19
I due restarono avvinghiati, sudati e senza fiato mentre il vento gelido trasformava la pioggia in ghiaccio e quella grandine sbatteva sui vetri provocando un rumore simile allo sfrigolio dell’olio bollente. Fosse stato per lui, sarebbe rimasto esattamente così, compiaciuto e soddisfatto in compagnia della donna dei suoi sogni, fino a primavera.
Seriamente compiaciuto, pensava, mentre le mani di Simone percorrevano su e giù la sua schiena. Poi le dita di lei trovarono la cicatrice del foro d’uscita sulla sua spalla.
Lui si spostò, sorreggendosi sui gomiti per guardarla. «Mai visti occhi tanto belli.»
«Sono marroni.»
«Ma come fa un’artista come te a limitarsi a dire ‘marroni’? Sono come l’occhio di tigre. Come l’ambra scura. Tutto okay prima?»
«Ma come fa un comandante di polizia come te, con tutte le prove che hai avuto, a chiedere ‘tutto okay’?»
«Volevo fare il modesto. Devi proprio restare con me. Il tempo fuori è terribile» continuò, prima ancora che lei potesse accettare o rifiutare. «Davvero terribile. Ammetto che avrei voluto che rimanessi per sempre anche se fosse stata una mite notte di giugno. A meno che non fosse arrivata CiCi, in tal caso ti avrei sbattuto fuori a calci nel sedere.»
«Stai parlando di farlo con mia nonna, mentre sono qui nuda nel tuo letto.»
«Le cose stanno così, inutile negarlo. Senti, seriamente, devi rimanere. Ho vino, pizza surgelata e altro sesso in serbo.»
Gli lanciò uno sguardo cattivo con un accenno di sorriso. «Che tipo di pizza surgelata?»
«Salsiccia e peperoni.» Girandosi, prese il bicchiere con il vino per lei. «E ho le barrette di cioccolato Dove.»
«Se hai le Dove, affare fatto.» Si mise a sedere, prese il vino. «Ma insisterò per avere ancora un po’ di sesso.»
«Prima o dopo la pizza?»
«Dopo. Mi è venuta fame. Devo mandare un messaggio a CiCi. Sapeva dove stavo andando, e si immaginerà tutto, ma fuori c’è un tempaccio e voglio farle sapere che sono al sicuro con un tetto sulla testa.»
Alzandosi, lui si avvicinò alla porta-finestra. «Proprio un tempaccio. Dille di mandarti un messaggio anche lei. Assicuriamoci che pure per lei sia tutto okay.»
«CiCi ha passato più tempeste di me e te messi insieme. E ha un gruppo elettrogeno. Motivo per cui ora sta facendo da lei il suo solito raduno per il Noreaster. Pochi amici, molto cibo e alcol. Dormono tutti lì fino a che la tempesta non si allontana. Eri invitato pure tu» gli disse. «Ma io avevo altre idee.»
Reed accese il fuoco, aggiungendo al bagliore dei lampi la luce delle fiamme. «Tu hai davvero delle ottime idee.»
«Mi fa piacere sentirtelo dire. Infatti, vuoi saperne un’altra? Ti farò una scultura. Guardiano. Protettore» rifletteva. «Non con la pistola, non mi piacciono le pistole. Pensavo una spada. Magari nell’atto di brandirla. Magari...»
Lui le lanciò un’occhiata. «Intendi... con un’armatura addosso?»
Lei rise, tirandosi su per appoggiarsi ai cuscini, mentre beveva.
«No, Reed. Indosserai solo la spada.»
«Io non credo che...»
«Sei in gran forma, hai un bel corpo. Slanciato, ma non scarno. Al party di CiCi eri a un passo dallo scarno, ma ora ti sei rimesso.»
«Sono ancora sotto di un chiletto.» E per quanto non fosse mai stato un tipo pudico, si ritrovò a cercare dove potesse aver frullato i boxer. «Non riesco a recuperare il mio peso.»
«Hai un bell’aspetto. Io conosco l’anatomia maschile, il corpo maschile. Tu sei in forma e forte, oltre al fatto di essere slanciato.» Lei si alzò in piedi ora, si avvicinò a lui, con le dita trovò la cicatrice che aveva sulla spalla, sul fianco. «E queste.»
«Non verranno riprodotte nell’opera.»
«Come no? Sono parte di te, parte del protettore. Tu sei stato ferito, ma continui a impugnare la spada. Lodevole.»
«È solo il mio lavoro.»
«Sei tu. Il ragazzo che si è fermato ad afferrare un bambino terrorizzato nel mezzo di un incubo, che lo ha protetto. Ammiro questa cosa. Può darsi che mi sarei comunque ritrovata nel tuo letto, anche senza avere chissà che ammirazione. Del resto, è stato un lungo digiuno pure per me. Ma non sarei rimasta.» Si alzò sulla punta dei piedi, sfiorò le labbra di Reed con le sue. «Ho bisogno di scolpire il tuo corpo. Ora posso andare a memoria, ma preferisco farti degli schizzi.»
«Tu stai cercando di convincermi promettendomi in cambio del sesso.»
«Oh.» Con un sorriso lento, molto lento, gli passò la mano sul petto, sul ventre. «Tutto vero.»
«Dovrò costringerti a dimostrarlo.»
Iniziò ad avvicinarla a sé, voleva far razzia di quel sorriso.
E il suo telefono squillò.
«Cazzo. Cazzo, cazzo. Merda! Scusami.» Si accucciò a cercare i jeans, il telefono era nella tasca. «Quartermaine. Okay, più lentamente. Dove? Va bene, sto arrivando. Rimanga calmo.
«Devo andare» disse a Simone infilandosi i jeans. «Sono di guardia io stanotte.»
«Di che si tratta?»
«Un incidente con una macchina, un albero caduto, panico generale.»
«Potrei venire con te.»
«Non se ne parla.» Si infilò la camicia. «Tu resta qui. Butta la pizza in forno. Mangia. Ti mando un messaggio.» Prese la pistola dal cassetto e se la riagganciò alla cintura.
«Ti serve un impermeabile.»
«Ho qualcosa per la pioggia di sotto.» Si sedette ad allacciare gli stivali. «La torcia è nel cassetto là in fondo, e le candele e una lanterna sono giù, nel caso dovesse andar via la luce.»
«Stai attento, comandante. È davvero brutto là fuori.»
«Se solo avessi la mia spada.» Si alzò, la tirò a sé, la baciò. «Pizza e gelato sono nel freezer. Faccio prima che posso.»
Ecco, pensò lei mentre si ritrovava nella stanza vuota, ecco che succede ad andare a letto con un poliziotto.
Non aveva esitato un attimo, non aveva fatto un fiato. Si era messo i vestiti e si era buttato nella tempesta.
Simone aprì il suo armadio e rimase sorpresa nel vedere che usava un quarto, a dir tanto, dello spazio disponibile. Guardò in bagno. A quanto pareva lo slanciato poliziotto sfregiato non aveva un accappatoio. Tornò al suo armadio, prese in prestito una delle camicie.
Scrisse un messaggio a CiCi, digitando solo che avrebbe passato la tempesta da Reed.
Due minuti dopo, CiCi replicò con un: ‘Evvai!’
Prese in considerazione la pizza, ma poi decise di aspettare un po’. Magari lui avrebbe fatto presto. Pensò alla tv, ma poi bocciò l’idea. Libri. Ce n’erano un po’ impilati in camera da letto, e ne aveva visto qualcuno al piano di sotto.
Comma 22, qualche thriller. Il popolo dell’autunno di Bradbury.
Le era piaciuto quel libro, ma si disse che forse poteva non essere la scelta migliore in una notte buia e tempestosa da sola in una casa che ancora non le era familiare.
Se solo avesse avuto con sé il suo album per gli schizzi...
Sperando di trovare un bloc-notes o un taccuino, aprì i cassetti dei comodini. La torcia, come le aveva detto, e un iPad che scoprì poteva accenderla tv, impianto audio e camino.
Evidentemente al comandante piaceva la tecnologia. Altra informazione da aggiungere al faldone ‘Prendere confidenza con Reed’.
Poi si ricordò della stanza a uso ufficio. Per forza dovevano esserci un blocchetto e una matita in un ufficio. Si avventurò fuori dalla camera, si fermò con un sorriso di fronte al bagno rétro. Magari gliela avrebbe disegnata lei una sirena sexy. Non era certo CiCi Lennon con pennello e colori, ma una spassosa sirena sexy la sapeva fare.
Per ingannare il tempo fino al ritorno di lui avrebbe fatto schizzi di sirene e qualche schizzo del Protettore.
Uno studio del profilo, il profilo destro perché voleva quelle cicatrici, soprattutto la schiena e il sedere, la testa rivolta verso destra, la spada sollevata con entrambe le mani, catturata nella fase discendente.
Gli doveva chiedere di non tagliarsi i capelli per qualche tempo. Li voleva un po’ lunghetti, arruffati.
Ancora un bagliore di lampi mentre apriva la porta dell’ufficio, e il suo pensiero andò a lui che era dovuto uscire lì fuori perché qualcuno aveva bisogno di aiuto. Era andata da lui per il sesso, doveva ammetterlo, principalmente per farci sesso. Ma poi era rimasta, aveva aspettato, e il motivo era che stava imparando a conoscere chi fosse davvero.
Accese la luce, e si disse che in effetti non le aveva mentito riguardo al disordine. Pile di faldoni ammassati sopra una vecchia scrivania squadrata, assieme a un orsacchiotto con pistola e distintivo. Sedie pieghevoli addossate da una parte, un bidone della spazzatura senza coperchio stracolmo di bottiglie e lattine. C’erano delle mappe attaccate alle pareti non ancora tinteggiate.
Ma, voilà, ecco dentro all’armadio privo di ante un mucchio di blocchetti notes che avrebbero fatto proprio al caso suo.
Si avvicinò, ne prese uno, e si diresse verso la scrivania per cercare delle matite.
E vide le lavagne, vide quello che riempiva le due grandi lavagne.
«Dio. Oh, mio Dio.» Dovette aggrapparsi allo schienale della sedia della scrivania, inspirare, espirare.
Conosceva quei volti, così tanti. Ne aveva ricreati alcuni con le sue mani.
Eccolo, il ragazzo che aveva creduto di amare. Là, la sua migliore amica. Lì, la Angie di Reed.
C’erano delle foto, e non erano solo visi, ma cadaveri, sangue, vetri in frantumi, pistole. Una di quelle pistole, si rese conto, aveva ucciso Tish, ferito Mi.
Guardò le facce degli assassini... dei ragazzini, proprio ragazzini. Hobart, Whitehall, Paulson.
E sulla seconda lavagna, Patricia Hobart, la sua foto e un identikit. Sembrava diversa nell’identikit, ma Simone l’aveva riconosciuta.
E quello, se ne rese conto, era stato il viso che Reed aveva visto quando lei aveva provato a ucciderlo.
Altri visi, altri nomi, altri corpi. Orari e date, città grandi e piccole.
Lui aveva davanti agli occhi quelle lavagne tutti i giorni, realizzò lei. Le guardava, le esaminava e cercava di trovare le risposte.
«Sono io» mormorò, toccando le foto della ragazza che era stata, della donna che sarebbe diventata. «Il mio viso è su questa lavagna. Il suo viso e il mio. Lui non fa finta di niente. Non ha mai messo la testa sotto la sabbia.»
Così si sedette alla sua scrivania, senza più distogliere lo sguardo.
Quando Reed tornò a casa, bagnato fradicio, poco prima delle due di mattina, trovò Simone con indosso una delle sue camicie, seduta accanto al fuoco, con una Coca e il libro di Bradbury.
«Ehi. Non dovevi aspettarmi alzata.»
«Non riuscivo a dormire.» Si alzò in piedi. «Sei tutto bagnato.»
«Già. Mi pare che si stia calmando un po’, ma probabile che vada avanti ancora per un paio d’ore.» Si tolse l’impermeabile nero con la scritta polizia retroriflettente davanti e dietro. «Lavanderia» disse lui con un gesto, sparendo lì dentro.
Quando sbucò fuori, a piedi nudi, stava davanti al frigo, tirando fuori un cartone di uova.
«Troppo tardi per la pizza.»
«Non è mai troppo tardi per la pizza» le rispose, per niente d’accordo. «Hai mangiato tu?»
«Non ancora. Le so fare pure io le uova strapazzate. Che è successo? Qualcosa di grave?»
«Conosci i Wagman?»
«Priscilla – si fa chiamare Prissy – e Rick. Abitano vicino alla scuola.»
«Hanno litigato. A quanto pare hanno problemi coniugali.»
«Lui ha avuto, e probabilmente ha ancora, una relazione con una donna che ha lavorato l’estate scorsa da Benson, quello delle aragoste. Una di Westbrook. Divorziata due volte.»
«Ecco, allora conosci l’antefatto. Ti va un caffellatte?»
«È troppo tardi per il caffellatte.»
«Ma se stai bevendo la Coca.»
«In effetti... Okay, vada per il caffellatte. Voglio solo dirti un attimo una cosa che non c’entra niente» disse Simone mentre metteva un panetto di burro a sciogliere in una padella, iniziando a rompere le uova in una ciotola. «Dovresti usare erbe aromatiche e spezie che non siano solo sale, pepe e peperoncino.»
«Fammi un appunto e le compro.»
«Che è successo a Prissy e Rick?»
«Una grossa litigata, pare che il motivo sia che, be’, lui si vede ancora con la tipa di Westbrook. Prissy ha scelto stanotte, durante la tempesta, per dire a Rick, un Rick bello sbronzo, che si era presa un avvocato e voleva chiedere il divorzio.»
«Non puoi biasimarla.»
«No, vero» ne convenne lui. «Gli ha trovato in tasca lo scontrino di un negozio di lingerie di Westbrook, cosa che dimostra che lui non solo è bugiardo, ma pure cretino. Il tutto mentre stanno passando guai con i soldi e lui aveva spergiurato di aver chiuso con la destinataria della lingerie sexy. Prissy ha cominciato a tirargli fuori tutti i vestiti dall’armadio, minacciando di farci un bel falò, gli ha spaccato il trofeo di miglior giocatore di softball del liceo. Lui dichiara che glielo ha tirato addosso. Lei dice di averlo tirato contro il muro. E io le credo, perché non penso che l’avrebbe mancato, e lui era troppo ubriaco per farcela ad abbassarsi.»
«A ogni modo.» Le appoggiò il caffellatte sul bancone della colazione, mentre Simone continuava a sbattere le uova. «Infuriato è uscito fuori nella tempesta, ubriaco e incazzato. Ha perso il controllo ed è andato a finire contro un albero. L’albero è caduto quasi completamente addosso al furgone di Curt Seabold. Seabold è corso fuori, un po’ brillo pure lui, e lui e Wagman hanno cominciato a dirsene, e a darsene, per bene; Seabold aveva il vantaggio di essere sbronzo solo a metà e non era già tutto insanguinato per essere andato a finire contro un albero. La moglie di Seabold, Alice, si è precipitata fuori, ha visto Wagman a terra e suo marito che barcollava lì intorno con il sangue che gli usciva dal naso, e ha chiamato il 911.»
«Almeno qualcuno con un po’ di sale in zucca.»
«Già, in effetti. Io ho dovuto arrestarli tutti e due e far portare i loro stupidi culi al pronto soccorso. Seabold è già a casa, intanto agli arresti domiciliari finché non si viene a capo di tutta la situazione. Wagman è ancora in ospedale con una costola rotta, e so bene che non è una passeggiata, lieve trauma cranico, un labbro spaccato, qualche guaio al ginocchio, e via dicendo. Prissy, che non prova alcuna compassione, mi ha suggerito di chiamare la sua puttanella, cosa che mi sono rifiutato di fare.»
«Che uomo assennato che sei.» Tostò un po’ di pane che lui aveva preso al negozio e mise a tavola prima il piatto per lui, poi il suo. «Questa cosa intratterrà l’isola per settimane. Spero che lei non se lo riprenda.»
«Sembra bella stufa.»
«Se lo è ripreso almeno una volta per quello che ne so io, era un’altra lavoratrice stagionale. Sono sposati solo da tre o quattro anni. Non sarà mai uno fedele alla moglie, e nemmeno alla puttanella. Ci ha provato con me giusto la settimana scorsa.»
«Sul serio?»
«In un modo cretino.» Assaggiò il caffellatte. «Buono.»
«Ho fatto allenamento. Le uova sono favolose.»
«Sarebbero venute meglio con un po’ di timo.»
«Aggiungi il timo alla lista.» Si picchiettava con le dita la tempia. «Allora, come hai passato la serata?»
Lei appoggiò la tazza e lo guardò negli occhi. «Ho una confessione da farti.»
«Almeno potevi farti interrogare prima. Vedo già che hai rubato una delle mie camicie. Ci saranno delle conseguenze per questo.»
Allungò una mano sopra quella di lui. «Prima mi voglio scusare. Sono stata maleducata e invadente.»
«Hai trovato il mio nascondiglio di riviste porno?»
«Hai un nascondiglio di riviste porno?»
Lui la guardò a sua volta, la faccia volutamente innocente. «Di cosa?»
Lei si lasciò sfuggire una mezza risata. «Cavoli, è che tu sei davvero così tanto attraente. Ero inquieta dopo che sei andato via. Ti sto per dire un’altra cosa perché mi ha fatto riflettere. Con chiunque altro, io sarei tornata a casa. Avrei detto a me stessa: ‘Bene, è stato divertente’, ti avrei lasciato un messaggino tutto frizzante e sarei tornata a casa. Al party di CiCi. Ma non l’ho fatto, e devo sul serio meditare su questa cosa. Non ho mai preso in considerazione l’idea di andarmene.»
«Ti avevo chiesto di non farlo.»
«Non avrebbe fatto nessuna differenza» insistette lei. «Con chiunque altro non avrebbe fatto nessuna differenza. Al college avevo una specializzazione, ‘Avventure da una notte’.»
«Era tanto tempo fa, Simone.»
«Sì, ma io devo chiedermi perché, inquieta e sola in una casa che non era la mia, non ho nemmeno preso in considerazione l’idea di andarmene. Ma proprio perché ero un po’ inquieta, ho pensato che avrei potuto ammazzare il tempo facendo degli schizzi. Schizzi di te, o magari una sirena per la parete del tuo bagno. Solo che non avevo un blocco da disegno con me. E allora sono entrata nel tuo ufficio per cercare un blocchetto.»
«Ah.» Un velo cadde sopra quegli interessanti occhi verdi. «Okay.»
«Tu avevi chiuso la porta.»
«Non l’avevo chiusa a chiave» sottolineò lui. «Non ti avevo detto: ‘Non entrare lì dentro, se ci tieni alla pelle.’»
«Dio. Sei così equilibrato, con i piedi per terra.» un po’ scossa, si passò le mani tra i capelli. «Ho visto i blocchetti nell’armadio, non ci sono ante lì.»
«Stavo sempre ad aprire e chiudere. Che senso aveva tenerle?»
«Poi ho visto il tuo lavoro. Quelle grandi lavagne scorrevoli. Mi sono resa conto che alcune cose attaccate sono ufficiali. Tipo, le foto della scena del crimine e i rapporti.»
«Già. Ma visto che tu non sei tra i sospettati, possiamo far finta di niente. Però mi dispiace che tu abbia visto alcune di quelle cose.»
«È quello che vedi tu. Morte e distruzione, i cadaveri, gli assassini. Tu li guardi dritto in faccia, perché qualcuno deve pur farlo. Non è questo guardare le cose per come sono? E non dire che fa parte del tuo lavoro, Reed.» Lei gli strinse la mano. «Non lo dire.»
«È parte del lavoro, il lavoro che ho scelto di fare. È parte della mia vita. È una specie di missione, sembrerà stupido.»
«Niente affatto.»
«Non mi fermerò finché non l’avrò presa. Se i federali mi batteranno sul tempo, va bene. Il caso sarebbe comunque risolto. Ma quando?» Lui si allungò, le scostò i capelli dal viso. «Smonto le lavagne. Archivio tutto nei faldoni.»
«Davvero?»
Si appoggiò allo schienale con il caffè. «Quello che è successo quella sera è parte di noi, e lo sarà sempre. Ma non ci definisce e non deve farlo, me e te, o chi diventeremo io e te insieme. Noi abbiamo bisogno di, per quanto sia un’espressione inflazionata, voltare pagina. E di un po’ di giustizia, cazzo.»
«Sì.» Sospirò. «Noi, nessuno di noi, ha mai avuto né l’una né l’altra cosa.»
«Mi sforzerò di ottenere entrambe le cose. Poi penserò a Patricia Hobart seduta in una cella per il resto dei suoi giorni, e mi farà un gran bene. Più che bene.»
«Tu sei fatto così. Questo vale per te. I buoni inseguono i cattivi.»
«È come dovrebbe essere. E allora tu, Simone? Non stai forse creando un memoriale? Stai lavorando per arrivare a toccare il cuore e l’anima, onorando le persone morte e confortando quelle che sono rimaste. Anche questo è un lavoro, ma non è solo un lavoro. È la tua missione.»
«Ci sono arrivata piuttosto tardi.»
«E allora?»
«Tu sei incredibilmente buono con me» affermò lei. «E la cosa mi spaventa a morte.»
«Sarò ancora più buono con te, perciò o ti abitui a questa cosa o vivrai sempre in preda allo spavento.» Reed prese i piatti e li portò al lavello.
«Mi parlerai del tuo lavoro? Tipo, del perché sei convinto che Patricia Hobart cercherà di uccidere uno dei sopravvissuti che si è trasferito al sud. I due della Florida sono in cima alla tua lista.»
«È una mia idea, e fondamentalmente si tratta di intuito. Il fatto è che sono sopravvissute centinaia di persone. Ne ha un sacco tra cui poter scegliere. Io ti parlerò di questo, e tu mi parlerai del tuo lavoro. Ma non stanotte.»
«L’hai sentita CiCi?»
«Sì. Mi ha risposto ‘Evvai.’»
«Probabilmente adesso non passerà mai più una notte d’amore e passione con me.» Si voltò. «Immagino che dovrò accontentarmi di te.»
Lei inclinò la testa. «C’è un meraviglioso violoncellista italiano di nome Dante con il quale ho passato tante notti dolci e appassionanti. E potrei passarne altre ancora. Ma, visto che non sto a Firenze, immagino che dovrò accontentarmi di te.»
«Questa è un’ottima risposta per le rime. Ti avevo promesso altro sesso.»
«L’hai promesso.»
«Sono un uomo di parola.»
Le porse la mano. Lei la strinse.
Reed era riuscito a farsi un paio di ore di sonno prima di una luminosa alba di burrasca. Disse a Simone di dormire ancora un altro po’ e restare pure quanto voleva, poi uscì con un caffè che avrebbe bevuto strada facendo e le ali ai piedi per la fantastica notte di sesso.
Si incamminò. Aveva deciso di andare a piedi, nonostante i tratti ghiacciati e le chiazze di fango, perché voleva valutare i danni provocati dalla tempesta. Vide frasche abbattute a non finire, grossi rami perfino, ma niente di simile alla fatalità dell’albero di Curt.
Bisognava far pulire, decise. Avrebbe dovuto acquistare una motosega, stando attento a non ammazzare sé stesso e il prossimo. Il mare, sebbene di un azzurro acceso, era agitatissimo, con grossi cavalloni bianchi.
Scorse una squadra di tre persone intenta a esaminare i danni di alcune case vacanza, e si fermò per controllare.
Qualche tegola spazzata via qua e là, tantissimi residui lasciati dalla tempesta e, come aveva detto bene uno di quei tre tizi, un bel cazzo di casino di fango, visto che aveva ripreso a piovere sopra al ghiaccio.
Trovò una bici a pezzi lungo la strada, ma niente sangue e segni del passeggero. La tirò su per portarla con sé. Una bandiera appartenuta a qualcuno, rosa con un cavallo bianco alato, giaceva a brandelli in una pozzanghera, fradicia. Si disse che quella stava bene lì dove stava.
Alcuni, che si stavano già dando da fare a pulire i loro vialetti, si fermarono per chiamarlo, volevano chiedergli come se la fosse cavata alle prese con il suo primo Noreaster isolano.
Non raccontò loro di averlo passato perlopiù a letto con una donna bellissima.
Ma lo pensò.
Quando entrò dentro al Sunrise per farsi riempire di nuovo la tazza di caffè e sentire che si diceva, lasciò fuori quella bici scassata.
Rami, piccoli e grandi, un molo crollato, qualche allagamento di poco conto. Ma, su tutti, l’argomento del giorno era l’incidente Wagman-Seabold. Per quanto messo all’angolo perché spifferasse ulteriori dettagli, Reed si rifiutò.
Non stava bene mettersi a fare pettegolezzi al bar.
Portò la bici alla stazione di polizia, trovò Donna e Leon che già stavano spettegolando per conto loro.
«Dove ha trovato la bici del giovane Quentin Hobbs?» chiese Donna.
«A circa un chilometro dal paese. Come fa a sapere che è di Quentin Hobbs?»
«Gli occhi per vedere ce li ho. E sua madre, svampita come una ballerina di cancan ubriaca, ha appena chiamato dicendo che qualcuno aveva rubato la bici del figlio durante la tempesta.»
«Una ballerina di cancan ubriaca?»
«Ne ha mai vista una?»
«Né ubriaca, né sobria.»
«Mi creda sulla parola. E io le ho risposto: ‘Ma sei sicura che il tuo ragazzo abbia riposto la bici nel capanno, con la catena?’, cosa che non ha fatto, perché ha preso da sua madre e comunque non lo fa mai. Quella bici se l’è portata via il vento, ecco quello che è successo.»
«La penso pure io come Donna» disse Leon. «Nessuno avrebbe rubato la bici del ragazzino. E nessuno si sarebbe infilato in una tempesta per rubarla, questo è poco ma sicuro.»
«È da buttare adesso. Può dirle che l’abbiamo recuperata.»
«Probabilmente vorrà che prendiamo le impronte digitali e apriamo un’indagine.»
«Rimarrà delusa. Leon, ti sarei grato se facessi un salto alla clinica dove Rick Wagman è ammanettato al letto, vedi di controllare come sta. Se l’hanno dimesso, puoi portarlo via, è in arresto. Gli sono già stati imputati i capi d’accusa e letti i suoi diritti.»
«Ne ho sentito parlare. Ha preso a schiaffi Prissy?»
«No, altrimenti gli avrei rifilato anche questo capo d’accusa. Già gli abbiamo addebitato guida in stato di ebbrezza, guida pericolosa, aggressione – ai danni di Curt Seabold – distruzione di proprietà privata, e resistenza, perché ha cercato di prendersela pure con me mentre ero lì.»
«L’ha colpita?» disse Donna, stringendo gli occhi.
«Poca roba. Era ubriaco, con un trauma cranico, e stupido. Ho contestato a Curt il reato di aggressione perché i due hanno cercato di ammazzarsi di botte uno con l’altro. Lo lascio stare a casa, non vedo motivo per rinchiuderlo.»
Accigliato, Leon si strofinò il mento. «Mi sembra che Curt si stesse difendendo.»
«È stato lui a sferrare il primo colpo, Leon, e l’ha ammesso lui stesso. Si era fatto un paio di bicchieri, però non stava guidando e quel furgone non lo guiderà mai più, da come sta combinato. Presumo che finiremo per far cadere le imputazioni a suo carico, ma per ora devono restare in piedi. Come la prenderebbe Curt, se chiedessi a Cecil di andare da lui con una motosega e aiutarlo a fare a pezzi l’albero caduto sopra al furgone?»
«Penso che gli farebbe piacere.»
«E allora faremo così. Nick e Matty sono di turno dopo, ma li chiamo se ce n’è bisogno. Voglio Wagman in una cella appena lo dimettono, Leon. Ho compilato il verbale la notte scorsa. Può prendersi un avvocato, provare a chiedere di uscire su cauzione, ma resta in cella o ammanettato a un letto in clinica. Finché sarò io il capo della polizia su quest’isola, è fuori discussione che qualcuno possa pensare di mettersi al volante ubriaco e farla franca.»
«Sissignore, comandante.»
«Sembra piuttosto pimpante per uno che ha avuto a che fare con degli ubriachi quasi tutta la notte.»
Reed sorrise a Donna. «Dice? Deve essere il mio carattere solare. Vado nel mio ufficio. Mi mandi Cecil quando arriva. E, se non è qui in dieci minuti, Donna, lo chiami e gli dica di spicciarsi.»
Entrò dentro l’ufficio, si sedette, avviò il computer. Poi contattò il procuratore che per competenza si occupava dell’isola.