e come docenti (Johnson, comunicazione personale). In Venezuela, i bambini sordi, non appena vengono diagnosticati come tali (anche in tenerissima età), vengono portati in appositi centri istituiti presso le scuole e qui sono affidati ad adulti sordi segnanti, finché non hanno raggiunto l'età per frequentare le scuole materne o elementari, dove sarà impartita loro un'istruzione bilingue.

Anche in Uruguay è stato adottato un sistema del genere. In entrambi i paesi i successi sono stati più che incoraggianti, una grande promessa per il futuro - ma purtroppo sono tuttora pressoché sconosciuti agli educatori americani ed europei (si veda però Johnson, Liddell ed Erting, 1989). Questi programmi mostrano che si può imparare a leggere perfettamente senza saper parlare, e che non è indispensabile la mediazione della «comunicazione totale» tra l'educazione orale e quella bilingue.

N. 18: Il sociolinguista James Woodward se ne è occupato con particolare attenzione (si veda Woodward, 1982). Questo senso crescente della diversità culturale, al posto di una «norma» fissa unica, con «devianze» nei due sensi, può essere ricondotto a una generosa tradizione di un secolo o più fa; in particolare alle idee di Laurent Clerc (il che costituisce un'ulteriore, e più sostanziale, spiegazione del perché gli studenti ripetevano il suo nome, e sentivano che era il "suo" spirito a guidare la rivolta).

Gli insegnamenti di Clerc ebbero l'effetto di ampliare la concezione che l'Ottocento si era fatta della «natura umana», introducendo una visione relativistica e ugualitaria del vasto campo della natura al posto dell'angusta divisione in «normale» e «anormale». Siamo soliti dipingere i nostri antenati del secolo scorso come persone rigide, moralistiche, critiche, repressive; al contrario, il tono della voce di Clerc e di coloro che lo seguivano dà l'impressione che quella fosse un'epoca molto aperta nei riguardi del «naturale», dell'intera varietà e molteplicità delle propensioni naturali: un'epoca nient'affatto incline (o se non altro meno incline della nostra) a giudicare secondo criteri moralistici o clinici che cosa fosse «normale» e che cosa «anormale».

Questo senso di ampia estensione del disegno naturale ricompare più e più volte nella breve "Autobiografia" di Clerc (riportata parzialmente in Lane, 1984 a). «Ogni creatura, ogni opera di Dio, è fatta in modo mirabile. Quello che ci appare un difetto nel suo genere si volge a nostro vantaggio senza che noi lo sappiamo». O anche: «Non possiamo che ringraziare Dio per la ricca diversità della sua creazione, e sperare che in un mondo futuro ne sarà spiegata la ragione».

Clerc ha di «Dio», della «creazione», della «natura» un concetto umile, grato, mite, privo di rancore: le radici di ciò stanno forse nel fatto che egli sente se stesso e gli altri sordi come esseri diversi, e tuttavia completi. Quale contrasto con la furia per metà prometeica, per metà terribile, di Alexander Graham Bell, che sempre vedrà la sordità come una frode e una privazione e una tragedia, e si preoccuperà sempre di «normalizzare» i sordi, di «correggere» gli errori di Dio e, in generale, dl «migliorare» la natura. Clerc predica la ricchezza culturale, la tolleranza, la diversità; Bell predica la tecnologia, l'ingegneria genetica, gli apparecchi acustici, i telefoni. Sono due tipi umani completamente opposti; ma evidentemente entrambi hanno una parte da recitare nel mondo.

N. 19: Nel 1981 è stato pubblicato un massiccio volume illustrato, intitolato "Deaf Heritage: A Narrative History of Deaf America", di Jack R. Gannon. A partire dal 1976 sono comparsi i libri di Harlan Lane, che non solo hanno esposto la storia dei sordi con grande vivezza, ma di per sé hanno costituito avvenimenti «politici», contribuendo a dare ai sordi un senso vigoroso (forse in parte mitico) del loro passato e una spinta a riconquistare nel futuro il meglio di tale passato. Sono libri che non hanno solo riportato la storia documentata, ma l'hanno anche in parte fatta (esattamente come lo stesso Lane non è stato solo un cronista della rivolta del 1988, ma anche un attivo partecipante).

N. 20: Così, almeno, appariva agli osservatori esterni: i sordi si ribellavano all'etichetta di «inabili». Ma i sordi all'interno della comunità erano di diverso avviso, affermavano di non essersi mai considerati tali. Padden e Humphries tengono ad approfondire questo punto:

«Storicamente, la qualifica di "inabile" non è mai appartenuta ai sordi. Essa suggerisce un'autorappresentazione e degli obiettivi politici niente affatto familiari al gruppo. Quando parlano della sordità, i sordi usano termini profondamente legati alla loro lingua, al loro passato, alla loro comunità: si sono costantemente preoccupati di salvaguardare la propria lingua, di elaborare politiche di istruzione per i bambini sordi, di tenere in vita le loro organizzazioni sociali e politiche. Termini quali "diritti civili" e "accesso", che pure sono poco familiari ai sordi, sono stati usati dai loro rappresentanti perché il pubblico comprende tali rivendicazioni meglio di quelle proprie della comunità dei sordi» (Padden e Humphries, 1988, pagina 44).

N. 21: Nemmeno il più strenuo dei segnanti è contrario a usare altre modalità di comunicazione, quando possono essere utili. Negli ultimi venti anni, svariate innovazioni tecniche hanno cambiato profondamente la vita quotidiana dei sordi: ad esempio la televisione sottotitolata, le telescriventi (T.T.Y., oggi T.D.D.: "telecommunication devices for the deaf", apparecchiature di telecomunicazione per sordi). Sono dispositivi che avrebbero fatto la gioia di Alexander Graham Bell (il quale inventò il telefono in parte motivato dal desiderio di dare un ausilio ai sordi). Lo sciopero del 1988 alla Gallaudet sarebbe stato molto più difficile, forse addirittura impossibile, senza questi mezzi tecnici, che gli studenti seppero sfruttare in modo brillante.

N. 22: Anche se la scelta di King Jordan soddisfece quasi tutti, vi fu una fazione che vide nella sua elezione un compromesso (perché egli era un sordo postlinguistico) e sostenne fino all'ultimo Harvey Corson, soprintendente della Louisiana School for the Deaf e terzo finalista, che è tanto un sordo prelinguistico quanto un segnante nativo.