Martedì, turno di
mattina
Un respiro
Capitolo 57
Syd Fraser si asciugò il sudore dalla fronte e si appoggiò alla pala. «Sa, quando ho proposto di fare i profanatori di tombe, non intendevo letteralmente».
«Allora non avresti dovuto dirlo». Logan infilò nel terreno la punta della pala e la sollevò. Le radici dell’erba si strapparono crepitando, levando nell’aria l’odore ricco del terriccio al di sotto.
«Era più un’espressione di supporto morale».
«Mi sentirei più supportato moralmente se potessi scavare un po’ di più, grazie».
Il sole dell’alba marezzava i giardini posteriori di Fairholme Place, asciugando la pioggia del giorno prima.
«A tutte le unità, non dobbiamo più cercare Ronnie Bronowski. È stato trovato sano e salvo con il padre».
Syd tirò su un’altra badilata di terriccio. «Sarebbe più semplice, se non dovessimo sempre essere vestiti di nero».
Avevano iniziato a scavare gli angoli del rettangolo di erba lussureggiante sul retro del giardino di Klingon.
«Ti avevo detto che se volevi potevi metterti una tuta della Scientifica. Quelle sono bianche».
«Sì, e sono delle saune portatili. No, grazie».
Un altro mucchio di terriccio si unì al resto. «Oh, quanto ti lamenti». Almeno stavano facendo qualcosa, adesso.
«Pattuglia Sette, potete parlare?».
Logan sollevò l’ultimo pezzo di terriccio erboso dal rettangolo. Premette il pulsante. «Dimmi, Calamity».
«Io e Deano siamo stati a Portsoy. I furti con scasso sembrano essere stati effettuati tutti da una sola persona. E ci sono anche delle impronte digitali».
«Bene. Mandatele al laboratorio e vedete se riuscite a sentire chi sta controllando Mark Brussels e William Gilcomston. Sono stati condannati entrambi per reati sessuali».
«Vuole sapere qualcosa in particolare?»
«Tutto il possibile».
«Sì, sergente».
Syd tirò su una badilata di suolo scuro e grasso. «Lo sa, vero, che potrebbe essere una totale perdita di tempo?»
«Non cominciare. È stato già abbastanza difficile convincere l’ispettore a darci questa possibilità».
Scava. Scava. Scava.
«Guardi il lato positivo, sergente. Al peggio, la madre di Klingon avrà il terreno pronto per piantarci le patate».
Lavorarono in silenzio per un po’, a parte qualche sospiro, sibilo e grugnito di fatica.
Erano scesi di quasi trenta centimetri, ormai.
Syd entrò nella fossa. «Se è davvero un cadavere, chi pensa che possa essere?»
«Non saprei. Toby Neish, magari? È scomparso cinque mesi fa».
Scava. Scava. Scava.
«Come va la testa di Ciuffo?»
«Vuota come ieri. Ho ricevuto due lamentele dall’ospedale perché ha detto alle infermiere che poteva mostrare loro il suo “manganello estensibile”». Un’altra badilata di terriccio sul mucchio.
Nel terreno cominciavano a comparire schegge di pietrisco. Come se qualcuno ci avesse versato un sacco di ghiaia.
Scava. Scava. Scava.
«Ci saremmo dovuti portare qualche lattina di Coca Cola… Sto morendo di sete».
Scava. Scava. Thunk.
Syd sollevò un sopracciglio. «Ehi, ehi. Pare che abbiamo trovato qualcosa». Conficcò di nuovo la pala nel terreno. Thunk. Poi la spostò leggermente. Thunk. Sorrise, raggiante. «Glielo dicevo io: sono i cani migliori di tutto il paese».
Grattarono via il terriccio. Era una cassa di legno, non proprio grande quanto una bara. Ma in fondo non aveva molta importanza, se non si doveva pensare alla dignità e alla comodità di un caro estinto, giusto?
«Che ne pensa, sergente? La apriamo e rischiamo di contaminare tutto, o la lasciamo lì e chiamiamo i rinforzi?»
«Non ha l’odore di un cadavere».
«Ma potrebbe comunque esserlo, se è abbastanza vecchio. Si sarebbe decomposto del tutto».
«E allora come avrebbe fatto Lusso ad annusarlo?». Logan batté la pala sul coperchio un paio di volte. «Apriamola». Uscì dalla fossa e cercò qualcosa dalla sacca nel portabagagli della Macchina Grande. Infine ne trasse un piede di porco. «Questo andrà bene».
Infilò la parte ricurva della sbarra di metallo nel legno, dove il coperchio si congiungeva al resto della cassa. Vi appoggiò tutto il peso. Niente. Okay, doveva provare a smuoverlo un po’. E poi di nuovo, altra pressione…
Prima un piccolo schiocco, poi si sentì uno schianto e infine il coperchio si aprì in un angolo. Non li raggiunse un improvviso tanfo di carne in decomposizione. E non ci volle molto perché il piede di porco facesse il suo lavoro lungo il bordo, sollevando i chiodi che tenevano chiusa la cassa.
«Bene, vediamo cosa abbiamo scoperto».
Tirarono via il coperchio, appoggiandolo contro la recinzione. Syd sporse le labbra, risucchiando un respiro tra i denti. Poi fischiò.
Logan annuì. «A quanto pare, Lusso non è il miglior cane per la ricerca di cadaveri del mondo». Ma comunque era fantastico se si trattava di trovare armi da fuoco ed esplosivi. La cassa conteneva una dozzina di fucili da caccia, quattro fucili a canne mozze, scatole di munizioni e tre pistole semiautomatiche. «Pensi che volessero cominciare una guerra?».
«Sì, be’…». L’ispettore Porter piegò la testa di lato, scostandosi i capelli dagli occhi nel gesto, e mostrando le borse che li gonfiavano. Una mano era risalita a grattarsi un neo sulla guancia. «Forse, a ripensarci con il senno di poi, siamo stati un po’ frettolosi nel dichiarare che quella non era più la scena di un crimine».
Logan inarcò un sopracciglio. «Ma non mi dica».
Si appoggiò alla carta da parati macchiata della cucina di Klingon, osservando le figure anonime in tuta bianca che catalogavano il contenuto della cassa di armi. «Da quel che mi sembra di capire, avrebbero voluto dare vita a un cartello della droga simile a quelli sudamericani qui a Banff. Avrebbero portato la roba via mare e avrebbero sparato a chiunque si mettesse contro di loro. Testimoni, spacciatori rivali e poliziotti».
«Che coppia di idioti».
«Già». L’ispettore Porter staccò lo sguardo dalla finestra della cucina e occhieggiò in direzione di Logan. «L’ispettore capo McInnes la ringrazia per l’aiuto».
«Sì, ne sono certo».
Lei arrossì fino alla punta delle orecchie. «Non esageri, sergente. Sto ancora cercando di dissuaderlo dal crearle problemi di carriera. Quella storia di Sammy Wilson è stata…». La donna prese un respiro profondo. «Ma che diavolo le era passato per la mente?»
«Gliel’ho già detto, in tutta sincerità: gli avevo ordinato di smetterla. Sul serio».
«Tutta questa faccenda è stata un casino, fin dal principio». La Porter sospirò. «D’accordo, da qui in avanti ci pensiamo noi».
Logan si girò e puntò verso la porta della cucina.
«E… sergente?».
Logan si fermò sulla soglia. «Sì, signora?»
«Cerchi di stare lontano da McInnes, per un po’. Tre o quattro anni potrebbero bastare».
Syd era appoggiato alla fiancata del furgone dell’Unità Cinofila, a godersi un raggio di sole dorato. Il cielo era attraversato da grandi nuvole violacee, sormontate da pennacchi di nembi grigi, ma al momento il sole splendeva sulla casa di Klingon. Syd abbassò il viso, sollevando una mano a schermarsi gli occhi dalla luce. «Tutto bene?»
«Difficile dirlo». Logan aprì lo sportello del passeggero ed entrò nel furgone, accolto da una muraglia solida di puzza di Labrador bagnato. «Torniamo alla stazione, giovanotto, e godiamoci i festeggiamenti a base di tè e biscotti. Se riesco a trovarne qualcuno ben nascosto nella dispensa, s’intende». Si allacciò la cintura e tirò fuori la ricetrasmittente. «Pattuglia Sette, potete parlare?».
La voce della Nicholson si fece sentire dal ricevitore. «Prego, sergente».
«Qui da Klingon abbiamo finito. Voi come ve la state cavando con quei nomi?».
Syd si allontanò dal marciapiede, fece una rapida inversione in tre tempi e tornò verso il centro cittadino.
«Mark Brussels. Reati sessuali in serie, ha molestato almeno ventitré bambini, maschi e femmine, nel giro di dieci anni, nessuno sopra agli otto anni. Ha passato sedici anni in diverse prigioni in tutto il paese. Continuavano a minacciarlo di morte, quindi l’hanno trasferito più volte. Qualcuno a Shotts gli ha inciso i nomi di tutte le sue vittime sulla pelle con un cucchiaio affilato. Ci sono volute tre ore, a quanto pare. Brussels è quasi morto per lo shock e l’emorragia».
«Chi lo sta controllando?»
«Resterà sul registro a vita, ma ha ottenuto punteggi molto bassi per un paio di anni, quindi hanno iniziato a controllarlo di meno».
«Non ci sono tracce di possibili reati recenti?»
«L’agente che lo segue dice che non avrebbero allentato la supervisione, se ce ne fossero state».
Giustamente. «E Gilcomston?»
«Dottor William Harris Gilcomston, radiato dall’albo dei medici. Non può stare a meno di trecento metri da una scuola. È stato otto anni nel carcere di Peterhead per aver molestato delle bambine nel suo studio medico. Praticava esami molto dettagliati e del tutto inutili. La più piccola aveva quattro anni, la più grande nove. Quest’ultima si è suicidata gettandosi dall’Union Terrace Bridge quando aveva quasi dieci anni. L’aveva molestata già per cinque anni, a quel punto».
Le case sfilavano lungo i finestrini del furgone.
Un arcobaleno si staccava dal ponte sul Deveron, superando Macduff e svanendo tra le nuvole livide.
«Pronto? Calamity, sei ancora lì?»
«Mi scusi, sergente. È solo che… queste persone, come Gilcomston e Brussels, sa…».
«Parlami dei controlli su di lui».
«Lo controllano ogni settimana. Ancora nega di aver fatto qualcosa di male, e non si prende la responsabilità delle sue azioni. È ostile con gli agenti che lo seguono e continua a ripetere di essere lui la vittima».
«Verrebbe da pensare che ormai dovrebbe conoscere le regole del gioco, no? E invece…».
«Certa gente si crede intoccabile».
E poi arrivava Charles Anderson a farli ricredere.
«Okay, grazie». Rimise al suo posto la ricetrasmittente.
Ovviamente, se fossero stati ancora i bei vecchi tempi, avrebbero potuto arrestare Gilcomston e Brussels. Sbatterli in cella e torchiarli per un po’. Scoprire chi avrebbe ceduto per primo. Ma ormai non era più legale comportarsi così. Ed era diventato dannatamente difficile far cedere qualcuno con un avvocato lì accanto che continuava a ripetere di non dire nulla.
Né avevano le prove necessarie a un arresto.
Sì, Vostro Onore, ci servirebbe un mandato. Perché? Be’, un tizio che credevamo morto mi ha detto che l’accusato aveva fatto una colletta con altri due pedofili per comprare una bambina e dividersela. Solo che quegli altri due ora sono morti. Cosa? Sta chiamando la sicurezza? Sono sospeso? Oh, santo cielo…
«…lì tutto il giorno?»
«Eh?». Logan si accigliò.
Syd lo stava guardando come se si aspettasse una risposta.
«Ehm… in che senso?»
«In che senso cosa? Siamo arrivati. Vuole scendere o no?».
Ah, giusto. «Stasera festeggeremo l’arresto della gang dei rapinatori delle casse e dell’uomo che ha sparato all’agente Nasrallah. Se vuoi venire, sei il benvenuto. Aggiungeremo la scoperta del carico di armi di Klingon e Gerbillo alla lista dei successi della Divisione b». Scese dal furgone. «L’ispettore McGregor offrirà le patatine a tutti».
«Non mancherei per niente al mondo. Be’, ora sarà meglio che torni al lavoro. Ho dei boschi da controllare, alla ricerca di un ragazzino di otto anni scomparso. Può finire solo in due modi».
Logan chiuse lo sportello e il furgone svoltò a destra, oltre il parcheggio, e di nuovo a destra, puntando verso Macduff.
Anche se minacciava pioggia, una coppia passeggiava con il cane sulla sabbia della baia, lanciando bastoncini all’animale, che abbaiava allegro. Un giovane lo superò, con la sigaretta all’angolo della bocca e le braccia piene di tatuaggi, spingendo un passeggino con un bimbetto urlante. Una giovane donna magra se ne stava appoggiata al frangiflutti, dove di solito si sistemava Helen. Solo che lei aveva i capelli neri, lunghi fino alle spalle, invece dei riccioli biondo cenere di Helen.
Probabilmente non li avrebbe rivisti mai più.
Logan tirò fuori il cellulare, con le dita a mezz’aria sopra la lista dei contatti. Poi lo rimise via ed entrò nella stazione. Non l’avrebbe chiamata lui per primo.
La stazione di polizia di Banff era tranquilla e silenziosa, per una volta. Si udiva soltanto il ronzio della fotocopiatrice.
Maggie alzò lo sguardo, colta nell’atto di infilare un altro foglio nella macchina. «Sergente McRae, ho preso quelle penne che aveva chiesto. E c’è qualcuno che la aspetta in ufficio».
Logan restò dov’era. Abbassò la voce a un sussurro. «Chi è?».
La voce rauca e graffiante dell’ispettore capo Steel riempì la stanza. «E chi diavolo pensi che possa essere? La tua dannata fata madrina venuta a esaudire tre desideri?»
«Maggie, ci serve un segnale concordato. Appendi un calzino alla finestra, se c’è qualcuno di orribile nel mio ufficio, così vedrò di stare alla larga».
«Guarda che ti ho sentito!».
«E infatti volevo che sentisse». Logan entrò nell’ufficio dei sergenti e si sfilò il giubbotto antiproiettile. «Cosa vuole?»
«Oggi pomeriggio Finnie verrà a trovarmi. A quanto pare, non sto facendo abbastanza progressi sul caso di Tarlair».
«Oh». Lui si sedette alla scrivania. Aggrottò la fronte. «Che ne dice di Mark Brussels e del dottor Gilcomston? Li ha già arrestati?».
Lei si afflosciò sulla sedia di fronte alla scrivania. «E perché, solo perché tu pensi di aver visto qualcosa in una casa che è andata in fumo? Non essere…».
«Per quello che ha detto Charles Anderson ieri notte. È tutto nel rapporto».
«Quale rapporto?»
«Quello che le ho mandato. Santo cielo, non sa neanche…».
«E da quando ti risulta che io legga i rapporti? Se vuoi farmi sapere qualcosa, vieni a dirmelo in faccia, no?».
Logan alzò lo sguardo al soffitto, per qualche istante. «Ogni stramaledetta volta…». Poi tornò a guardare la Steel. «Charles Anderson dice che Gilcomston e Brussels facevano parte di un gruppo di pedofili che ha comprato la bambina. E poi l’hanno uccisa».
«Tutto qui? È tutto quello che hai? Le convinzioni di un morto?»
«Sempre meglio di quello che ha in mano lei». Seguì con un dito un graffio sul pianale della scrivania, grattando l’impiallacciatura fino al compensato al di sotto. «Dovremmo controllarli di nuovo. Loro, Liam Barden e Neil Wood».
La Steel si coprì il viso con le mani. «Neil Wood è il mio incubo peggiore. Secondo soltanto a te».
«E allora diamo un’occhiata più approfondita, coraggio. Parliamo con amici e vicini. Almeno, sembrerà che stia facendo qualcosa, quando Finnie arriverà».
Logan spense il motore e scese dalla macchina su Firth Place. Aveva smesso di piovere, e l’asfalto era umido e scintillante. Piccole pozzanghere si estendevano vicino al rigagnolo. Sopra di loro, il cielo era grigio come un sudario.
La Steel sbatté lo sportello della macchina. «Secondo me è comunque una perdita di tempo».
Logan premette il pulsante della chiusura centralizzata e attraversò la strada per raggiungere la casa di Mark Brussels. Si attaccò al campanello. «Sempre meglio che starsene seduti a non fare nulla».
La casa di Brussels era avvolta nel silenzio. Le tende erano chiuse. Logan riprovò a suonare, aspettando.
«Te l’avevo detto. Non è neanche in casa».
«Deve proprio lamentarsi di tutto?». Logan bussò tre volte, sempre più forte.
Nessuna risposta.
Sollevò il battente della buca delle lettere. «mr brussels? c’è nessuno?»
«Non vedo cosa vorresti ottenere a giocare al postino con Mark Brussels. Senza un mandato, poi».
«Vuole che torniamo alla stazione e ci giriamo i pollici fino all’arrivo di Finnie, oppure vuole fare qualcosa in merito?». Ancora un tentativo: «mr brussels?». Logan si raddrizzò. «Proviamo a vedere sul retro».
Superarono un cancello sul lato della casa, e percorsero il vialetto del giardino sul retro: un rettangolo di erba alta circondato da cardi e cespugli di ribes. Una malandata porta di legno era socchiusa di qualche centimetro, rivelando una stanzetta vuota.
«Mr Brussels?». Logan si infilò un paio di guanti di nitrile azzurro e spinse la porta, aprendola del tutto. «È lì?».
L’odore di candeggina e detersivi si sparse nel giardino. Una pozza d’acqua si allargava sul linoleum raggiungendo la porta sul retro. «Mr Brussels? È la polizia».
«Oh, piantala di esitare. Non abbiamo tutto il giorno». La Steel lo superò, entrando nella stanza e poi nella cucina poco oltre. «Forza! Esci fuori! Esci fuori, ovunque tu sia!».
Lui la seguì in una cucina dall’aspetto antiquato, con i pensili dipinti e i fornelli elettrici.
«Il gioco è finito, tana libera tutti».
Logan uscì sul corridoio. L’odore di candeggina era più forte, lì, e una parte di moquette alla base delle scale era di un colore diverso, rispetto al resto: pallido e ingiallito.
Lui aprì la porta del soggiorno.
Era identico a come l’avevano lasciato la settimana prima. L’orologio sulla cappa, il televisore acceso con il volume a zero. Il piccolo terrier sdraiato sul cuscino a scacchi in un angolo. L’unica differenza era che questa volta non russava e non scalciava nel sonno, ma giaceva perfettamente immobile. Nessun rumore. Non sembrava respirare.
La Steel entrò nella stanza, con le mani in tasca. «Be’, sembra che Marky non sia in casa».
«Il cane è morto».
«No…». La Steel fece una smorfia dispiaciuta. «Povera bestiola. Passa tutta la sua esistenza con Brussels, senza avere la minima idea di che razza di pervertito sia il suo padrone. E poi muore. Che vita di merda, eh?». Tirò su con il naso. «Forse è uscito per comprare una piccola bara al cane?»
«Sì, forse». O forse Charles Anderson gli aveva fatto visita, coprendo le sue tracce con la candeggina, subito dopo. «Può darmi un minuto? Vorrei chiamare Ciuffo. Assicurarmi che stia bene, dopo il colpo in testa di ieri».
«Prego, esci pure». La Steel si sedette sulla poltrona di Brussels, davanti alla tv, e raccolse il telecomando. Poi premette i pulsanti finché una donna in bikini non comparve sullo schermo, pronta a colpire la pallina con la sua mazza da golf.
Logan uscì nel giardino sul retro. Tirò fuori il cellulare e recuperò le ultime chiamate. Il numero che stava cercando era proprio lì: una chiamata in arrivo, alle undici e trentacinque della notte precedente. Premette il pulsante di chiamata e lasciò che squillasse.
Si guardò alle spalle per controllare che la Steel non lo stesse guardando dalla finestra della cucina.
Avanti, avanti…
«Pronto?»
«Dove sei?». Logan tenne la voce bassa.
«Chi è?»
«Abbiamo parlato ieri notte, ricordi? Tu eri su una barca e io sul muro del porto, a farmi inzuppare dalle onde».
«Se stai cercando di rintracciare la chiamata, sei…».
«Non lo sto facendo».
«Non appena attaccherò, distruggerò la sim di questo cellulare».
«Sto cercando Mark Brussels».
«Ah… non può rispondere, in questo momento. Vuoi lasciargli un messaggio?».
Logan si allontanò dalla casa, attraversando il giardino. «Qualunque cosa tu stia facendo, smettila. Okay? Fermati. Basta».
«È quello che ho detto io a lui. E vuoi sapere cosa mi ha detto lui?».
Silenzio.
«Cosa?»
«Mi ha raccontato del Mercato del Bestiame. Mi ha detto di essersi recato in un fienile, nel bel mezzo della notte, e di aver preso una bambina in vendita. Mi ha detto tante cose interessanti che a voi non avrebbe mai detto».
Logan ricontrollò la finestra della cucina. Niente Steel. «E allora dimmele tu. Dimmi dove si trova questo posto, chi lo gestisce, e io farò in modo che spariscano per tanto, tantissimo tempo».
L’uomo rise. «Pensi davvero che potrei fidarmi di te?»
«Certo che dovresti, maledizione!».
Silenzio.
Un’auto passò sulla strada, fuori dal giardino.
Una pioggerellina sottile prese ad accarezzare il viso di Logan con le sue dita umide.
«Pronto?»
«Non so dove si trova. Si spostano di continuo. Occupano i fienili in giro per le campagne. A volte sono fienili di gente come loro, altre volte li affittano anonimamente. Se sei del giro, ti mandano un messaggio per sapere dove andare e quando. Si paga solo in contanti».
«E quando ci sarà la prossima vendita?»
«Brussels non lo sa, ma probabilmente passeranno almeno un paio di mesi. E non sa neanche chi è che la gestisce. Cambia ogni volta».
Be’, questo non era di grande aiuto.
Logan iniziò a passeggiare avanti e indietro lungo la recinzione. «Chi l’ha uccisa?».
Niente.
«Avanti, Charles, uno di loro deve pur saperlo».
Un sospiro si udì dall’altra parte della linea. «Ognuno di loro punta il dito contro gli altri. Be’, finché hanno ancora dita da puntare, se non altro. Ma non importa. Sono tutti colpevoli. E tutti devono essere puniti».
Logan si fermò. Fissò l’erba umida ai suoi piedi. «Non deve andare per forza così, Charles».
«Invece sì». La linea si zittì. Charles Anderson aveva attaccato.
Logan si appoggiò alla porta. «È pronta?»
«Un momento, Britney sta tentando di andare in buca». La Steel si piegò in avanti sulla poltrona, con i gomiti sulle ginocchia e le dita intrecciate insieme. «Avanti, Britney, controlla il green per zia Roberta… Oh, sì…».
Lui si guardò le unghie. «Se fosse per lei, lascerebbe uscire i pedofili di prigione? O li rinchiuderebbe per sempre?»
«Se fosse per me? Oh, li castrerei, quei bastardi. E gli farei indossare il pisello tagliato intorno al collo in una bella provetta, così tutti saprebbero quello che hanno fatto. Fammi conoscere un agente di polizia che la pensa diversamente e ti dimostrerò che non ha figli o sta cercando di ottenere una promozione». La Steel si strinse nelle spalle. «O magari è un coglione. O forse tutte e tre le cose insieme».
«È ora di andare». Logan prese il telecomando e spense la tv. «Andiamo a vedere se il dottor Gilcomston è in casa».
La Steel accennò al cuscino a scacchi. «E che ne facciamo del migliore amico dell’uomo?».
Un moscone si posò sul piccolo corpo bianco e marrone.
«Non andrà da nessuna parte».
Dopotutto, era difficile che Mark Brussels potesse tornare a casa molto presto. Probabilmente non sarebbe tornato mai più.
Capitolo 58
«Be’, questo sì che è divertente». La Steel spostò indietro il sedile del passeggero e piazzò i piedi sul cruscotto. «Dovremmo farlo più spesso».
Dall’altro lato della strada, la grande casa di granito di Gilcomston si intravedeva dietro il sipario parziale di alberi e cespugli.
«Non doveva venire per forza».
La voce della Steel si alzò di un’ottava. «Ooh, guardatemi tutti, mi chiamo Logan, credo proprio che dovremmo starcene seduti fuori della casa del Pedo-iatra per mezz’ora come due idioti».
«Quella dovrebbe essere una mia imitazione? E comunque siamo qui soltanto da dieci minuti».
Lei gli rivolse una pernacchia. «Mi sto annoiando».
«Davvero? Perché non si direbbe affatto».
Il vento scosse gli alberi di sicomoro, spedendo una cascata di gocce giù dalle loro foglie. Sopra di loro, il cielo sembrava sempre più scuro e minaccioso.
«Pattuglia Sette, potete parlare».
«Dimmi, Maggie».
«Hanno avvistato di nuovo Catherine e David Bisset: al Waverley Centre. La polizia di Edimburgo sta investigando in merito».
Probabilmente era l’ennesima perdita di tempo, ma valeva la pena fare un tentativo. «C’è altro?»
«Sì. L’agente Quirrel si è presentato al lavoro. Lo devo far entrare o lo rimando a casa?»
«Ti sembra che stia bene?».
Lei abbassò la voce. «Indossa un distintivo con la scritta “genio”, sopra, solo che è scritto “gienio”».
«Se l’ispettore McGregor non ha obiezioni, lascialo entrare. Ma assicurati che resti incollato a Deano per tutto il giorno. Non voglio che se ne vada in giro da solo».
«D’accordo».
Logan rimise a posto la ricetrasmittente.
La Steel lo stava fissando. Poi strinse gli occhi.
«Che c’è?»
«Pensavo che prima gli avessi telefonato, quando eravamo a casa di Mark Brussels».
«Mi fido più di Maggie che di lui. Se lei dice che sta bene, vuol dire che sta bene».
La Steel incrociò le braccia sul petto e rovesciò indietro la testa. «Non potrei essere più annoiata neanche se ci provassi».
«Guardi che lo stiamo facendo per lei! È il suo caso, ricorda?»
«E allora buttiamo giù la porta e saccheggiamo quella casa!».
Una taccola attraversò il vialetto saltellando.
«Non abbiamo un mandato».
«E allora non ha alcun senso starcene qui ad aspettare. Difficilmente uscirà e ci inviterà a pranzo e a guardare la sua collezione di foto porno di bambini, ti pare?». La Steel tolse i piedi dal cruscotto. «Sai cosa? Basta così. Torniamo all’ovile».
Logan aprì lo sportello e uscì in strada.
«Ehi! Ho appena detto che torniamo all’ovile».
Lui richiuse lo sportello e attraversò la strada. Si fermò all’imbocco del vialetto di Gilcomston. Avanzò di qualche passo, osservando la casa. Nessun segno di vita. Provò dall’altra parte del vialetto.
Si fermò sul bordo del marciapiede.
Da lì, appena fuori dall’angolo a sinistra della proprietà, poteva vedere chiaramente, attraverso le foglie di un cespuglio di rododendri, un garage distaccato dalla casa, con una doppia porta nera. Era difficile dirlo con certezza, senza la fotografia di riferimento, ma sembrava il punto da cui Charles Anderson aveva scattato la foto della bambina uccisa, prima che ricomparisse a faccia in giù nella piscina di Tarlair.
Logan sganciò la ricetrasmittente dal giubbotto antiproiettile.
La Steel aveva ragione, serviva un mandato.
Ovviamente, Charles Anderson non ne aveva bisogno. Non doveva seguire le procedure indiziarie, lui. Non aveva a che fare con viscidi avvocati pronti a mandare a monte interi processi sulla base di un cavillo. Lui non avrebbe permesso a gente come Graham Stirling di tornare a piede libero. Non doveva preoccuparsi di…
Un potente breeeeeeeeeeeeep risuonò dalla Macchina Grande.
Santo cielo, era come fare il babysitter a una bambina ubriaca.
Logan fece per tornare indietro, poi si fermò. Fissò la strada.
Una vecchia Jaguar verde stava risalendo la collina verso di lui, con il dottor Gilcomston al volante. La macchina non rallentò, svoltando sul vialetto, e fece scricchiolare la ghiaia sotto le ruote.
Logan la seguì a passo di marcia.
Lo sportello del guidatore si aprì con un cigolio, e Gilcomston ne uscì. Spalle dritte, mento alto, con un’espressione sussiegosa sul volto. «Queste sono molestie. Ho già sporto denuncia contro di lei e quella donna. E adesso se ne vada dalla mia proprietà. Non ho nient’altro da dirle». Il cardigan di quel giorno era viola. L’uomo aggirò la Jaguar e ne aprì il portabagagli. Recuperò delle buste di plastica del supermercato e lo richiuse.
«Lo sappiamo».
Gilcomston raccolse le buste e si avviò verso la porta, facendo scricchiolare la ghiaia del vialetto sotto le scarpe. Un soffio di vento gli arruffò i capelli grigi. «Sappiamo di lei, e di Mark Brussels, e di Neil Wood, e di Liam Barden. Sappiamo della bambina che avevate comprato».
Gilcomston si fermò, con un piede sul primo gradino della soglia. «Non so di cosa stia parlando».
«Aveva sei anni. Lei la chiamava “Cherry”. L’ha scelta lei, o l’avete messa ai voti?»
«Chiunque le abbia detto una cosa del genere sta mentendo. Non ho niente a che fare con questa storia».
«E non siamo gli unici a saperlo. C’è una persona che prende di mira la gente come lei. E ormai lei è l’ultimo rimasto del gruppo».
Lo sguardo dell’uomo scattò verso il garage e le porte nere. «La prego di andarsene subito dalla mia proprietà».
«Neil Wood è morto. Liam Barden è morto. Mark Brussels è scomparso, e probabilmente farà presto la loro stessa fine. È rimasto solo lei».
Gilcomston posò le buste sulla soglia e prese le chiavi.
«Quanto tempo pensa che passerà, prima che arrivi anche a lei?».
L’uomo aprì la porta. «Sono forse agli arresti?»
«Potrebbe scegliere di venire con noi e confessare tutto. E noi potremmo garantirle protezione».
«Se non sono in arresto, se ne può andare».
Entrò in casa e chiuse la porta con un tonfo.
Certa gente si crede intoccabile.
Certa gente aveva bisogno di una lezione, a volte.
Logan premette il pulsante sulla ricetrasmittente. «Pattuglia Sette a Bravo India, può parlare?».
La voce dell’ispettore McGregor si fece sentire dall’altoparlante. «Che succede?»
«Ci serve un’operazione di sorveglianza: dottor William Harris Gilcomston, vive al numero diciotto di Firth Place, a Macduff. Mi serve una pattuglia che lo controlli ventiquattro ore su ventiquattro per una settimana. Una settimana e mezzo. A partire da ora».
«Stai scherzando, vero? Mi stai parlando di qualcosa come un minimo di duecentocinquanta ore-uomo. Hai idea di quanto costerebbe?»
«Potrebbe essere la nostra unica possibilità di arrestare Charles Anderson».
Un sospiro. «Se fosse per me ti direi di farlo, ma non ho personale a sufficienza, Logan. Posso provare a parlarne al comandante d’area, ma ci vorrà un po’ di tempo per far approvare un’operazione di questa portata. Due o tre giorni, come minimo».
E a quel punto, con tutta probabilità Gilcomston sarebbe già morto.
Forse era meglio così. Charles Anderson sarebbe arrivato e si sarebbe portato via Gilcomston per fare due dolorose chiacchiere con lui. E poi avrebbe gettato in mare quello che rimaneva di quel viscido, malvagio individuo. Non sarebbe stata una grande perdita per l’umanità…
Eppure…
Logan gonfiò le guance e si lasciò sfuggire un lento sospiro.
Esisteva un modo per salvare la vita a quel bastardo arrogante. Non era molto etico, forse, ma comunque poteva funzionare. «Okay, grazie, capo. Mi faccia sapere come va a finire». Riagganciò la ricetrasmittente alla spalla.
«Hai finito di perdere tempo?».
Logan si girò e vide la Steel, con la solita sigaretta elettronica in bocca.
Lui accennò alla casa. «Ispettore capo, è stata la mia immaginazione, o è parso anche a lei che il dottor Gilcomston fosse un po’ incerto sulle gambe, quando è uscito dalla macchina?»
«Cosa?». Lei rialzò la testa. «Perché parli così? Sembra quasi che ti sia ingoiato il taccuino».
«Temo che possa aver guidato sotto l’influenza di alcol o droghe». Logan premette il campanello. Poi bussò tre volte, da bravo agente di polizia. Si fece indietro e attivò la telecamera che indossava.
«Sei impazzito, Laz?».
La porta si aprì di scatto, e Gilcomston si fermò sulla soglia, fulminandoli con lo sguardo. «Credevo di essere stato perfettamente chiaro, sergente. Voglio che lasci subito la mia proprietà».
Logan si avvicinò alla Jaguar, tenendo le mani infilate nelle tasche del giubbotto antiproiettile. «Questo veicolo è suo, signore?»
«Certo che sì. E bollo e assicurazione sono a posto».
«Capisco». Logan gli sorrise. «Per caso ha bevuto, signore? Perché mi sembra un po’ malfermo sulle gambe».
«Non ho bevuto. Come osa venire qui ad accusarmi?». Gilcomston avanzò sul vialetto e puntò l’indice contro Logan. «Voglio il suo distintivo! O qualunque cosa vi portiate dietro voi infimi fascisti!».
«Signore, ho motivo di sospettare che lei stesse guidando sotto l’influenza di alcol o droghe, in contravvenzione alla Sezione Due del Codice della Strada 1988. È sicuro di non aver bevuto?»
«gliel’ho appena detto!». Gilcomston avvampò in volto, serrando i pugni contro i fianchi, con le braccia che tremavano.
La Steel inarcò un sopracciglio. «Ohi, ohi, qualcuno qui non ha preso le sue pillole della felicità, ultimamente».
«Se non ha bevuto, signore, posso soltanto concludere che potrebbe aver assunto, ed essere in possesso di sostanze stupefacenti».
«Non ho alcuna intenzione di starmene qui a sentire certe sciocchezze!».
«Signore, la devo trattenere secondo la Sezione Ventitré dell’Articolo 1971 sull’abuso di droga, e procederò a perquisirla. Ha qualcosa in tasca di cui dovrei essere a conoscenza? Coltelli, aghi, lamette?»
«Lei non mi perquisirà affatto! Voglio parlare subito con un suo superiore».
La Steel gli rivolse un sogghigno. «Che sarei io. Giovane Logan, procedi pure alla perquisizione. Sperando che il signor Pedo-iatra, qui, non protesti troppo». Ammiccò. «Sono meglio di Shakespeare, quando mi ci metto. Non trovi?»
«La prego di allargare le braccia, signore». Logan si infilò un paio di guanti di nitrile azzurro.
«Mi assicurerò personalmente che voi due non lavoriate mai più. Mi avete sentito?»
«Sì, signore. E adesso, la prego di allargare le braccia».
Logan passò le mani lungo le maniche del cardigan di Gilcomston, poi lungo i pantaloni di velluto. Controllò i risvolti. Poi le tasche del cardigan. La sinistra conteneva una pipa e una confezione di tabacco. La destra una scatola di fiammiferi. «Bene, bene, bene. Potrebbe spiegarci cos’è questa, signore?». Logan sollevò una bustina di plastica con della polvere marrone all’interno. Molto simile a quella che aveva confiscato a Kirstin Rattray quando stava andando al compleanno della figlia per portarle il costume da principessa delle fate. Identica, in effetti.
«Io… io non ho mai…». Il volto di Gilcomston si oscurò di nuovo. «sei stato tu a mettermela in tasca!». E a quel punto si lanciò verso Logan, sollevando un pugno.
Logan lo afferrò per il braccio sollevato, gli bloccò il polso e lo sbatté di petto contro lo sportello della Jaguar.
«lasciami! ti ammazzo!».
«Possesso di droghe pesanti, resistenza all’arresto, minacce di morte». Logan lo ammanettò. «William Gilcomston, lei è in arresto secondo la Sezione Quattordici della Procedura Penale di Scozia, Atto 1995, perché sospetto che abbia commesso un reato punibile con l’incarcerazione…».
Il vento mandò uno spruzzo di pioggia contro la finestra dell’ufficio dei sergenti. All’esterno, Fraserburgh era assediata da un cielo pieno di nuvole nere.
Logan incastrò il telefono tra l’orecchio e la spalla e passò il pollice lungo la carta stagnola intorno ai due pezzi di KitKat. «Abbiamo fatto un primo controllo e si tratta sicuramente di eroina».
L’agente dall’altra parte della linea sospirò. «Non pensavo potesse fare uso di droghe, ma immagino ci sia una prima volta per tutto». Aveva una voce calda, morbida e gentile. Quel genere di voce che sarebbe stato bene con cioccolata calda e marshmallows.
Uno scatto, e i due pezzi di snack si separarono. «Mi stavo chiedendo: questa è forse una violazione del suo regime di controllo?»
«Non esplicitamente. Ma considerando quanto è sempre stato ostile, non è un buon segno. Ha ammesso il possesso?»
«Perché, ha mai riconosciuto qualcuna delle sue responsabilità?». Logan prese un morso di KitKat, succhiando il cioccolato dal wafer.
«Non che io sappia. Lo si potrebbe sorprendere a farti pipì in una scarpa e ti direbbe che è stato qualcun altro».
La sedia girevole dondolò a sinistra, poi a destra, poi di nuovo a sinistra. «Mi puoi fare un favore? Puoi ottenere un mandato di perquisizione per la sua casa? Se ha cominciato a fare uso di stupefacenti, magari potrebbe aver fatto anche altro».
Ci fu una pausa.
Logan masticò il resto del pezzo e passò al secondo.
«Sai forse qualcosa che io non so?»
«Be’… diciamo che potrebbe valere la pena di dare un’occhiata, prima che esca e faccia sparire qualsiasi cosa possa nascondere lì dentro».
«Vedrò cosa posso fare».
La porta si aprì e la Steel entrò nella stanza, sistemandosi la cintura. «Ti stai facendo dare un mandato?».
Lui posò una mano sporca di cioccolato sul ricevitore. «L’Unità Controllo Pregiudicati se ne sta occupando. Potremmo andare con loro, se le va».
Qualche piccola ruga comparve tra le sopracciglia della Steel. «Come mai non lo stai facendo tu?»
«È stato condannato per reati sessuali. Pensavo avesse più senso lasciare la faccenda nelle loro mani». E non era un male lasciare che ci fosse un bel po’ di distanza tra lui e quel mandato di perquisizione.
«Oh, no. Non puoi farlo. Sono io che devo decidere».
Lui tornò al telefono. «Puoi avvertire l’ispettore capo Steel quando sarete pronti a perquisire la casa? Lei lo sta tenendo d’occhio per altri motivi. Le piacerebbe partecipare».
«Certamente».
Logan rimise giù la cornetta. Accartocciò la confezione di stagnola e la lanciò nel cestino della carta straccia. «È pronta a tornare all’ovile? L’avvocato di Gilcomston non si presenterà prima delle tre».
La Steel si appoggiò al bordo della scrivania. «Non pensi che sia un po’ troppo una coincidenza? Ti sembra che sia malfermo sulle gambe, lo perquisisci e alleluia, lode al Signore, trovi una bustina di eroina».
Logan non la guardò, raccogliendo le sue cose. «A volte serve un pizzico di fortuna». Okay, non era stata una mossa molto etica. E se qualcuno lo avesse scoperto, sarebbe stato licenziato e querelato. Ma probabilmente aveva appena salvato la vita a William Gilcomston.
Lei lo stava ancora fissando.
«Che c’è?».
La Steel tirò fuori la sigaretta elettronica e la accese. Prese un tiro. «Niente».
Logan entrò nella stazione di Banff dalla porta laterale. «No. La foto è stata scattata fuori dalla casa di Gilcomston. Questo significa che la bambina era lì. Dovrebbe esserci qualche traccia. dna. Magari delle foto».
La Steel lo seguì nella mensa. «Sarà difficile accusarlo dell’omicidio. Anche se troviamo qualcosa nella casa, di sicuro incolperà qualcuno degli altri».
Logan prese un paio di tazze dalla credenza. «Possiamo sempre accusarlo di aver abusato di lei. Magari potremmo ottenere un concorso in omicidio».
«Be’, non ci servirebbe a molto, non trovi? Io voglio inchiodare qualcuno per l’omicidio di quella bambina, non limitarmi a un’accusa di pedofilia».
«Non posso tirare fuori un testimone dal cappello, mi spiace». Logan prese le bustine del tè.
«E invece ci riesci con una bustina di eroina? No, perché…».
Il cellulare di Logan squillò, dalla tasca. Ci era mancato un pelo. «McRae».
Sentì qualcosa come una canzone in sottofondo, poi una voce: «Logan? Sono Helen. Helen Edwards…».
«Un secondo». Posò la mano sul ricevitore. «Devo rispondere».
La Steel incrociò le braccia. «Certo, fai pure».
«In privato».
«Non mi muovo da qui».
«D’accordo. Allora ci pensi lei al tè». Logan si girò e uscì dalla mensa. «Scusa. Avevo gente intorno».
«No, scusami tu per essere scappata via in quel modo. Non volevo andarmene senza parlarti, ma non c’era più tempo e dovevo prendere l’autobus, altrimenti avrei perso il treno. Ti ho aspettato fino all’ultimo momento utile».
«Avresti potuto chiamarmi!».
«Lo so. Ci ho provato, ma… Mi dispiace. Davvero, mi dispiace tanto».
Logan si sentì piombare sulle spalle un peso enorme, che le fece abbassare verso terra. «Sì. Dispiace anche a me».
Un gruppo di gabbiani passò stridendo sulla baia, le ali che scintillavano come diamanti quando venivano sfiorate da un raggio di sole, per poi tornare grigie subito dopo.
Lui si schiarì la gola. «Quindi… Sei andata a Gwent, in Galles».
«Mi ci è voluta tutta la notte e un’intera mattina per arrivarci. Ora sono alla stazione di polizia locale».
«Be’… assicurati che stavolta ti diano una stanza in un Bed & Breakfast. Non aspettare che un bravo poliziotto ti ospiti a casa sua».
«Logan, ti giuro che mi dispiace».
Una o due macchine passarono lungo la strada. Un uomo brutto attraversò, tenendo per mano un bambino ancora più brutto.
Quel silenzio imbarazzato si protrasse.
«Va tutto bene. Sapevamo che sarebbe successo, prima o dopo. Ma speravo che avremmo avuto un po’ più di tempo per noi, prima che accadesse».
«E non hai più posto per me in casa tua del resto, no? Ora che hai degli ospiti, non c’è bisogno che io ti stia tra i piedi».
«Tra i piedi? Helen, tu non hai mai…». Logan si accigliò. «Scusami… io avrei degli ospiti?»
«Certo che sì».
«Non stai parlando della Steel, vero? Perché se parli di lei, credimi, può baciarmi il…»
«No, parlo dei cugini di Samantha. Sono venuti ieri, mentre ti aspettavo». Helen fece un suono sibilante, come se stesse succhiando aria tra i denti. «È stato un po’ strano, e imbarazzante, a dire il vero. Hanno fatto domande su di lei, su come stava e se la casa di cura era valida, e io non riuscivo a pensare ad altro se non “Ho dormito con il suo fidanzato”».
I cugini di Samantha?
«Samantha non ha cugini. Sua madre era figlia unica e anche suo padre. Sei sicura che abbiano detto…».
«Certo che sì. Un ragazzo e una ragazza. Lui potrebbe avere… forse sui sedici anni. E lei quattordici. Sembravano entrambi molto affamati, così ho fritto dei bastoncini di pesce e ho preparato fagioli e patatine. Avrei lavato anche i piatti, ma non ho fatto in tempo e…».
«Helen, è molto importante. Sapresti descrivermeli?»
«Be’, erano molto magri. Avevano i capelli neri, con lo stesso taglio, lunghi fino alle spalle e lisci. Entrambi avevano un accento… penso di Aberdeen».
No. No. No. No.
La giovane donna che aveva visto appoggiata al frangiflutti quella notte. Magra. Con i capelli neri lunghi fino alle spalle. E Samantha non aveva cugini.
Alzò lo sguardo. La ragazza era ancora lì, appoggiata al muretto di cemento. Aveva addosso un giubbotto in denim, un paio di jeans neri, grandi scarpe da ginnastica bianche. Il viso pallido e immobile.
Catherine Bisset. La figlia di Stephen Bisset. La giovane donna che aveva aiutato il fratello a uccidere suo padre. E che probabilmente lo aveva incitato mentre lui uccideva Graham Stirling. O forse si era unita al massacro?
Logan si sentì stringere la gola in un nodo.
Era entrata in casa sua, aveva fatto domande su Samantha.
Uscì in strada.
Capitolo 59
Il sole inondava le case dall’altra parte della baia, facendole scintillare contro la collina. Poi le nuvole si chiusero, facendole piombare di nuovo nella penombra.
Logan si fermò davanti a Catherine.
«Non si avvicini oltre». Lei sollevò un cellulare. «C’è David, dall’altra parte». Aveva le guance e il naso arrossati. Era più magra dell’ultima volta in cui l’aveva vista, fuori dal tribunale, prima della chiusura del procedimento contro Graham Stirling. Prima che a tutta quella storia si aggiungessero due cadaveri.
Lui fece per prendere le manette attaccate alla cintura. «Cosa avete fatto?»
«Com’è che funziona? Ha una fidanzata in coma e un’altra in casa con lei. Non ha mai sentito parlare di fedeltà?»
«Catherine. Cosa… avete… fatto?»
«Abbiamo chiacchierato a lungo con Helen, ieri. Abbiamo scoperto parecchie cose interessanti».
«Catherine Bisset, sei in arresto secondo la Sezione Quattordici della Procedura Penale di Scozia…».
«No, non ci pensi neppure». Scosse appena il cellulare. «David, ricorda? Non vuole sapere dov’è?».
Logan si sentì riempire la bocca di sabbia. «Dov’è?»
«Ha mentito su nostro padre, vero? Ha mentito e lo ha fatto sotto giuramento».
«Io ho cercato di salvarlo. Lui…».
«ha detto a tutti che era un pervertito!». La saliva spruzzò fuori dalle labbra sottili della ragazza. Poi si riprese con un paio di profondi respiri. «David ha ragione: lei ha mentito».
I gabbiani si lasciavano trasportare dal vento sopra di loro, gridando nell’ultimo raggio di sole che ancora non era stato inghiottito dalle nuvole.
Sulla sabbia, giù nella baia, la coppia con il cane allegro si girò e tornò verso casa.
«Si trova nella casa di cura, vero?». Logan tirò fuori il cellulare e aprì la rubrica. Premette il contatto denominato “sunny glen” e aspettò che squillasse. «Questa non è una serie tv, non potete…».
«Casa di cura Sunny Glen, come posso aiutarla?».
Catherine aggrottò le sopracciglia, sporgendo il labbro inferiore come se stesse per piangere.
«Louise, sono Logan McRae. Qualcuno è venuto a trovare Samantha, oggi?».
Il labbro inferiore di Catherine prese a tremare. Bene.
«Sì, in effetti. Suo cugino David è venuto qui da Edimburgo. È riuscito a prendersi un po’ di tempo dal college per venire a trovarla».
«Ed è ancora lì?».
La mano di Catherine si sollevò a coprirle la bocca.
«Penso di sì. Ci vuoi parlare?»
«Sì, grazie. E, Louise? Per favore, portati dietro qualcuno della sicurezza».
«Ehm… okay…». Un rumore di passi e porte aperte e richiuse si udì dalla sua parte. «Ho una buona notizia, tra l’altro: è stato cancellato un intervento all’Aberdeen Royal Infirmary. Quindi Samantha potrebbe essere operata entro tre settimane. Se non ti dà fastidio che ci siano degli studenti a osservare l’intervento, ecco. Comunque sarebbe tutto a distanza, non entrerebbero neanche nella sala operatoria».
Catherine tirò su con il naso. Aveva gli occhi lucidi e le sussultavano le spalle.
Sì, piangi pure. Vedi quanto può esserti utile.
Tre colpi alla porta. «Samantha? Sono Louise». Il rumore di una porta che si apriva.
«È lì?»
«Oh… No. Un momento». Ci fu uno scatto. Poi il suono dei tasti di un telefono digitale che venivano premuti in sottofondo. La voce di Louise si udì riecheggiare dagli altoparlanti della casa di cura. «Buongiorno a tutti. Il cugino di Samantha Mackie può per cortesia rispondere al primo telefono a muro? Grazie». Poi un soffocato: «Hugh, vai a controllare in terrazza. Vedi se per caso miss Mackie è lì».
«Louise?»
«Devono essere andati a prendersi un caffè».
E Catherine Bisset non riuscì più a trattenersi. Scoppiò in una sonora risata. «Non siamo stupidi».
«Louise, dove diavolo è Samantha?»
«Non c’è motivo di preoccuparsi, sono sicura che è tutto a posto».
La risata si spezzò, e il viso di Catherine tornò serio. «Mi piaceva Helen. Ci ha raccontato di sua figlia, e di come lei pensasse che si trattava della bambina trovata morta alla piscina di Tarlair».
Lui si avvicinò di un passo. «Cosa volete?»
«Un povero corpicino immobile che galleggiava a faccia in giù nell’acqua, con la testa spaccata in quel modo. Deve essere stato orribile». Lo guardò aggrottando la fronte. «Ma per Samantha è ancora più orribile, vero? Io e David sappiamo cosa significa avere qualcuno che ami bloccato in un letto d’ospedale. Incapace di muoversi, parlare o fare altro. Con qualcuno che deve nutrirlo e pulirgli il sedere. Non sono davvero vivi, non è così?».
Logan abbassò la voce. «Catherine, ti giuro su Dio…».
«Logan? Mi dispiace, ma temo ci sia un piccolo problema. Abbiamo un po’ di difficoltà a trovare Samantha, al momento, ma probabilmente si trova in una delle stanze della tv. Ti richiamo appena possibile, okay? Non…».
Logan attaccò. Mise via il cellulare. Poi sganciò dalla cintura la bomboletta di gas lacrimogeno. «Cosa avete fatto a Samantha?»
«È stato lei a ridurre mio padre in quelle condizioni. Avrebbe potuto trovarlo in tempo, ma non l’ha fatto».
«Dove… si… trova?»
«Ha lasciato che qualcuno lo facesse a pezzi, lo torturasse e ce lo portasse via. Restituendoci soltanto un guscio vuoto fatto di pelle, ossa, sangue e vergogna».
Lui liberò la sicura dello spray.
«No. Non lo faccia. Se fa una cosa del genere…». La ragazza sollevò il telefono. «Cosa pensa che succederà a Samantha?».
I gabbiani stridettero, volando in cerchio.
Gocce di pioggia scurirono il muro di cemento.
Catherine scosse la testa. «Ci pensi. Ci pensi bene».
Lui rimise al suo posto lo spray. «Cosa vuoi?»
«Rivoglio indietro mio padre».
«Allora non avresti dovuto ucciderlo».
Lei sollevò una spalla. «Era già morto da tanto tempo. Noi l’abbiamo salvato. Abbiamo dovuto farlo noi, perché lei non ci è riuscito». Catherine indicò una piccola Nissan Micra con la vernice verde scrostata fino al metallo dal lato del passeggero. «Vuole vedere Samantha? Posso darle un passaggio».
«Hai quattordici anni. E posso guidare da solo».
Lei fece ondeggiare di nuovo il cellulare. «No, non può».
Sotto la coperta a scacchi, tutto puzzava di polvere e di cane. La lana gli faceva pizzicare le guance e rendeva la luce di fuori una penombra multicolore. Il gancio della cintura di sicurezza gli premeva contro le reni, mentre la macchina svoltava a destra. «Dove stiamo andando?».
La voce di Catherine gli arrivò soffocata dalla coperta. «Non posso dirglielo. David dice che le rovinerebbe la sorpresa».
Sdraiato su un fianco sul sedile posteriore, Logan serrò le mani a pugno. Avrebbe dovuto premere il pulsante di trasmissione prima di consegnare la ricetrasmittente. Stupido. E non avrebbe dovuto darle il cellulare. Ancora più stupido.
Ma cosa avrebbe dovuto fare? Salire sul piedistallo e dirle che potevano anche uccidere Samantha?
Resta sul sedile. Resta sotto la coperta.
Prega Dio che non abbiano una pistola.
O un coltello.
Perché si era tolto il giubbotto antiproiettile? Idiota.
Ci fu una brusca svolta a sinistra, e il gancio della cintura lo pungolò di nuovo. «David non ragiona lucidamente, adesso. È sconvolto dal dolore. Lo siete entrambi».
«Lei non l’ha visto in quel letto d’ospedale. Distrutto com’era. Abbiamo fatto la cosa giusta».
«Lo so. L’avete fatto perché vostro padre stava soffrendo. Ma è comunque sbagliato».
«Abbiamo pianto tantissimo, ma lui non ha neanche lottato e…». Catherine tirò su con il naso. Poi esalò un profondo, tremulo sospiro. «Basta parlare».
Uno scatto, e la radio prese vita. «…per il notiziario e il meteo. Torneremo alle nove e mezzo, ma prima: i Water’s Edge, con Love Fill Me Up…». Un altro insulso pezzo da boy band uscì dagli altoparlanti, denso e dolciastro come melassa.
Quattro secondi più tardi, Catherine si mise a canticchiare. «I was empty as a picture of a bucket on the wall…».
Non era ancora troppo tardi.
«Empty since she left me, I’m the loneliest of all…».
Gli sarebbe bastato scattare seduto, passarle un braccio intorno alla gola e premere forte. Il cellulare era sul sedile del passeggero, non sarebbe mai riuscita a prenderlo… avrebbe soltanto tentato di staccarsi quel braccio dal collo. Una pressione adeguata, e non sarebbe riuscita neanche a squittire.
«Hollowed out and broken, and battered, and so cold…».
E, anche se ci fosse riuscita, cosa sarebbe cambiato, a quel punto? David Bisset avrebbe avuto Samantha in ostaggio e Logan avrebbe avuto Catherine. Stallo alla messicana.
«Then in my mind, I think I find, the price for all the lies she told…».
Solo che tutti sapevano che Logan non sarebbe mai riuscito a uccidere nessuno.
E David aveva già dimostrato di esserne capace. Due volte.
«Doooo doo, dooo-deee-doo la-dooo, as something taking hold…».
L’accelerazione spinse di nuovo Logan contro il gancio della cintura. O la ragazza stava accelerando troppo, o avevano superato il confine del centro abitato.
«Love fill me up, to the top of my heart…».
Stavano risalendo un leggero pendio. Non abbastanza ripido per essere la strada per Fraserburgh. Non c’erano abbastanza curve per essere una strada diretta a sud.
«Overflow, let it go, right off the chart…».
Dovevano essere passati sul ponte che conduceva a Macduff. Era l’unica opzione rimasta.
«Cause loving you’s easy, and loving you’s smart…».
Stavano andando alla piscina all’aperto di Tarlair.
«Love fill me up to the top of my heart…».
La macchina svoltò bruscamente a destra, poi scese giù lungo un pendio ripido, mentre Catherine sembrava non ricordare le parole della canzone, tornando al doo-dee-doo di prima.
La strada tornò piatta, poi la Micra cominciò a ondeggiare e saltellare sulle buche. E si fermò.
«Ci siamo».
Catherine spense il motore, e la musica morì con lui.
«Ora può uscire da lì sotto. Nessuno può vederla».
Logan si tolse la coperta di dosso e si rimise a sedere.
Lei tentò di sorridere, ma non le riuscì un granché. «Gliel’avevo detto che non ci avremmo messo molto». Catherine uscì dalla macchina.
La pioggia picchiettava sul parabrezza con il suono di tante zampette di granchio.
Okay. Non doveva farsi prendere dal panico. Erano solo due ragazzini.
Logan smontò dall’auto. Si voltò a guardare la strada che risaliva la collina.
«C’è un grosso cartello che dice “strada chiusa”, lassù. Non verrà nessuno». Catherine raccolse la cintura con l’equipaggiamento di Logan dal sedile posteriore e se la allacciò in vita. Era troppo grande per lei, e dovette tenerla con una mano. «Ci stanno aspettando».
Il Mare del Nord si sollevava scuro e pesante contro la spiaggetta sassosa.
Lei si avviò, infilandosi nel buco tra gli scogli in fondo al parcheggio.
Erano solo due ragazzini.
Capitolo 60
Logan la seguì sulla vecchia strada asfaltata, superando le rocce e un’altra spiaggetta sassosa coperta di vecchie alghe contorte, e poi il cartello che avvertiva del fatto che la piscina di Tarlair fosse chiusa e pericolosa. Superarono il muro di cemento in rovina. E poi finirono sull’anfiteatro di cemento bagnato di pioggia che conduceva alle due piscine abbandonate.
Gli edifici squadrati e art deco della piscina si innalzavano come lapidi lungo il bordo dell’anfiteatro.
Catherine continuò ad avanzare. Giù, lungo i gradini che conducevano all’acqua.
Entrambe le piscine erano quasi piene, sia quella più vicina agli spogliatoi abbandonati che quella più vicina al mare. Probabilmente erano state riempite dalla tempesta del giorno precedente. Tre figure si trovavano sulla passerella tra le piscine. Una era in piedi, un’altra in ginocchio, e la terza su una sedia a rotelle.
Catherine si girò a guardarlo. «Le piace qui? A me piace. È tutto rotto e andato in rovina… Un posto morto, dove vengono i morti. Come tutti noi».
«Non deve andare per forza così, Catherine. Possiamo sistemare le cose».
«Davvero?». Le sue scarpe da ginnastica sguazzavano in mezzo alle grandi pozzanghere dalla superficie agitata dalla pioggia.
«Sì, se lo vuoi».
Erano quasi arrivati al passaggio di cemento che separava la piscina interna da quella esterna. L’acqua, in entrambe, era quasi nera, e rifletteva le nuvole scure e le colline circostanti.
Ci fu un boato, e uno spruzzo di schiuma salmastra si sollevò al di sopra del frangiflutti, per poi sibilare giù verso l’acqua nera.
Avevano condotto Samantha al centro del passaggio e l’avevano sistemata con il viso verso il mare. Aveva le braccia giunte contro il petto, le ginocchia piegate e strette insieme. La testa china da un lato, come se stesse cercando di mettere a fuoco qualcosa.
Accanto a lei c’era un uomo in ginocchio, con le braccia legate dietro la schiena e la federa di un cuscino sulla testa.
Catherine si passò il palmo della mano contro il giubbotto, come se stesse cercando di pulirlo da una macchia. «David dice che alla fine tutti muoiono. Solo che quelli sfortunati continuano a respirare anche dopo che sono morti». Si fermò sul bordo di una delle piscine. «Nostro padre è stato sfortunato. Guardarlo lì in quel letto, spezzato e distrutto, e morto, eppure ancora vivo…». La ragazza scosse la testa. «Non è giusto far soffrire così le persone. Se fosse stato un cane, non l’avremmo lasciato patire, l’avremmo soppresso per mettere fine alle sue sofferenze».
«Catherine!». Logan la prese per un braccio. «Pensavo che tu fossi la persona sensibile, tra voi due. Quella che avrebbe impedito a David di fare qualcosa di stupido. Non è ancora troppo tardi per rimediare».
«Non ha mai pensato la stessa cosa della sua fidanzata? Che sarebbe stato meglio mettere fine alle sue sofferenze?».
Lui la fissò. «Ti prego. Non deve per forza…».
«Non abbiamo altra scelta». La ragazza avanzò sulla passerella.
Logan salì sulla striscia di cemento. Doveva essere larga circa un metro e mezzo, ma avevano sistemato Samantha con le ruote davanti della sedia a rotelle proprio sul bordo dell’acqua.
David Bisset era in piedi dietro di lei, appoggiato allo schienale.
Catherine lo raggiunse e si fermò. «Hai visto? Te l’ho portato».
«Sei stata bravissima».
«E ho anche questa». Si slacciò la cintura dell’equipaggiamento e la tese al fratello. Poi tirò fuori un coltello da cucina da sotto il giubbotto di denim. Lo strinse nel pugno serrato. «Pensa che stiamo facendo una stupidaggine».
Logan allargò le braccia, con le mani a palmo in su. «Lo penso davvero, ma non dovete continuare per forza. Possiamo sistemare questa faccenda».
Un ispido accenno di barba adolescenziale formava delle ombre grigiastre sul mento di David. Aveva gli occhi infossati, e gli stessi zigomi spigolosi della sorella. Lo fissò per un attimo, poi si allacciò la cintura in vita. E indicò la figura inginocchiata. «Questo le sembra stupido?».
David afferrò l’estremità della federa e la strattonò via.
Graham Stirling sbatté le palpebre contro la luce. Aveva il viso coperto di lividi giallastri e violacei, una narice incrostata di sangue rappreso. Una palla di tessuto gli sporgeva dalla bocca, tenuta ferma dal bavaglio legato intorno alla testa. «Mmmnnnnngh! Mnnngghhnnnghnnnphhhh!».
«Dice di non aver mai toccato nostro padre. Dice che è stato lei a incastrarlo. È vero?»
«No. È un pervertito ed è pericoloso, e dovrebbe essere rinchiuso in carcere per il resto della vita».
«Ma invece è libero, giusto? Lo hanno lasciato andare e le hanno permesso di dire che nostro padre era un pervertito».
David tolse il bavaglio a Stirling, che sputò il fazzoletto. Ebbe un conato di vomito. Poi afflosciò le spalle.
La sua voce cigolava come un cardine poco lubrificato. «Io non ho… non ho mai toccato… vostro padre. Lo giuro… non l’ho mai toccato».
«Visto? Sta dicendo che lei è un bugiardo, sergente McRae».
«Non ho mai mentito. Ho visto quello che ha fatto: è stato lui a portarmi in quella capanna nel bosco! È stato lui. Ma deve andare in prigione. Tutto questo non ha senso».
«Io non ho… sono tutte… tutte bugie».
David portò la mano sinistra al manganello, con il pollice che giocherellava con la chiusura che lo teneva fermo nel suo fodero. Con uno schiocco, lo liberò. E poi la richiuse. E ancora pop e poi click.
«Lui… lui mi ha incastrato».
«Questo non aiuta nessuno, David». Logan si avvicinò con cautela, tenendo ancora le mani sollevate. «Sappiamo che avete ucciso vostro padre, ma l’avete fatto per risparmiargli le sofferenze. Stava male. È stato un atto d’amore. Nessuna giuria potrebbe negarlo».
Pop. Click. Pop. Click.
«Fermatevi ora, prima che sia troppo tardi».
Pop. Click. Pop. Click.
«Ti prego… non… non mi uccidere. Io non ho…».
«Dice che non è stato lui, McRae».
Pop. Click. Pop. Click.
«Sta mentendo perché ha paura. Avanti, adesso vediamo di…».
«Okay». Pop. David liberò il manganello dal fodero, con un gesto secco che lo estese all’istante. Lo sollevò sopra la testa, tendendo il braccio indietro, con i denti scoperti in una smorfia ferina.
Stirling sobbalzò, sollevando le spalle, come se questo potesse salvarlo. «Ti prego! Non sono stato io! Non sono stato io!».
Oh, Cristo, David stava per ucciderlo.
«no!». Logan scattò avanti, per poi fermarsi di colpo quando Catherine appoggiò la punta del coltello contro la testa di Samantha, dove le mancava l’osso.
La ragazza lo fissò. «Fermo».
«Ti prego, non farlo. È malato, d’accordo? Spezzato, perso. Deve essere rinchiuso a vita, ma non merita di morire».
David abbassò il manganello. «Non merita di morire? Dopo quello che ha fatto a mio padre, non merita di morire?»
«David, ti prego, so che sei arrabbiato, ma…».
«lui merita di morire!». La pelle pallida del viso del ragazzo avvampò, il bianco degli occhi ben visibile intorno alle iridi. «merita di essere fatto a pezzi! dovrei scuoiarlo vivo!».
«David, non sei tu che devi decidere chi vive o chi…».
«dovrei castrarlo! bucargli il petto! strappargli via le budella da dietro!». Le braccia e le gambe di David tremavano, mentre si colpiva ritmicamente la coscia con il manganello. I tendini del collo tesi come cordoni di metallo. I denti che scintillavano di saliva nella penombra del luogo.
Catherine tese l’altra mano e gli tirò la manica. «Va tutto bene. Fai esattamente come abbiamo fatto nelle prove».
Un paio di respiri profondi. Poi il ragazzo annuì. «Ma non posso fare queste cose, perché non sono un pervertito come lui. Quindi gli spaccherò la testa. Lui è colpevole. E se lo merita». Il manganello si sollevò di nuovo in aria.
«Fermati! Okay, hai ragione!». Logan tese di nuovo le braccia. Fissò Graham Stirling, inginocchiato con gli occhi chiusi e i denti scoperti, in attesa del colpo. In attesa di morire. Logan si schiarì la gola. «Stavo mentendo. Non ha fatto quelle cose a tuo padre. L’ho incastrato, perché non sapevo chi fosse il vero colpevole. Ora metti giù il manganello».
Nessuno si mosse.
David lo fissò. Poi abbassò il braccio. Ogni traccia di colore gli lasciò il viso, che tornò pallido come quello di un fantasma. «Avevi ragione».
Stirling alzò lo sguardo e sorrise. «Che ti avevo detto? Il sergente McRae ha mentito». Si rialzò in piedi a fatica. «Ha sempre mentito sul mio conto». Allargò le mani. Non era legato. La corda gli era stata solo avvolta intorno ai polsi. Era stata tutta una farsa. «Un bastardo schifoso bugiardo».
Logan arretrò. «Avevi orchestrato tutto?»
«Ho soltanto aiutato David e Catherine a scoprire le tue bugie, McRae. Sono venuti da me, erano furiosi e disperati, e io li ho aiutati».
«L’ho detto soltanto perché stavano per ucciderti!».
«Visto? Ve l’avevo detto. Mente e inganna, e avrebbe potuto salvare vostro padre, ma era troppo impegnato a incastrare me per preoccuparsene».
David alzò lo sguardo alle nuvole basse.
Boom – un’altra onda colpì il frangiflutti, mandando schizzi di schiuma in aria come se fossero fuochi d’artificio.
E poi giù di nuovo.
Il ragazzo guardò la sorella. «Come abbiamo provato».
Lei prese i manici della sedia a rotelle e la spinse avanti, sollevando le ruote posteriori e facendola rovesciare nella piscina, con Samantha legata sopra.
Capitolo 61
«no!».
Samantha finì nell’acqua, e il peso della sedia a rotelle la fece affondare all’istante.
Logan corse verso il bordo della piscina, e David gli si lanciò addosso, placcandolo e facendo finire entrambi sulla passerella.
Un grugnito, e il dolore si estese tra le costole di Logan, quando il manganello le colpì con violenza.
Sollevò un braccio, coprendosi la testa e scalciò, mancando il ragazzo.
Ma David non fallì. Il manganello lo colpì sul bicipite. Il braccio gli si intorpidì, dopo essere stato percorso da una cascata di schegge acuminate, dalla spalla alla punta delle dita. Si ritrovò disteso sulla schiena, con una gamba nell’acqua.
David gli salì a cavalcioni, rialzando il manganello.
Logan sollevò un ginocchio e lo ferì, ma non servì a niente.
Il manganello scese a tutta velocità, colpendolo contro una tempia e riecheggiandogli nel cranio in ondate brucianti.
Logan sollevò il pugno e colpì. Colse David sul lato del naso, rompendoglielo di netto. Uno schizzo di sangue caldo gli arrivò addosso.
«aaaaaaaaaaaagh!». David scattò indietro, con una mano sul naso rotto e gocce di un rosso scarlatto che gli filtravano tra le dita.
Logan si costrinse a sollevarsi sul braccio intorpidito e centrò con il gomito destro il volto di David, schiacciandogli le dita ossute contro denti e ossa. Poi lo afferrò per i lunghi capelli scuri e lo strattonò in avanti. Rigirandolo e mettendoci tutto il peso sopra.
La testa di David rimbalzò sul cemento con un tonfo sordo. Una, due volte e poi una terza.
Catherine urlò.
Logan spinse via il corpo esanime del ragazzo e si lanciò in acqua. Era gelida e gli fece contrarre i muscoli, svuotandogli i polmoni.
La sedia a rotelle era a una sessantina di centimetri dalla superficie dell’acqua, rovesciata sul davanti, bloccando Samantha sul fondo roccioso della piscina. Lei non si muoveva. Non stava cercando di salvarsi. Era seduta lì, a faccia avanti, legata alla sedia, immobile come un morto.
Lui avvolse le braccia intorno allo schienale della sedia e la sollevò, tirandola fuori dall’acqua.
Sam ondeggiò sulla seduta, dondolando la testa in avanti, la pelle pallida come l’avorio, le labbra grigie come il granito. L’acqua le scendeva dalla bocca aperta.
Un tuono brontolò dal cielo, riverberando lungo le colline. La pioggia cominciò a cadere più forte, increspando la superficie della piscina e rimbalzando sulla passerella di cemento.
Lui afferrò le strisce di velcro che la tenevano bloccata sulla sedia. Le sganciò e la sollevò dalla seduta, raggiungendo, un po’ nuotando e un po’ camminando sul fondo della piscina, la rampa che conduceva all’anfiteatro di cemento.
«Avanti…». La trascinò sulla passerella tenendola per il colletto, per poi inginocchiarsi accanto a lei, cercando un battito. Niente. «No, no, no, no, no».
Logan le spostò la testa di lato e la scosse, finché l’acqua non smise di scorrerle fuori dalla bocca e dal naso. Poi cominciò il massaggio cardiaco. Mille e uno. Mille e due. Mille e tre.
Delle mani gli afferrarono le spalle.
Catherine, con gli occhi sgranati e arrossati, il viso flagellato dalla pioggia e i capelli incollati al viso. «ti ammazzo!».
Mille e uno. Mille e due. Mille e tre.
Un palmo gli colpì un lato della testa.
Mille e uno. Mille e due. Mille e tre.
Unghie come chiodi gli si piantarono nel collo.
Lui scattò indietro con un gomito. La colpì sulla bocca.
La ragazza indietreggiò di colpo, gemendo e sputacchiando. Un rivolo scarlatto le macchiò le labbra e il mento, gocciolandole sul giubbotto in denim e allargandosi sul tessuto umido come papaveri in fiore. Poi una scarpa da ginnastica bianca inciampò in una buca e lei cadde all’indietro, allargando le braccia. Il tonfo sordo della sua nuca sul cemento fu come una fucilata lontana.
Logan intrecciò le dita e spinse di nuovo contro il petto di Samantha. «Avanti!».
Mille e uno. Mille e due. Mille e tre.
Tirò indietro la testa di Sam, le chiuse il naso e le insufflò aria nei polmoni. E poi ancora.
Ancora il massaggio cardiaco: mille e uno. Mille e due. Mille e tre.
Qualcosa di solido gli si schiantò contro la testa, forte abbastanza da mandarlo lungo disteso, mentre campane e sirene gli riecheggiavano nel cranio. Agh… Le nuvole sopra di lui si riempirono di punti neri e gialli, che cavalcavano l’ondata di calore pronta a spingergli gli occhi fuori dalle orbite.
Poi tutto si fece grigio, nascondendo la piscina, le colline e gli edifici. Era come essere avvolti in un sudario che soffocava il suono della pioggia e del battito cardiaco nelle orecchie.
…
Alzati.
Nient’altro che grigio.
…
Poi il mondo tornò in Technicolor.
Graham Stirling era sopra di lui, con il manganello stretto in entrambe le mani come una mazza da baseball. «Bene, bene, bene. A quanto pare siamo di nuovo io e te da soli…».
«Gnnn».
«Mi piacerebbe tanto fare con calma, ma questa storia è diventata un casino, vero?».
Il manganello colpì Logan su una coscia. Schegge di vetro e filo spinato gli si piantarono nel muscolo.
Alzati. Devi alzarti.
«Hai rovinato tutto».
Poi lo colpì sul petto. Lame e aghi contro le costole.
alzati!
«Li avevo convinti e addestrati così bene. Ma ovviamente tu non potevi…». Stirling si zittì di colpo, voltandosi a guardare verso l’entrata della piscina all’aperto.
Il ronzio nelle orecchie di Logan cambiò tono, alzandosi e abbassandosi a ritmo, in un suono regolare ed elettronico. E non era più nella sua testa.
Stirling sollevò le mani, e il manganello rotolò sul cemento mentre due autopattuglie si fermavano vicino agli edifici della piscina. «La tua parola contro la mia, di nuovo. David e Catherine hanno cercato di ucciderti. Io ho provato a fermarli, ma ero troppo debole, dopo che mi avevano aggredito».
Gli sportelli della Macchina Grande si spalancarono, e la Nicholson e la Steel uscirono di corsa sotto la pioggia, correndo verso il bordo dell’acqua. Ciuffo e Deano uscirono dall’altra macchina.
Oh, grazie a Dio.
«Nessuna giuria crederà a qualsiasi altra versione della faccenda».
Logan si girò su un fianco, si costrinse a sollevarsi in ginocchio e si trascinò verso Samantha.
Mille e uno. Mille e due. Mille e tre.
Respira…
Mille e uno. Mille e due. Mille e tre.
Respira.
«Hai mentito, riguardo a me, l’ultima volta, perché mai dovrebbero crederti, questa volta?».
Mille e uno. Mille e due. Mille e tre.
respira, dannazione!
Il petto di Samantha sussultò, e uno spruzzo d’acqua fetida le esplose fuori dalla bocca. Tossì e sputacchiò. Poi prese a respirare profondamente, con gli occhi spalancati che fissavano il cielo uggioso. Stringendosi le mani al petto.
Lui la strinse tra le braccia: era fredda e bagnata, ma cominciava a riscaldarsi.
La voce della Steel si udì attraverso l’acquazzone. «Tu? Dove diavolo pensi di andare?».
Graham Stirling finse un paio di singhiozzi. «Hanno cercato di uccidermi! Mi hanno assalito in casa mia e mi hanno picchiato! Ero così terrorizzato!».
«Porta qui le chiappe, subito!».
«Samantha». Logan le scostò i capelli dal viso, e lei sbatté le palpebre.
Aggrottò la fronte. «Lo…». Si leccò le labbra. «Logan?».
Dio santissimo.
Lui rischiò di farla cadere. Poi la strinse più forte di prima, mentre qualcosa di caldo, di rovente, gli esplodeva al centro del petto. «Ehi, tesoro».
«Dove diavolo… Perché sono tutta bagnata?». Samantha cercò di prendergli una mano, ma le sue non funzionarono, e le dita rimasero piegate e contorte. «Ma cosa…».
«Non ti muovi da quattro anni. Ma andrà tutto bene. Te lo prometto». Poi si sporse avanti e la baciò.
Capitolo 62
La mano rattrappita di Samantha gli sfiorò la guancia.
Grigio…
…
Freddo…
Logan tentò di aprire gli occhi.
Era disteso su un fianco, mentre qualcuno lo trascinava lungo la passerella di cemento per una gamba.
«Gnnnph…». La testa gli pulsava come se ci fosse dentro qualcosa di vivo che tentava di scavarsi la strada per uscire attraverso il suo cervello.
«Oh, sei sveglio?». Graham Stirling gli strattonò di nuovo la gamba. «Bene. Mi sarebbe dispiaciuto se ti fossi perso il gran finale. Un uomo non dovrebbe mai arrivare tardi al suo funerale».
Ma… Dove diavolo erano le autopattuglie? E la Steel, e Deano, la Nicholson e Ciuffo?
Samantha. Dove diavolo era Samantha?
Muoviti. Alzati.
Ma le gambe e le braccia di Logan sembravano fatte di gomma. «Nnngh…».
«Mi sa che ti ho colpito un po’ troppo forte, lì».
Avevano raggiunto il centro della passerella tra le due piscine, dove David Bisset era disteso immobile, come morto. La pioggia gli rimbalzava sul corpo, sfumando il rosso del sangue che gli colava dal naso e dalla bocca in un rosa delicato.
Stirling lasciò andare la gamba di Logan, che piombò contro la passerella.
«Devo ammetterlo, mi sarei aspettato qualcosa di più da loro. Ma sono solo dei ragazzini, cosa ci vuoi fare?». Si inginocchiò e frugò nella cintura dell’equipaggiamento ancora allacciata alla vita di David. «Vediamo, corde e manette. Si impara parecchio su questo genere di aggeggi, quando si finisce sotto processo».
Svolse entrambe le corde di un giallo fluorescente. Poi strinse insieme le ginocchia di Logan e le legò strette. Fece lo stesso con le sue caviglie.
«Quattro mesi in una cella puzzolente con un tossico. Pensi che sia stato divertente?». Stirling sganciò le manette dalla cintura. «Se ne andava a dormire, la notte, parlando di tutte le cose che mi avrebbe fatto se non gli avessi trovato dei soldi, o le sigarette, o le droghe che voleva».
muoviti.
Logan si costrinse a girarsi su un fianco.
Samantha era distesa sul cemento dell’anfiteatro, braccia e gambe distese e larghe. Catherine non era molto lontana da lei, stesa sulla schiena con le braccia spalancate. Che fine avevano fatto la Nicholson e la Steel? Dov’era la cavalleria? «Nnnng…».
«Dove credi di andare?»
«Ti… ammazzo». Ogni parola faceva male, riecheggiandogli nella testa dolente.
«No, no. Direzione sbagliata». Stirling gli piantò un piede contro la spalla e lo spinse di nuovo sulla schiena. «Quei due sono entrati in casa mia nel cuore della notte. Quei due ragazzini, David e Catherine Bisset, tutti arrabbiati e furiosi e pronti alla vendetta».
La pioggia gli colpì il viso.
Un respiro profondo. E muoviti.
Stirling afferrò il polso sinistro di Logan e gli chiuse intorno una manetta, stringendola fino a fargli male.
avanti, dannazione, muoviti!
La mano destra di Logan si mise a tremare. La sollevò dal cemento e cercò di arrivare al viso di Stirling. Con tutta l’intenzione di cavargli gli occhi da quel maledetto volto pieno di lividi.
Ma Stirling tirò indietro la testa e cercò di afferrargli la mano. La mancò. Cercò di afferrarla. «È ora… che tu… sparisca».
Non permetterglielo. Non farlo.
Click, la manetta gli si chiuse sull’altro polso.
Stirling si accigliò. «Mi aspettavano in cucina. Mi hanno assalito in casa mia, riesci a crederci? Pensavo che David mi avrebbe ammazzato». Un brivido. «Ma mi sono attenuto alla mia parte: ho detto loro esattamente quello che volevano sentirsi dire. Ed erano tutte menzogne, ovviamente. Che tu mi avevi incastrato. Che il loro padre non era un pervertito. E alla fine, hanno smesso di prendermi a calci e colpirmi e picchiarmi e si sono raggomitolati contro il frigorifero e hanno iniziato a piangere».
Stirling si scostò di un passo. Afferrò la corda che bloccava le caviglie di Logan e lo trascinò verso la fine della passerella.
«È stata davvero una scena deliziosa. Sono così suggestionabili, a quell’età, vero? Non ci è voluto molto per convincerli a scatenare tutta la loro rabbia contro te e la ragazza in coma». Stirling si pulì le mani sul davanti della maglia. «Non avevo mai lavorato in squadra, prima d’ora. Devo assolutamente riprovarci».
Logan fece uno sforzo sovrumano per tirare fuori le parole. Ognuna sembrava una boccata di sassi. «Ti… troveranno… ti… fermeranno».
«Non dire sciocchezze». Si accosciò, battendo un buffetto sulla guancia di Logan. «Ora tu finirai nell’acqua e affonderai, e poi morirai. E tutti crederanno che la colpa sia di David e Catherine. Un’altra tragedia di vendetta, nel nord-est della Scozia». L’uomo sogghignò. «Dovresti vedere il tuo…».
Logan scattò con entrambi i polsi in avanti, sbattendo il centro delle manette contro il volto di Stirling.
L’uomo cadde all’indietro nell’acqua.
muoviti!
Si girò di nuovo su un fianco e si raggomitolò in posizione fetale, cercando con le dita la chiusura di velcro in fondo alla corda che gli bloccava le caviglie. Ne afferrò l’estremità e tirò forte. La fascia di velcro si aprì, liberandolo. Poi le ginocchia. Doveva raggiungere l’orlo e…
Graham Stirling uscì dall’acqua, con una grossa ferita sul labbro superiore che gli riversava fiotti di sangue sul volto. «aaaagh!». Afferrò Logan e lo trascinò all’indietro dentro la piscina.
L’acqua gelida lo avvolse nelle sue braccia di ghiaccio. Gli piantò artigli di brina nella nuca, mentre Stirling gli saliva addosso, tenendolo sotto.
Logan aprì la bocca. L’acqua salata gli bruciò nel naso. Un ultimo strattone e la corda intorno alle ginocchia venne via. Lui scalciò, spinse, e finalmente sollevò la testa sopra la superficie dell’acqua. Prese un respiro profondo.
Sirene. Vere, questa volta, e sempre più vicine.
Graham Stirling si tirò indietro. «È la tua parola contro la mia. Quei due mi hanno rapito e tu hai cercato di uccid… Ulk…».
Logan afferrò Stirling per il colletto e lo sollevò in aria, girandosi e ficcandogli la testa sott’acqua. Con il viso verso l’alto e il taglio sul labbro che ancora sanguinava. Braccia e gambe che si agitavano. «non puoi sperare di cavartela dopo aver fatto del male a samantha!».
Le unghie di Stirling gli graffiarono i polsi. Afferrarono la barra al centro delle manette.
Gli occhi dell’uomo sembravano sul punto di schizzargli fuori dalle orbite.
«mi hai sentito?». Logan lo scosse, spingendolo ancora più sotto, con le braccia bloccate, spingendolo fin quando non si trovò con il mento a pochi millimetri dall’acqua. E lo tenne giù. «mai più!».
Le mani di Stirling si sollevarono, come se cercassero la luce.
Le sirene si stavano avvicinando.
Ci stava mettendo troppo.
Da un momento all’altro avrebbero superato il crinale della collina e sarebbe tutto finito. Graham Stirling avrebbe mentito e si sarebbe salvato da un’altra accusa di tentato omicidio. E Samantha non sarebbe mai stata al sicuro.
No.
Charles Anderson aveva ragione. Certa gente non meritava la protezione della legge.
Scosse ancora una volta il colletto dell’uomo. «annega, maledetto!».
«Logan». Una mano sul suo braccio. «Logan, fermati».
Lui sbatté le palpebre. Si guardò intorno.
Samantha era in piedi accanto a lui, con l’acqua che le arrivava al petto. Scosse la testa. «Questo non sei tu, Logan. Questo è lui».
«Ma…». Si girò. Samantha era sdraiata sull’asfalto, immobile, lì dove lui l’aveva lasciata. «Sei…?».
Un nodo gli chiuse la gola, quasi troppo grosso per inghiottirlo. «Sei morta?»
«Lascialo andare. Ti prego». La mano di Sam era fredda contro la sua guancia. «Fallo per me».
Un’onda sbatté contro il frangiflutti, mandando in aria un’esplosione di schiuma.
Lei era sdraiata sul cemento. Ed era al suo fianco. «Lo sai che non è giusto, così. Lascialo andare».
Le dita di Stirling si strinsero nell’aria, come se potesse afferrare una manciata d’ossigeno e portarselo ai polmoni, sott’acqua.
Logan lo lasciò andare. «Mi manchi».
«Lo so». Lei sorrise, e fu come una lama al centro del petto. «Grazie».
Graham Stirling si agitò violentemente, tornando in superficie, tossendo e sputacchiando, con il viso di un colore tendente al violaceo. «Aaaaaaagh!».
«Di cosa?»
«Di tutto». Si chinò a baciarlo su una guancia. «Di essere ancora tu».
Stirling avanzò verso la passerella di cemento, stringendosi al bordo, tossendo e tremando, mentre un’autopattuglia compariva all’entrata della piscina.
I lampeggianti accesi proiettavano zaffiri e diamanti nella pioggia battente. Gli sportelli si aprirono, e Deano, Ciuffo e la Nicholson uscirono di corsa. Un’ambulanza si fermò accanto alla macchina, con la sirena ancora accesa.
Logan voltò loro le spalle. «Samantha, io…».
Ma lei non c’era più.
Capitolo 63
«Ecco, tieni». La Steel gli tese un bicchiere di plastica del distributore del corridoio. L’odore di caffè bruciato e di latte a lunga conservazione si sparse nell’aria come il pus da una ferita infetta.
«Grazie». Allungò una mano a prenderlo. Una striscia di lividi rosso scuro gli circondava il polso, dove le manette erano state strette fin troppo.
Un’infermiera li oltrepassò, facendo scricchiolare le scarpe da ginnastica sul pavimento di piastrelle verdi.
La Steel si lasciò cadere sulla sedia di plastica accanto a quella di Logan. «Sarei arrivata anche prima, ma stavamo perquisendo la casa del Pedo-iatra. Abbiamo trovato una telecamera in garage, con tanto di foto della bambina uccisa. Ovviamente mentre era ancora viva. Per non parlare della scorta di fenobarbital. Lo stesso che le avevamo trovato nel sangue».
«Bene». Il caffè aveva un sapore che si accoppiava bene al suo odore. Ovvero pessimo.
«Ovviamente, lui continua a negare ogni cosa. Come se per lui fosse uno shock». La Steel fissò gli abiti di Logan, accigliandosi. «Dovresti tornare a casa a cambiarti».
«Ormai sono quasi asciutto».
«Non succederà niente, se la lascerai sola per mezz’ora. Vattene a casa, cambiati, metti qualcosa sotto ai denti». Gli posò una mano sulla spalla, calda e ferma. «Io resterò qui e mi assicurerò che sia tutto sotto controllo».
Un’anziana signora zoppicò oltre i due, portandosi dietro una flebo e borbottando tra sé e sé.
«Non deve interrogare Gilcomston?».
La Steel si lasciò sfuggire una risatina malefica. «Sua altezza Darth Finnie ha deciso che se ne occuperà lui. Pensa che un ufficiale di grado più elevato riuscirà a farlo cedere prima. Insomma, mi ha tolto il caso».
Logan sollevò verso di lei il bicchiere di pessimo caffè. «Benvenuta nel mio mondo».
Restarono seduti in silenzio per un po’, mentre medici e pazienti passavano davanti a loro, come una scena di un film di zombi.
«Logan…». La Steel lanciò un’occhiata nel corridoio. «Quella bustina di eroina… sei stato tu a mettergliela in tasca, vero?»
«Io?». Logan fece scivolare verso il basso gli angoli della bocca. «Nah… non è da me».
Lei abbassò la voce. «Se non l’avessi trovata, non avremmo potuto arrestarlo. Sarebbe ancora al sicuro a casa sua, e non avremmo potuto dimostrare che aveva qualcosa a che fare con quella bambina».
Un volontario li oltrepassò, spingendo davanti a sé un carrello pieno di tazze di tè e un grosso vaso metallico.
La Steel attese che sparisse in fondo al corridoio. «E soprattutto, Gilcomston non potrà uscire su cauzione: resterà in carcere fino al processo. E se Charles Anderson è davvero convinto di essere in missione per conto di Dio per togliere di mezzo i pedofili di questo paese, e ne ha già uccisi tre dello stesso gruppo, credo proprio che tu abbia salvato la vita al Pedo-iatra».
Logan fissò i moti browniani sulla superficie del bicchiere di plastica. «Un gran giorno per l’umanità».
«Già». Lei si stiracchiò sulla sedia.
L’orologio sul muro spostò la lancetta di un altro minuto, scandendo altri sessanta secondi delle loro vite.
La Steel si grattò il ferretto del reggiseno. «A proposito, già che ci siamo: vuoi spiegarmi cosa è successo con Graham Stirling?».
Lui si strinse nelle spalle. Prese un altro sorso di caffè orribile. «Sono stato colpito sulla testa un paio di volte. Non ricordo bene». Alzò una mano e si sfiorò i due strati di garza che gli avevano sistemato sulle ferite. «Ha cercato di affogarmi e mi sono difeso».
«Quindi tutto quello che sta dicendo sul fatto che l’hai tenuto sott’acqua…».
Logan sollevò di nuovo le spalle. «Come ho detto, mi sono difeso».
«Non stare a preoccuparti. Lo sappiamo tutti che è uno schifoso bugiardo».
La Steel chiuse un occhio e si grattò con forza il seno, come un Labrador con le pulci. «Pffff… Bene, Catherine Bisset è sotto osservazione per un trauma cranico, suo fratello David è stato trasportato d’urgenza ad Aberdeen per una seria commozione cerebrale e pressione endocranica. Ora è in coma indotto. Non potremo portarlo davanti a un giudice finché… be’… se ne uscirà».
«Pattuglia sette, potete parlare?».
Logan fece una smorfia. Poi prese la ricetrasmittente dalla tasca della felpa. «Dimmi, Maggie».
«Pensavo volesse saperlo: la casa di cura ha registrato David Bisset che rapiva Samantha sulle telecamere di sicurezza. E c’è un fax per l’ispettore capo Steel. I risultati di un’analisi degli isotopi stabili su una sezione femorale?».
Logan le tese la ricetrasmittente. «È per lei».
La Steel se la premette contro un orecchio. Si alzò e marciò avanti e indietro nel corridoio. «Cosa dice?… Uh-huh… Sì… Quanto a lungo?… Okay…».
Un infermiere robusto avanzò facendo cigolare le scarpe sulle piastrelle verdi del pavimento e si fermò proprio davanti a Logan. Controllò la cartellina. «È lei il sergente McRae?».
Come se Logan potesse essere qualcun altro, seduto lì con addosso un’uniforme fradicia della polizia con tanto di mostrine da sergente sulle spalle. «Sta bene?».
L’infermiere si strinse la cartellina al petto. «Dunque: abbiamo stabilizzato miss Mackie, ma ovviamente c’era molta acqua nei suoi polmoni. Ha sviluppato una polmonite dal lato sinistro. Ed era anche acqua molto sporca, purtroppo. Poiché ha già avuto un’infezione polmonare, temiamo che questa situazione possa aggravarla. La stiamo trattando con antibiotici per via endovenosa, ma deve sapere che è una cosa piuttosto grave, per una persona nelle sue condizioni».
«Posso vederla?».
L’infermiere mostrò i denti in un sorriso dispiaciuto. «Mi dispiace, ma non è una buona idea, al momento. Probabilmente sarà meglio provarci tra tre o quattro ore».
Logan si afflosciò sulla sedia, rovesciando la testa contro il muro alle sue spalle. E sussultando quando lo colpì con la testa fasciata. Sbatté le palpebre. Imprecò e fece una smorfia.
«Tutto bene?»
«In realtà, non molto. Lei…?»
«Stiamo facendo tutto il possibile, mi creda. Non potrebbe essere curata meglio di come lo è adesso».
La Steel tornò indietro e si lasciò cadere sulla sedia accanto a quella di Logan. «Cosa mi sono persa?».
L’infermiere gli si accosciò di fronte. «Dovrebbe tornare a casa e riposare un po’. Ha qualcuno che può prendersi cura di lei, vero? Ha ricevuto due seri colpi in testa: devo assicurarmi che non resti da solo, in caso abbia un trauma cranico». Il giovane sorrise, amichevole. Poi batté una pacca sul ginocchio della Steel. «Magari sua madre la farà stare a casa sua per un po’».
Logan posò le chiavi e il cellulare sul tavolino e si lasciò scivolare sul divano. Sbadigliò. Sospirò.
La pioggia picchiava contro la finestra del soggiorno, le gocce che prendevano un colore ambrato a causa del lampione all’esterno, brillanti sotto il cielo di un nero corvino.
E tanti saluti ai festeggiamenti.
Quell’uscita avrebbe finito per caricarsi di silenzi imbarazzati, finta allegria e assicurazioni bonarie sul fatto che Samantha sarebbe stata bene. Come se affogare qualcuno che già era di suo quasi completamente privo di coscienza potesse fargli del bene.
Tutti muoiono, alla fine. Ma gli sfortunati continuano a respirare anche dopo.
E Samantha non era più in grado di fare neanche quello.
Un leggero rutto gli risalì in gola, seguito da un’ondata di fuoco che gli si irradiò su per l’esofago. E il pesce fritto con le patatine che aveva mangiato non era neanche buono.
La pioggia continuava a cadere.
Si sarebbe dovuto alzare per chiudere le tende.
Sì, tra un attimo.
Cthulhu entrò nella stanza in silenzio, camminando come se avesse trampoli pelosi al posto delle zampe. Gli saltò in braccio e gli premette la fronte contro il petto.
«Almeno ho ancora te». Le grattò un orecchio e la gatta gli si spinse contro, con gli occhi chiusi e un canino affilato che le sporgeva dalla bocca. «E il resto del mondo può andare a farsi fottere».
Graham Stirling era nella stazione di Fraserburgh, a passare una notte in cella prima che i tribunali riaprissero, la mattina dopo. E lì avrebbe mentito e si sarebbe liberato, viscido come al solito, dalle maglie della legge.
Avrebbe dovuto affogare quel bastardo quando ne aveva la possibilità. Avrebbe dovuto tenerlo sott’acqua fino a vederlo smettere di dibattersi, con la faccia blu. Avrebbe dovuto lasciarlo morto sul fondo della piscina, insieme alle pietre e al limo, a fissare per sempre a occhi spalancati qualsiasi inferno in cui fosse finito.
Charles Anderson aveva ragione, certa gente non meritava la legge.
Logan prese il telefono, controllando il registro delle chiamate fino a ritrovare il numero di Anderson. Premette il pulsante di chiamata.
La segreteria telefonica si attivò senza neanche uno squillo. Probabilmente non aveva senso lasciargli un messaggio, se Anderson aveva distrutto la sim come gli aveva detto. «Sì, sono Craggie, non posso rispondere, ma se lasciate un nome e il vostro numero di telefono vi richiamerò appena possibile».
Logan attaccò.
Fissò lo schermo.
Cthulhu saltò giù e si avvicinò alle ciotole in un angolo, masticando croccantini con la coda in aria.
Il numero di Helen era proprio lì.
Logan posò il pollice sul tasto di chiamata. Ma che diavolo, sì.
Lo sentì squillare tre volte, poi la voce di Helen gli sfiorò l’orecchio. «Logan?».
Lui si schiarì la gola. «Volevo solo assicurarmi che ti fossi trovata un posto dove stare».
«Stai bene? Mi sembri… non so». Lei tirò su con il naso. Le parole erano tese, rauche, come se le avesse dovute recuperare da chissà quali profondità oscure. «Scusami. È stata una lunga giornata».
«Conosco la sensazione».
«La bambina a Gwent non era Natasha». Qualcosa si spezzò nella sua voce, e poi la sentì singhiozzare. «Hanno fatto un’analisi del sangue, e non è del gruppo giusto. Sono così stupida. Ci avevo sperato, pensavo fosse lei, e invece è stato un nuovo buco nell’acqua».
Tutta quella strada per niente. Sarebbe potuta rimanere con lui a Banff, dopotutto.
Ma non era così che andava il mondo.
Logan afflosciò le spalle di qualche altro centimetro. «Abbiamo scoperto chi era la bambina ritrovata nella piscina. Hanno fatto un’analisi degli isotopi stabili nelle sue ossa e hanno scoperto che viveva a Carlisle. Era scomparsa quattro anni fa. I suoi genitori verranno a identificarla domani».
«Oh… credo sia un bene». Un sospiro fece crepitare il ricevitore, seguito da un altro singhiozzo. «Sono così felice per loro. Almeno potranno dirle addio».
«Erano così… grati…». Logan prese un respiro profondo. «Però si sbagliano. Qualcuno ha cercato di uccidere Samantha, oggi. L’hanno affogata, ma i paramedici sono riusciti a far ripartire il suo cuore».
«Mi dispiace».
«Pensavo che fosse morta. Per quindici minuti ho pensato che fosse morta. La speranza fa male, è come un coltello piantato nelle viscere, a volte. Ma è meglio di quella sensazione».
Cthulhu finì di masticare i croccantini e saltò sul tavolino. Si sedette sulle chiavi di Logan e si leccò le zampine.
Lui emise un sospiro. Si passò una mano sugli occhi. «Comunque. Sì. Ho chiesto a Ciuffo di fare qualche indagine. Non devi preoccuparti del fatto che vorresti uccidere il tuo ex marito. Brian Edwards è morto due anni fa a Middlesbrough. In una rapina».
«Capisco…». Il silenzio tra loro si allungò a dismisura.
«Helen?».
Lei soffocò quella che sembrava una risata. «Lo so che questo mi rende una persona orribile, ma sono felice. Sono felice che sia morto. E spero che abbia sofferto».
«Aveva cambiato cognome, si era risposato, aveva avuto un paio di figli con una donna spagnola. E la picchiava, così lei l’ha cacciato di casa. E ha ottenuto la custodia unilaterale dei figli».
Un sospiro, poi finalmente qualcosa sembrò scattare in lei. «E Natasha? È lì? Sta bene?»
«Non lo so, ma ho un indirizzo in Spagna che posso mandarti anche subito».
«Oh, Dio, ma è una notizia magnifica! Grazie!». E la speranza tornò nella sua voce, brillante come un raggio di sole. «Chiamerò subito il mio investigatore privato. Oh, Logan, e se fosse lì? E se stesse bene? Se la mia bambina non fosse morta, alla fine? Non è fantastico?».
Almeno qualcuno poteva sperare di avere un lieto fine.
Dio solo sapeva quanto fosse ora che accadesse.
Eppure…
Logan si afflosciò contro lo schienale del divano. «Helen, forse faresti meglio a trovarti un nuovo investigatore. Quello che hai pagato finora non era neanche riuscito a scoprire che Brian era morto. Dubito che sarebbe in grado di trovarsi le chiappe in un kilt, figuriamoci Natasha».
«Oh».
Silenzio.
«Senti, mi spiace. Fai finta che non abbia detto nulla». Lasciò scivolare indietro la testa e fissò il soffitto candido. «È stata una brutta giornata, tutto qui. Andrà tutto bene, ne sono sicuro».
Il silenzio si protrasse.
«Helen? Sei ancora lì?»
«Logan? Vorresti…». Lei deglutì. «Ti andrebbe di venire in Spagna con me?».