27
L’estate arrivò sull’isola, e con essa i vacanzieri. Vacanzieri da un giorno e via, con le loro creme solari e gli asciugamani da mare, vacanzieri da un week-end preparati a fare il pieno di divertimento e sole nello spazio di un paio giorni. Gli altri arrivavano a frotte per passare lì una settimana o due, un mese, o l’intera stagione.
Allo scoccare di ogni ora il traghetto arrivava con macchine, biciclette, gente a piedi in fila al molo, da un lato e dall’altro della baia.
Allo scoccare di ogni ora Reed in persona o qualcuno dei suoi erano lì a controllare.
Aveva verificato una serie di prenotazioni da parte di donne che viaggiavano da sole, ma non era saltato fuori niente.
Era al lavoro ogni giorno, che fosse di servizio e non, battendo su e giù il paese, le spiagge, le agenzie immobiliari.
Tanto prima o poi...
In una gradevolissima serata di giugno, in un gremito evento di raccolta fondi a Potomac, nel Maryland, Marlene Dubowski, avvocato delle vittime, attivista politica e sopravvissuta al DownEast, fece un breve discorso e sollevò il calice per un brindisi.
Sorseggiò il suo drink, scambiò due chiacchiere con le altre persone, bevve un altro sorso, ancora qualche chiacchiera per socializzare, di nuovo un sorso. E iniziò ad annaspare in cerca di aria. Quando si accasciò, Patricia, nelle vesti di una ricca benefattrice, si buttò a terra accanto a lei, approfittandone per tagliarle con grande sveltezza una ciocca di capelli. «Oh, mio Dio, chiamate il 911!»
«Sono un medico» gridò qualcuno. «Fatemi passare!»
Nella confusione del momento, Patricia si dileguò.
Oltrepassò il lussuoso quartiere, gli ampi vialetti, fino all’ufficio postale che aveva già adocchiato. Canticchiando tra sé e sé, fece scivolare la ciocca di capelli nella bustina, e la bustina a sua volta all’interno della cartolina che aveva già firmato, con tanto di indirizzo e francobollo.
La sua scelta era caduta su una cartolina che recitava:
‘Proprio perché tu sei tu!’
Dopo aver chiuso la busta, la infilò nella cassetta della posta di fronte all’ufficio postale.
Soddisfatta di sé, si mise sulla tangenziale, uscendo dalla rampa di uscita in direzione dell’ hotel di livello medio che aveva già prenotato, avendo pensato in modo previdente alla folla di vacanzieri.
Aveva solo bisogno di una notte e di una buona cena.
Nella sua junior suite, il meglio che si poteva fare, si tolse la parrucca biondo cenere, le lenti colorate azzurre e l’espediente utilizzato per far apparire la sua mascella più sporgente.
Con un grugnito, si spogliò dell’abito da cocktail firmato, un po’ da matrona, e dell’imbottitura che aveva sotto. Tolse le solette da dentro le scarpe che le erano servite per sembrare più alta.
Ordinò il servizio in camera, fece una lunga doccia per eliminare l’autoabbronzante che aveva usato.
La mattina dopo avrebbe abbandonato in un parcheggio a lungo sosta all’aeroporto di Dulles la macchina presa a noleggio, e ne avrebbe presa un’altra. Un cambio di targa lungo la strada e si sarebbe volatilizzata ancora una volta.
Mise la foto di Reed sul comodino accanto al suo letto, l’aveva perfino incorniciata.
«Abbiamo un appuntamento noi due, non è così? Proprio perché tu sei tu.»
La Jacoby era seduta nell’ufficio di Reed. La frustrazione traspariva da tutto il suo essere. «Avevamo un agente all’evento di beneficienza, e lei si è dileguata. La gente è andata nel panico, si è creata una ressa, e lui è rimasto tagliato fuori. È riuscito a vederla, ha provato a inseguirla, ma... Pensa che se la sia svignata a bordo di una berlina Mercedes nera, ma non è riuscito a prendere la targa. La targa era senza luce.» Frugò nella borsa e tirò fuori uno schizzo. «Ecco un identikit disegnato in base alla descrizione.»
«Stavolta ha fatto in modo di sembrare più vecchia, con qualche chilo in più, ha modificato la linea della sua mascella. Ed è tornata al cianuro.»
«È rimasta per vedere crollare a terra la sua vittima e si è perfino accucciata qualche secondo accanto a lei, quando sarebbe stato molto più furbo farsi da parte e scappare.»
«È diventata più arrogante, e non sapeva quanto le eravate vicini.»
«Non abbastanza. Vedrai che ti manderà un’altra cartolina.»
«Lo spero. Il lasso di tempo tra un omicidio e l’altro si è accorciato.»
«Altro segnale che sta perdendo il controllo che era riuscita a mantenere per così tanto tempo. Risale tutto a te, a quella pallottola che le hai esploso addosso. Inizialmente pensavo, e le nostre analisi collimavano, che volesse tenerti sulle spine. Che giocasse con te a gatto e topo per torturarti. Ma ora non sono più di quell’idea. Lei sente proprio il bisogno di vendicarsi per quel torto subito.»
«Sono d’accordo. Se ha intenzione di far fuori qualcun altro prima di arrivare all’isola, e di questo passo penso che sia così, dovreste mettere Mi-Hi Jung e Chaz Bergman sotto protezione. Penso valga la stessa cosa per Brady Foster. Per Essie è ancora presto. Essie è troppo in alto nella sua lista. Non penserebbe ancora nemmeno a Simone se io non vivessi sull’isola. Ma non ce la farà a resistere alla tentazione di giocarsi un doppio. Però...»
Si alzò a prendere una Coca, e ne allungò a lei un’altra.
«Non hai una Diet?»
«Aspetta.» Uscì dall’ufficio, attraversò il corridoio, si infilò nella sala ristoro e prese una Diet Pepsi dal frigorifero.
«Te ne devo una» disse a Matty, e se la portò nella sua stanza, chiudendo la porta.
«Grazie. ‘Però’ cosa?»
«È in fase di escalation e sta degenerando, è vero, ma è ancora scaltra, guardinga. Lo abbiamo appena visto con la McMullen, come ci ha fregato. Lei lo sa, non può non saperlo, che state seguendo la sua rotta, che state collegando i puntini sulla mappa.»
«Pensi che virerà da un’altra parte, che farà un’altra deviazione.»
«Se ha bisogno di un altro omicidio prima di venire da me, sarebbe stupida ad andare direttamente nel Maine. E lei non è stupida.»
La Jacoby si alzò, si avvicinò alla cartina che lui aveva attaccato al muro, studiando la collocazione delle puntine da disegno che rappresentavamo gli omicidi della Hobart dall’inizio del suo folle viaggio.
«A istinto hai idea di dove potrebbe dirigersi stavolta?»
«Ci devo pensare. Si limiterà alla macchina o si prenderà un volo? Si atterrà al target di quelli diventati ricchi e/o famosi oppure se ne fregherà degli schemi? Ci devo pensare»
«Anch’io. E il resto della task force. Avevo un uomo nella sua stessa stanza, e lei ha comunque ucciso la sua vittima ed è fuggita via.»
Reed prese l’identikit. «Riconosceresti la Hobart guardando questo identikit?»
«Probabilmente non l’avrei riconosciuta, e dei testimoni hanno confermato un accento meridionale, ben imitato. Si mescola con le persone, Reed, fa conversazione, ed è riuscita a farsi uscire delle lacrime rifilando una storia sulla figlia e quello che aveva passato dopo uno stupro. Ha pagato i cinquemila dollari per la partecipazione all’evento.»
«Si cala completamente nella parte che sta recitando. È brava. Assurdamente brava.»
«Devo rientrare. Chiamami quando ricevi la prossima cartolina.»
Si ritrovava alle prese con problemi di traffico, problemi di parcheggio, problemi con le spiagge, con le imbarcazioni, con l’alcol, perfino qualche furtarello. Ogni giorno era un giorno di vacanza, e i turisti brulicavano per le strade, i negozi, i sentieri, le spiagge.
Lavorava quasi tutti i giorni fino a dopo il tramonto, e anche oltre. Ma la maggior parte delle sere aveva Simone con sé. Se trovava un’oretta o due di tranquillità e solitudine, si metteva nel suo ufficio, esaminava la mappa, i volti, cercava di calarsi nella mente di Patricia.
Una mattina uscì di casa – Simone in quei giorni era solita andarsene appena faceva giorno – e trovò CiCi nel giardino di casa sua con tele, cavalletto e colori.
«Buongiorno, comandante Bella gioia.»
«Buongiorno, amore della mia vita. Stai dipingendo.»
«Voglio la luce del mattino. Sono già venuta qui fuori un paio di volte questa settimana, di solito più tardi, il che dimostra quanto io sia discreta, ma ora ho bisogno di questa luce.»
Lui si avvicinò a lei; il cane le era già corso incontro per scodinzolare e accoccolarsi.
«È la casa.» E i lupini, notò lui. Quei fiumi di colore che non smetteva ancora di stupirsi potessero appartenere a lui.
«Non sono ancora al loro culmine. Lo saranno la prossima settimana. Ma mi serve questa luce, ed è un ottimo punto di partenza prima che sboccino. Mi piacciono le linee di casa tua, da sempre. E poi qualcuno è stato così in gamba da tinteggiare quei portici di viola orchidea.»
«Qualcuno che aveva il suggerimento di qualcuno con l’occhio dell’artista.»
«L’hai capito da solo che dipingere il portone di quel prugna là sarebbe stato un valore aggiunto per la casa.»
«Ho i miei momenti. E Home&Garden tv.»
«Più di qualche momento. E i lupini, meritano una menzione a parte quelli.»
«Qui in giardino mi ha dato una mano Leon, anche con gli altri fiori. Lui sa qual è il fertilizzante che ci vuole. Devo comprare una compostiera. Non ha voluto sentire un no come risposta.»
CiCi lo studiava mentre parlava. «Non hai dormito abbastanza, tesoro mio. Lo vedo.»
«Estate. Periodo incasinato.»
«E non solo. Come mai non riescono a prenderla?»
«È sfuggente.» Si chinò per darle un bacio sulla guancia. «Ma la prenderemo.» Tirò fuori il suo portachiavi, prese un doppione.
«Chiave di casa. Prendila pure, usala e poi richiudi quando te ne vai. La chiave tienila. Mi raccomando solo di non farti una canna mentre sei qui fuori. Sono il comandante della polizia. Ho pure il cappellino.»
Mise il guinzaglio a Barney, si avviò a piedi al lavoro, fermandosi in una casa vacanza lungo la strada per svegliare gli affittuari, ragazzetti di college, intimando loro di raccogliere le bottiglie di vino e birra sparpagliate dappertutto. Li lasciò con l’avvertimento che sarebbe passato un agente entro un’ora per multarli nel caso non avessero ancora provveduto.
È così, pensò lui, che si comincia una giornata d’estate sull’isola.
E, visto che ne aveva previsto l’arrivo, non fu sorpreso quando Donna gli consegnò la terza cartolina.
«Non stare a radunare gli altri qui in ufficio, abbiamo tutti troppo da fare. Chiamali, fagli sapere che ne è arrivata una terza e che stavolta viene da Potomac, Maryland.»
«Quella pazza sta rovinando la mia dannata estate.»
«Nemmeno la mia è esattamente un picnic» replicò lui mentre si metteva i guanti, prendeva il coltellino e apriva la busta. «Che carina» disse mentre leggeva il biglietto di auguri prestampato.
Questa volta aveva disegnato dei cuori attraversati da frecce da cui grondavano gocce di sangue.
‘Che ne pensi? Potrei provare il tiro con l’arco. O forse proseguiamo con le pallottole nel petto e in testa. Magari ti sparo nelle palle prima, giusto per farmi due risate. La bella avvocatessa dal cuore tenero ha calpestato il cadavere di mio fratello per salire sul suo piedistallo. L’ho scalzata giù. Non ha nemmeno capito come ha fatto a morire. Sarà lo stesso per te, coglione.
Mille baci,
Patricia.’
Aveva perfino disegnato un chiarissimo dito medio dopo il suo nome.
Sta degenerando, pensò. Più arrabbiata, o meno capace a gestire quella rabbia, così una minaccia aperta ancora di più.
Lei aveva bisogno di quel prossimo omicidio, non c’erano dubbi. Aveva bisogno di quella fretta.
Ma chi? E dove?
Con lo sguardo alla cartina contattò la Jacoby.
Simone controllò ogni centimetro del calco di fusione. Aveva realizzato il modello in cera, utilizzando con grande precisione gli strumenti dalla punta più delicata dove era necessario asportare materiale e gli strumenti a caldo dove serviva colmare le imperfezioni cave. La esaminò ora e reputò che fosse pronta.
C’erano volute ore per progettarla, crearla, e per realizzare il sistema di colata, una rete in cera di cannule e canali di evacuazione e alimentazione per far colare il bronzo nello stampo.
Altre ore per ricoprire la cera con l’impasto. Prima, una sabbia molto molto fina in due mani in modo tale da non tralasciare il più piccolo dettaglio. Altri strati, in tutto nove, di sostanze varie, assicurandosi che lo strato fosse asciutto prima di passare la mano successiva così da creare alla fine una sorta di spessa camicia di materiale ceramico.
Tutto il lavoro noioso e tecnico le aveva tenuto la mente occupata per giorni, distraendola dall’ansia di quella terza dannatissima cartolina.
‘Non ha nemmeno capito come ha fatto a morire. Sarà lo stesso per te.’
Non ci pensare ora, si disse. Non permettere a una pazza di disporre della tua vita.
Mise in uno scatolone lo stampo in ceramica, lo portò giù per le scale.
«È Reed?»
«Pronto per il viaggetto.» Simone posò lo scatolone sul bancone della cucina con un piccolo sbuffo per lo sforzo. «Mi farebbe proprio piacere se rinunciassi a una bella giornata di sole per accompagnarmi.»
«Adoro l’idea di fare una gita alla fonderia. Tutti quegli uomini sudati, e donne» aggiunse CiCi. «Ne approfitterò per fare qualche schizzo una volta lì.» Si controllò i capelli allo specchio, lunghi e sciolti con tre enormi cerchi che le spuntavano dalle orecchie.
«E poi voglio proprio sentire qualche novità sul matrimonio di Natalie. Faremo in modo che venga fuori una giornata divertente.» Si mise in spalla una borsa in paglia grossa come il dirigibile Hindenburg. «Portiamo il nostro bambino qui in macchina. L’hai detto a Reed che stamattina andiamo sulla terraferma?»
«Gli mando un messaggio quando sono sul traghetto.»
CiCi strinse gli occhi, mentre uscivano di casa. «Simone.»
«Avrà meno tempo per preoccuparsi.»
«E zero tempo per impedirti di uscire dall’isola.»
«Esattamente.» Simone sistemò lo scatolone nel bagagliaio, ci buttò insieme la borsa, inforcò gli occhiali da sole mentre CiCi faceva lo stesso con le sue lenti arcobaleno. Al volante, alzò il volume della radio, e fece un sorrisone a CiCi.
«Una gita tra ragazze!»
«Evviva!»
In circostanze normali, Simone si sarebbe prenotata una stanza di albergo vicino alla fonderia, invece di correre per finire tutto il lavoro in un’unica giornata. Non che non si fidasse degli addetti alla supervisione e degli operai della fonderia, in qualche modo degli artisti pure loro. Ma preferiva essere presente in ogni fase di lavoro.
Tuttavia, non erano circostante normali, e lei non voleva essere lontana da Reed e dall’isola, perciò aveva fretta di fare presto.
Lui si prendeva cura di lei, pensò Simone, e lei di lui.
Al di là di tutto, lasciò che CiCi si entusiasmasse alla vista della colata o girovagasse attorno alle fornaci intanto che lei controllava l’operaio incaricato di mettere la sua opera nell’autoclave.
Aveva usato il metodo a cera persa, il suo preferito, e il caldo e la pressione della fornace avrebbero fatto colar via la cera dal suo camice.
Se aveva lavorato bene, continuava a ripetersi, Il Protettore sarebbe stato perfettamente formato all’interno della corazza cava e indurita.
CiCi si unì a lei nel momento in cui gli operai spostarono la corazza incandescente sul piano per la colata.
«Eccoci qua» disse CiCi.
Gli operai con tanto di elmetto, mascherina, tute di protezione, guanti spessi e stivali ogni volta le facevano venire in mente gli astronauti.
Incamiciarono la sua opera nella sabbia, mentre altri operai provvedevano alla fusione di solidi blocchi di bronzo. Immaginava muscoli tesi e contratti nell’atto di sollevare quel glorioso bronzo fuso sotto a quelle tute spesse.
C’era dell’arte anche in tutto questo, pensava lei, in quel calore pazzesco, in quell’odore di reagenti chimici e sudore, di metallo liquefatto. E quella luce incandescente aveva un che di magico, mentre gli operai sollevavano il crogiolo con il metallo fuso fuori dalla fornace.
E la colata, il momento della verità, l’aveva sempre incantata. Quei rapidi movimenti dei fornaciai che si muovono all’unisono, quel fluire viscoso di un oro scuro e rovente come raggi di sole fusi.
All’interno della sua corazza, la sua opera, la sua arte, la sua visione si riempiva di quei raggi di sole fusi. Il negativo diventava positivo, e lo studio dell’uomo che aveva capito di amare e tutto ciò che simboleggiava avrebbero preso vita.
«Non fico come il sesso» mormorò CiCi tra sé e sé. «Ma è un’eccitazione davvero niente male pure questa.»
«Oh, mamma.» Simone trattenne il fiato.
Visto che la corazza e la sagoma all’interno avevano bisogno di svariate ore per raffreddarsi, lei e CiCi raggiunsero Portland per prendere parte a un lungo pranzo – grazie al cielo non al Country Club – con la madre e la sorella.
Argomento dominante furono i preparativi del matrimonio, ma Natalie sprizzava gioia da ogni poro e quella luce si rifletteva sulla madre. Se non puoi sconfiggerli, unisciti a loro, pensò Simone.
«Hai visto le foto che ti ho mandato dei vestiti degli invitati, vero?» Natalie sorseggiava il suo secondo calice di champagne.
«Certo» le disse Simone. «Li ho trovati davvero deliziosi, raffinati ed eleganti, e adoro quel colore.»
«Un colore tra la mora e il lampone.» Anche Tulip cedette a un altro calice di champagne. «Avevo i miei dubbi, e ammetto di aver provato a convincere Natalie a scegliere qualcosa di più tradizionale. Ma aveva ragione. È un colore di grande impatto, specie in combinazione con i suoi colori complementari.»
«Il cipria e l’argento tenue.» Annuì CiCi. «Quando vuoi hai un occhio da artista, tesoro.»
«Speravo che tu e Simone avreste voluto indossare l’argento. Se non vi dispiace cercare un abito in quel colore sarebbe meraviglioso. La boutique da cui mi servo ne ha alcuni davvero splendidi. E c’è ancora tempo per fare qualsiasi tipo di modifica.»
«A me l’argento dona» rifletté CiCi.
«So che i matrimoni non vi fanno impazzire.» Natalie rivolse lo sguardo a Simone. «Ma sarei tanto felice se voi... Vorrei che partecipaste tutte e due.»
«Perché non passiamo alla boutique dopo pranzo?» suggerì Simone. «Potreste aiutarmi a scegliere il vestito.»
Natalie sbatté le palpebre. «Sul serio?»
«Ti sposi tu, Nat.» Simone fece tintinnare il suo bicchiere con quello della sorella e si accorse del luccichio di lacrime negli occhi di sua madre. «Forza, tutte a fare shopping.»
Pensò che per lei in fondo non era che un vestito, ma per la sorella e per la madre era un simbolo importante. E poi avrebbero occupato un altro paio di ore intanto che il suo bronzo si raffreddava.
Per quando lei e CiCi tornarono alla fonderia, con vestiti, scarpe, borse, coprispalle per un matrimonio autunnale, si sentì carica di energia.
«In effetti mi è piaciuto» si stupì.
«Non fa mai male uscire dalla nostra comfort zone. Le hai fatte felici.»
«Le abbiamo fatte felici.»
«Già, le abbiamo fatte felici» fece CiCi, dandole una gomitata. «Adesso sono in debito con noi.»
«E alla grande.»
Visto che voleva farsi il resto del lavoro da sé e non voleva passare giorni lontana dall’isola, Simone si fece caricare in macchina da quelli della fonderia il bronzo ancora imprigionato nel suo involucro.
«Sto mandando un messaggio a Reed» disse CiCi mentre erano in macchina dirette al traghetto. «Voglio fargli sapere che siamo di ritorno.»
«Non voglio che lui torni a casa prima di aver fatto in tempo a scassettare l’opera e a riporla nel mio studio, devo terminare di rifinire il metallo.»
«Lui lo tengo lontano io, e chiamerò un paio di energumeni per tirar fuori l’opera e portarla sul patio.» Mentre mandava quei messaggi, lanciò uno sguardo a Simone. «Voglio esserci anch’io quando la libererai.»
«Era ovvio.»
Due ore e mezza più tardi, Simone si asciugava il sudore dalla fronte. Pezzi e pezzetti di quella corazza giacevano sopra un telo cerato insieme a un mucchio di martelli e attrezzature elettriche.
Ed ecco la scultura in bronzo stagliarsi alla luce del crepuscolo.
«Meravigliosa, Simone. Meravigliosa.»
«Lo sarà.» Avrebbe asportato le materozze del getto, levigato la superficie con dei tamponi prima a grana grossa e poi sempre più fina, modificandone la texture qui e là, e perfezionandola. «Mancano solo pochi passaggi.» Gli girò intorno. «La cesellatura, una buona sabbiatura, poi la patina, ma riesco a vederla, CiCi. Vedo che è proprio come avevo sperato.»
«Vale lo stesso per lui, che tu lo sappia o no.»
«Io non avevo sperato di trovarlo, lui. Questo è il fatto. Per un po’ io non ho sperato in niente, ed era una cosa inutile. Poi un giorno mi sono svegliata e ho sperato di essere capace di poter realizzare una cosa come questa. E già mi bastava, onestamente dico, era così perché avevo te e quest’isola e potevo sempre tornare indietro. E poi... lui mi ha guardata.» Si accovacciò, passò un dito sopra il volto in bronzo. «Lui mi ama.»
«Un sacco di uomini e pure qualche donna mi hanno amata. Non è abbastanza, bambina mia.»
«No, non lo sarebbe. Non lo sarebbe malgrado lui sia bello e gentile, coraggioso e in gamba e tante altre cose. Ma non sarebbe abbastanza.» Si tolse la bandana con cui teneva legati i capelli. «Ma ha sbloccato qualcosa dentro di me, CiCi. E ora io vedo di più, sento di più, voglio di più. Mi ha fatto credere. Lo amo per chi è lui e per chi sono io insieme a lui.»
«Quando hai intenzione di dirglielo?»
«Quando questa sarà terminata, e gliela mostrerò.» Si tirò di nuovo su in piedi. «Lo trovi sciocco?»
«Penso sia un pensiero profondo. Ti aiuto a ripulire tutto e a portare questa meraviglia al piano di sopra.»
Mentre Simone si dedicava alla cesellatura, Reed aveva fermato un paio di ragazzini convinti che far scoppiare petardi nei cestini dei rifiuti dei bagni pubblici fosse il massimo dello spasso in vacanza.
Avrebbe potuto passarci sopra limitandosi semplicemente a confiscare il resto dei petardi e dei bidoni con una ramanzina, ma il padre, che a quanto pareva aveva fatto il pieno di alcol in spiaggia, gli si fece sotto.
«Qual è il problema? Si stanno solo divertendo un po’. Non hanno fatto male a nessuno. E ho pagato un botto di soldi per quei petardi.»
«Il problema è che hanno infranto la legge, mettendo a rischio la sicurezza pubblica e la propria, oltre al vandalismo.»
«Ma se è un mucchio di immondizia.»
Cercando ancora di mostrarsi diplomatico, Reed annuì. «Giusto, che loro ripuliranno.»
«I miei ragazzi non fanno gli spazzini.»
«Oggi lo faranno.»
«All’inferno. Avanti, Scotty, Matt, andiamocene.»
«Non vanno da nessuna parte fino a che non puliscono tutto il sudiciume che hanno lasciato.»
Il paparino ubriaco si gonfiò il petto. «Perché, altrimenti che fai?»
La diplomazia, concluse Reed, non funzionava sempre. «Visto che loro sono minorenni, farò una multa a lei per istigazione a delinquere e per aver portato sull’isola materiale esplosivo illegale.»
«Tutte cazzate.»
Fece un sorriso affabile. «Non scherzo affatto.»
«Non pagherò un centesimo bucato a un poliziotto improvvisato da quattro soldi che cerca solo di farmi incazzare e che sta tormentando i miei ragazzi in vacanza. Ho detto, andiamo!»
Si voltò. Reed si spostò per bloccarlo.
Rosso in faccia, furioso, spintonò Reed.
«Bene, a quella lista aggiungeremo pure aggressione a pubblico ufficiale.» Solo leggermente meravigliato, Reed schivò un colpo violento, poi risolse la questione ruotandogli attorno e ammanettandolo. «Non è questa la maniera di comportarsi» disse Reed ai ragazzi mentre il più grande li fissava a bocca aperta e il fratello più piccolo si metteva a piangere. «Signore, lei è decisamente ubriaco» continuò Reed intanto che l’uomo si dimenava e imprecava, mentre tra la folla che si era radunata tanti scattavano foto o riprendevano con l’immancabile cellulare. «Lei oppone resistenza, ora sta disturbando la quiete pubblica, per non parlare della pessima influenza che ha sui suoi figli minorenni. Vostra madre è nei paraggi?» chiese Reed ai ragazzi.
«È il nostro week-end con papà» disse quello più piccolo, piagnucolando.
«Okay, sistemeremo tutto in commissariato. Signore, posso portarla lì di forza davanti a tutti, oppure può seguirmi senza fare storie.»
«Farò causa a quel tuo culo di merda!»
«E sia, la porto via di forza. Voi dovete venire con noi, Scotty, Matt.» Lanciò un’occhiata al cane, seduto, in attesa. «Andiamo, Barney.»
Ora che arrivò da CiCi – aveva un invito a cena – si erano fatte le nove passate, e fremeva dalla voglia di bere qualcosa.
«Brutta giornata?» gli chiese lei.
«Alti e bassi. Penso che abbiamo toccato il fondo con una coppia di ragazzini che spaventavano a morte la gente con dei petardi, e il padre, sbronzo e rissoso, che ha coronato il tutto vomitandomi dentro l’ufficio, un po’ per la collera, un po’ per l’alcol che aveva in corpo. Non è stato piacevolissimo.»
«Ti porto una birra e poi ti faccio un piattino con un sandwich di carne al barbecue piccante, una delle mie specialità quando non sono vegetariana.»
«Ti adoro, CiCi.»
«Va’ a sederti fuori, beviti la tua birra e guarda il mare. Un po’ di respirazione ujjayi non ti farebbe male.»
La birra fu di aiuto, come pure il mare, la vista, l’odore, lo sciabordio. Forse la respirazione non gli aveva fatto male. Ma la vista di Simone che usciva fuori – ultimamente aveva i capelli ramati, ora legati con una bandana – con in mano un piatto di carne alla griglia e insalata di patate appianò tutto il resto.
Gli porse il piatto, gli tirò i capelli che sporgevano dal cappellino e si chinò per baciarlo. «Petardi e vomito, eh?»
«Esatto.» Indicò il cane che già dormiva ai suoi piedi. «La cosa ha sfinito il mio vice. Come sono andate le cose sulla terraferma?»
«Ho comprato un vestito per il matrimonio di mia sorella, pure CiCi, e ci siamo guadagnate un sacco di punti per il paradiso permettendo a Natalie e mia madre di aiutarci nella scelta. Pure le scarpe. Poi ho fatto degli schizzi per la decorazione della torta nuziale di Natalie e Harry, in realtà ne avevo fatti una serie, ma alla fine ne abbiamo scelto una.»
«Mi piacerebbe vederla. Almeno una cosa gioiosa» disse lui. «Un buon modo per compensare il vomito di un ubriaco.»
«Vado a prenderlo.»
Reed mangiava, guardava il mare e ascoltava il suo cane russare.
Simone portò il suo album, si sedette sul bracciolo della sedia. «Questo è quello perfetto secondo me.»
Reed esaminò il bozzetto di una donna, eterea come lo zucchero filato, che a lui sembrava vestita come una principessa. La sposa portava la tiara sui biondi capelli acconciati all’insù, ed era meravigliosa con la sua gonna svolazzante e il top di paillettes.
Lo sposo indossava un frac con code di un grigio scuro, una lunga cravatta color argento, perfetti per quel suo mirabile aspetto da dio dorato.
Lo sposo faceva volteggiare la sposa in una danza, con un senso di movimento reso ancora più evidente dalle onde della gonna. E si guardavano con un’espressione felice, come se avessero trovato negli occhi dell’altro la risposta a tutte le domande.
«Devi incorniciarlo per lei questo.»
«È un po’ grezzo.»
«Per niente, e scommetto che a lei farebbe davvero piacere averlo. Mettici la tua firma, la data e incornicialo.»
«Hai ragione. Ne sarà entusiasta. Chiederò a CiCi di metterci un passe-partout e una cornice. La decorazione ho intenzione di realizzarla in porcellana, e poi dipingerla.»
«A giudicare dal vestito da sposa e dal frac ho idea che sarà un matrimonio in grande stile, formale, chic.»
«Al momento siamo a duecentosettantotto invitati. Smoking per gli uomini. Questo tanto per rispondere al ‘grande e formale’. Riguardo al resto, quanto più chic possibile.»
«È così che lo vorresti tu? Quanto più chic possibile?»
«Non ho mai detto di volere un matrimonio.»
«Ci arriveremo, tra un po’. E pure ai tre ragazzini a cui non daremo mai in mano petardi e fiammiferi.»
Simone avvertì uno sfarfallio nello stomaco, senza riuscire a decidere se fosse ansia o piacere.
«Sono un sacco di progetti, comandante.»
«È solo come la vedo io. A meno che CiCi non cambi idea e mi prenda come suo schiavo del sesso. In quel caso non se ne fa più niente.»
«Chiaro.»
«Prima di tutto, devo convincerti a trasferirti da me. Ma pure per questo possiamo aspettare. Prima dobbiamo costruire uno studio per te. Ci sto lavorando.»
«Tu... cosa?»
«Non nel senso che ho i muratori in casa. L’estate è troppo impegnativa per mettersi a fare dei lavori. Ho solo chiesto una consulenza al cugino di Donna, Eli, lo conosci, è architetto. Gli ho solo chiesto di buttar giù qualche idea per lo studio.»
Bevve un po’ di birra, e rifletté su come un po’ di birra fresca e carne alla brace speziata potessero miracolosamente risollevare le sorti di una giornata difficile.
«Certo, se CiCi risponde alle mie suppliche, prendo e mi trasferisco qui e ti buttiamo fuori con un calcio nel sedere. Sarebbe imbarazzante per tutti altrimenti.»
Nel parlare Reed chiuse gli occhi. Si era un po’ rilassato, ma Cristo santo, era stanco.
Fissava l’orizzonte, quel luccichio della luna sul mare tra loro e la fine del mondo. «In questa tua fantasia, avrei qualche voce in capitolo nella progettazione del potenziale studio?»
«Certo che sì, per questo Eli ha pensato a diverse soluzioni. Potrai darci un’occhiata, metterci le mani. Hai tutto il tempo che vuoi.»
Simone pensò alla scultura nel suo studio, e al tempo che le serviva per terminarla, perfezionarla, mostrargliela. Forse avrebbe dovuto mostrargliela subito, così com’era. Visto il modo in cui lui si era aperto riguardo i suoi sogni per il loro futuro.
«Io penso che dovremmo...»
Simone si interruppe quando squillò il cellulare di Reed, scostandosi in modo che lui potesse prenderlo.
Sul display lesse ‘Jacoby’.
Quello che avrebbe potuto essere, pensò lasciandolo a parlare di omicidi, doveva aspettare.
La Hobart mise a segno il suo colpo e lo fece con grande rapidità, in un elegante sobborgo alla periferia di Columbus. La vittima, un popolare conduttore televisivo locale, era stato avvertito dall’fbi e aveva preso la cosa molto sul serio.
Non aveva mai dimenticato quella notte al centro commerciale DownEast. Aveva ventotto anni all’epoca e lavorava per l’emittente televisiva Portland tv, ma fino ad allora si era occupato di fuffa e aspirava a farsi strada con notizie più serie. Era andato a comprare una video camera quando era iniziato l’inferno.
Si era messo al riparo e aveva registrato parte del massacro, con la voce tremolante, sforzandosi di descrivere ciò che vedeva, sentiva, provava.
La McMullen si era giocata il suo colpo di fortuna in una certa maniera, mentre Jacob Lansin si era comportato in tutt’altro modo. Aveva consegnato tutto il suo girato alla polizia con mani ancora tremanti, ma, uscendo dal centro commerciale, aveva trovato appostata lì fuori la troupe della sua emittente e gli aveva fornito un resoconto degli eventi vissuti in prima persona, in tempo reale.
Aveva fatto carriera, e appena gli si era presentata l’occasione aveva preso il posto del conduttore locale di Columbus. Aveva sposato una donna di Columbus, figlia di un ricco uomo d’affari.
Aveva ottenuto successo e ricchezza.
La fortuna di Patricia arrivò quando una donna al volante, nel messaggiare con un’amica per avvisarla che avrebbe fatto tardi all’appuntamento per pranzo, andò a sbattere contro la bmw cabrio di Lansin.
Il presentatore riportò una spalla slogata, una caviglia rotta e un colpo di frusta.
Comunque grato per come era andata, Lansin si prese un po’ di tempo per rimettersi e si organizzò per fare fisioterapia a casa.
Patricia ci mise solo due giorni per scoprire che la fisioterapista aveva una coda di capelli castani che rimbalzava mentre camminava, prediligeva t-shirt e jeans, e portava con sé un lettino per massaggi quando arrivava da lui tutti i giorni alle due del pomeriggio.
Patricia affittò una macchina della stessa marca e colore di quella della terapista e con una parrucca marrone, una t-shirt semplice semplice e dei jeans, arrivò in anticipo di dieci minuti. Inclinò il lettino che teneva tra le braccia in modo da coprirle il viso.
Lansin, con la caviglia ingessata, fascia e collare, controllò dal monitor di sorveglianza, disinserì l’allarme e aprì il portone.
«Ehi, Roni, sei in anticipo.»
«Puntualissima» gli rispose Patricia, e gli sparò al petto, aggiungendo altri due colpi alla nuca dopo che lui crollò a terra.
Spinse in casa il lettino, gli tagliò via un ciuffetto di capelli, richiuse la porta e si affrettò a tornare in macchina. Tutto fatto in meno di un minuto. Visto che aveva in mente di lasciare la macchina in aeroporto, non si curò del fatto che qualcuno potesse averla vista andare via.
Dopo aver mollato l’auto, prese un taxi per tornare indietro a Columbus e comprò un suv di lusso di seconda mano in contanti.
Era arrivato il momento di una vacanza su un’isoletta, si disse Patricia, facendo una breve sosta, giusto il tempo di spedire a Reed quella che nelle sue intenzioni sarebbe stata l’ultima cartolina.
Durante la settimana del quattro luglio, l’isola fu invasa dai turisti. Hotel, B&B e case vacanza lavoravano a pieno regime, e le piccole spiaggette divennero un mare di ombrelloni, teli e sdraio.
Nel parchetto lungo High Street c’era allestito un palco con musiche patriottiche e i bambini, e non di rado qualche adulto, si mettevano in fila per farsi dipingere il viso, o comprare granite e frittelle.
Per combattere il caldo, e di caldo ce n’era tanto, la gente faceva su e giù in acqua, nuotava, faceva il morto a galla. Le imbarcazioni entravano e uscivano dal porticciolo, con vele bianche o a motore.
L’aria sapeva di crema solare, patatine fritte in olio di arachidi, zucchero ed estate.
Reed lavorava su turni da dodici ore e si rese conto che se non ci fosse stato quel piccolo inconveniente della serial killer, si sarebbe goduto ogni singolo momento del suo lavoro.
In inverno, l’isola acquistava la tranquilla, serena bellezza di una palla di vetro con la neve dentro. In primavera sbocciava e si risvegliava. Ma in estate, era tutta un’esplosione di rumori e colori e folla di gente e musica dissonante.
Una specie di giornata di carnevale, pensò.
E con l’estate, c’erano due corse di traghetto, uno che faceva scendere macchine e pedoni sul molo dell’isola, mentre l’altro caricava quelli in partenza, riportandoli indietro al mondo reale.
Il quattro, come aveva fatto tutti i giorni in cui aveva potuto, rimase a controllare il molo dei traghetti, osservando attentamente le macchine, i furgoni, i camper e la gente che scendeva.
Accanto a lui, Simone passava al vaglio i visi, come faceva Reed.
«Pensi che arriverà oggi, vero?»
«Penso che oggi è il giorno di maggior afflusso di gente, ed è una buona occasione per intrufolarsi. Quelli della compagnia traghetti su tutti e due i moli, di arrivo e partenza, hanno degli addetti con il compito di cercare una donna che viaggia sola. E qui io ho due agenti.» Sollevò il mento a indicare la pattuglia. «Ne hanno avvistate alcune da giugno in qua, e hanno fatto controlli su tutte. Al porto turistico stanno facendo lo stesso con le imbarcazioni private e le barche a noleggio.»
«Però c’è un sacco di gente.»
«Esatto. D’altro canto, lei è abbastanza sveglia da saperlo che noi controlliamo e lo facciamo con ancora più attenzione nei week-end festivi e il quattro. Al posto suo, aspetterei.»
«Come te che stai aspettando la sua prossima cartolina.»
«Il quattro luglio non consegnano la posta.» Osservò l’ultimo passeggero, un minivan pieno di bambini, che scendeva la rampa. «Io e Barney dobbiamo tornare al lavoro.»
«Potresti delegare me.»
«Non posso permettermi una come te.» Le diede un bacio. «Mi sentirei più sereno a sapere che te ne stai alla larga dalla folla oggi. Hai sempre detto che tu e CiCi di solito evitate queste situazioni; guardatevi i fuochi dal patio stasera. Voglio dire, fate come avete sempre fatto.»
«Mi sentirei meglio se anche tu fossi con noi.»
Lui si sfiorò la scritta comandante sul cappellino.
«Con la parata, il parco, tutte le attività in spiaggia, la follia generale in paese, potrebbe essere ovunque Reed. Potrebbe, Dio mio, tenerti nel mirino da una finestra dell’Hotel Belvedere.»
«Non mi ucciderebbe mai così. Non è così che vuole farlo. Lei ce l’ha personalmente con me. Lei deve guardarmi in faccia, ha bisogno di guardarmi negli occhi e che io guardi lei. E ha bisogno di farla franca. Fidati.»
«Ci credo.» Si aggrappò alle mani di lui. «Ti aspetto.»
«Da CiCi. Resta lì stasera. Io vi raggiungo dopo i fuochi. Lei non è ancora arrivata. Forse CiCi mi ha attaccato un po’ dei suoi poteri da sensitiva, ma lei non è ancora qui.»
Quella convinzione non gli impedì di controllare in mezzo alla folla, identificare delle donne, osservare le persone che osservavano lui. Dopo la lunga giornata Reed rimase insieme ai volontari dei vigili del fuoco e guardò il cielo riempirsi di colori e risuonare di esplosioni simili a spari di pistola.
Non ancora, pensò mentre la gente applaudiva. Ma presto.