Lunedì, turno serale

Cromarty: da sette a otto,in aumento. Occasionalmente severo

Capitolo 4

«…e, già che ci siamo: indovinate chi esce oggi?». Logan lasciò la frase in sospeso per qualche secondo, mentre i due agenti lo fissavano. «Alex Williams».

Un mugolio di protesta.

L’ufficio degli agenti non era molto grande. Color magnolia, con una grossa bacheca di sughero coperta di foto segnaletiche su una parete, accanto a una lavagna magnetica; volantini, rapporti, avvisi, calendari, e altre lavagne magnetiche sul resto dei muri. Piastrelle blu consumate sul pavimento, coperte di strati di macchie di tè e caffè. Un bancone da lavoro, su due lati della stanza, al posto delle scrivanie; quattro sedie da ufficio, con la plastica graffiata e l’imbottitura che usciva dalle cuciture del tessuto consumato; lo stesso numero di vecchissimi e obsoleti computer; e poi Logan e due agenti, pronti a uscire. Un odore fastidioso di piedi sudati, patatine alla cipolla e lucido da scarpe aleggiava nell’aria.

Logan si passò una mano sui capelli rasati. «Metto una bandierina di grado uno sulla casa. Se dovesse succedere qualcosa, voglio qualcuno lì in meno di cinque minuti».

Deano giocherellò con la bomboletta di gas lacrimogeno agganciata sul davanti del giubbotto catarifrangente, rigirando il contenitore color canna di fucile nel fodero di cuoio con le dita grosse come traversine. Arrotolando nel gesto la corda elastica a spirale attaccata alla base della bomboletta. Le sue larghe spalle tendevano allo stremo il tessuto della T-shirt nera della polizia che indossava. Perfino seduto, era chiaro che fosse l’uomo più alto in quella stanza. «Tenner dice che arriveranno al massimo fino a mercoledì».

L’agente Nicholson si imbronciò e infilò le mani nello spazio tra il giubbotto antiproiettile e l’uniforme nera. Incurvò le spalle, facendo ondeggiare il corto e pratico caschetto di capelli corvini. Aggrottò la fronte. «Ospedale oppure obitorio?».

Deano piegò la testa di lato. Le luci al neon della stanza scintillarono sui capelli radi in cima alla fronte. Ciuffi grigi tirati indietro sulle tempie. «Secondo me… ospedale».

Lei tirò fuori una mano, che stringeva un piccolo portafoglio in tartan. «Io dico: obitorio entro sabato». Poi guardò Logan, sbattendo le palpebre. «Sergente, lei?»

«Tu e l’agente Scott state davvero scommettendo su quando qualcuno aggredirà o ammazzerà la persona che dice di amare?»

Un’alzata di spalle.

«Okay». Si infilò una mano in tasca. «Ci scommetto cinque sterline: non morirà nessuno».

Deano accettò le monete e le mise via. «Problema suo, sergente. Non sarò certo io a rovinarle la sua fiducia in…».

«Scusate». La porta si aprì di scatto, e l’agente Quirrel entrò nella stanza camminando all’indietro, portando un vassoio con quattro tazze e un vassoio di panini dolci. Il viso spigoloso, i capelli corti e di un biondo chiaro, e due acquosi occhi azzurri. Più basso di un’intera testa di chiunque altro nella stanza. «Che mi sono perso?»

«Alex Williams è fuori».

«Sono già passati sei mesi?». Quirrel distribuì le tazze, a partire da Logan, poi girò per la stanza con il vassoio. Prese l’ultimo panino e sistemò le chiappe secche nell’unica sedia libera. «Non sono affari…».

«Ciuffo», lo indicò Logan, «tu avrai il compito di andare a dire a chi convive con Alex: “È di nuovo quel momento”».

«Ma, se… sergente…». Quirrel aggrottò per un attimo le sopracciglia, stringendo gli occhi. Poi sorrise. «Non sarebbe meglio se ci andasse qualcuno delle Violenze domestiche? Sa, in modo che possano spiegare tutte le opzioni possibili? Sono loro gli esperti, e noi non vogliamo certo…».

«Fai quello che ti ho detto». Logan prese un morso del panino dolce, superando la crosta glassata per raggiungere il burro, il lardo e il resto del ripieno. «E vedi di non fare l’idiota, già che ci sei. L’ultima cosa che ti serve sono altre lamentele». Un cenno del capo. «Andiamo avanti».

Deano cliccò sul mouse e l’immagine sullo schermo del computer cambiò, passando a un piccolo peschereccio con segni di ruggine su una fiancata della chiglia blu e il nome “vagabonda” in lettere sbiadite di vernice bianca. La foto era posizionata accanto a quella di un uomo di mezza età con una giacca di un arancione vivace, i capelli umidi intorno a un volto che sembrava di cuoio, una bottiglia di birra in una mano e un grosso pesce scuro nell’altra.

Le informazioni erano scritte alla base della slide di PowerPoint, ma Logan le lesse comunque: «Charles “Craggie” Anderson, cinquantadue anni, scomparso da una settimana e qualche giorno. Ciuffo?»

«Sì…». L’agente Quirrel prese il taccuino e ne girò le pagine fino a raggiungere quasi la fine. «Ho parlato di nuovo con amici e vicini: non si è messo in contatto con nessuno. Sono andato anche alla Guardia Costiera, e non c’è traccia della Vagabonda da nessuna parte. Sto aspettando di ricevere delle informazioni dalle Orcadi, dalle Shetland e dalla Norvegia, in caso sia scappato».

«Bene. Dopo essere stati a casa di Alex Williams, tu e Deano andrete a Whitehills, Madcuff, Portsoy e Gardenstown. Controllerete tutte le barche. Qualcuno ha visto Charles Anderson la notte in cui è scomparso? Qualcuno ha sentito dove stava andando? Aveva problemi di denaro? Insomma, conoscete la procedura».

Deano annuì. «Sì, signore».

«E tieni Ciuffo più sotto controllo, stavolta, okay? Non ho mai visto un novellino mettersi in così tanti guai».

Quirrel arrossì. «Come potevo sapere che quella donna non indossava le mutande?».

«Ripeto: più sotto controllo. Con questa sono cinque, le persone scomparse. Sarebbe piacevole se riuscissimo davvero a trovarne almeno una». Una pausa. «Ultimo, e anche assolutamente meno importante, abbiamo una nuova direttiva dall’alto. Siamo la Divisione di Moray e Aberdeenshire. Da ora in avanti, chiunque sia colto in flagrante a chiamarla “Mire” si becca una sculacciata. Ci sono domande?».

Deano giocherellò un’ultima volta con la bomboletta lacrimogena. «Sì, signore: una sculacciata piacevole o spiacevole?»

«Sei un pervertito, lo sai, vero?». Logan finì il panino e si succhiò il burro da un dito. Poi si alzò. «Deano e Ciuffo, voi siete nel furgone del Postino Pat. Io e Janet andiamo a beccare qualche drogato».

«Sergente?». La Nicholson fece affrontare il tornante alla volante della polizia, scalando le marce per sostenere la salita. Alla loro sinistra, il Mare del Nord scintillava come una pietra lucidata. Yacht e piccoli pescherecci ondeggiavano lenti nel porto.

Era un bel cambiamento, dopo quell’orribile weekend.

Dall’altro lato della baia, Macduff brillava nel sole del pomeriggio.

Poi la vista fu nascosta dalle pareti ruvide e bianche del Railway Inn. Una fila di vecchie case scozzesi si allineava lungo la strada, e su di esse torreggiava la minacciosa massa grigia e vittoriana dell’Health Centre. La Nicholson spostò le mani sul volante, cominciando a parlare in tono leggero e apparentemente noncurante. «Sergente, qualcuno le ha detto niente del pool? Insomma, come sta andando?».

Logan aprì la chiusura lampo di una delle tasche del giubbotto antiproiettile e ne trasse un pacchetto di Polo. Ne tirò fuori una dalla sua prigione di carta argentata. Si ficcò in bocca la caramella e la masticò. «Credimi: il cid è una pessima scelta». Il giubbotto antiproiettile era come un pugno che gli strizzava il petto a ogni respiro. Le manette tintinnavano contro la fibbia della cintura di sicurezza. Il manganello estensibile gli comprimeva la coscia. Le cinture di contenimento gli premevano contro le reni. La cintura dei gadget di Batman doveva essere molto più comoda, ci avrebbe potuto scommettere. «E non ho ancora capito perché vuoi andarci». Masticò la mentina. «Polo?», offrì, allungandole il pacchetto.

Oltre l’incrocio, la strada si allargava in Castle Street, con le sue case molto più lussuose. La Nicholson salutò una vecchietta che si fumava una sigaretta fuori dal Castle Bar. «Avanti, sergente, lei è stato nel cid per anni. Lo sa perché voglio entrarci».

Logan si ficcò in bocca un’altra Polo. «Sì, forse ai vecchi tempi. Ma ora danno tutto il lavoro interessante a gruppi specializzati esterni. Se non sei nel Team Investigativo Primario, non lavorerai mai su un omicidio». Si mise a contare sulle dita. «Ci sono i team antistupro, i team per la riduzione della violenza, quelli delle violenze domestiche, quelli dell’antidroga, quelli delle rapine, e così via». Si strinse nelle spalle. «E al cid non resta altro che la robaccia noiosa che a nessun altro va di fare».

Girarono a destra su Seafield Street. E di nuovo in salita, con la Banff Bay che scintillava negli specchietti retrovisori. Sopra di loro, un cielo di zaffiro, senza l’ombra di una nuvola o graffi di scie di aeroplani.

«Ma questo non le ha impedito di arrestare Graham Stirling, dico bene?».

Era vero.

Logan sorrise. «Lascia perdere il cid, Janet. Le divisioni sono il futuro, e dove c’è tutta la gente che vale».

Lei abbassò leggermente le spalle.

Gli edifici a destra erano enormi. Logan si girò a guardarli mentre sfilavano via al loro passaggio. «Quanto pensi che costi una di quelle case?». Tutto granito di lusso, con i cornicioni e le finestre a golfo, e quei blocchi intorno alle porte, alle finestre e alle estremità dei timpani. Tetti di tegole grigie e prati curati, con qualche nano da giardino di tanto in tanto.

La Nicholson sospirò. «Più di quanto riusciremo mai a risparmiare».

«Non fraintendermi, la Casa del Sergente sarà carina, quando sarà finita, ma sono stufo di vivere come un rifugiato».

Una voce si fece sentire crepitando dalla radio della macchina. «Controllo a Bravo India, rispondete».

«Oh, senti qua». Logan alzò il volume. «Deve essere qualcosa di grosso, se infastidiscono il capo».

«Avanti, sergente, non voglio essere uno di quei poliziotti che passano la vita in un posto solo. Ho dei limiti da superare».

La voce di una donna si udì dagli amplificatori, profonda e calda: «Bravo India a Controllo, ti sentiamo forte e chiaro».

«Sì, signora, abbiamo un’altra cassa in fuga. Il proprietario dice che c’erano dentro ventisettemila sterline. Si tratta del Broch Braw Buys, su Gallowhill Road, a Fraserburgh».

Un altro?

«Ventisettemila sterline? Ma chi diavolo pensa di prendere in giro?»

«È quello che dice lui».

«Sergente?».

Oltre il bowling, le case diventavano molto più popolari. Villette bifamiliari con pareti ruvide e sporche e antenne satellitari arrugginite.

«Probabilmente spera di ottenere parecchi soldi dall’assicurazione. Fate sigillare la scena del crimine, arrivo appena posso…».

Logan abbassò di nuovo il volume della radio. Più tardi sarebbe passato al Broch Braw Buys per dare un’occhiata. Ma, con un po’ di fortuna, a quel punto quel caso sarebbe già stato il problema di qualcun altro.

«Sergente, vuole…».

«Ascolta: io domattina sono in tribunale per il processo. Vuoi prendere il mio posto, mentre non ci sono? Voglio dire, non puoi fare il sergente, ma puoi comunque gestire la squadra».

La Nicholson si mordicchiò l’interno di una guancia.

«Farà bene al tuo curriculum. Potresti anche cominciare a gestire tu qualche briefing. Tutto fa brodo».

«D’accordo». Si piegò in avanti, stringendo gli occhi contro il sole e osservando le auto che si avvicinavano a loro dal senso opposto di marcia. «Quel ragazzo al cellulare?».

Logan si fece scudo agli occhi con una mano. «Quello brutto nella Fiesta blu?».

La Fiesta in questione li oltrepassò, seguita da altri tre veicoli. Poi un po’ di spazio vuoto… e poi una Passat.

Il dito della Nicholson premette uno dei pulsanti al centro del cruscotto e le sirene della volante si accesero. Un altro pulsante, e cominciarono anche a suonare.

Il conducente della Passat frenò di colpo, fermandosi a circa due metri da loro. Un vecchietto si sporse a guardarli da dietro gli spessi occhiali, le mani strette intorno al volante, un berretto in tartan ben calcato in testa.

La Nicholson gli rivolse un cenno, poi fece un’inversione a u. Premette il piede sull’acceleratore. La spinta in avanti schiacciò Logan contro lo schienale del sedile, aggiungendo il suo peso alla stretta soffocante del giubbotto antiproiettile.

Le auto si spostarono in tutta fretta davanti a loro, aprendo la strada verso la Fiesta blu e il suo poco attraente conducente. L’auto era lucida e perfetta, come nuova. La Nicholson gli si piantò alle spalle, suonando il clacson. Le sirene cambiarono tono, diventando più insistenti e decise.

Mr Brutto lanciò un’occhiata verso di loro, il volto corrucciato nello specchietto retrovisore. Una pausa… poi si accostò al marciapiede, fermandosi.

La Nicholson si fermò dietro di lui. Armeggiò con la radio fissata alla cintura. «Controllo, ho bisogno di un controllo su una Fiesta blu».

Logan si allungò sul sedile posteriore per recuperare il berretto dell’uniforme e uscì dalla volante. Scosse una gamba come un cane a cui si gratta la pancia. Quei dannati pantaloni dell’uniforme sembravano fatti di carta vetrata. Aggirò con calma la Fiesta, fino a raggiungere il finestrino dal lato del guidatore.

Con un ronzio, il vetro si abbassò e Mr Brutto lo guardò con astio. «Cosa c’è?». Le parole gli uscirono come bile da una bocca storta piena di denti storti. L’accento era senza dubbio di Birmingham. Sopracciglia folte, faccia larga, fossetta sul mento e una serie di brufoli di un rosso arrabbiato lungo la linea della mascella.

Okay. Non sarebbe stato piacevole.

Logan sganciò l’elastico che reggeva la telecamera che portava addosso e ne fece scivolare giù la parte frontale, cominciando a registrare. «Lo sa che è illegale usare il cellulare mentre si guida, vero?».

L’uomo aggrottò la fronte. «Io non stavo usando il cellulare».

«L’abbiamo vista, signore».

Lui tornò a guardare avanti. Serrò la mascella, facendo fremere la linea di foruncoli. Un paio di vulcani nella catena sembravano sul punto di esplodere. «Lo deve dimostrare».

«Il suo nome?».

Silenzio. Altre attività telluriche in zona mascellare. Poi: «Martyn Baker. Con la y. Sedici dicembre del millenovecentonovantatré. Dresden Road numero trentotto, Sparkbrook. Birmingham».

Nome, data di nascita e indirizzo. La versione dei malviventi di nome, grado e matricola. Proprio così. Non doveva essere la prima volta che forniva le sue generalità alla polizia, dunque. Logan scrisse tutto sul taccuino. «Resti in macchina, signore». Poi si avvicinò al bagagliaio e aspettò che il Controllo gli fornisse i dati dell’auto.

La Nicholson recuperò a sua volta il berretto dell’uniforme e si avvicinò, con i pollici infilati nei fori per le braccia del giubbotto antiproiettile, come Rumpole di Le avventure di Bailey. Alzò il mento. «Sergente? L’auto è di proprietà di un certo Martyn Baker…».

«Del novantatré, residente in Dresden Road numero trentotto, a Birmingham?»

«Sì, è lui. Ovvero Paul Butcher, ovvero Dave Brooks. Ha una fedina penale lunga un chilometro: effrazione, aggressione aggravata, possesso di droga, spaccio, lesioni a carico della fidanzata e della madre… Insomma, molto eclettico, tutto sommato».

«Di sicuro non ha passato l’esame di simpatia, però». Logan riportò lo sguardo sull’auto. Baker li fissava con gli occhi ridotti a due fessure, dallo specchietto retrovisore. «Multe notevoli?»

«No, al massimo un libro riportato in ritardo in biblioteca». La Nicholson spostò il peso da un piede all’altro. «Vuole multarlo per il cellulare?»

«Dice che non è vero».

Lei sbuffò. «Sul serio? Un cittadino modello come lui?».

La ricetrasmittente agganciata sul petto di Logan trillò quattro volte: una chiamata diretta. Lanciò uno sguardo al piccolo schermo dell’apparecchio, e riconobbe il numero di matricola dell’agente Scott. La sua voce riecheggiò dalla trasmittente. «Pattuglia Sette, qui Dean, potete parlare?».

Logan sporse una spalla avanti, piegando la testa di lato per poter portare le labbra vicino al microfono. Premette il pulsante. «Parla pure, Deano».

«C’è stata un’aggressione a Whitehills. Al Drookit Haddie ad Harbour Place. Un gruppo di coglioni ha picchiato un vecchio. Io e Ciuffo stiamo aspettando l’ambulanza».

«Qualche sospetto?»

«Nah: sembra che tutti, nel pub, siano vittime di un’improvvisa amnesia. E Maggie è occupata: c’è una mucca che vaga sulla b9031 vicino all’uscita per Gamrie».

«Okay. Ci pensiamo noi. Assicuratevi di recuperare le riprese delle telecamere di sicurezza del pub».

Il viso della Nicholson si incupì. «Una mucca su una strada. Non è esattamente Il silenzio degli innocenti, eh?»

«Attenta a quello che desideri». Logan lasciò la ricetrasmittente e tornò a guardare la Fiesta di Mr Brutto. «Non è così bello come sembra».

«Allora… che facciamo con l’amico brufoloso, lì?».

Ma Logan si stava già avvicinando al finestrino dal lato del guidatore. «Mi dica, Martyn con la y, cosa la porta così lontano da Dresden Road numero trentotto a Birmingham, fino alle soleggiate strade di Banff?».

Un’altra dose di sguardo letale. «Sono motivi personali. Ha finito? Perché sta ledendo il mio diritto di muovermi liberamente, se non le è chiaro».

«Capisco…». Logan tamburellò con le dita sul tetto dell’auto. «Sa, Mr Baker, volevo lasciarla andare con un’ammonizione, ma ho motivo di credere che non servirebbe a molto. Quindi, le confischerò il cellulare come prova…».

«Oh, al diavolo!». La linea di foruncoli sembrò prendere fuoco. «Non si prenderà il mio cellulare, neanche per sogno!».

«Secondo la legge scozzese, è nelle mie facoltà sequestrare qualsiasi oggetto che possa essere stato utilizzato per commettere un crimine. Oppure preferisce essere portato in centrale per resistenza a pubblico ufficiale?». Logan fece scattare avanti il polso e controllò l’orologio. «Ho un paio d’ore libere. Esca dalla macchina, Mr Baker».

L’uomo si piegò in avanti fino a sfiorare il volante con la fronte. «D’accordo». A quel punto, pescò dalla tasca un enorme Samsung ammaccato e graffiato. Lo schermo pieno di crepe che si irradiavano dall’angolo in basso a sinistra. Lo tese a Logan. «Contento?»

«Assolutamente, signore. Le faccio una ricevuta per il telefono». Ma si assicurò di perderci più tempo possibile. «Guidi con prudenza, Mr Baker». Un sorriso. «La terremo d’occhio per assicurarci che stia bene».

La Nicholson fissò la Fiesta che si allontanava. «Pensa che stia spacciando? Che stia facendo una consegna? O forse che stesse scappando da qualcuno?»

«O forse tutte le opzioni insieme…». Logan fece scivolare il cellulare in una busta per le prove e la etichettò. «Ma chissà, magari era solo in ritardo a un appuntamento romantico con una bella pecora». Lasciò la busta nel bagagliaio della volante. «A proposito di animali, quella mucca non se ne andrà dalla strada da sola».

Capitolo 5

«…dice di non dimenticare la sua valutazione, oggi».

Logan premette il pulsante della ricetrasmittente. «Dipende da come vanno le cose. Io e Janet siamo molto occupati a tenere la brava gente del nord dell’Aberdeenshire al sicuro da furfanti e delinquenti».

I campi sfilavano oltre il finestrino della volante, scintillanti e verdi, con muraglie scure di ginestra che sembravano infiammate da lampi di fiori gialli. Più avanti, in mezzo alle colline, le scogliere sparivano nel Mare del Nord.

La voce di Maggie si abbassò a un sussurro cupo. «Sergente McRae, le dirà che ho bisogno di un piccolo aumento, vero? Con Bill e la sua schiena, noi…».

«Non posso promettere nulla, ma ci proverò. Sempre che finiamo in tempo, qui». Logan si spostò sul sedile. Guardò avanti, oltre il parabrezza, mentre superavano la sommità di un’altra collina. «Ecco, ci siamo».

Una grossa mucca marrone si muoveva pigramente al centro della strada. Larga di spalle e di lombi, con la coda che ondeggiava da una parte all’altra. Le corna che dondolavano avanti e indietro mentre camminava.

«L’ispettore dice che non può mancare. Le valutazioni devono essere consegnate entro mercoledì».

La Nicholson suonò con forza il clacson. Breeeeeeeeeep.

La mucca non sembrò neanche sentirlo.

«È stata piuttosto insistente, in merito».

«Okay, okay. Dille che torneremo alla stazione verso…». Controllò l’orologio. «Facciamo per le quattro e mezzo. Cinque meno venti. Più o meno».

«D’accordo». E a quel punto, Maggie attaccò.

La Nicholson riprovò a suonare il clacson. Breeeeeeeeep. Niente. «Mi sono addestrata da poliziotta per fare questo? Mesi all’accademia di Tulliallan. Due anni in prova…». Breeeeeeeeeep. Abbassò il finestrino. «Avanti, brutta stronza pelosa, togliti dalla strada!».

Logan si agitò sul sedile. Intorno a loro c’erano soltanto campi vuoti. Non un singolo capo di bestiame, a parte quello che passeggiava pigramente al centro della strada. «Non so proprio da dove possa essere venuta». A sinistra, in lontananza, un prato verde era coperto di grosse balle di fieno avvolte in plastica nera. «Possiamo mandarla lì». Si slacciò la cintura. «Andiamo».

La Nicholson si accigliò. «Ecco cos’è che succede quando ci impediscono di portarci dietro un taser».

«Gah…». La Nicholson spinse il cancello per chiuderlo e serrò il chiavistello, facendolo cigolare. Lo lasciò andare, e con uno schiocco il cancello si bloccò. Sputò due volte. E poi una terza. Passandosi una mano sul fango che le copriva il viso da un orecchio all’altro. Ce n’era dell’altro sul giubbotto catarifrangente, e perfino dei grumi nelle aperture per le braccia del giubbotto antiproiettile. Sputò un’altra boccata di saliva mista a fango. Poi lanciò un’occhiataccia a Logan. «Le divisioni sono il futuro? Il futuro un paio di palle!».

Logan si strinse nelle spalle. «Ti immagini cosa succederebbe se uscissi dalla curva, laggiù, a novanta all’ora, e finissi contro quella bestia?», indicando la grossa mucca marrone, che di sicuro appariva molto più pulita della Nicholson. «Poi ti dovrebbero scrostare dall’asfalto come settanta chili di macinato».

Lei si ripulì le mani sul davanti del giubbotto antiproiettile, spandendo il fango ancora di più. «Sta dicendo che sono grassa?».

«Torna qui, piccolo bastardo!». Logan saltò oltre il muretto del giardino e attraversò correndo il prato, con le ginocchia che pompavano come pistoni. Una mano a tenere fermo il berretto in testa, l’altra stretta sul manganello alla cintura, per evitare che dondolasse selvaggiamente a ogni passo.

Il piccolo bastardo in questione continuò a correre. Con le scarpe da ginnastica che mostravano le suole bianche a ogni passo e le gambe veloci, il cappuccio della felpa che gli ondeggiava dietro come un’oscena lingua rosa.

Si infilò nel giardino successivo.

Piombando dritto su un’aiuola di nasturzi e violette. I proprietari erano seduti su una panchina contro la parete della casa, intenti a condividere una bottiglia di vino. Scattarono in piedi all’istante, scuotendo i pugni contro il Piccolo Bastardo già lontano.

Una siepe separava il giardino da quello adiacente. Il ragazzo la saltò, rischiando di perdere l’equilibrio dall’altra parte. La borsa che aveva a tracolla gli scivolò, cadendo sul prato. Un mucchio di bombolette di vernice spray rotolò sull’erba come bombe della seconda guerra mondiale.

«Torna qui, ho detto!».

Il Piccolo Bastardo si arrischiò a voltarsi per rivolgergli un ghigno. Lentiggini sul viso, non più di dodici anni. Forse tredici. Capelli ricci e rossi e fossette sulle guance.

E poi thump, la Nicholson gli piombò addosso da un lato, con un placcaggio da rugby che avrebbe reso la nazione intera fiera di lei al Murrayfield.

Rotolarono sul prato in un groviglio di braccia e gambe, travolgendo vasi e nani da giardino.

Logan rallentò la corsa, fermandosi infine del tutto mentre la Nicholson si rialzava in piedi, sollevando anche il Piccolo Bastardo tenuto per il cappuccio della felpa.

Sputò un filo d’erba. «Quando qualcuno ti grida “Fermo, polizia!”, tu devi fermarti, siamo intesi?».

Il ragazzino tentò un paio di volte di dimenarsi, non ottenne nulla e alla fine restò immobile.

«Ebbene?». Lei lo scosse leggermente. «Che hai da dire a tua discolpa?».

Lui si mordicchiò il labbro superiore. Poi si strinse nelle spalle. «Era un commento sulla nostra classe dirigente e sulla privazione dei diritti civili e il disimpegno politico dell’uomo comune». La sua voce cambiò di tre ottave durante il discorso.

«Disegnare dei peni su un cartellone del Partito Conservatore non conta come opinione politica».

«Invece sì».

La Nicholson lo spinse verso Logan, per poi tirare fuori il taccuino. «Il tuo nome?».

Il ragazzino si irrigidì, come se stesse per fuggire di nuovo. Logan lo afferrò per le spalle. «Vuoi provare le manette, per caso? Perché se vuoi posso fartele provare».

Lui alzò gli occhi oltre la spalla. La pelle chiara tra le lentiggini che gli coprivano il viso arrossì di botto. «Non lo direte a mia madre, vero?»

La Nicholson lo pungolò con la penna. «Allora, il tuo nome

«Voglio dire, da Edimburgo ci sfruttano e basta, non è così? I nostri politici. A nessuno di loro importa davvero cosa pensiamo, ormai. Siamo come delle stupide api operaie, per loro, solo che invece del miele, si ingrassano con le tasse che ci spillano».

Logan abbassò lo sguardo a fissarlo. «Che ci spillano? Quanti anni hai, tu, tredici? Quando mai hai pagato una tassa, fammi capire?»

«Sono i lavoratori a controllare i mezzi di produzione».

La Nicholson lo pungolò di nuovo. «Senti, ultima possibilità, altrimenti ti porto alla stazione di polizia perché ti sei rifiutato di darmi le tue generalità. Allora: nome?».

Il ragazzino prese un respiro profondo. Poi abbassò lo sguardo alle scarpe da ginnastica. «Geoffrey Lovejoy». Poi tirò su con il naso, rialzando lo sguardo, gli occhi lucidi. «Sono un prigioniero politico. Dovete chiamare le Nazioni Unite. Potere al popolo!».

Logan alzò lo sguardo dal taccuino. «È sicuro che la riconoscerebbe, se la vedesse?».

Il negoziante annuì, facendo tremare i molteplici menti in una sorta di scossa tellurica facciale. «Certamente. Aveva addosso una dozzina di bottiglie di Chanel Numero Cinque, una manciata di correttori Touche Éclat ed Elizabeth Arden, e tutti i Paco Rabanne che avevamo sugli scaffali!». Puntò la mano dall’altra parte della profumeria, dove la porta d’ingresso era tenuta aperta da una vecchietta con un foulard sintetico in testa. «Li ha presi ed è scappata senza la minima vergogna. La nostra Stacey l’ha inseguita, ma…». Si strinse nelle spalle.

Il giubbotto antiproiettile della Nicholson iniziava a sembrare mimetico: macchie d’erba che si mischiavano al fango dell’avventura con la mucca in fuga. Non aveva un bell’aspetto. Lei indicò la telecamera di sicurezza sul muro dietro al bancone. «L’ha registrata?».

Le guance paffute dell’uomo avvamparono. «È finta. L’ho comprata su eBay per cinque sterline».

La Nicholson indicò in una direzione. «Non è Liam Barden, quello?».

Dall’altra parte della strada, un uomo grassoccio con una maglietta dell’Aberdeen Football Club entrò nel supermercato.

Logan aggrottò la fronte, mentre le porte automatiche si chiudevano, nascondendo l’uomo e la sua maglia di un rosso scarlatto. «Ne sei sicura?»

«Sì, assolutamente». Lei parcheggiò fuori dal supermercato. «Be’, ecco… all’ottanta per cento. Ce l’ha il manifesto con la foto?»

Lui aprì il cassetto del cruscotto e ne tirò fuori quattro spiegazzati fogli a4 spillati insieme. Due foto su ogni foglio, insieme a nomi e dettagli di dove e quando quelle persone erano sparite. Liam Barden era in terza pagina: sorrideva, con entrambi i pollici in alto, a una partita dei Caley Thistle, e una macchia di quello che sembrava sugo sul logo della Orion Group in bella vista sulla sua maglietta rossa e blu. Un piccolo cardo d’oro gli scintillava intorno al collo, appeso a una catenina anch’essa d’oro. Che classe.

Liam condivideva la pagina con la foto di un famoso spacciatore del luogo, Jack Simpson, con il collo coperto di tatuaggi tribali, le guance scavate e una miriade di piercing tra naso e orecchie.

In realtà, quella foto mostrava anche dei baffetti da Hitler, un paio di occhiali, delle viti da Frankenstein sulle tempie e un dente annerito. C’era perfino un fumetto che diceva: «sono sexy!».

«Ma dannazione». Logan tese il foglio alla Nicholson. «Quante volte dovrò ripetere a quegli idioti che non si scarabocchiano le foto delle persone scomparse?»

«Non guardi me: io non ce l’ho neanche una penna blu».

«Come ti sentiresti, tu, se un tuo parente fosse scomparso e qualcuno gli scarabocchiasse la foto? D’accordo, Jack Simpson è un vero stronzo, ma merita di essere trattato come tutti gli altri».

«Non sono stata io!».

«È come lavorare in un asilo infantile…».

Tuttavia, dovette ammettere che la foto di Liam Barden somigliava in effetti all’uomo che era entrato nel negozio. Robusto, con una calvizie incipiente e un sorriso pieno di denti. «Il problema è: perché non ha i baffi?»

«Magari li ha tagliati?». La Nicholson si tolse la cintura di sicurezza e uscì dall’auto, calcandosi in testa il berretto. «Non viene?»

«E perché ha cambiato squadra, dagli Inverness Caley Thistle all’afc?». Logan la seguì sul marciapiede. Le tese di nuovo il foglio. «Vedi?».

Lei fissò la foto, accigliandosi. «Non è un reato tifare per più di una squadra. E poi, pensi a quanto saranno felici sua moglie e i suoi figli, se lo troviamo».

Il che era molto più di quanto si potesse dire per Jack Simpson. Era scomparso già da dieci giorni, e neanche la madre sentiva la sua mancanza. Se non avesse preso i soldi a sua nonna, probabilmente non ne sarebbe neanche stata denunciata la scomparsa.

Logan girò la pagina. «E perché nessuno aggiorna mai queste informazioni?». Si frugò nelle tasche del giubbotto antiproiettile. Aggrottò la fronte. Prese il taccuino e lo rimise via. «Dannato Hector». Le porse una mano. «Hai una penna?».

La Nicholson gliene tese una e Logan tracciò una croce sulla foto di un bambino in fondo all’ultima pagina. «Abbiamo trovato Ian Dickinson quattro giorni fa».

«Mi creda, il prossimo che cancellerà sarà Liam Barden». La Nicholson si raddrizzò il berretto in testa e puntò dentro al supermercato.

Logan succhiò il leccalecca, cercando di raggiungere il cuore di vaniglia artificiale sotto alla copertura al lampone. Il sole gli scaldava la nuca. «Be’, valeva comunque la pena tentare».

«Avrei potuto giurare che fosse lui», commentò la Nicholson, muovendo il braccio sinistro in un ampio cerchio, mentre il Cornetto nell’altra mano gocciolava cioccolato, ed entrambi scendevano lungo il pendio della collina.

«Come va la spalla?».

Lei scosse la testa. «Comunque, penso ancora che avremmo dovuto arrestare quel piccolo vandalo».

«Però a quel punto avremmo dovuto portarlo fino a Fraserburgh per le pratiche, e questo ci avrebbe tolto dalle strade per almeno un paio d’ore. Con Deano e Ciuffo ancora in ospedale, chi avrebbe protetto la brava gente di Banff e Macduff?»

«Non è questo il punto, lui…».

«Il ragazzino stava soltanto disegnando un grosso uccello su un manifesto. Qualcuno potrebbe perfino pensare che il nostro futuro candidato dei Conservatori stia meglio con un grosso uccello addosso. Perlomeno, il cittadino Geoffrey è interessato alla politica».

Quattro trilli risuonarono dalla ricetrasmittente. «Sergente McRae?».

Lui succhiò di nuovo il leccalecca. «Dimmi, Maggie, ti ricevo».

«Non sta dimenticando qualcuno?».

Attraversarono la strada. «Lo sto facendo?».

La risposta arrivò in un sibilo. «L’ispettore McGregor! Gliel’ho detto, deve fare la sua valutazione».

Dannazione. «E quanto è arrabbiata?».

Un cagnetto continuò ad abbaiare a perdifiato mentre loro passavano, correndo avanti e indietro lungo un cancelletto di ferro battuto.

«Ha detto che sarebbe tornato qui per le cinque meno venti. Ma sono quasi le cinque».

«Siamo…». Succhiò il leccalecca, avvertendo la prima goccia di vaniglia. «Siamo molto impegnati, qui, Maggie. Non possiamo rimandare a domani?».

Silenzio.

Svoltarono l’angolo, raggiungendo Low Street, con tutti i suoi bar, negozi e locali.

«Maggie?»

«Vuole persino che le risponda? E tra l’altro dovrebbe anche mettere una buona parola per me… e come potrà mai farlo, se la McGregor è inferocita?»

«Okay, okay… dille che sarò lì alle cinque e mezzo».

Superarono la Protezione Gatti e il negozio di alcolici.

«D’accordo. Ci proverò. Ma cerchi di non arrivare tardi». A quel punto, Maggie chiuse la comunicazione.

Il negozietto di articoli da regalo subito dopo doveva aver iniziato a vendere libri e giornali, perché una piccola locandina era appoggiata sull’asfalto all’esterno: “foto esclusive del liverpool”.

Aveva appena rimesso la ricetrasmittente nel suo fodero quando la sentì trillare di nuovo. «Sergente? Sono Dean, può parlare?»

«Deano. Tu e Ciuffo avete finito in ospedale, o state pensando di passare tutto il turno lì?»

«Siamo ancora qui, sergente. E abbiamo una persona scomparsa per lei».

Un’altra strada conduceva a destra. Lunga, stretta, buia e claustrofobica. File di case con terrazzo su entrambi i lati, alti abbastanza per fermare la luce del sole e lasciare l’asfalto pieno di buche all’ombra. Pareti ruvide e grigie e tetti di tegole scure. Ogni tanto, qualche casa mostrava una facciata coperta di una vecchia mano di intonaco bianco, e spiccava come un dente curato in una bocca piena di carie. «Stai dicendo che abbiamo trovato una delle persone scomparse? O che è scomparso qualcun altro?»

«Sì. Un certo Neil Wood, proprietario di un Bed and Breakfast su Shortgate Lane, a Peterhead. Suo padre dice che non torna a casa da tre, forse quattro giorni».

«Fatti dare tutti i dettagli». Morse il leccalecca, prima che gli cadesse dal bastoncino. E poi si bloccò, indicando davanti a sé con la mano libera.

Poco più avanti, sulla porta di un negozio con la vetrina sbarrata, c’era una donna magra come un chiodo, avvolta in una T-shirt troppo grande per lei, con un paio di pantaloni da jogging rosa e stivali Ugg sporchi ai piedi. La sigaretta fatta a mano che stava fumando era protetta da una mano chiusa a coppa, come se temesse di rivelare la sua posizione a eventuali cecchini nelle trincee nemiche.

La Nicholson strinse gli occhi. «Lei ha più fortuna che…».

«Non è fortuna, agente. È bravura».

«Sergente? È ancora lì?»

«Ascolta, Deano, segui casi del genere da più tempo di me. Sai cosa devi fare: annota tutti i dettagli e riempi il modulo per la denuncia della scomparsa. Forse lo troveremo, forse invece no. Non è…».

«Il vecchio che hanno picchiato a Whitehills è il padre di Neil Wood. Sembra che quegli uomini l’abbiano aggredito per via del figlio. A quanto pare, Neil Wood è un bastardo. Si è fatto otto anni dietro le sbarre per abusi su minori a Tayside. È uscito, non poteva tornare a casa sua e si è stabilito qui. Ha comprato un Bed and Breakfast e ha fatto trasferire il padre dal sud per vivere con lui, perché a quanto pare il vecchio ha problemi di cuore».

«E ora è scomparso».

«Ed è per questo che non mi sto limitando a riempire un modulo».

«Proprio quello di cui avevamo bisogno».

La donna si girò, grattandosi l’interno di un gomito con una mano e facendosi avvolgere il fumo della sigaretta intorno alle dita. Non ci sarebbe voluto molto, prima che li notasse.

«Deano, parla con l’Unità Controllo Pregiudicati. Scopri chi stava controllando Wood e digli di muoversi. Non vogliamo un tipo del genere nel nostro territorio senza neanche sapere dove si trova. Di’ loro di fare subito un appello a tutte le unità, perché tengano gli occhi aperti».

«D’accordo».

«Okay, e ora togliti di mezzo, abbiamo una drogata da arrestare».

Un cenno alla Nicholson: gettarono in un bidone i gelati e puntarono verso il fondo della strada.

«Niente?». Logan spostò la presa sul braccio scheletrito della donna, mentre la Nicholson controllava la sua borsa leopardata. Grande abbastanza per contenere un blocco di cemento da costruzione o un neonato.

Un furgone li superò, con il logo della Tesco su una fiancata, lasciandosi dietro una nuvola di polvere.

Una luce calda e dorata si faceva strada nello spazio tra due edifici.

Era grande abbastanza da contenere un’altra casa, ma se un tempo ce n’era stata una, non ne restava traccia. Ora lo spazio era occupato da un parcheggio polveroso, e faceva da accesso ai garage e alle rimesse che si trovavano nei giardini posteriori delle abitazioni.

L’erba cresceva incolta alla base del muro di un metro e mezzo che formava i due lati dell’entrata priva di cancello alla terra segreta che si estendeva oltre. Chiudendo fuori dalla strada i tre.

La Nicholson tirò fuori una sorta di penna dorata, stringendola tra le dita coperte da un guanto di nitrile azzurro. «Questa mi sembra un po’ lussuosa, non ti pare, Kirstin? Touche Éclat? Mi pare di averla vista da Boots… è roba che costa una fortuna».

Kirstin Rattray si strinse nelle spalle ossute. Il gesto fece scivolare di lato la T-shirt troppo grande, esponendo la bretellina di un reggiseno verde acido tesa sulla pelle lattea. «L’ho trovata». Una serie di piccoli succhiotti violacei le correva lungo l’incavo del collo. Taglio di capelli anni ’80 e ombre scure sotto gli occhi. Zigomi così affilati da poterci sbucciare le patate.

«Certo, come no. E queste?». La Nicholson tirò fuori dalla borsa due confezioni di Chanel No. 5, ancora chiuse, e poi una di Paco Rabanne. «Hai trovato anche queste?».

Il labbro inferiore di Kirstin le scomparve tra i denti. Abbassò lo sguardo verso sinistra. «È stata lei a mettermele in borsa. Io non le ho mai viste prima».

«Non fare la stupida, Kirstin. Le hai rubate tu? O è stato qualcun altro a farlo per te?»

«Dovrei prendermi un avvocato. E denunciarvi per falso qualcosa».

«Ooh, e c’è pure un iPhone nuovo di zecca». La Nicholson lo mostrò a Logan. «Quando vivevo con il sussidio di disoccupazione, era un giorno di festa se riuscivo a permettermi delle patatine e un paio di mutande nuove nella stessa settimana. Ora invece hanno smartphone e profumi costosi». Tornò a guardare la sua nuova amica. «Fammi indovinare: l’hai trovato?».

Kirstin rovesciò indietro la testa, mettendosi a fissare il cielo limpido e azzurro. Espirò con un sibilo, mentre le ginocchia le cedevano di qualche centimetro. «Che diavolo volete?»

«Io la pace nel mondo. E lei, sergente?».

Logan aggrottò la fronte. «Io vorrei un Mars, a dirla tutta».

«Sentite, ho una figlia piccola. Si chiama Amy, ha tre anni. Giuro sulla sua vita che non ho rubato niente».

«Sul serio? E allora come mai corrispondi alla descrizione di una donna che ha rubato profumi e trucchi da una profumeria nelle vicinanze? E come mai la tua borsa è piena della roba che è stata rubata dal negozio?»

«Ve l’ho detto, l’ho trovata». Tese una mano. «Ora posso riavere la mia borsa?»

«Sergente?».

Logan lasciò andare il braccio pallido della donna. «La Polizia di Scozia la ringrazia per la collaborazione, e per aver restituito gli oggetti che ha “trovato”. Davvero molto civile, da parte sua. Cercheremo di riportarli ai legittimi proprietari». Poi scribacchiò qualcosa. «Ora dobbiamo tornare di corsa alla centrale per un impegno improrogabile, ma dopo che avremo finito, che ne dice se ci ritroviamo da lei e scopriamo se non c’è qualcos’altro che lei ha accidentalmente “trovato”?».

Kirstin tornò a chinare il capo. «Dannazione…».

Capitolo 6

Kirstin gli lanciò un’occhiataccia dalla panca della Sala Interrogatori Due. Teneva entrambe le mani di fronte a sé, torcendosi le dita, mentre la Nicholson se ne stava appoggiata alla parete alle sue spalle.

Le serrande erano abbassate, ma la luce, nella piccola stanza, era comunque quasi accecante. Il nastro antipanico scintillante e mai usato. Un foglio spiegazzato di una lavagna a fogli mobili era attaccato su una parete. Molte più sedie di quante non ne sarebbero mai state necessarie in un interrogatorio affollavano la moquette grigia.

Logan le rivolse un sorriso, per poi uscire e chiudersi la porta alle spalle.

Raggiunse così la sala d’ingresso, con il suo complicato pavimento di piastrelle beige, marrone, blu e bianche. Non si abbinavano molto bene alle pareti, bianche fino alla striscia che correva all’altezza della vita e poi blu pastello fino al soffitto. Il cartello con i livelli di minaccia alla sicurezza era appena visibile attraverso la porta aperta che dava sulle scale. A quanto sembrava, il livello di minaccia terroristica di quel giorno era “favoloso!” in grandi lettere maiuscole.

Dannati idioti del turno di giorno…

Logan lo sostituì con l’ufficiale “moderato” e inserì il codice d’accesso nella tastierina per poter raggiungere l’ufficio principale.

All’interno, il pavimento era coperto di moquette blu, le pareti erano color magnolia e sul soffitto piuttosto sporco correvano tubature squadrate di plastica. Due scrivanie opposte, posizionate in modo da darsi le spalle, circondate da pareti da postazione azzurre. Un’altra barricata dello stesso materiale separava il bancone principale – poco più che una mensola larga con una saracinesca al di sopra – dall’area della reception.

Maggie aveva aperto uno degli armadietti quadrati, in modo da mettere in carica la sua ricetrasmittente. Era una donna alta, con addosso un paio di pantaloni neri, scarpe lucide e un maglioncino di seta rosa. I capelli grigi erano raccolti in una coda sulla nuca. Aveva lineamenti affilati, da uccello. Si girò verso la barricata intorno alla scrivania principale, coperta di poster e avvisi. «Dove era finito?»

«Stavo salvando la società dall’ondata di crimine scatenata da una donna con la fissazione di rubare nei negozi». Aprì lo schedario nell’angolo e ne controllò l’interno. «Ci sono messaggi?»

«Ha chiamato l’orribile ispettore capo Steel. E poi hanno chiamato anche da Nelson Street: dicono che non potrà riavere la Macchina Grande fino a domani…».

«Non prendermi in giro. Sono stanco di non avere un’auto con una radio degna di questo nome al suo interno».

«Be’, dovrà cantare da solo, allora, ecco. Devono montare un sistema di telecamere di sicurezza nuovo».

«Ancora?»

«Lo dica al sergente Muir, non sono io quella che ha lasciato Sammy “Puzzola” Wilson sul sedile posteriore senza guardarlo a vista. Oh, e Louise del Sunny Glen ha chiamato un’ora fa».

Logan si bloccò, con una mano sulla spessa cartellina di cartoncino giallo con la scritta “divisione b – valutazione staff”. Si schiarì la voce. «Qualcosa non va?»

«Oh, no, niente di brutto. Voleva solo parlare con lei sul cambiare medicinali alla sua fidanzata, tutto qui». Maggie recuperò un paio di post-it gialli dalla scrivania e glieli tese. «Ecco qui».

Dunque non era un’emergenza. Non era accaduto nulla di male. Il respiro gli svuotò i polmoni, lasciandosi dietro un sapore metallico. Come se avesse succhiato un filo di rame. «Grazie, Maggie». Prese i post-it che lei gli stava porgendo. «Per caso riusciresti a ordinare qualche altra penna? Hector ha rubato di nuovo tutte le mie».

«Hmmph». Una piccola selezione dei quotidiani del giorno era appoggiata sulla partizione della sua postazione. Il «Press and Journal» esordiva con “tempeste sulla costa nord-orientale” a grandi lettere in prima pagina, e una foto di cavalloni che si abbattevano contro i frangiflutti del porto di Peterhead. L’«Aberdeen Examiner» apriva con “si apre il processo dello squartatore di woodland”, sopra a una foto di Graham Stirling che sorrideva con un party non meglio identificato sullo sfondo. E il «Daily Mail» aveva optato per “ancora a piede libero gli assassini della fermata dell’autobus”, con una foto di una fermata e delle figure mosse dietro a una striscia di nastro bianco e blu della polizia. “la polizia di liverpool inizia la caccia all’uomo in tutta la nazione, alla ricerca degli assassini”.

Maggie prese l’«Aberdeen Examiner» e se lo mise sotto un braccio. «Bene. Sarà meglio che vada. La cena di Bill non si cucinerà da sola». Recuperò una giacca multicolore e la borsa. «Non si dimentichi di mettere una buona parola per il mio aumento del cinque per cento». Uscì dalla porta sul retro, canticchiando tra sé e sé quella che sembrava Onward, Christian Soldiers.

Ce n’era, di gente strana, al mondo.

E… cinque per cento? Da che pianeta veniva quella donna? Sarebbe stata fortunata se fosse riuscita a ottenere tre sterline e una confezione di graffette.

Logan prese la cartella delle valutazioni, richiuse il cassetto dello schedario e controllò i post-it. Sbuffò, vedendo quello della Steel.

«chiamare ispettore capo steel a proposito di graham stirling – urgente».

Fantastico.

Logan tirò fuori il cellulare e cercò il suo nome dalla rubrica. Chiamò, e restò ad ascoltare gli squilli a vuoto.

La voce rauca della Steel gli gracchiò nell’orecchio. «Era ora. Sei pronto a testimoniare, domani? Perché se così non fosse, io ti…».

«Sì, sono prontissimo. Va tutto bene». Si appoggiò con le reni contro la fotocopiatrice.

«Meglio così. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che Graham Stirling torni a piede libero. Hai visto come lo chiama ora la stampa? Lo…».

«Lo Squartatore di Woodland. Sì, lo so. Va tutto bene. Non c’è nessun problema. Graham Stirling non andrà da nessuna parte, soltanto dietro le sbarre per i prossimi sedici anni».

«Bene». Si udì un risucchio, poi la voce dell’ispettore capo tornò. «Susan mi chiede di dirti se ti ricordi che Jasmine ha un saggio di danza sabato prossimo. Perché devi andarci, che tu lo voglia o no».

«Sabato?».

«C’è forse l’eco, lì da te? Sì, sabato. Ha fatto piroette sulle punte per settimane, facendo impazzire me e sua madre. Non vedo perché dovremmo essere le uniche a soffrire».

«A che ora?»

«Alle dodici e mezzo. Ti ho tenuto da parte un paio di biglietti. Mi devi dodici sterline. E prima che tu me lo chieda: no, non puoi portare tua madre».

Come se ne avesse voglia, poi.

Logan afflosciò le spalle. «Non ce la faccio, per le dodici e mezzo. Il sabato ho il turno di giorno, non stacco fino alle tre». Spinse la porta e uscì sulle scale, facendo riecheggiare i passi sul pavimento. «Di’ a Jasmine che mi dispiace».

«Oh, no, non andrà così. Non farò il lavoro sporco al tuo posto. Tu chiamerai tua figlia e le dirai perché il suo papà non può andare più a vederla da nessuna parte».

Lui chiuse gli occhi e sbatté la testa contro la parete. «Ne abbiamo già parlato».

«Lungi da me fare…».

«È stata lei a farmi trasferire qui! La colpa è sua». Salì fino al primo piano. «Cosa dovrei fare, sparire nel mezzo di un turno? Questo non è il cid, okay? Le divisioni di polizia non funzionano così». Svoltò a sinistra, in cima alle scale, e si fermò fuori dalla porta blu: “ispettore di banff e buchan”. Una placca d’ottone era stata sistemata sopra alla qualifica: “wendy mcgregor”.

«Boo-hoo, povero piccolo Logan». Si sentì di nuovo il risucchio. «Sei fortunato che non sono…».

Lui chiuse la telefonata. Spense il cellulare e lo spinse con rabbia in tasca. E se ne rimase lì per un po’, a digrignare i denti.

Come se non avesse già abbastanza di cui preoccuparsi.

Un respiro profondo.

Conta fino a dieci.

Su le spalle.

Poi allungò una mano e bussò alla porta dell’ufficio dell’ispettore.

«Prego».

Entrò nella stanza. Aveva più o meno le dimensioni di quella che lui condivideva con gli altri al piano di sotto, ma con la moquette blu nuova e sedie che non davano l’impressione di potersi autodistruggere al solo pensiero di usarle. Un tavolino rotondo e una scrivania lucida. Due lavagne magnetiche sulle due pareti opposte, quasi completamente coperte di cartine e mappe. E una vista spettacolare dalla finestra all’angolo, sul porto di Banff e la sua baia.

L’ispettore era dietro la scrivania, con una T-shirt nera e due mostrine scintillanti su ciascuna spallina. I capelli tirati indietro a incorniciare un viso a cuore, grigi sulle tempie. Si tolse gli occhiali e accennò a una delle sedie per gli ospiti. «È venuto davvero? Sicuro di sentirsi bene? Non è riuscito a trovare una scusa per disimpegnarsi?».

Logan sentì il calore dell’imbarazzo risalirgli tra le scapole e bruciargli le orecchie. «Priorità operative…».

«Si sieda, si sieda». La donna prese un taccuino e una penna d’argento. «Allora, quattro mesi di nuovo in uniforme».

Lui si lasciò cadere sulla sedia e posò sulla scrivania la cartellina che portava con sé. «Come è andata al Broch Braw Buys?»

«Di sicuro si tratta dei nostri soliti amici predatori di casse. Dentro e fuori in meno di due minuti. Se si trova a passare da Fraserburgh, stasera, mi faccia un favore e vada a dare un’occhiata. È ora che prendiamo quegli idioti».

«Posso andarci anche adesso, se vuole».

«No, non voglio. Voglio le valutazioni».

Almeno ci aveva provato. Picchiettò la cartellina con le dita. «Sono tutte aggiornate. Un paio di apprendisti dovrebbero a mio parere essere supervisionati un po’ di più, e Greeny, di Peterhead, ha bisogno di qualche calcio nel sedere, ma per il resto, se la stanno cavando tutti bene».

«E lei?»

«Io vorrei far cominciare all’agente Scott il corso per il diploma. Sarebbe anche ora che diventasse sergente».

Lei gli sorrise. «No, intendevo dire: che mi dice della sua condotta?».

Ah. Si piegò in avanti, intrecciando le dita in grembo. «Io sto bene».

L’ispettore McGregor prese un foglio dal contenitore della posta in arrivo, inforcò di nuovo gli occhiali e lo osservò. «“Come sergente, Logan McRae continua a integrarsi bene con le varie sezioni della Divisione b. Gestisce due squadre di agenti, oltre alla sua di quattro persone, e offre un appropriato supporto ai sergenti delle stazioni di polizia di Fraserburgh e Peterhead. Il sergente McRae assiste in servizio attivo l’area della polizia locale, e affronta regolarmente con i compagni di servizio le sfide locali. Ha eccellenti qualità interpersonali e risponde bene alla direzione”».

Logan non si mosse. «Direzione?».

La donna si strinse nelle spalle. «Be’, dovevo metterci qualcosa». Diede una scrollata al foglio e continuò a leggere: «Da quando è arrivato a Banff, la percentuale di casi risolti nella Divisione b è notevolmente aumentata, con un particolare successo per quanto riguarda i problemi associati all’uso di stupefacenti, come effrazioni, comportamenti antisociali e spaccio». Mise giù il modulo, a quel punto. «Pensa che dovrei aggiungere altro?»

«Maggie vorrebbe un aumento. Del cinque per cento».

«Del cinque per cento?». L’ispettore McGregor arricciò il labbro superiore. «Per caso si è messa a fumare la cannabis che abbiamo sequestrato la settimana scorsa?»

«Riesce a immaginare cosa succederebbe se levasse le tende? Chi altro potrebbe riempire i suoi moduli, aggiornare lo storm e controllare la produzione e l’ufficio? E ordinare le penne quando Hector le ruba tutte? E inoltre, lei è l’unica che sa come far funzionare le telecamere a circuito chiuso della stazione».

L’ispettore si sfilò gli occhiali e alitò sulle lenti, pulendole poi con il bordo della T-shirt nera. «Logan, il resto dello staff di supporto sarà fortunato se otterrà l’un per cento, altro che cinque».

Lui sollevò le mani. «Le avevo promesso di provarci. Lei…».

La ricetrasmittente dell’ispettore pigolò. «Bravo India, possiamo parlare?».

Lei sospirò. Si afflosciò appena. Poi premette il pulsante. «Prego, parlate pure».

«La squadra seb alla fine è arrivata da Aberdeen. Parlano tutti di straordinari per occuparsi della rapina al Broch Braw Buys. Dicono che ci metteranno almeno sei ore. Per lei va bene?».

L’ispettore McGregor fissò il soffitto per un attimo. «D’accordo. Ma digli che hanno quattro ore, non sei. Non esiste che perdano tempo approfittando del mio budget».

«Certo».

Lei lanciò la ricetrasmittente in un cassetto della scrivania e lo chiuse. «Un piccolo consiglio riguardo alla carriera, Logan: mai, mai offrirsi volontari per fare l’ispettore». Ci fu una breve pausa, mentre la donna digitava qualcosa sulla tastiera del suo computer. Poi tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia. «Bene: cosa mi dice delle sue azioni per lo sviluppo nei prossimi quattro mesi?»

«Mi vorrei concentrare sulla lotta alla droga. Vorrei Frankie Ferris dietro le sbarre prima della fine dell’estate».

Un’espressione quasi dolente solcò il viso dell’ispettore. «Frankie Ferris. Di nuovo».

Logan si strinse nelle spalle. «È stato già beccato due volte per spaccio. Ancora una, e vincerà un orsacchiotto gigante e una vacanza di sette anni. Cosa c’è che non va?»

«Lei ha un’ossessione per quell’uomo». La donna scosse la testa, prendendo appunti sul taccuino. «Non ci sarebbe qualcosa di un po’ meno spigoloso, tra le sue idee? Magari un miglioramento nell’affiatamento con la comunità? Per esempio…». Sporse la punta della lingua dall’angolo delle labbra e lesse a voce alta quello che aveva scritto: «“Miro a costruire legami più forti con i cittadini di Banff, Macduff e Portsoy. Ritengo che fare leva sulle opportunità di collaborazione con la comunità valorizzerà le possibilità del corpo di polizia attraverso lo sfruttamento di informazioni”».

Logan la fissò. «Fare leva sul valore delle possibilità?»

«Non diventerà mai qualcosa di più di un sergente, se non impara il linguaggio del management. Quando si diventa ispettori, è come svegliarsi in una nazione straniera dove tutti hanno la sindrome di Tourette e non fanno che ripetere frasi fatte. All’ultima riunione di divisione dove sono stata, uno se ne è uscito con: “Come possiamo incentivare i nostri azionisti ad accettare il pensiero a trecentosessanta gradi il centouno per cento del tempo?”. Giuro su Dio, e senza neanche l’ombra di un sorriso».

Logan si premette la radice del naso tra pollice e indice. Sembrava che qualcuno gli avesse piazzato un ratto dietro agli occhi. Un ratto furioso, che mordeva e graffiava.

La Nicholson gli batté una pacca sul braccio. «Coraggio, sergente, ancora sette ore».

L’appartamento di Kirstin Rattray era in cima a un grigio palazzone popolare su Saint Catherine Street. Si trovava all’inizio di una fila di edifici senz’anima che torreggiavano sulle più piccole e tradizionali case scozzesi dall’altra parte della strada. Minacciosi come bulli pronti a picchiare i compagni indifesi, rubando loro i soldi del pranzo.

L’appartamento, più che ammobiliato, era… schifoso. La carta da parati si staccava a pezzi dalle pareti della cucina. Nel bagno le piastrelle erano rotte e sembravano non vedere da anni una goccia di ammoniaca. Un odore di muffa, sudore e sporco aleggiava nella camera da letto. La vista fuori dal soggiorno era magnifica, giù lungo la collina e sopra i tetti circostanti, fino al mare. Ma quella all’interno era qualcosa di molto diverso.

Kirstin si lasciò scivolare su un divano di velluto marrone che aveva visto tempi migliori. Un finto quadro a olio, di quelli che si potevano stampare e comprare partendo da una foto da Tesco o da Argos, era appeso sopra al caminetto, in una pacchiana cornice dorata. Una bimbetta di due o tre anni, con i capelli color topo, mostrava il suo sorriso parzialmente sdentato dal centro della cornice. Un nasino a patata e un paio d’occhi scintillanti. Un orsacchiotto di pezza e due dinosauri erano sistemati sotto alla fotografia, sulla cappa del caminetto. Come un altare.

Era l’unico angolo pulito di tutto l’appartamento.

La Nicholson tirò fuori un computer portatile da dietro la libreria. «Nient’altro?».

La donna si strinse nelle spalle ossute.

Il mucchio di refurtiva sul tavolino era cresciuto notevolmente. Cellulari, lettori mp3, qualche gioiello, duecento sterline in contanti, e trucchi e profumi assortiti.

Logan raccolse uno smartphone piuttosto nuovo, rigirandolo tra le dita inguantate di nitrile azzurro. «Parecchia di questa roba non sembra rubata nei negozi, Kirstin. Sembra frutto di furti con scasso. Quand’è che ti sei data alle effrazioni?».

Lei mantenne gli occhi sulla macchia marrone scuro sul cuscino del divano accanto a sé. «Gliel’ho già detto: non ho rubato niente. Sono cose che ho trovato».

«Scommetto che possiamo collegare la maggior parte di questi oggetti a denunce di furti».

«Non sono miei!».

La Nicholson posò il portatile e tirò fuori dal divano il cuscino macchiato. C’era una scatola di latta nascosta tra le molle arrugginite e il logoro tessuto di supporto. La foto sul coperchio era di biscotti Jammie Dodgers, in particolare delle strane ciambelline rosa. «Bene, bene, bene…».

Sul divano, Kirstin lanciò uno sguardo alla scatola e poi lo distolse. Si agitò appena. «Quella non ha niente a che fare con me…».

La Nicholson prese la scatola e la aprì. Per un attimo ne fissò il contenuto. «Sergente?». Poi la tese a Logan. All’interno c’era un mucchietto di pacchetti di alluminio, insieme a una bustina di plastica piena di polvere bianca; un pezzetto di hashish marrone grande quanto l’unghia di un pollice, avvolto in pellicola trasparente; e un pacchetto di cartine Rizla.

Kirstin si piegò in avanti fino ad appoggiare il petto contro le ginocchia, coprendosi la testa con le braccia. «Quella roba non è mia…».

Logan posò di nuovo il cellulare nel mucchio di oggetti “trovati” e osservò meglio l’interno della scatola. Era sicuramente abbastanza per accusarla di possesso di droga. E forse perfino ai fini di spaccio. «Dunque, Kirstin. Sembra che tu sia un tantino nei guai».

«Non è mia», ripeté lei, con la voce soffocata dalle ginocchia.

«D’accordo. L’hai trovata, scommetto». Restituì la scatola alla Nicholson.

Lei la richiuse. «Quanto pensa che potrebbero darle, sergente? Quattro anni? Cinque, forse?».

Logan arricciò le labbra e risucchiò una boccata d’aria tra i denti, con una smorfia. «Dipende dallo sceriffo. Harding, al momento, ha la mano pesante quando si tratta di droga; potrebbe perfino arrivare a sette anni, se si dovesse convincere che siamo davanti a un caso di spaccio».

«Capisco…». La Nicholson si accigliò, perdendo lo sguardo nel vuoto. Si massaggiò il mento. Infine schioccò le dita. «Ci sono! E se Kirstin, qui, provasse a fare un accordo con noi? Insomma, se decidesse di darci una mano?».

Lui incrociò le braccia sul petto. «Be’, non saprei. Diciamo che al momento mi servirebbe una mano piuttosto grande, ecco».

Kirstin mugolò. Si raddrizzò e si abbandonò contro lo schienale del divano, per poi coprirsi il viso con le mani. «Non avete sentito da me quello che sto per dirvi, okay?».

Silenzio.

«Non abbiamo sentito cosa, Kirstin?»

«Klingon e Gerbillo hanno ricevuto un carico dal sud, oggi».

La Nicholson fece scivolare la scatola di latta in una grossa busta per le prove. «Cocaina? Eroina? Hashish? Crack? Barbiturici? Caramelle? Cosa?».

Un’alzata di spalle.

Logan aggrottò la fronte. All’esterno, si udì il rumore di un’auto che passava. «Questa consegna è stata fatta per caso da un tipo con una brutta faccia in una Fiesta blu nuova, con l’accento di Birmingham?». Poi si passò un dito lungo la mascella. «Con parecchi foruncoli qui? Si fa chiamare Martyn con la y, oppure Paul, o Dave».

«Non lo so. Non l’ho mai incontrato. Ma Gerbillo è tutto contento perché pensa che ora sta lavorando in un giro grosso. Non ha fatto che vantarsi, ieri sera, da queste parti». Kirstin lasciò ricadere le mani, scoprendo il viso. Alzò lo sguardo sul finto ritratto della bambina. «Non potete dirgli che ve l’ho detto. Mi ucciderà».

«Kevin “Gerbillo” McEwan? Avresti più possibilità di essere uccisa da una pecora». Logan alzò il pollice verso il soffitto. «In piedi».

«Me lo dovete promettere! La mia Amy non deve crescere orfana».

La Nicholson aveva preso il suo taccuino. «Dove tengono la roba?».

Kirstin alzò lo sguardo su Logan. «Posso vedere Amy solo nei weekend, la vado a trovare con la supervisione dei servizi sociali. Sto cercando di cambiare, davvero, ci sto provando». Si grattò l’incavo del braccio, staccando dalla pelle le croste lasciate dai segni dell’ago. «Per favore…».

«Non finché non ci dici dove si trova la roba».

«A casa di Klingon. Sua madre è in Australia per un mese».

«D’accordo». Logan staccò la ricetrasmittente dalla giacca e puntò verso la porta. Indicò il mucchio di oggetti sul tavolino. «Nicholson, assicurati che quella roba sia impacchettata e catalogata. Ti aspetto fuori». Premette il codice dell’ispettore McGregor mentre scendeva le scale. «Bravo India da Pattuglia Sette, possiamo parlare?»

«Logan, sta andando a Fraserburgh, per caso? Perché il caso della cassa rubata è un casino totale. Come è possibile che non abbiamo un supervisore della scena del crimine esperto in servizio?»

«Io sto per fare un raid in una casa di Banff».

«Cosa? Adesso?».

«Appena ci arriverò». Spinse il battente del portone e uscì nel sole del pomeriggio. «Ho appena scoperto che Kevin McEwan e Colin Spinney hanno preso possesso di un carico di stupefacenti proveniente dal sud, e l’hanno nascosto in casa di Spinney. Se ci muoviamo in fretta, potremmo beccarli prima che venga diviso e sparisca nel nulla».

«Klingon e Gerbillo stanno facendo carriera, quindi?»

«A quanto pare, ci stanno provando».

Silenzio.

Un gabbiano si librò sopra di lui, le ali di un bianco perfetto contro l’azzurro terso del cielo.

«Capo?»

«Ci servono delle prove».

«Ho un faldone pieno di denunce di gente che si lamenta perché quei due spacciano da casa di Gerbillo».

«Un momento…». Logan sentì una conversazione soffocata in sottofondo. Poi di nuovo silenzio.

Logan si appoggiò con la schiena alla parete dell’edificio, con un piede premuto contro la facciata di un grigio sporco.

Un secondo gabbiano si unì al primo, volando in lenti e ampi cerchi e planando verso il mare aperto.

«È ancora lì? Mi mandi per email l’indirizzo e le farò avere il mandato. Il preavviso è troppo breve per far arrivare l’Unità di Supporto Operativo, ma può avere un furgone e due agenti in più da Inverurie».

«Mi serve che siano esperti nella ricerca di droga. E ho bisogno di un’unità cinofila».

«Mi sta chiedendo parecchio, lo sa, vero?»

«È la nostra migliore opportunità per trovare il carico di Klingon e Gerbillo».

Un sospiro. «Vedrò cosa posso fare. Ci vorranno un paio d’ore per organizzare tutto, però. Resti nei paraggi: andremo alle nove di stasera».

«Grazie, capo».

«Si assicuri, però, che ci sia qualcosa da trovare».

Il telefono sulla scrivania continuava a squillare. Logan prese il post-it, si tappò un orecchio con un dito premendo il cellulare contro l’altro e uscì dall’ufficio principale per raggiungere il corridoio. «Scusami, stavi dicendo?».

La voce di Louise si fece sentire tra le interferenze della linea. «Non sto dicendo che sarà per forza un problema, ma dobbiamo considerarlo. La salute di Samantha deve essere la tua priorità».

Superò la mensa e il bagno degli uomini, entrando nell’ufficio degli agenti.

All’interno, altri telefoni stavano squillando, mentre la Nicholson afferrava un taccuino e cominciava a prendere appunti. «Uh-uh, sì, signore. Lo farò, signore». Si era tolta il giubbotto antiproiettile, esponendo i cerchi di fango sotto le maniche della T-shirt nera. Come macchie di sudore sporco.

Logan le posò davanti il post-it, al centro della scrivania.

Lei annuì.

«Quest’infezione alle vie respiratorie si trascina da due settimane, ormai, e vorrei davvero vedere se riusciamo a sconfiggerla una volta per tutte».

«E non ci sono rischi?»

«C’è sempre un minimo di rischio, quando si cambia la terapia a un paziente. Ma un’infezione alle vie respiratorie è una cosa seria per una persona rimasta in coma per tanto tempo, come Samantha».

La Nicholson doveva aver concluso la sua telefonata, perché recuperò il post-it e strinse gli occhi per leggerlo, per poi sventolarlo verso Logan. «Cosa dice?»

«Okay, e allora cambiamo la terapia». Posò una mano sul ricevitore. «Dice: “Abbiamo un’unità cinofila che verrà da Aberdeen”».

«Ah, sì?». Lei strinse gli occhi ancora di più. «Ha mai pensato di diventare un medico?»

«Passerai, domani?»

«Non posso, sarò in tribunale tutto il giorno. Ma verrò mercoledì: va bene intorno alle dieci?».

La Nicholson prese un pennarello e puntò alla lavagna magnetica appesa sopra al termosifone. Poi scrisse “unità cinofila” nella colonna con il titolo “vantaggi”.

«Perfetto. E dobbiamo cercare di farti diventare quanto prima il tutore legale di Samantha».

«Io odio…».

«Lo so. Ma se vuoi prendere delle decisioni riguardo agli interventi medici, abbiamo bisogno di qualcosa di un po’ più formale e legale del fatto che sei il suo fidanzato, capisci? È importante, Logan».

Un peso insostenibile sembrò premergli sulle spalle, facendole afflosciare. «Okay. Ne parleremo mercoledì».

«Fidati di me: è la cosa giusta da fare. Vedrai». E poi chiuse la telefonata.

Logan ripose il cellulare in tasca e si voltò a guardare la lavagna magnetica. Inverurie aveva ritirato l’offerta dei due agenti in più, a quanto pareva per una violenta rissa fuori da Specsavers. Ma l’ispettore era riuscito a tirare fuori un agente esperto in operazioni antidroga da Mintlaw, e un altro da Fraserburgh. I due si aggiungevano alla Nicholson, a Deano, Ciuffo e Logan: sei agenti, un membro dell’unità cinofila, un grosso pastore tedesco e un labrador dall’olfatto imbattibile quando si trattava di trovare sostanze stupefacenti.

Sarebbe potuta andare peggio. Almeno, avevano soltanto un indirizzo da controllare. Non era una di quelle follie con due possibili obiettivi in contemporanea.

Il telefono dell’ufficio squillò. La Nicholson sollevò il ricevitore. «Stazione di polizia di Banff, come posso aiutarla?».

Con un po’ di fortuna, poteva essere la chiamata che confermava l’arrivo del loro mandato. La madre di Colin “Klingon” Spinney avrebbe avuto un bello shock, al ritorno dall’Australia.

La ricetrasmittente di Logan suonò.

«Sergente?». Era Deano.

«Puoi parlare. Dove sei? Prendi Ciuffo e tornate subito qui, abbiamo un’operazione da pianificare. Un carico di droga…».

«Oh, no». Un respiro profondo. «Sergente, ho bisogno di lei qui alla Tarlair Swimming Pool. Subito».

«Non dire sciocchezze, è…».

«Sergente, c’è un cadavere. Di una bambina».

Dio santo… Un pedofilo scomparso e una bambina morta, nello stesso giorno. Afferrò il berretto dell’uniforme. «Arriviamo».

Capitolo 7

«…che intende con “il raid antidroga deve attendere”?».

Logan afferrò la maniglia sopra lo sportello del passeggero mentre la Nicholson procedeva a tutta velocità lungo Low Shore, oltre le squadrate casette con terrazzo di Newton Drive, a sirene spiegate e lampeggianti accesi.

L’ispettore McGregor aveva la voce di chi stesse masticando una vespa. «Ha idea di quanti fili ho dovuto tirare per farle avere gli agenti di supporto, il furgone e i cani? E non parliamo del mandato, è…».

«Ci hanno appena segnalato il ritrovamento del cadavere di una bambina alla Tarlair Swimming Pool».

Le case, con i loro tetti di tegole rosse, svanirono nello specchietto retrovisore. Ora non c’era nulla a tenere compagnia all’auto, tranne la recinzione di rete metallica tra questa e le colline a sinistra della strada.

Un sospiro che sembrava un sibilo. «E non poteva dirmelo subito?»

«Mi scusi, capo. Gli agenti Scott e Quirrel stanno mettendo in sicurezza la scena del crimine. Abbiamo un orario previsto di arrivo?», domandò poi, guardando la Nicholson e sollevando entrambe le sopracciglia.

Lei scalò la marcia e svoltò con decisione. «Se vado più veloce che posso…».

L’ago del tachimetro toccò i 140 chilometri orari.

«Diciamo due minuti».

L’impianto di depurazione si fece vedere brevemente a sinistra, e la Nicholson schiacciò il piede sul pedale del freno, facendo derapare la macchina e affrontando uno stretto tornante, con un grande stridore di gomme.

La Tarlair Outdoor Swimming Pool comparve in lontananza. Un gruppo di squadrati edifici art deco, non più grandi di prefabbricati, era circondato su tre lati da pendii rocciosi, mentre il quarto si apriva direttamente sul mare. Le pareti intonacate di bianco, e ormai tendenti al grigio per la mancanza di manutenzione, scintillavano sotto il sole del tramonto. Le due piscine esterne vuote e in rovina, davanti a loro.

«È già stata identificata?».

Logan spense le sirene. «Non ancora. Non abbiamo alcuno staff di supporto a Banff dopo le cinque. Può per caso trovarci qualcuno?».

La strada proseguiva in una ripida discesa dopo l’ennesimo tornante; cespugli di ginestra si ammucchiavano a destra, come un muro di fuoco, mentre a sinistra si vedeva chiaramente la baia. Scogli scuri creavano l’illusione di sottomarini spezzati e relitti di navi nell’acqua scintillante. La schiuma bianca ne segnava i confini, mentre le onde tentavano di coprirli, raggiungendo la spiaggia sassosa e grigia.

«Avete idea se sia un incidente o…?»

«Lo spero. Abbiamo un pedofilo scomparso, nel nostro elenco: Neil Wood. È sparito tre giorni fa. Suo padre ha denunciato la scomparsa soltanto oggi».

«Ci mancava solo questa…». La voce dell’ispettore si fece lontana e soffocata, come se tenesse una mano davanti al microfono, bloccando in parte gli ordini che stava gridando a qualcuno in sottofondo; stava dicendo di chiamare d’urgenza gli esperti al momento sulla scena del furto di cassa a Fraserburgh.

L’asfalto liscio cedette il posto a un tratto pieno di buche. L’erba, alta fino alle ginocchia, fiancheggiava la strada, punteggiata di tanto in tanto dai fiori rosa dell’epilobio. L’autopattuglia sobbalzò sulle sospensioni, affrontando l’asfalto malandato, poi prese a dondolare piano quando la Nicholson rallentò. Il rumore del paraurti che strisciava contro la superficie irregolare.

La strada finì in un vicolo cieco, proprio davanti all’entrata della piscina. C’era un solo ingresso, che fungeva anche da uscita. Be’, sempre che non si volesse passare da un sentiero tra gli scogli, partendo dal campo da golf.

La voce dell’ispettore McGregor si fece di nuovo sentire a pieno volume. «Logan, devo sapere al più presto se si tratta di una morte sospetta. Devo chiamare il Team Investigativo Primario oppure no? E poi bisogna cordonare la scena. Arrivo subito, mi serve solo il tempo per trovare qualcuno che gestisca le questioni amministrative al suo posto».

Logan rimise a posto la ricetrasmittente.

Il piccolo furgone della polizia di Deano e Ciuffo era parcheggiato in mezzo alla strada, tra due rocce irregolari, e bloccava l’ingresso. Avrebbe avuto bisogno di una lavata, tanto era diventata grigia la vernice bianca della scocca, ma la striscia di quadrati blu e gialli sulla fiancata scintillava alla luce dei lampeggianti dell’autopattuglia.

Non c’era traccia di nessuno dei due.

La Nicholson premette il pulsante per spegnere anche i lampeggianti.

Silenzio.

Logan prese il berretto. «Prendi il nastro e chiudi la strada. Non voglio nessuno nelle vicinanze». Si voltò sul sedile, poi indicò la cima della collina, dove si trovava il primo tornante. «Sarà meglio farlo dall’altra parte del depuratore. Non vorrei che qualche idiota con un teleobiettivo scatti qualche foto da consegnare ai rotocalchi».

«Sergente».

Non appena richiuse lo sportello del passeggero, la vide tornare indietro in retromarcia in mezzo alle buche. Poi fece una rapida inversione in tre tempi e accelerò, allontanandosi.

Logan si voltò. Aggirò il furgone e chiamò Deano sulla ricetrasmittente.

Ma prima di poter premere il pulsante per avviare la comunicazione, Ciuffo comparve, camminando lungo la spiaggia sassosa, le braccia spalancate come se stesse facendo il funambolo. Si fermò. Arretrò di un paio di passi. Poi gli rivolse un ampio cenno. «Sergente? Da questa parte».

Logan lo seguì attraversando la spiaggia sassosa, evitando la strada. Radici strappate di alghe si aggrappavano alla linea dell’alta marea, pallide e sbiancate come mille tibie umane. Tutto sapeva di ozono e di sale, con un vago odore di pesce marcio in sottofondo. Ciuffo si guardò alle spalle. «Un tizio era da queste parti per scattare foto per un progetto sul decadimento urbano. Un ragazzo che sta seguendo un corso universitario di fotografia all’Aberdeen College. Insomma, si è spaventato. Poi ha pedalato fino a Macduff sulla sua bici, ci ha visti lì al porto e fine della storia».

Logan annuì, mentre i ciottoli gli scricchiolavano e scivolavano sotto i piedi. «Gli avete confiscato la macchina fotografica?»

«Deano ha preso la scheda di memoria». Ciuffo accennò a destra, verso un malandato terrapieno di cemento. «Da questa parte».

«Perché lo studente non ha chiamato il numero di emergenza? Pensavo che ormai un cellulare ce l’avessero davvero tutti».

Ciuffo accennò un sorrisetto e si strinse nelle spalle. «Si è fatto prendere dal panico. Ha detto che non riusciva a ricordare il numero. Bisogna arrampicarsi un po’, mi dispiace…». Salì sul terrapieno, raggiungendo un tratto erboso. Poi superò un gruppo di rocce coperte di licheni.

«Sei sicuro di sapere dove stai andando?»

«Deano ha detto che nessuno sarebbe mai riuscito a passare da qui trasportando un cadavere. Quindi, ecco… sto seguendo l’avvicinamento più sicuro per non inquinare la scena del crimine». Dopo un’altra arrampicata, si ritrovarono su una sporgenza sopra le piscine. Ciuffo fece un cenno. «Laggiù».

Il luogo era diviso a metà. Davanti agli edifici principali c’era una serie di ampi gradini da anfiteatro di cemento grigio scuro e macchiato, con i bordi coperti di vecchio intonaco ormai danneggiato. Si chiudevano intorno a una piscina bassa, a forma di d, secca come un torrente in estate, e con la parete che la separava dallo spazio principale danneggiata e in parte crollata. Dall’altro lato, l’acqua arrivava a metà del muro. Una spiaggetta sassosa si intravedeva da un lato, chiaramente artificiale e sparsa di frammenti di tubature e altri scarti arrugginiti. Poi il frangiflutti e subito dopo la vasta distesa blu del Mare del Nord.

Una figura scura era china all’estremità più lontana della piscina, con una striscia di nastro giallo e nero che gli pendeva da una mano: “scena del crimine – vietato l’accesso”. Deano. Alzò entrambe le braccia per salutarli. «Sergente!».

Ci volle un attimo in più per riconoscere il cadavere. Grigio contro uno sfondo altrettanto grigio.

Non era un errore, dunque.

Pochi centimetri sotto alla sporgenza su cui si trovavano c’era il tetto piatto e fatiscente di quella che sembrava una vecchia stazione di pompaggio. Logan non avrebbe rischiato per nulla al mondo di scendere su quel tetto. «Come si va avanti su questo avvicinamento sicuro?»

Ciuffo indicò. «Da quello che possiamo presumere, deve averla portata in linea retta dall’entrata, laggiù, lungo il bordo, per poi usare la passerella tra le due zone e gettarla nella piscina». Il giovane agente afflosciò le spalle. «Avrei voluto fare qualche ricerca, ma Deano non me l’ha permesso. Ha detto che dovevo restare quassù».

La giusta procedura. Incredibile ma vero.

Logan scese con attenzione lungo la parete rocciosa per raggiungere i gradini dell’anfiteatro. Non c’era modo di raggiungere Deano senza attraversare il percorso dell’assassino. Be’, sempre che non avesse deciso di passare sul frangiflutti, ma sembrava stretto e scivoloso di alghe verdastre. E, secondo il cartello all’entrata, c’erano due metri di vuoto da lì agli scogli al di sotto. Quindi no, decisamente no.

Sempre che poi ci fosse stato davvero un assassino.

Indicò Ciuffo. «Per come siamo combinati adesso, tu dovrai fare il gestore della scena del crimine. Dovrai registrare la data e l’ora e tutti i nominativi di chi si è avvicinato al cadavere. Controlla l’entrata e assicurati che nessuno la oltrepassi se non sono io a permetterlo. Nessuno. Non mi interessa se si tratta del Capo della Polizia in persona, se ne resterà pure lui nel parcheggio finché non sarò io a dire il contrario. Siamo intesi?»

«Sì, signore».

Bene.

Si spostò a destra, scese nella piccola piscina vuota a forma di d e avanzò lungo i detriti e i rifiuti fino all’estremità opposta.

Deano piantò un paletto di metallo in una fessura nel cemento pieno di crepe intorno a lui e fece passare il nastro nell’estremità ritorta. Poi passò a un altro paletto, lasciandosi dietro una striscia di nastro giallo e nero. Sospirò. «Povera piccina».

Logan si fermò davanti al nastro e sbirciò oltre la passerella fatiscente. «È una morte sospetta?».

Deano fece una smorfia. «E quando mai quella di un bambino non lo è?»

«Già». Logan si avvicinò e passò sotto il nastro giallo e nero.

La bambina non poteva avere più di cinque o sei anni. La stessa età di Jasmine. Lo stesso colore di capelli…

Qualcosa gli si annodò al centro del petto, compresso dal pugno serrato del giubbotto antiproiettile fino a diventare un nucleo duro e tagliente.

Ma non era lei.

Si lasciò sfuggire un sibilante sospiro.

Deano posò il nastro a terra. «Tutto bene, sergente?».

Lui sbatté le palpebre. Poi si schiarì la gola, disfando quel nodo insopportabile. «Sì. È solo che… somiglia a Jasmine».

La bambina era distesa a faccia in giù, a circa un metro dalla lurida parete di cemento e dalla rampa che scendeva nella piscina. Era immersa per metà nell’acqua. La testa, le braccia e il torso galleggiavano tra i detriti, mentre la parte inferiore del corpo era abbandonata sulle rocce.

Una gamba era allungata dietro di lei, con una scarpetta rossa che puntava verso l’edificio principale. Sembrava che la cinghia intorno alla caviglia si fosse incastrata in un pezzo di tubatura arrugginita, tenendola bloccata dov’era. L’altra gamba era distesa quasi ad angolo retto. Calzini bianchi e una gonna grigia, completamente coperta di un sottile strato di cristalli bianchi.

Il maglioncino grigio era fradicio, strappato tra le spalle e ai gomiti, a mostrare la camicia bianca al di sotto. Un’uniforme scolastica.

La pelle era bianca come la neve, coperta di piccoli graffi e minuscoli buchi triangolari. Le mani gonfie e pallide. Il collo piegato in un angolo innaturale.

La guancia posava su una pietra sommersa. Gli occhi erano aperti, sotto la superficie torbida dell’acqua. La bocca spalancata. I capelli biondi le fluttuavano intorno al viso. Una grossa, evidente contusione sulla fronte.

Deano legò il nastro sull’ultimo paletto di metallo. «È sicuro di stare bene?».

Logan si strinse nelle spalle. «Sì. È stato solo un attimo di sorpresa, tutto qui».

«Be’, se fosse stata mia figlia, avrei scuoiato vivo quel figlio di puttana…». Poi tirò su con il naso. «Ecco, se avessi dei figli».

Logan scese lungo la rampa, con gli stivali che scivolavano sul cemento coperto di muschio, e si accosciò sul bordo della piscina. Si leccò la punta dell’indice e la picchiettò sulla scarpetta rossa. Poi portò il dito alla lingua. Sale.

«Deano, quando arriva l’alta marea?»

«Non ne ho idea. Ma possiamo sicuramente scoprirlo».

«Di sicuro non un incidente?». L’ispettore McGregor stava praticamente urlando, per farsi sentire al di sopra delle sirene dell’autopattuglia in cui si trovava. «Ne è sicuro?»

«Per quanto posso esserlo senza toccare la scena del crimine». Logan tornò verso la strada, togliendosi i guanti di nitrile azzurro e ficcandoli in una busta di plastica vuota. Le dita tremavano, lottando contro il sottile strato di gomma. «Sembra che qualcuno le abbia spaccato la testa, ma non c’è traccia di sangue sulla passerella né sul muro, né sui gradini. Quindi non è successo mentre cadeva nella piscina. L’ipotesi più probabile è che fosse già morta quando è finita in acqua. Probabilmente da un paio d’ore. A un certo punto deve essere stata completamente sommersa: la gonna, le gambe e le scarpe sono coperte di cristalli di sale». Si fermò, espirò con forza. «Doveva avere solo cinque o sei anni».

L’ululato delle sirene risuonò dalla sua ricetrasmittente.

«Capo?»

«Sarò lì entro cinque minuti. Avete cordonato la scena del crimine? E avete già diramato una richiesta di ricerca a tutte le unità per Neil Wood?»

«Deano l’ha inviata appena abbiamo scoperto che quell’uomo era scomparso. Non so se sia già stata diramata o meno».

«Santo Dio, Logan, è…».

«Ha detto che dovevo tornare da lei prima possibile». La busta di plastica gli finì in tasca. «Pensavo che questa fosse la priorità».

Un sospiro, appena udibile nel rumore di sottofondo. «Immagino che lei abbia ragione».

Deano tornò indietro lungo la spiaggia di ciottoli, raggiungendo a sua volta la strada. Si fermò e scosse una gamba, come se fosse finito in una pozzanghera. Le onde sciabordavano contro la spiaggetta di sassi.

«Capo, è ancora lì?»

«Sì. D’accordo. Faccio arrivare il Team Investigativo Primario da Aberdeen appena possibile. Si assicuri che nessuno tocchi niente finché non sarò lì».

«Ho già messo l’agente Quirrel a gestire la scena».

«Ciuffo è il nostro gestore della scena del crimine?… Fantastico… Siamo rovinati». E questa volta chiuse davvero la comunicazione.

Deano si avvicinò, con una scarpa che lasciava orme umide sull’asfalto sbiadito dal tempo, mentre Logan chiamava con la ricetrasmittente l’assistente per le questioni amministrative che l’ispettore McGregor aveva trovato per loro.

La donna dall’altra parte della linea rispose quasi subito. «Sergente McRae?»

«Ho bisogno che lei controlli tutte le persone scomparse di età inferiore agli undici anni». La bambina sembrava molto più piccola, ma non aveva senso correre rischi inutili. «Femmina. Bionda. Con l’uniforme della scuola addosso: grigia con calzini e camicia bianchi. Scarpe e cravatta rosse. Nessuno stemma scolastico sul maglione».

«Dove cerco?».

Deano gli si fermò di fronte e si indicò. Poi, in labiale, gli chiese: «C’è qualcosa che posso fare?»

«Sarà meglio che cominci dal nord-est e si allarghi da lì. Estenda la ricerca a tutto il Regno Unito, se necessario». Staccò il dito dal pulsante di trasmissione. «Deano, con chiunque tu abbia parlato dell’Unità Controllo Pregiudicati, chiamali subito e assicurati che abbiano trasmesso la richiesta urgente di ricerca per Neil Wood. Voglio che lo trovino».

«Sì, sergente».

«…Okay, ho tre persone scomparse in quella fascia d’età nel nord-est…». In sottofondo si udì il rumore ritmico di dita che digitavano su una tastiera. «Due sono femmine… Una con i capelli rossi, l’altra castani. È certo che la sua non si sia tinta i capelli?».

Logan tirò fuori il cellulare e riguardò le foto che aveva scattato. Il faccino pallido che fissava le rocce sommerse. Un respiro profondo. «Ne sono ragionevolmente certo. Il colore delle sopracciglia è simile a quello dei capelli, comunque».

«Allora dovremo cercare ancora. Potrei metterci un po’. Quanto vuole che risalga indietro nel tempo? Un mese, due, tre?».

«Facciamo due anni, è meglio. Solo perché è uscita fuori oggi, non vuol dire che non fosse scomparsa da molto tempo».

Un sospiro. E poi: «Quell’idiota di Josef Fritzl ha parecchio di cui rispondere».

«Mi mandi un’email se trova qualcosa». Logan chiuse la comunicazione e riagganciò la ricetrasmittente al suo posto.

Deano era dall’altra parte del furgone della polizia, e camminava avanti e indietro, provocando una serie di risucchi umidi con la scarpa bagnata. «…oh, no, niente affatto. Vi ho detto che era scomparso. E vi ho detto anche di inviare subito una richiesta e… No, no, no, no, no: tesoro, questo è un tuo casino, non provare a dare la colpa a me».

Perfetto.

Come se la situazione non fosse già tragica.

La scogliera era inondata di sangue e le ombre si allungavano, buie, mentre il sole si inabissava nel Mare del Nord. Dipingendo l’erba di tonalità ambrate e dorate. Scintillando sulla recinzione di rete.

La Nicholson si infilò le mani nelle aperture per le braccia del giubbotto antiproiettile, che ora era coperto da una giacca catarifrangente pulita. Sollevò le spalle e le tenne così, con il berretto dell’uniforme piantato in testa. «Inizio a risentire un po’ del freddo».

Logan ondeggiò sulle caviglie. Spalle dritte. Mani intrecciate dietro la schiena. Mento alto. «Non è il momento di battere la fiacca».

Un doppio cordone di nastro bianco e blu con la scritta “polizia” si estendeva tra l’estremità della recinzione di rete e il palo del telegrafo dall’altra parte della strada. Qualche auto malmessa era parcheggiata davanti al cordone, con i conducenti e i passeggeri seduti sui cofani, macchine fotografiche e microfoni pronti all’azione. In attesa. Il furgone di Sky tv bloccava parzialmente l’entrata dell’impianto di depurazione, mentre un giornalista in felpa con un’espressione seria in viso parlava davanti a una telecamera. La bbc stava facendo lo stesso un centinaio di metri più indietro.

«Mi sento un’idiota», borbottò lei, ma raddrizzò comunque la schiena. «Bloccati qui come due polli mentre tutti gli altri fanno il lavoro dei veri poliziotti».

«Come due pali, semmai, non come due polli».

«So benissimo quello che ho detto». Lei si voltò verso l’autopattuglia. «Non abbiamo una di quelle belle giacche imbottite nel bagagliaio, vero?».

Un sospiro. «Vai pure».

Un’auto anonima si fermò dall’altra parte del nastro e l’ispettore del turno di notte ne scese. Sollevò le mani mentre uno sciame di obiettivi puntava nella sua direzione. Quando parlò, le parole gli uscirono dalla bocca come una fitta serie di vocali acute. «Non possiamo ancora offrire dichiarazioni ufficiali, in questo momento. Grazie». Voltò le spalle ai giornalisti, passò sotto al cordone e si avvicinò a Logan. Tenne la voce bassa, questa volta. «Dannati avvoltoi». Una zaffata di Vicks VapoRub e caramelle al mentolo.

«Capo».

L’ispettore Fettes spostò il berretto dell’uniforme sotto un braccio. Aveva mani enormi, del tutto sproporzionate rispetto al resto del corpo, e coperte di efelidi, come anche le guance e il naso, su fino alla fronte, dove si trovava un magnifico casco di capelli rossi. Accennò alla strada, dove serpeggiava giù per la collina. «L’ispettore McGregor è ancora laggiù?»

«È venuto a sostituirla?»

«Ho già abbastanza gatte da pelare nella mia divisione. Wendy può sicuramente reggere il fortino fino alla conclusione del suo turno. Volevo solo assicurarmi di parlare con lei prima che se ne torni a casa».

Il cellulare di Logan gli vibrò nella tasca. «Mi scusi». Lo tirò fuori: un’email dall’agente di supporto a Elgin, con la lista di tutte le ragazzine di cui era stata denunciata la scomparsa nel Regno Unito negli ultimi due anni, selezionate in base al colore dei capelli. Nessuna delle foto si apriva sullo schermo del telefono. «Ovvio, dannazione».

«C’è qualche problema?»

«Una persona mi ha mandato le foto di tutte le bambine scomparse, ma non riesco ad aprirle». Colpì con il palmo della mano il lato del cellulare. Non ci furono miglioramenti.

Ovviamente, le foto sarebbero servite a qualcosa solo se qualcuno aveva denunciato la scomparsa della piccola vittima…

L’ispettore Fettes tirò su con il naso. Poi se lo asciugò con un fazzoletto. «Comunque, immagino che non sia più davvero un nostro problema, giusto?»

«Come se ci potessero mai affidare un omicidio». Logan ripose in tasca l’inutile cellulare. «No: ovviamente il Team Investigativo Primario si è presentato qui un’ora fa, a sirene spiegate, e si è appropriato del caso. Grazie per l’aiuto, ma ora levatevi dai piedi e andate a controllare il cordone per il resto della notte».

«Stronzi».

«Proprio quello che stavo pensando anch’io, capo».

Fettes tornò a tirare su con il naso. «Parli del diavolo…».

Una Vauxhall malandata risalì borbottando la collina dalla zona delle piscine, fermandosi con un cigolio accanto all’autopattuglia. E se ne restò lì, con il motore acceso.

Probabilmente si aspettavano che Logan lasciasse il suo posto di osservazione per correre da loro a chiedere cosa desiderassero.

Al diavolo.

L’ispettore Fettes si calcò il berretto in testa. «Sarà meglio che mi renda utile in qualche modo», commentò, dirigendosi verso l’auto. Si appoggiò al tetto e parlò con qualcuno attraverso il finestrino aperto. Poi indicò Logan. E infine si raddrizzò e tornò giù verso la strada che conduceva alla Tarlair Outdoor Swimming Pool.

La Nicholson ricomparve, con addosso un enorme giubbotto fluorescente con tanto di strisce catarifrangenti. Accennò alla Vauxhall in attesa. «È successo qualcosa?».

Logan tornò a guardare avanti. «Ne dubito».

Lei controllò l’orologio. «Presto saranno le dieci e avremo il cambio. E allora una bella tazza di tè e una pasta al cioccolato non me le toglierà nessuno».

«Non penso proprio che riusciremo a staccare alle dieci, oggi».

«Oh…». L’espressione di lei si tinse di delusione. «Magari alle undici?»

«Se siamo fortunati».

Lo sportello del passeggero della Vauxhall si aprì e una zazzera scomposta fece capolino all’esterno. Capelli che facevano pensare a una donnola infuriata passata in mezzo a un pagliaio. Rughe profonde intorno alla bocca. E una voce come carta vetrata su un tubo arrugginito. «Laz! Smettila di perdere tempo!».

La Nicholson inarcò un sopracciglio. «Laz?»

«Non fare domande».

L’ispettore capo Steel uscì goffamente dalla macchina. Un po’ curva nel suo completo grigio spiegazzato. Cappotto nero e camicia di seta azzurra. Gli fece un cenno. «Porta qui le chiappe».

Una pausa.

«Sergente?».

Un sospiro. «Okay. Tu resta qui. Nessuno…».

«Sì, “nessuno deve passare”, lo so».

Lui si girò e si avvicinò alla Vauxhall.

«Era ora, dannazione». La Steel puntò alle proprie spalle con il pollice. «Muoviti, io e te ci dobbiamo fare una passeggiata».

Capitolo 8

Si fermarono in cima alla collina che si affacciava sulla baia e sulla piscina all’aperto abbandonata. La Steel avanzò nell’erba alta fino al ginocchio, per poi sedersi su una panchina che qualcuno aveva sistemato lì anni fa, per far godere i cittadini della vista circostante. In tempi in cui le amministrazioni comunali avevano ancora i soldi per roba del genere. Tirò fuori una sigaretta elettronica e ne prese un tiro profondo, facendo brillare la punta di blu. Poi espirò uno sbuffo di vapore dal naso. «Be’, questa situazione è un gran casino, ammettiamolo».

Logan le si sedette accanto, avvolto dall’odore quasi nauseante di profumo e mentine. Indicò le piscine in basso, dove un gruppo di gente in tuta bianca della Scientifica si stava spostando verso l’estremità più lontana del luogo. Due padiglioni erano stati montati accanto al vecchio edificio principale, entrambi illuminati dall’interno. Tre autopattuglie. Due furgoni della polizia. Una grossa Range Rover. E un malandato Ford Transit. «Sono riusciti già a identificarla?».

La Steel si infilò la sigaretta elettronica all’angolo delle labbra e prese una busta da una tasca. «È arrivato oggi. Non ho ancora avuto il coraggio di guardarlo. Susan è terrorizzata».

«Da quello che ho visto, non può essere morta da molto. Forse un giorno? Due? Siamo stati fortunati che i gabbiani non l’abbiano trovata prima di noi».

«Già». La Steel passò un dito lungo la chiusura della busta, aprendola. Poi tirò fuori il foglio all’interno. E lasciò ricadere tutto in grembo. «Non riesco a leggerlo».

«Allora si metta gli occhiali».

Lei lo fissò in tralice. «Non ho bisogno degli occhiali. È importante, okay?». Picchiettò un indice sul foglio. «Si tratta di una faccenda seria».

«E una bambina morta non lo è?».

Un altro lungo tiro dalla finta sigaretta. «Anche tu hai ragione».

«Senta…». Logan si schiarì la gola. Si sfilò il berretto e lo posò sulle ginocchia. «So che significa molto per Susan. Ma forse dovrebbe…».

La Steel si limitò a fissarlo a bocca aperta.

«Che c’è?»

«Che diavolo hai fatto in testa?». Allungò una mano, passandogliela sulla nuca. «È come un uovo peloso».

«Tolga quella mano». Logan si scostò, spostandosi verso il bordo della panchina.

«Chi ti ha tagliato i capelli? Dimmelo e ci andiamo subito, così potrò picchiarlo a sangue. Sembri uno scroto irritato!».

«Me li sono tagliati da solo». Le scacciò la mano, quando lei tentò di nuovo di toccarlo. «Mi sono comprato un rasoio elettrico su Internet».

«La madre degli idioti è sempre incinta». La Steel prese un altro tiro dalla sigaretta elettronica e sbirciò il foglio che continuava a tenere in grembo. «L’anatomopatologo sta esaminando la bambina in questo momento. Darà un’occhiata, e poi la porteranno ad Aberdeen. Domani ci sarà l’autopsia».

«Ha idea di quanto costa il barbiere di questi tempi? Non prendo certo gli straordinari che avevo con il cid. E con i contributi che continuano a salire…».

«Al momento, sembra che la causa della morte sia attribuibile a un colpo alla testa. Con un oggetto solido e cilindrico. È ipotizzabile che l’abbia colpita con un tubo di metallo. Ne sapremo di più domani, dopo l’autopsia».

Logan intrecciò strette le dita in grembo. «Quando l’ho vista distesa lì, tutta scomposta, con l’uniforme scolastica addosso… Per un secondo, ho pensato che fosse Jasmine».

La Steel allungò un braccio sullo schienale della panchina. Strinse appena la spalla di Logan. «Non fare la mammoletta. Lei è a casa, al sicuro con la sua mamma».

«Chi è a capo dell’indagine?»

«Ufficialmente, il nostro amatissimo sovrintendente detective Young sarà l’onnipotente capo delle indagini. Ma in tv sarà Finnie a metterci la faccia. Una bambina morta. Un pedofilo a piede libero. Bisogna tirare giù gli assi, per una cosa del genere». Tirò su con il naso. Poi si indicò un paio di volte con il pollice. «Indovina un po’ chi è che farà tutto il lavoro, comunque?»

«Io scommetterei su qualunque poveraccio che è riuscita a farsi mettere alle calcagna».

«Proprio così». La Steel sospirò profondamente. Poi raddrizzò le spalle. «Bene». Riprese in mano il foglio che se ne stava da un po’ sulle sue ginocchia. Poi lo spinse verso Logan. «Leggilo tu. Io non ci riesco».

Lui spianò la carta spiegazzata. «“Gentile signora Wallace-Steel, le scrivo per informarla dei risultati della translucenza nucale effettuata nel primo trimestre di gravidanza e delle analisi del sangue effettuate…”».

«Vieni al punto!».

«D’accordo». Logan seguì il testo stampato con un dito. «Bla bla bla… i valori dell’hcg sono normali, ma quelli della papp-a sono elevati. Considerata l’età di Susan, possiamo stimare un rischio di 1 su 5000 che il feto possa avere la sindrome di Down».

«Oh, grazie a Dio». La Steel rovesciò indietro la testa e si coprì il viso con le mani. Poi si raddrizzò, accigliandosi. «Uno su cinquemila. È buono, no?».

Logan non ne aveva idea.

Tirò fuori il suo miglior sorriso di circostanza. «Certo».

«Ah!». Lei gli mollò una pacca sulla spalla. «Sarai di nuovo papà!». Il sorriso sul volto della donna si incrinò, e lei si guardò intorno, come se temesse che qualcuno li stesse spiando dall’erba alta. Abbassò la voce a un sussurro rauco: «Ma se tua madre te lo chiede, non sei stato tu, okay? Qualcun altro ha raccolto il suo seme in una tazza, stavolta. Okay? Non voglio che diventi soffocante anche con il nuovo bambino come ha fatto con Jasmine. Mi è stato più facile liberarmi di certe verruche, che di quella donna».

«Non lo dica a me». Logan si alzò. «Senta, anche una scimmia in uniforme sarebbe in grado di controllare quel cordone. E lei ha tanti ragazzi in divisa a disposizione».

«Vuoi che ti liberi dalla schiavitù?»

«Non solo io. Il mio team. Abbiamo una divisione da gestire».

La punta della sigaretta artificiale della Steel brillò nel buio. «Una possibilità su cinquemila». Sorrise. «Ah, fai pure. Mi sento generosa».

Lui tornò verso la strada. Poi sfiorò la Nicholson su una spalla e abbassò la voce a un sussurro. «Pare che ce la facciamo per le dieci».

Logan fece roteare la sedia a destra e a sinistra, con il telefono in una mano e il mouse nell’altra. Da una parte controllando le azioni del suo team sullo storm, dall’altra attendendo che il sergente di turno alla stazione di polizia di Fraserburgh gli rispondesse.

Dall’esterno veniva il suono di diversi telefoni e di piedi pesanti. Come elefanti in completi economici, di quelli da lavare in lavatrice. Due di loro superarono la porta aperta dell’ufficio dei sergenti, blaterando di dover accedere al sistema holmes e quale degli agenti dovesse preparare il tè.

Logan allungò al massimo la corda del telefono e distese la gamba. Riuscì a spingere con il piede l’angolo della porta, che si chiuse di scatto.

La stanza non era poi molto grande: due armadi chiusi da ante bianche; un paio di scrivanie messe l’una contro l’altra, così che gli occupanti potessero guardarsi negli occhi alzando lo sguardo dagli schermi dei vecchi computer neri; qualche cassettiera metallica e portadocumenti straripanti. Una fila di vecchie telecamere malandate che ammiccavano verso di lui con le loro luci verdi, mentre il mouse passava alla successiva serie di azioni.

Clic.

Deano era in pari su tutto il lavoro d’ufficio. Come anche la Nicholson. Ma Ciuffo…

Santo cielo. Era come tenersi in squadra un bambino di cinque anni. Tre aggressioni, due rapine e uno scippo, e non aveva ancora chiuso niente.

Cliccò sulla prima aggressione, incastrando il telefono tra orecchio e spalla, e digitò una nota nel sistema, con le dita che volavano sulla tastiera.

Sistema al più presto questo caso: l’azione è rimasta in sospeso troppo a lungo. Voglio che venga aggiornata!

Finalmente, qualcuno rispose dalla stazione di Fraserburgh, e una roca voce maschile riecheggiò nel ricevitore: «Casa degli Orrori Billy Broch, in cosa posso esserle utile?»

«Sergente Smith, ti sembra normale rispondere così al telefono della stazione?»

«Sapevo che eri tu dal numero. Cos’è questa storia che tu e il tuo gruppo di idioti avete trovato un cadavere?»

«Una bambina».

«Oh, no… scusami, non me l’aveva detto nessuno».

«Cosa state progettando di fare tu e i tuoi scagnozzi per questa sera?»

«Ti hanno già imposto un team di indagine?».

Altri passi nel corridoio. «Hanno praticamente invaso tutto il piano di sopra. E il turno di notte. Riesci a trovare un paio di agenti per un giro al porto di Fraserburgh? Mi serve un controllo sulle barche, con tutte le informazioni che riuscirete a trovare su Charles “Craggie” Anderson. È scomparso una settimana fa. Non c’è traccia né di lui, né della sua barca, la Vagabonda».

«E tu passerai a dare un’occhiata al nostro buco a forma di registratore di cassa?»

«Ci stavo giusto pensando. C’è altro?».

La linea si riempì del sibilo dell’aria risucchiata tra i denti. «Vediamo. Le novità di oggi: due potenziali infrazioni di arresti domiciliari, tre casi di violenze domestiche, un paio di lamentele sul campo nomadi fuori da Rosehearty, una manciata di effrazioni, e stiamo cercando un tossico che scippa borse. Per il resto, è il solito trantran. E il tuo raid antidroga? Ti serve ancora l’agente King-Kong McMahon?».

«È sospeso, per ora. Dovrò riprovare di nuovo mercoledì, se me lo permetteranno».

Qualcuno bussò alla porta. Poi una voce soffocata: «Sergente?»

«Entra pure, Ciuffo. Ora devo andare, Bill. Cerca di comportarti bene, finché non sarò lì, okay?»

«Non posso prometterti nulla».

Logan attaccò, mentre l’agente Quirrel entrava nella stanza. «Be’? Che succede?».

Il giovane agente si guardò alle spalle come un ladro piuttosto incapace. Poi abbassò la voce a un sussurro. «Ci sono problemi nel blocco di detenzione».

«Il vecchio o il nuovo?»

«Ah…». Una smorfia. «Ho dimenticato di chiederlo».

«…e non mi faccia neanche cominciare a parlare di quel coglione di Dawson!». La Nicholson camminava avanti e indietro lungo il pavimento grigio e graffiato, agitando i pugni in aria. Superò a passo di carica una delle due spesse porte blu di metallo aperte, entrando nella cella buia. Poi si girò e uscì di nuovo nella stanza. «Sa cosa mi ha detto? Lo sa?».

Il nuovo blocco di detenzione era una stanza dal soffitto basso che sapeva di detersivo per pavimenti al limone e pasta sfoglia. Le celle vuote e immacolate, pressoché mai usate da quando erano state costruite, una decina di anni prima, ma complete di materassi di plastica e gabinetti d’acciaio inossidabile. In attesa del giorno in cui avessero avuto abbastanza personale da poterle renderle di nuovo agibili. Come se potesse davvero succedere.

Logan era appoggiato alla porta che dava sul garage, Deano a quella che portava alla parte vecchia dell’edificio, mentre Ciuffo passava in giro le paste. «No, ma sono certo che ce lo stai per raccontare».

«Ha detto che…».

«A pensarci bene, no, non farlo». Logan indicò la sedia dietro la scrivania nella stanza. «Siediti. Fai qualche respiro profondo. E calmati».

«Ma sergente, lui…».

«Siediti. Porta le chiappe su quella sedia. Ora».

Qualunque cosa la Nicholson avesse borbottato a mezza voce non doveva essere gentile, ma comunque si sedette e incrociò le braccia sul petto.

«Grazie». Logan si portò alla bocca un rotolo al caramello e noci pecan. Parlò con la bocca piena. «Nel bene e nel male, siamo legati a doppio filo con questa gente. Alcuni sono degli idioti, altri no. Ma non voglio che nessuno di voi si abbassi a quel livello, sono stato chiaro?».

Le guance della Nicholson avvamparono, mentre abbassava lo sguardo sugli stivali.

Deano sospirò. «Sta solo smaltendo la tensione».

«Non mi interessa. E questo vale per tutti voi. Siamo una forza di polizia moderna e professionale. Non vi permetterò di mandare a puttane la Divisione b con il vostro comportamento da bambini arrabbiati».

La risposta fu appena udibile, da parte della Nicholson. «Sì, sergente», mormorò. «Mi scusi, sergente».

Logan annuì. Prese un sorso di tè. Bollente e con latte. «Ora che ci siamo calmati e siamo tornati adulti, sentiamo: cosa ha detto?»

«Quel bastardo sessista pensava che io dovessi preparare il tè per tutti loro!». La Nicholson strappò un morso rabbioso al suo fagottino alla mela, spargendosi briciole di sfoglia sul davanti della T-shirt nera.

Ciuffo le porse una tazza di tè. «E tu cosa hai fatto?»

«Gli ho sorriso dolcemente e gli ho detto: “Sì, capo”». Abbassò le spalle. «Cosa avrei dovuto fare? Prendere a calci la mensa?».

Logan accennò alla parte più vecchia dell’edificio, dove si trovava l’ufficio principale. «Vuoi che ci vada a parlare?».

Lei fece una smorfia. «Pensa che mi aiuterebbe a entrare nel cid? L’agente Janet Nicholson, stronza femminista?»

«Forse no». Ma questo non significava che quegli stronzi l’avrebbero passata liscia. Logan affondò di nuovo i denti nel suo rotolo dolce. «Più tardi devo andare a Fraserburgh. E potrei anche dover fare un giro a Peterhead, se succede qualcosa». Indicò Deano. «Tu e Ciuffo continuate a controllare i porti. Janet, prendi l’altra volante e passa davanti a casa di Alex Williams ogni mezz’ora. Non possiamo evitare che quei due tornino sotto lo stesso tetto, ma possiamo far sapere ad Alex che teniamo gli occhi aperti».

Un cenno del capo. «Sì, sergente».

«Quando non sei lì, tieni d’occhio la zona in generale. Tutti devono ricordarsi che siamo noi quelli che manteniamo la pace da queste parti, non un gruppo di stronzi di un Team Investigativo Primario».

L’autopattuglia entrò a New Pitsligo, i cui edifici grigi e le cui strade altrettanto grigie erano illuminati dall’ambra dei lampioni. Prese la strada più lunga per raggiungere Fraserburgh, deviando attraverso le vie laterali del piccolo centro abitato. Lanciando sguardi attenti nei giardini sul davanti e sul retro delle case. Facendo esattamente quello che aveva detto alla Nicholson di fare. Farsi vedere. Sventolando la bandiera della polizia dedita alla comunità. Facendo sapere alla gente che era lì.

E intanto canticchiava la canzone che gli si era incastrata in testa, mentre la radio della macchina crepitava e risuonava di qualche stralcio di conversazione riguardo all’indagine che proseguiva alla Tarlair Outdoor Swimming Pool. Stavano cercando impronte digitali sugli scogli, alla luce delle torce. Qualcuno doveva essere impazzito.

E comunque, non c’erano state novità.

Tornò sulla a950. Poi girò a sinistra sulla strada per Strichen. Campi bui ai lati della strada. Qualche macchia di alberi s’intravedeva tra le ombre. Le stelle erano come minuscoli led incastrati nella melassa. La luna una palla di oscurità con una sottile falce bianca a un’estremità. Un gregge di pecore, con gli occhi che scintillavano come quelli dei vampiri alla luce dei fari.

La ricetrasmittente suonò, interrompendo la sua imitazione appassionata del jingle della Birds Eye Steakhouse Grills: «Hope it’s chips, it’s chips…». Staccò una mano dal volante e premette il pulsante di ricezione. «Parlate pure, vi ricevo».

«Sergente, sono Janet. Sono passata davanti all’appartamento di Alex Williams. Quei due sono seduti in soggiorno a guardare la tv. Come se non fosse successo niente. E, voglio dire, dopo quello che ha fatto Williams…».

«Lo so. Tieni gli occhi aperti. Vincerò quella scommessa: nessuno morirà».

«Se qualcuno provasse a fare una cosa del genere a me, gli farei saltare le rotule».

«E nessuno finirà gambizzato».

Una pausa.

«Sergente?»

«Cosa?»

«Perché io non ho un nomignolo? Insomma, Stewart è Ciuffo, Dean è Deano. Perfino lei ne ha uno. Io invece sono solo Janet. O Nicholson. È perché sono una donna?».

«Mi stai prendendo in giro, vero?». Logan si accigliò. «Be’… che nomignolo ti piacerebbe avere?»

«Oh, no, non esiste! Solo i perdenti si danno il soprannome da soli».

«Potremmo chiamarti agente Rompiscatole».

«Molto divertente». In tono piatto. «Meno male che ho addosso il giubbotto antiproiettile, o con una battuta acuta del genere avrei rischiato grosso. Ah. Ah».

«Ascolta, fammi un favore: fai un giro a Rundle Avenue. Voglio che Frankie Ferris sappia che lo teniamo d’occhio. Dobbiamo tenerlo sulle corde».

«Dio: una mucca sulla strada, ore di guardia a un cordone, e ora la richiesta di scivolare a passo d’uomo davanti alla casa di una canaglia per il resto del turno? Tutto in un solo giorno? Ha ragione, sergente, chi mai vorrebbe abbandonare questo per una vita nel cid?».

Strichen era piccola e silenziosa. Ma Logan le garantì lo stesso trattamento degli altri centri abitati, passando per tutte le stradine minori. Guardate, sono un poliziotto. Le vostre tasse al lavoro. L’unica cosa vagamente degna di nota era l’uomo nudo legato con il nastro adesivo al segnale di stop fuori dal municipio, all’angolo tra Bridge Street e High Street.

Be’… forse era nudo. Era difficile dirlo, sotto allo strato di melassa e piume. E non si erano risparmiati neanche sul nastro adesivo, tra l’altro.

Logan abbassò il finestrino dal lato del passeggero e si sporse attraverso i sedili. «Tutto bene?».

Il signor Impiumato lo guardò sbattendo le palpebre, e poi gli rivolse un sogghigno stordito. «Mi… mi spo… mi sposo!». La voce impastata e strascicata.

«Congratulazioni». Logan rialzò il vetro e si diresse a nord-ovest, verso Fraserburgh.

«Controllo a Pattuglia Sette».

Logan guardò a destra e poi a sinistra. Nel corridoio non c’era nessuno. Era tutto solo con file e file di barattoli di zuppa. Premette il pulsante della ricetrasmittente. «Parlate pure, vi ricevo».

«Siete a Fraserburgh stanotte? Dalle parti di Arran Court?»

«Non ne ho idea. Mi trovo in un Tesco su South Harbour Road». La zuppa di porri e patate costava poco. Ma quella di lenticchie ancora meno.

«I vicini sono preoccupati per una certa Mrs Bairden, che abita al numero ventisei. Non la vedono da ieri mattina. Ha problemi di cuore. E non risponde né alla porta, né al telefono».

Alla fine, scelse le lenticchie. Tre barattoli finirono nel cestello, dove già si trovavano un pacchetto di patatine e un filone di pane bianco.

«Datemi cinque minuti».

«D’accordo».

Svoltò l’angolo di buon passo e si diresse verso altri scaffali, dove si trovavano i medicinali e i dentifrici. Preservativi, pomate per le emorroidi, pillole per l’acidità di stomaco, colliri… Ah. Eccoli. Lassativi.

Avrebbe sforato il budget settimanale, ma al diavolo. Certe volte ci si doveva pur concedere una botta di vita.

Ne prese due tipi diversi, senza starci troppo a pensare, e li girò per leggere le istruzioni.

Si sentì battere un colpetto sulla spalla.

Si girò e vide una giovane donna con l’uniforme standard del luogo: camicia blu a maniche corte e pantaloni neri. Una targhetta con la scritta “chiedi a me per la polizza auto” sopra a quella con il suo nome: “amanda”. Gli sorrise. «Sta cercando qualcosa di specifico?»

«Avete qualcosa di molto forte e che agisca in fretta?».

Lei prese una confezione verde e gialla dallo scaffale. «Mia nonna usa questi: sollievo gentile e prevedibile».

«Nah. Sto cercando qualcosa di un po’ più aggressivo. È il momento delle grandi pulizie. Ha qualcosa di utile in questo senso?».

Capitolo 9

Arran Court. Una singola fila di piccole case con terrazzo: pareti intonacate di bianco, tetti coperti di tegole; ogni tanto un blocco di legno scuro che collegava le finestre del pianterreno a quelle del piano superiore. La strada era nascosta nel complicato dedalo di vicoli ciechi di Fraserburgh. Circondata dai giardini posteriori di altri edifici. Un piccolo prato verde si estendeva di fronte alla via, illuminato dal bagliore dorato di un lampione di cemento. Qualche auto parcheggiata davanti.

Logan contò le porte e fermò l’autopattuglia davanti al numero ventisei.

Tre donne di mezza età erano ferme accanto al cancelletto del giardino. Due di loro erano sedute sul muretto basso che lo divideva dal numero venticinque. La terza camminava avanti e indietro, lasciandosi alle spalle scie di fumo di sigaretta che scintillava nell’aria illuminata dai lampioni. Indossavano tutte pigiama e vestaglia.

Logan si infilò il berretto dell’uniforme e uscì dalla volante. Chiuse lo sportello e si avvicinò alle donne. «Qualcuna di voi ha le chiavi?».

La donna con la sigaretta smise di camminare avanti e indietro e lo fissò con una smorfia acida sul viso. «E pensa che ce ne staremmo qui come cretine, se le avessimo?»

«Che mi dite dei parenti? O magari un badante?».

Una delle donne sedute sul muro scosse la testa. «Sua figlia Sandra vive a tre isolati da qui, ma ora è a Edimburgo per un impegno».

Logan oltrepassò il cancelletto. «E siete sicure che non sia andata da qualche parte? Magari a trascorrere la notte ad Aberdeen, o a trovare degli amici a Peterhead?».

La donna numero tre tirò su con il naso. «Ha problemi di cuore. E se fosse morta?».

Logan provò a girare la maniglia della porta. Chiusa a chiave.

Le luci, all’interno, erano spente.

«Okay, proviamo dal retro». Indicò Mrs Sigaretta. «Avete il numero del cellulare della figlia?».

Lei prese un cellulare dalla tasca della vestaglia, toccò alcune volte lo schermo e poi glielo porse. «Sta squillando».

Logan lo prese. Se lo portò all’orecchio mentre puntava verso la fine della strada, girando oltre l’angolo dell’ultima casa della fila. Un vialetto correva lungo il retro di Arran Court, dividendola dalla parte posteriore della strada parallela. Logan continuò a procedere lungo le recinzioni di legno fino al numero ventisei, mentre il telefono continuava a squillare. E squillare. E squillare.

Finalmente: «Pronto?». La voce di una donna, sottile e nervosa.

«Salve, parlo con Sandra Bairden?».

Non c’era un cancello per entrare nel giardino sul retro, ma un paravento di canne alto poco più di due metri si estendeva per tutta la lunghezza del prato. Ondeggiò, quando Logan vi si afferrò.

«Chi è?»

«Sono un agente di polizia. Non voglio spaventarla, Sandra, ma i vicini di sua madre sono preoccupati per lei».

Mise un piede su un muretto di mattoni e si tirò su. C’era una luce accesa nella casa, che brillava fioca attraverso il vetro smerigliato di una piccola finestra. Probabilmente il bagno. Il giardino era immerso nell’oscurità.

«Oh, Dio… Ha avuto un attacco di cuore?»

«Potrebbe anche non essere accaduto nulla. Vogliamo solo assicurarci che stia bene». Afferrò di nuovo il paravento di canne. Meglio fare in fretta, prima che venisse giù completamente. Lo scavalcò, finendo con entrambi i piedi in un’aiuola di ortaggi.

«Lo… lo sapevo che non avrei dovuto lasciarla sola… Ma era un viaggio di lavoro e…».

«Non balziamo alle conclusioni». Avanzò attraverso le piante di porri sistemate in ordinati filari, mentre un odore di cipolla fresca riempiva l’aria. Raggiunse la porta sul retro della casa. «Sa se per caso sua madre tiene una copia delle chiavi da qualche parte all’esterno? Magari sotto un vaso? Qualcosa del genere?». Staccò la torcia dal giubbotto antiproiettile e la accese, spostando il cono di luce da una parte all’altra del giardino.

«No, assolutamente no. Mia madre è molto attenta alla sicurezza…». Un sospiro si udì dall’altra parte della linea. «Dio, ti prego, fa’ che stia bene…».

Uno di quei ridicoli ornamenti da giardino a forma di cagnolino era sistemato vicino alla porta sul retro: la statuina sembrava scavare attraverso il gradino della porta, giù nelle fondamenta della casa. Logan lo rovesciò con un piede. C’era una chiave attaccata sotto, con un pezzo di nastro adesivo.

Certo: perché quello era l’ultimo posto dove un ladro sarebbe andato a cercarla, giusto?

Si incastrò il cellulare tra orecchio e spalla, raccattò la chiave e la fece scivolare nella toppa della porta sul retro. «Va tutto bene, sto entrando in casa in questo momento».

La cucina era immersa nel buio. «Signora Bairden? È in casa?».

Silenzio.

«Oh, mio Dio, è morta, vero?»

«Signora Bairden? Sono un poliziotto, sta bene?». Accese la luce. Piastrelle gialle e azzurre sulle pareti, un pianale di formica grigia, pensili bianchi.

Raggiunse il corridoio. Click. Fotografie sui muri, e una rampa di scale: una bimbetta sovrappeso che giocava con un grosso cane a pelo lungo, poi la stessa bambina con l’uniforme scolastica e due incisivi mancanti, e poi sempre lei, cresciuta, sposata, e sempre più stanca e spenta, man mano che cresceva.

«Perché diavolo ho deciso di venire a Edimburgo…?»

«Signora Bairden? È in casa?».

Salì le scale fino al pianerottolo.

La luce filtrava da sotto la porta del bagno, e si udiva il ronzio di una ventola accesa, soffocato dalla porta chiusa.

Logan bussò. «Signora Bairden? È lì dentro?».

Provò a girare la maniglia. Chiusa a chiave.

«Sono così stupida…».

Logan provò a bussare di nuovo. «Signora Bairden?». Posò l’orecchio contro la porta. Era una voce, quella che aveva sentito? Appena udibile al di sopra dell’incessante ronzio della ventola. «Signora Bairden, sto entrando».

Logan tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una manciata di monete. Ne prese una da due penny e la incastrò nella vite subito sotto la maniglia. La girò finché non sentì scattare la serratura.

La porta si aprì, rivelando un piccolo bagno con le piastrelle rosa a fiori e i mobili color salmone. E poi c’era un’anziana signora molto pallida, nuda nella vasca e circondata dall’acqua sporca. Capelli grigi e sottili. Guance scavate. Una spalla curva. E il lato sinistro della bocca aperto.

Logan premette il tasto per silenziare il cellulare. Lo posò sulla vaschetta rosa del gabinetto, accanto a un portarotolo a forma di danzatrice di flamenco. E si inginocchiò accanto alla vasca. Posò due dita sul collo della signora Bairden.

Poi prese la ricetrasmittente e chiamò un’ambulanza.

«…unirsi a noi dopo il divorzio, quando Josie e Marshal dovranno decidere chi…».

Logan premette un pulsante sul telecomando, e l’idiota sullo schermo fu sostituito dalle risate in sottofondo di una mediocre sitcom.

La mensa della stazione di polizia di Fraserburgh era vuota, a parte lui e i mobili. Le tapparelle della finestra rotonda erano chiuse, e solo qualche vaga lama di luce filtrava dalla strada.

La sua economica zuppa di lenticchie non era poi così male, se ci si metteva sopra un bel po’ di salsa piccante rubata dal fondo della dispensa. Sulla bottiglia c’era scritto “proprietà di erin – tenete giù le mani, brutti ladri!” a lettere maiuscole tracciate con un pennarello indelebile nero. Come se servisse a qualcosa.

Chi lasciava il cibo incustodito in una stazione di polizia si meritava di vederselo sparire sotto al naso.

Sentì suonare la ricetrasmittente. «A chiunque sia nelle vicinanze di Cruden Bay, abbiamo un maschio bianco che minaccia il suicidio…».

Logan strappò un angolo della sua fetta di pane tostato e la intinse nella zuppa. Il burro creò dei cerchi lucidi sulla superficie.

Una copia arricciata dell’«Aberdeen Enquirer» era aperta sul tavolo davanti a lui. C’era un grosso articolo su due pagine sul primo giorno del processo di Graham Stirling. «il dolore della famiglia per le “dichiarazioni oscene”» era il titolo, con una grossa foto di Stephen Bisset scattata prima che Stirling lo rapisse. Un uomo sorridente e normalissimo, con un maglione blu e una camicia bianca. La riga da un lato e il sorriso melenso, mentre teneva una neonata in braccio. Gli altri due figli adolescenti erano accanto a lui; gli somigliavano nello sguardo e nel sorriso, e avevano entrambi i capelli neri e lunghi: «una famiglia felice: da sinistra a destra, david (17), stephen (41), la piccola davina (3 mesi) e catherine (14)».

Logan girò la pagina e si trovò davanti un articolo di cronaca riguardo a una donna che aveva ustionato il marito con l’olio per friggere. Intinse di nuovo il pane nella zuppa. Lesse distrattamente di un’esecuzione di tre membri di una gang a Liverpool. E un altro che riguardava un membro del Parlamento Scozzese colto a “discutere una proposta di legge” nel bagno delle donne dopo l’orario di lavoro.

La ricetrasmittente suonò di nuovo, e poi la voce rauca dell’ispettore capo Steel riecheggiò dal ricevitore. «Laz? Dove diavolo sei?».

Fantastico… non poteva neanche godersi la sua zuppa dei poveri in pace.

Premette il pulsante di ricezione. «Sono occupato. Cosa vuole?»

«Come mai non riesco a trovare niente in questo labirinto che osate chiamare stazione di polizia? Dove diavolo sono tutti i pennarelli?».

Lui prese una cucchiaiata di zuppa. «Hector li ruba tutti».

«E chi cavolo è Hector? Vado a prenderlo a calci nel culo».

«Troppo tardi: è morto anni fa».

«Molto divertente. Dove diavolo sono i pennarelli?»

«E ora infesta i corridoi della stazione di Banff, terrorizzando gli agenti in prova e chiunque sia così sciocco da avventurarsi al piano di sopra di notte… Uhhh-uhhhhuuuu!».

Silenzio.

Logan masticò rumorosamente un boccone di pane tostato.

«Hai finito?»

«Che c’è? Non è colpa mia. È il fantasma della stazione, e ogni volta che una penna sparisce, è colpa di Hector. Provi nella vecchia stanza delle telecamere al piano di sopra, vicino alle docce. Di solito ce n’è una confezione, lassù».

«Quando torni? Devo fare un controllo di tutti i balordi, malviventi, stupratori e pedofili nell’area».

«E allora? Ha tutti gli agenti liberi del nord-est per farlo: prego, si accomodi».

«Mi serve qualcuno che conosca i dintorni».

«Il suo team…».

«…è formato da un mucchio di idioti. Non mi fiderei di loro neanche se dovessero interrogare il loro stesso culo per sapere da dove viene un succhiotto. Quindi…?».

Logan ingurgitò altra zuppa. «Dipende se riesco a liberarmi, più tardi. Le farò sapere». Certo. Credici. «Ora devo andare».

Un’altra spruzzata di salsa piccante rubata. Migliorava decisamente il sapore.

La porta si aprì alle sue spalle. «Sergente».

Logan si girò a dare un’occhiata, e accennò un saluto con il cucchiaio. «Syd. Come sta il serraglio?».

L’uomo si strinse nelle spalle. «Enzo sta bene, ma Lusso ha morso Dino. Proprio su una chiappa». La felpa nera della polizia dell’agente Fraser era rovinata intorno al collo e sulle maniche, e aveva uno spesso guinzaglio di cuoio sulle spalle, legato dietro la schiena. Come un attrezzo sadomaso. Un berretto bianco e nero con la scritta “polizia”, con l’orlo consumato e liso su un lato. E il sentore neanche tanto leggero di Eau de Labrador addosso. «Non so cosa abbia combinato, ma probabilmente se lo meritava».

Logan lo fissò. «Il tuo cane ha morso Deano? Ha morso l’agente Scott? E quando è successo?»

«Cosa?». Syd arricciò il labbro superiore, ritirando il mento verso il collo. Poi l’espressione perplessa gli sparì dal volto. «Ah, okay, no, non Deano, Dino. d.i.n.o., il mio pastore tedesco. Gli piace infastidire gli altri due».

Grazie al cielo. Logan sbuffò fuori in un sibilo il respiro trattenuto. I documenti da riempire, se Deano fosse stato morso davvero, sarebbero stati un incubo.

Syd si avvicinò alla cucina che occupava un angolo dell’ampia stanza. Infilò un contenitore di plastica nel forno a microonde e lo avviò.

«Mi serve una volante a Market Street, a Macduff. Una donna anziana confusa gira da sola per strada».

La voce della Nicholson si udì forte e chiara dalla ricetrasmittente. «Ricevuto, Controllo. Sto arrivando».

Logan tornò a mangiare la zuppa. «Non sei là fuori a setacciare Tarlair?»

«No. Lei ha cancellato l’operazione antidroga, quindi io ed Enzo siamo finiti a controllare pacchi sospetti all’ufficio postale. Abbiamo beccato tre buste di cocaina, due di hashish e un quantitativo minimo di eroina. Probabile che non arrivasse neanche a dieci sterline di valore di mercato, ma tutto fa brodo, no?».

Ding.

Syd andò a recuperare delle posate nel cassetto della credenza e si portò il contenitore di plastica al tavolo. Scostò la seconda sedia dopo quella di Logan e si sedette. Aprì il contenitore. L’odore intenso di ricche spezie indiane riempì l’aria, coprendo quello di cane bagnato. «Sa se hanno già identificato la bambina?»

«Se ne sta occupando il Team Investigativo Primario. Pensi che me lo direbbero?»

«Probabilmente no». Syd ficcò una forchetta nel curry, tirando su un mucchietto di ceci e cipolle. «Che mi dice del mandato? Io e i miei cagnacci lo stavamo aspettando». Si sfilò il berretto da baseball, esponendo una vasta chierica lucida, circondata da capelli grigi quasi rasati a zero. «Non ho niente di speciale da fare domani, se vuole».

«Non posso: ho il processo di Stirling. Magari mercoledì? Sempre che mi diano gli uomini, con questa faccenda di Tarlair di mezzo». Una cucchiaiata di lenticchie lo aiutò a ingoiare un nodo di amarezza. «Mi sorprende che non abbiano mandato anche te là fuori ad annusare i dintorni della piscina».

«Nessuno chiama mai i cani al primo tentativo». Un’altra forchettata di ceci. «Stupido, da parte loro».

«Vedrò cosa posso fare».

Un altro piccolo suono acuto dalla ricetrasmittente. «Controllo a Bravo India Uno, potete parlare?».

Syd indicò la tv. «Le piace quella robaccia?»

«L’ho accesa solo per farmi compagnia, a dire il vero».

La voce dell’ispettore si fece sentire dal ricevitore. Stanca. «Prego, parlate pure».

«Bene». Syd prese il telecomando e iniziò a fare zapping tra i canali. «Ha sentito di Barney Massie? Stava gestendo quell’incidente mortale a Kirkwall, quando si sono messi a contestargli le spese del team».

«In un supermercato di Aberchirder è stata prelevata la cassa».

Dalla ricetrasmittente si udì un mugolio distinto. «Non di nuovo…». Poi un sospiro. E una pausa. Infine, l’ispettore riprese: «Okay, arrivo».

«Insomma, qualche idiota a Tulliallan l’ha chiamato incazzatissimo: “Che sono tutti questi biglietti aerei? Nessuno ha pensato che si può prendere il treno?».

Logan lo fissò, perplesso. «Per le isole Orcadi?».

«Già». Altri ceci. «Questo lavoro è bello che fottuto, glielo dico io». Un altro tentativo di zapping portò a una replica di Chewin’ the Fat, con due marinai che imprecavano mentre la loro barca affrontava una tempesta. «Ma comunque, mi mancano solo otto giorni e poi me ne andrò in pensione».

«Grazie di avermelo ricordato. Io sarò bloccato qui fino a sessantacinque anni».

Sullo schermo, i marinai furono sostituiti da Ford Kiernan che comprava una torta e un panino dolce.

«Ho già il titolo per il discorso d’addio: trent’anni passati a tenere la Grampian Police sulla retta via».

Logan inspirò tra i denti. «Attento a come parli, ribelle. Non esiste più nessuna Grampian Police, adesso c’è solo la Polizia di Scozia. Un grazie sentito ai nostri potenti capi».

«Ah, che vadano al diavolo. Cosa possono fare, licenziarmi?».

Non c’era molto da vedere al Broch Braw Buys, a mezzanotte meno cinque di lunedì sera.

Si trovava incuneato tra un negozio di scommesse e una friggitoria, entrambi chiusi per la serata. Il Kenya Bar and Lounge, all’angolo, aveva la porta chiusa, con la saracinesca di metallo abbassata. Il rumore di un’aspirapolvere veniva da qualche parte all’interno.

Logan chiuse lo sportello della volante e si avvicinò, calpestando uno scricchiolante tappeto di schegge di vetro.

Avevano sicuramente usato lo stesso metodo dei precedenti colpi per entrare nel luogo e rubare la cassa, perché la vetrina del negozio era sbarrata da assi di legno. Qualcuno aveva attaccato un cartello al centro del compensato: “1.000 sterline di ricompensa per chi darà informazioni sui bastardi che anno fatto questo in modo che siano gambizzati!!!”

Logan allungò una mano per strapparlo via. Si poteva capire, certo, ma non era esattamente legale. E poi, quell’h mancante dava davvero fastidio.

Si fermò lì di fronte e si voltò con lentezza su se stesso.

Fraserburgh era tranquilla: il silenzio era assoluto, a parte l’occasionale e distante suono del motore di un’auto in qualche strada lontana. Non faceva freddo, ma neanche caldo. Le strade erano avvolte in un’anemica luce alogena.

Quando era arrivata la chiamata all’ispettore? Non poteva essere stato più tardi delle tre e mezzo. Quindi, chiunque stesse facendo quei colpi stava diventando più audace, o più stupido. O forse avevano una tabella di marcia da seguire?

Quattro registratori di cassa in tre giorni. Se non c’era ancora un Team Investigativo Primario dedicato a quel caso, di sicuro entro la mattina dopo sarebbe arrivato. Agenti in borghese dalla faccia seria intenti a girare per le campagne con i loro scarponi chiodati e i loro abiti militari. Facendo innervosire tutti e lasciando ai poveracci in uniforme il compito di raddrizzare i casini che si lasciavano dietro.

Le divisioni erano il futuro, e lì si trovava tutta la gente giusta…

Capitolo 10

La campagna scorreva ai lati dell’auto, buia e sfocata, la strada davanti illuminata dai fari, che facevano scintillare i paletti catarifrangenti. Una pulsazione ritmica, mentre Logan proseguiva lungo la linea tratteggiata.

Un mare di stelle si estendeva da un orizzonte all’altro. L’acqua era una distesa grigia a sinistra, circondata dagli scogli. In lontananza si vedevano brillare le luci delle case.

Logan canticchiò la fine di Started Out With Nothin’, guidò in silenzio per un minuto, poi si lanciò in Living is a Problem Because Everything Dies. Ricordando forse metà delle parole.

Prima fosse tornata l’auto grossa con la sua radio funzionante, meglio sarebbe stato. Davvero, era…

La ricetrasmittente suonò quattro volte, a segnalare una comunicazione interna. «Pattuglia Sette, potete parlare?»

«Parla pure, Deano».

«Ho un paio di persone a Gardenstown che dicono di aver visto Charles Anderson, la scorsa domenica. Hanno detto che era ubriaco marcio e stava vomitando dalla fiancata della sua barca».

«Altro?»

«Hanno detto che prima era al pub e raccontava di voler andare a Papa Bank o a Foula Waters a pescare eglefini».

Meglio di niente.

Logan tamburellò con le dita contro il ruvido accenno di capelli rasati sopra un orecchio. «Quindi forse non è scomparso. Forse è solo andato a pescare».

«Però dovrebbe rispondere almeno alla radio, sempre che non abbia più energia. Pensa che potrebbe essere alla deriva nel bel mezzo del Mare del Nord?»

«Sono piuttosto certo che la radio abbia delle batterie autonome. È la base della sicurezza».

«Giusto».

Logan affrontò un’altra curva e le luci scintillanti di Macduff lo accolsero in lontananza. «Di’ a Ciuffo di mettere su il bollitore. Sarò lì tra cinque minuti».

Altri campi immersi nell’oscurità. Altre sagome scure di alberi. E poi il cartello “benvenuti a macduff”. Qualcuno aveva appeso un foglio bianco con la scritta “auguri per i tuoi 40 anni, caz!!!!!” in grandi lettere di vernice nera, sotto al segnale dei limiti di velocità. Un paio di palloncini colorati erano stati legati al palo del segnale, e pendevano come i testicoli di un misero clown.

Logan fece una breve deviazione su Moray Street, con i suoi edifici squadrati e grigi. Si fermò in fondo alla via, all’incrocio con High Shore. Aveva due scelte: girando a destra, sarebbe tornato alla stazione di polizia; svoltando a sinistra, invece, sarebbe andato verso la Tarlair Outdoor Swimming Pool.

L’orologio del cruscotto gli fece notare che era già mezzanotte e mezzo.

E anche andando fino a lì, non avrebbe potuto fare niente di utile. Era molto probabile che sarebbe finito a svolgere un compito che dei semplici coni stradali sarebbero riusciti a fare meglio di lui.

Svoltò a destra. Superò le piccole case pittoresche, che seguivano le curve della strada, con gli abbaini che davano verso il mare e le sue onde che venivano a morire sciabordando sulla spiaggia di sassi.

Un pigolio dalla ricetrasmittente. «A tutte le unità nelle vicinanze di Rosehearty: aggressione in corso fuori dal campo nomadi…».

Un secondo di pausa. Due. Tre…

Poi qualcuno rispose. «Sergente Smith a Controllo, sto andando. Dite a McMahon e Barrow di muoversi e raggiungermi».

Logan superò l’acquario, chiuso per lavori di ristrutturazione. Un camper era parcheggiato di fronte alla temporanea recinzione di rete che circondava l’edificio, simile nella forma a un enorme cirripede con intorno coni stradali arancioni. Un tipo arruffato come uno spaventapasseri, vestito di una tuta sporca, era seduto sul gradino del camper a fumare, con una mano a coppa intorno alla sigaretta, come se cercasse di nasconderne la punta accesa a qualche eventuale cecchino.

Come se qualcuno potesse mai pensare di sprecare un proiettile per Sammy Wilson.

Logan superò il cancello d’entrata, passando lentamente accanto alla grossa boa rossa che decorava il centro del parcheggio.

La ricetrasmittente emise di nuovo quattro squilli, e la voce dell’ispettore capo Steel risuonò ringhiosa nella macchina. «Com’è che non mi hai ancora richiamato?»

«Sono occupato». Logan rallentò. Premette il pulsante con la scritta “vicolo a sinistra” e un faro si accese di colpo, bucando l’oscurità e colpendo Sammy Wilson dritto in faccia.

Tutto ossa e spigoli e pelle tesa e giallastra, sporcata da ombre di barbetta incolta, macchie e lividi.

Sammy si rannicchiò contro il camper, con un braccio che andava a coprirgli gli occhi.

Logan abbassò il finestrino. «Buonasera, Sammy».

Una smorfia. Poi l’uomo tirò su con il naso e sbirciò da dietro la manica lercia. «Non ho fatto niente».

«Certo che no».

«Ehi! Sei ancora lì?»

«No. Sta ascoltando una registrazione. Lasci un messaggio dopo il segnale acustico». Logan mollò il pulsante di ricezione e accennò alla recinzione temporanea, con i suoi cartelli pieni di avvertimenti. «Non stai pensando di fare qualcosa che disapproverei, vero, Sammy? Tipo qualche effrazione, forse? Magari per rubare degli oggetti dal cantiere?»

«Nah, non lo farei mai. Mai. Non io. Non sono un ladro».

Logan lo fissò.

L’uomo sollevò una spalla e si guardò la punta dei piedi. «Immagino che ora sia meglio che vada».

«Sì, probabilmente è meglio. Non vorrei che qualcuno si facesse un’idea sbagliata».

L’uomo si alzò in piedi e si allontanò verso Market Street, lasciandosi dietro una scia di fumo di sigaretta.

«Sei proprio uno stronzo a volte, lo sai?». La Steel si schiarì la voce. «Comunque, non ti sto chiedendo molto: solo una mano per parlare ai pervertiti locali, tutto qui».

«Non sono io quello che sta facendo lo stronzo». Riavviò il motore dell’auto, percorrendo Laing Street e puntando verso il porto. «Ha il più grosso team della divisione. Lo usi».

«Vuoi che il pervertito assassino che ha ucciso quella bambina la faccia franca? È questo che vuoi?».

A sinistra, un gruppetto di vecchie case in stile tradizionale scozzese si affacciava sulla ringhiera che dava sui frangiflutti del porto e sulla massa grigia e immobile del Mare del Nord. Alcune avevano le pareti grigie e ruvide, altre di granito e altre ancora erano dipinte di bianco.

«Il mio turno finisce tra mezz’ora».

«Non mi stai dicendo che correre a casa per mangiare una confezione di spaghetti cinesi e praticare dieci minuti di onanismo è più importante che prendere l’assassino di una bambina, vero?»

«E inoltre, devo andare in tribunale, domani».

Superò le case di Macduff Arms, tutte chiuse e silenziose.

«Oh, non fare la mammoletta. Si tratta solo di un paio di pervertiti, non ci vorrà molto».

Al Bayview Hotel si stava tenendo il ricevimento di un matrimonio, o qualcosa del genere: un gruppo di tipi ubriachi in kilt fumava e rideva davanti all’ingresso.

«Quindi sarà lei ad autorizzare lo straordinario pagato?»

«Ah…».

Non c’era nessuno fuori da Bert’s. Due donne stavano ritirando del denaro dal bancomat della Bank of Scotland. L’Highland Haven Hotel era tranquillo.

Era tutto sereno e pacifico. Silenzioso. Proprio come la sua ricetrasmittente.

Poi il porto lasciò il posto alla zona industriale e al deposito degli autobus.

Premette di nuovo il pulsante della radio. «Allora, lo autorizza?»

«Non è così semplice…».

«Questo non è il cid. Prendiamo l’intera paga per la prima mezz’ora di straordinario non previsto, dopodiché si calcola il tempo successivo. Non lavoro per beneficenza».

Gli edifici svanirono nello specchietto retrovisore dell’autopattuglia. Le luci di Banff scintillavano dall’altra parte della baia.

La Steel restò in silenzio per un po’. Poi, finalmente: «Okay, okay, straordinario sia. Sei un avido fi…».

«Non sono avido. Sono al verde, è diverso. Ha una vaga idea di che razza di taglio al mio stipendio ha significato la cosiddetta opportunità di sviluppo che mi ha tirato addosso? Sto vivendo di zuppa in scatola in offerta e pane del supermercato».

«Non è colpa mia! Come potevo sapere che Big Tony Campbell ti avrebbe rimesso l’uniforme sbattendoti in mezzo al fottuto nulla?». La voce della Steel si abbassò, diventando quello che probabilmente, nella sua idea, doveva essere un mormorio sensuale e accattivante. «Avanti: io e te a interrogare i pervertiti come ai bei vecchi tempi».

«Sì, be’… In ogni caso stasera è troppo tardi per fare qualcosa». Superò in quel momento il ponte che conduceva dentro Banff.

«Laz, Laz, Laz. Non hai imparato niente dal tempo che abbiamo passato insieme? Non è mai troppo tardi per mettere alle corde un pervertito».

La Nicholson si sporse in avanti dal sedile posteriore. «Vorrei ringraziarla di nuovo per la possibilità di lavorare con il Team Investigativo Primario».

Sul sedile del passeggero, la Steel prese un lungo tiro dalla sigaretta elettronica, facendone brillare la punta di blu. «Calmati, eh? A nessuno piacciono i lecchini». Poi batté un colpetto sulla spalla di Logan. «Siamo arrivati o no?»

«Per l’ultima volta: saremo arrivati quando saremo arrivati».

Lei si strinse nelle spalle. «Non è colpa mia se guidi come una vecchietta, Laz».

La Nicholson picchiettò con un dito sul braccio della Steel. «Ehm… perché lo chiama Laz?»

«È il diminutivo di Lazzaro. Ricordi il Mostro di Mastrick? È stato Laz, qui, a prenderlo. E si è ritrovato ad affrontarlo armato di coltello sulla cima di una torre».

«Non è andata così».

«Chi sta raccontando la storia, io o te?». La Steel prese un altro tiro di sigaretta elettronica. «Quindi sì, andò così: uno scontro all’arma bianca».

La Nicholson aggrottò la fronte. «Ma perché Lazzaro?»

«Perché il nostro ragazzone, in quell’occasione, si è fatto ammazzare».

La giovane agente sgranò gli occhi, nello specchietto retrovisore. «Cosa è successo?».

Logan cambiò presa sul volante e girò su Duff Street. «Mi sono ripreso».

La Steel sbuffò. «Siamo arrivati?»

«Stia zitta».

L’ometto basso sbatté le palpebre, fissandoli da dietro un paio di occhialetti dalla montatura pesante. «Prego?». Si strinse sul petto la vestaglia, nascondendo la mappa geografica di cicatrici e bruciature di sigaretta che aveva sulla pelle, e passandosi l’altra mano sulla sommità lucida del cranio.

La Steel si sporse avanti, fino a trovarsi sul bordo della poltrona. «Non è una domanda difficile, ti pare, Marky? Dov’era?».

L’uomo sbuffò, gonfiando le guance. Poi si strinse nelle spalle. «Qui, probabilmente. Non mi piace molto uscire. Non dopo…». Mark Brussels si schiarì la gola. «Be’, probabilmente è meglio così. Probabilmente. Insomma, di sicuro le avrete sentite certe storie, no? Persone che sono state condannate per crimini sessuali che vengono picchiate per strada». Fece un cenno verso l’esterno. E poi strinse le ginocchia. «Persone che scompaiono».

Lei prese la sigaretta elettronica e la succhiò. «Che scompaiono? Come Neil Wood?»

«Ne sono accadute tante di queste storie. Pestaggi. Scomparse. Cittadini preoccupati che se la prendono con poveracci come noi».

«Poveracci?». Lei tirò fuori la sua lista. «Qui dice che ha abusato di bambine anche di sette anni di età, per dodici anni di fila».

Logan ondeggiò sulle caviglie. «Quando ha ricevuto la sua ultima visita da parte degli agenti di controllo, Mr Brussels?».

L’orologio sulla cappa del camino continuò a ticchettare nel silenzio. Un piccolo terrier puzzolente russava disteso sulla schiena su un cuscino a scacchi in un angolo. Una radio, in un’altra stanza, diffondeva le note zuccherose di una canzone di una boy-band. Il parquet scricchiolava mentre la Nicholson continuava a camminare per la casa, dopo aver finto di dover andare in bagno. Logan considerò di scambiare due parole con lei, più tardi, per spiegarle che non era il caso di somigliare a un elefante con le scarpe da tiptap.

La Steel gonfiò le guance. «Avanti, Marky, qui sta diventando come una seduta dal dentista. Quando sono stati qui l’ultima volta quelli della Pattuglia Antipervertiti?»

«Be’…». Gli occhi dell’uomo scivolarono verso lo schermo vuoto come lo sguardo di uno zombi della tv spenta. «Hanno detto che non sono più un rischio, quindi potevo passare a una visita ogni sei settimane. A dire il vero, mi manca la loro compagnia». Si alzò in piedi. «Qualcuno gradisce del tè?».

«A me sembrano tutte stronzate, Billyboy». La Steel appoggiò i piedi sul basso tavolino che aveva di fronte. Si guardò intorno, stringendo gli occhi. «Uno come lei che si lascia sfuggire una cosina deliziosa in uniforme scolastica? Nah, non è nel suo stile».

L’uomo in cardigan beige la fissò con gli intensi occhi azzurri che spiccavano sotto alle cespugliose sopracciglia bianche. «Mi chiamo William, non “Billyboy”, e la pregherei di togliere i piedi dalla mia mobilia, grazie». La schiena rigida come un’asse da stiro, i capelli grigi all’indietro, a scoprire la fronte alta. «È già abbastanza brutto vederla arrivare qui in un orario fuori dalla grazia di Dio; il minimo che può fare è avere la civiltà di non trattare casa mia come il porcile in cui vive lei».

Logan fece un passo avanti. «Forse…».

«No, no, no». La Steel sollevò una mano. «Billyboy ha tutto il diritto di lamentarsi, se vuole». Gli rivolse un sogghigno tutto denti innaturalmente bianchi. «“Porcile” perché siamo “porci”, ovvero poliziotti, giusto? Molto sottile. Il suo file non diceva che è così acuto». Tolse i piedi dal tavolino. «Ma dice che le piacciono le bambine. Dai quattro ai nove anni, giusto?».

L’espressione dell’uomo si indurì: una lastra di granito dal naso adunco. «Non erano altro che voci infondate. L’intero processo è stato una farsa, dall’inizio alla fine. Una schifosa vendetta da parte di un mucchio di trogloditi ignoranti!».

Il rumore dello scarico del bagno fece tremare le tubature dietro la parete.

La Steel sporse le labbra, facendo diventare la bocca circondata di rughe molto simile al didietro di un gatto. «Ma è stato abbastanza perché la giuria la condannasse a otto anni di carcere, giusto?»

«Schifose menzogne».

«Com’è che la chiamavano i rotocalchi scandalistici? No, non me lo dica… Ah, sì: il Pedo-iatra!».

Certo, come se quell’approccio potesse essere d’aiuto.

Logan tirò fuori il taccuino. «Mr Gilcomston…».

«Dottore. Dottor Gilcomston, grazie».

«Dottor Gilcomston, qualcuno l’ha per caso minacciata? Ha motivo di credere che qualcuno possa volerla aggredire?»

«L’ignoranza è una piaga diffusissima nella nostra società, sergente».

La Steel appoggiò il mento sulle mani. «E nessuno ha cercato di mettersi in contatto con lei?». Sfarfallò le ciglia. «Non so, per esempio qualcuno come Neil Wood?».

Ci fu una pausa. «Se sta implicando che io abbia qualcosa a che fare con quel pervertito, sappia che mi sta offendendo».

La porta del soggiorno si aprì e la Nicholson entrò nella stanza. «Mi scusi. Deve essere stato qualcosa che ho mangiato».

Gilcomston rabbrividì. «Be’, spero che abbia pulito la tazza a dovere. Non ho nessuna intenzione di ripulire la sua immondizia».

Il sorriso alogeno della Steel tornò a lampeggiarle sul viso. «“Immondizia”! Un’altra eccellente battuta contro la polizia. Oggi è come il dannatissimo Oscar Wilde, eh, Billyboy?».

Logan abbassò la voce a un sussurro. «Sto soltanto dicendo che potremmo ottenere qualcosa di più, se lei la smettesse di essere così maleducata con tutti».

La Steel si appoggiò allo schienale di pelle del divano e vi distese le braccia. «Niente male questo posto, eh? Mi stavo giusto domandando quanto potrebbe costare».

Si trovavano in una villetta vittoriana su Church Street, con grandi finestre a golfo e un enorme giardino. Stampe con scene di caccia alle pareti, pigne e pot-pourri nel camino, sotto a una cappa di marmo scolpito. Un pianoforte a coda. Una libreria con le ante di vetro, piena di volumi rilegati in pelle. Lampade di lusso a tenere lontana l’oscurità della notte.

«Il dottor Gilcomston…».

«È un bastardo pervertito. E non è neanche un dottore: l’hanno radiato dall’albo, dopo la condanna».

La Nicholson intrecciò le dita dietro la schiena. «Devo di nuovo fare la scenetta del bagno?».

La Steel tamburellò le dita sul cuoio color tabacco. «Ognuno deve contribuire come può».

L’agente sospirò. Poi si strinse le braccia intorno al busto. «Inizieranno a pensare che ho la cistite».

La porta del salotto si aprì, e una donna corpulenta in coordinato violetto avanzò nella stanza come una chiatta color lavanda. Portava occhialetti a mezzaluna sulla punta del naso a patata. Solo le pantofole morbide che strisciavano sul vecchio tappeto lanoso facevano capire che era stata buttata giù dal letto, un po’ dopo l’una di notte. La donna posò un vassoio con dolcetti, tazze e una teiera, sul pianale di vetro del tavolino. «Chi è che ha la cistite?».

La Steel indicò con il pollice la Nicholson. «È tutta la sera che perde come una vasca da bagno bucata».

Ci fu una breve pausa di silenzio, poi la Nicholson strinse le ginocchia. «A dire il vero, mi scusi per il disturbo, ma potrei…?»

«Un bagno è vicino alla porta sul retro, l’altro in cima alle scale a sinistra».

«Grazie». E con questo, l’agente si allontanò.

La signora Coordinato si sistemò su una poltrona di pelle. «Allora, devo la vostra visita a queste stupide minacce?».

Logan lanciò un’occhiata al taccuino. «Minacce, Mrs Bartholomew?»

«Sì, minacce. Me le lasciano nella buca delle lettere, come dei dannati menu di cucina takeaway. “Brucerai all’inferno per quello che hai fatto. Dio non ti salverà. Stiamo arrivando”. Questo genere di cose». Sbuffò. «“Stiamo arrivando”. La gente non ha proprio alcun senso del decoro. Del resto, questa è l’epoca in cui viviamo, suppongo». Prese la teiera. «Posso offrirvi un tè?».

La Steel sorrise. «Non è così che si è ficcata nei guai, all’inizio?».

Un viso grassoccio e corrucciato sbirciò verso di loro attraverso lo spiraglio aperto tra la porta e lo stipite. La luce dei lampioni rendeva più evidenti i cerchi scuri sotto gli occhi dell’uomo, mentre li osservava da capo a piedi. «Ma lo sapete che ore sono?».

La Steel fece scattare avanti il polso, in modo da far sporgere l’orologio dall’estremità della manica. «Sì. Ora, ci invita a entrare per fare due chiacchiere con lei, o dobbiamo trascinarla per il collo?».

La Nicholson entrò in macchina. «Quanti ne abbiamo sentiti, finora?».

Logan accese il motore. «Undici».

«Pfff…». Lei si afflosciò, ben visibile nello specchietto retrovisore. «Il suo vecchio capo è… particolare».

L’ispettore capo Steel camminava avanti e indietro sul marciapiede di fronte alle casette con il terrazzo, il cellulare premuto contro l’orecchio e la sigaretta elettronica in bocca. Una mano gesticolava con forza, enfatizzando qualunque concetto stesse sottolineando, anche se chiunque fosse dall’altra parte della linea non avrebbe mai potuto vederla.

«Oh, poco ma sicuro». Logan piegò la testa da un lato e dall’altro, sciogliendo i nodi nei tendini del collo. «Il lato positivo della faccenda è che potremmo averti trovato un soprannome».

La Nicholson si coprì gli occhi con una mano. «Sergente, giuro su Dio che se è “Pisciona” la strangolerò con le sue stesse cinture di contenimento».

Lui sogghignò. «Non mi è mai neanche passato per l’anticamera del cervello».

Lei si girò a guardare le case. C’era una luce accesa nell’appartamento che avevano appena visitato; le tende erano aperte e una figura era stagliata nella cornice della finestra. Alta, magra e con i capelli lunghi. Poi le tende si richiusero.

La Nicholson continuò a guardare. «Mi sembrava troppo giovane per dare fastidio a delle bambine, non trova? Lui stesso era poco più che un bambino».

«Pensi ancora che sia tutto rose e fiori, in un Team Investigativo Primario?»

«In effetti, credevo fosse un po’ più…». La Nicholson si strinse nelle spalle. «Insomma, ha capito».

La Steel chiuse la telefonata e si ficcò in tasca il cellulare, per poi muovere a passo di marcia verso l’auto.

Logan annuì. «Se può consolarti, stai seguendo una lunga fila di agenti in una nobile tradizione».

«Quella di piscione di turno?»

«Io l’ho fatto per un sacco di tempo. “Oh, mi sta scoppiando la vescica, posso usare il bagno?”. E poi andavo a frugare nei cassetti e negli armadi mentre il capo di turno faceva domande idiote».

«Già…». Gli angoli della bocca della Nicholson si tesero verso il basso, i tendini del collo che si facevano evidenti sotto la pelle. «Non crederebbe a certa roba che ho trovato stasera. Insomma, non roba pedopornografica o simili, ma vibratori, lubrificanti e oggetti strani come palline da pingpong attaccate a una cordicella». Arricciò il labbro superiore. «Quel tizio, il dottore, aveva un dildo anale, un bavaglio con la palla e delle manette pelose. Insomma, riesce a immaginarlo tutto lubrificato e…».

Lo sportello del passeggero si aprì e la Steel si lasciò cadere sul sedile. Tirò fuori la lista dei pervertiti e una penna, e tracciò una spessa riga rossa sull’indirizzo del giovane che molestava bambine. «Bene. Il prossimo: Windy Brae».

Logan soffocò uno sbadiglio. Poi picchiettò con un dito sull’orologio del cruscotto. «Sono le due e venti. Io devo presentarmi in tribunale domani, se lo ricorda?»

«Che c’è, hai paura di non fare bella figura se non dormirai abbastanza? Credimi, ti sei già perso quell’opportunità quando hai deciso di rasarti i capelli a zero e iniziare a somigliare a uno scroto».

Lui aprì la bocca… e la richiuse. Poi si girò a guardarla. «Perché è qui?»

«Te l’ho già detto: sto cercando di arrestare l’assassino di una…».

«Oh, no. Non è così. Questo…». Indicò l’appartamento dove erano appena stati. «Infastidire tutti i pervertiti registrati? Questo non è un lavoro da ispettore capo. Forse da sergente, al massimo da detective».

Lei richiuse lo sportello. «Non c’è niente di male nell’andare orgogliosi del proprio lavoro, no?»

«Ha fatto incazzare qualcuno, vero? È per questo che è qui. Per punizione. Ha detto qualcosa che non doveva dire a Finnie o a Young».

La Steel strattonò la cintura di sicurezza e la allacciò con un gesto un po’ troppo precipitoso. «Oh… vai al diavolo».

Capitolo 11

Logan controllò l’orologio. «Bene, un altro quarto d’ora e abbiamo finito».

La Steel spostò il peso da un piede all’altro, mentre la Nicholson suonava di nuovo il campanello. Il cottage era in cima a una collina, e guardava verso la scogliera e il mare. Tutto era immobile e silenzioso, e la sottile falce di luna nel cielo dava a ogni cosa il colore del peltro. Non c’era altro che campi e cespugli di ginestra per miglia e miglia.

Un filo di vapore si levava dalla sigaretta elettronica verso la notte stellata. «Una volta eri molto più divertente».

«Solo perché lei è costretta a fare il turno di notte, non significa che avremmo dovuto farlo anche noi. C’è qualcuno che domani dovrà presentarsi davanti a una corte. Di solito dovrebbero passare almeno undici ore tra la fine di un turno di lavoro e una testimonianza in tribunale. Ma ormai è andato tutto al diavolo».

«Non dire che non sono mai buona con te: Swanson deve andare ad Aberdeen, domattina, per depositare i risultati della ricerca: ti darà un passaggio. E potrai farti una dormita per tutto il tragitto».

La Nicholson si allontanò dalla porta, per poi alzare lo sguardo alle finestre. «Non sembra in casa».

Un altro sbuffo di sigaretta elettronica. «Proviamo dal retro».

Accese la torcia a led e superò i cespugli di rose per raggiungere il lato posteriore del cottage.

La Steel si ficcò le mani nelle tasche, con la finta sigaretta stretta tra i denti. «Non so perché ti lamenti tanto. Il caso è blindato: Graham Stirling passerà il resto della sua vita a giocare a raccogli la saponetta con stupratori e assassini».

Logan si appoggiò alla parete con la schiena. Sbadigliò. Stiracchiò braccia e gambe. «Avanti, ora la Nicholson non è più qui: cosa ha combinato?»

«Al diavolo». La Steel prese un tiro profondo, sbuffando fuori un sottile filo di vapore. «Ti viene mai in mente che potrei sentire la mancanza di queste cose?»

«Cosa, svegliare i pervertiti nel bel mezzo della notte?»

«Non sto parlando dei pervertiti…». La donna tirò fuori una mano dalla tasca e gliela posò con forza sul petto. «Questo. Io e te: Cagney e Lacey; Holmes e Watson; Dalziel e Pascoe».

O forse Stanlio e Ollio, sarebbe stato più appropriato.

«Credevo avesse Rennie, ora».

«Rennie non è lo stesso. Piange, quando lo prendo in giro. E alla prossima battuta, temo che McKenzie si farà venire un aneurisma».

Un gufo bubolò nei campi dietro al cottage. Subito dopo si udì il rumore sordo di qualcuno che sbatteva contro dei vasi, seguito da una sommessa imprecazione.

Logan si accigliò, guardando verso l’oscurità. «Pensa che ci sia qualcosa da investigare su questi pervertiti che vengono assaliti e spariscono? Sono già due volte che succede».

«Due volte su quanti pedofili, una ventina? Non ha molta importanza, statisticamente parlando, no?»

«Tre, se si conta anche la minaccia del “Brucia all’inferno” di Mrs Bartholomew. Inoltre, il padre di Neil Wood è stato picchiato, oggi. Be’, tecnicamente ieri, ormai, ma ha capito cosa intendo».

La Steel succhiò un altro tiro profondo dalla sigaretta elettronica. «Non che non se lo meritino, giusto?».

Tutti i parcheggi fuori dalla stazione di polizia erano occupati, tra autopattuglie e macchine anonime, tutte illuminate dalla sottile luce alogena della zona. Anche il parcheggio sul davanti era pieno. Tra i vari veicoli ne spiccavano un paio di osservazione della polizia e un Transit in pieno assetto da rivolta, con la griglia anteriore sollevata come un sopracciglio sorpreso.

Logan trovò un posto dove parcheggiarsi più giù lungo la strada.

La Steel si alzò dal cigolante sedile del passeggero e si fermò ad aspettare sul marciapiede, stiracchiandosi pigramente. La camicia di seta azzurra si sollevò, esponendo una striscia di pelle pallida e l’ombelico.

«Pffff…». La donna si grattò. «Pensi che si possa trovare qualcosa da mangiare? Sto morendo di fame».

Logan accennò alla stazione di polizia. «Ci sono dei distributori automatici, nella mensa. Pacchetti di patatine, bibite energetiche e cioccolato».

Le sopracciglia della Steel si piegarono all’ingiù, dandole lo sguardo del cucciolo triste. «E delle patatine fritte vere? No?».

La Nicholson uscì dallo sportello posteriore dell’auto, seguendoli sul marciapiede. «Il panettiere apre alle cinque. E fanno un ottimo pasticcio di pollo al curry».

La Steel controllò l’orologio, poi afflosciò le spalle. «Ancora un’ora e venti minuti… sarò già morta di fame, a quel punto».

«Bene, allora può tenere compagnia a Hector». Logan inserì il codice nel tastierino numerico vicino all’ingresso destinato ai fornitori. Poi si coprì la bocca per nascondere un lungo sbadiglio.

Il suono dei telefoni filtrava attraverso l’edificio. Voci piuttosto alte. Qualcuno che rideva.

La Nicholson indicò il corridoio, nella direzione dell’ufficio degli agenti. «Prima di tutto le scartoffie, sergente?»

«Chiudi i rapporti e tornatene a casa. E chiedi tre ore di straordinario». Si volse alla Steel. «Mi pare giusto, no?»

«Dannati agenti, vi state mangiando tutto il mio budget…». La Steel si voltò ed entrò a passi pesanti nell’ufficio principale.

Due agenti erano seduti alla scrivania di Maggie, uno intento a inserire voci in un foglio di calcolo e l’altro piegato su un mucchio di buste di prove. Stava leggendo a voce alta i numeri sulle etichette, mentre il suo compagno li inseriva nel foglio di calcolo.

Una donna in tailleur color carbone era seduta all’altra scrivania, la punta della lingua che sporgeva dall’angolo delle labbra mentre batteva con due dita sulla tastiera. Una ruga dritta in mezzo alle sopracciglia e una massa di capelli ricci e castani, legati sulla nuca in qualcosa che sembrava un misto tra una coda di cavallo e uno chignon.

Nessuno di loro alzò lo sguardo, finché la Steel non schioccò le dita tre volte. «Ehi, Becky: ci sono messaggi?».

La donna in tailleur sobbalzò. Poi recuperò un mucchio di post-it accanto a lei. «Il cadavere è arrivato ad Aberdeen, capo. L’autopsia verrà effettuata alle nove e mezzo. Il sergente Rennie vorrebbe sospendere le ricerche fino all’alba. Dice che ora è troppo buio per…».

Un altro schiocco di dita. «So leggere, detective McKenzie: dammi quei cosi».

Becky le porse i post-it. Serrò la mascella, i muscoli che guizzavano. «Sì, capo».

La Steel passò da un quadratino giallo all’altro, allontanandoli dagli occhi e assottigliando lo sguardo. «Pfff… Non c’è neanche uno stronzo in tutta la polizia capace di prendere una decisione da solo?». Se li ficcò in tasca. «Se qualcuno ha bisogno di me, sono di sopra. Nel bagno delle donne. A fare le puzze». Fece una pausa sulla soglia. «E vedete di procurarmi una tazza di tè, eh? E qualcosa da mangiare». Poi si allontanò lungo il corridoio, dirigendosi verso le scale.

Un secondo. Due. Tre. Quattro. E il sorriso morì sul viso di Becky. Gli occhi si strinsero sulla porta. La voce sibilò, ridotta a un sussurro tagliente come un coltello seghettato. «Di cosa è morto il tuo ultimo schiavo, vecchia scopa?».

Si girò e uscì a passi rabbiosi, diretta alla mensa.

Sembrava che la Steel avesse ragione: quella donna stava per procurarsi un aneurisma.

Non c’era niente di meglio che gestire un team felice e contento.

Logan oltrepassò la stanza, diretto all’ufficio dei sergenti, e aprì la porta. Poi si bloccò.

Un tizio magro in completo blu era seduto al suo posto. Con i piedi sulla sua scrivania. Si grattava la nuca con una penna e teneva premuto il cellulare contro l’orecchio. «…sì, era quello che avevo pensato anch’io…». Si accigliò. Poi guardò in direzione di Logan: aveva il naso lungo, un taglio di capelli elegante con il ciuffo sulla fronte, una barbetta curata. «Levati di mezzo, sono al telefono… No, non lei, capo. Un tipo in uniforme… Sì…». E poi rise.

Logan annuì. Entrò nella stanza, sbattendo la porta alle sue spalle, abbastanza forte da far sobbalzare il coglione in completo.

«E lei sarebbe?».

L’uomo si leccò le labbra. Tolse i piedi dalla scrivania e raddrizzò le spalle. «Al telefono».

Probabilmente era troppo giovane per essere uno dei capi, ma con quegli ultimi programmi a carriera fulminante, non si poteva mai sapere. «E mi dica, ispettore, per quanto pensa di dover utilizzare il mio ufficio?»

«Scusi, capo, mi dia un minuto». Premette il cellulare contro il petto, coprendone il ricevitore. «Sono un detective. Detective Dawson. Team Investigativo Primario».

«Ah, capisco».

Dawson, il bastardo sessista che pensava che Janet dovesse fare da cameriera a tutti loro.

Logan si sganciò la cintura e la lasciò cadere sul piccolo schedario grigio dove tutti i taccuini venivano depositati alla fine di ogni turno. «Be’, se l’avessi saputo, non l’avrei mai importunata». Piantò la punta delle dita nell’apertura sul lato del giubbotto antiproiettile, aprì le chiusure in velcro e poi fece lo stesso sulla spalla, facendoselo scivolare via dal busto. «Un uomo grande e importante come lei ha sicuramente cose più importanti di cui preoccuparsi, che la gestione della Divisione b».

Un sorriso arricciò le labbra di Dawson il Coglione. «Lei e io abbiamo un problema?»

«No, no, no. Ci mancherebbe altro». Logan appese il giubbotto antiproiettile al gancio dietro la porta. «Che ne dice se le faccio fare una bella tazza di tè da uno dei miei?».

Dawson spalancò la bocca per un attimo, aggrottando la fronte. Poi il sorriso tornò. Ampio e magnanimo su quel faccino elegante. «Mi sembra… molto gentile da parte sua, sergente. Grazie. Con latte, e due zollette di zucchero».

«Nessun problema». Logan sollevò entrambe le mani a palmo in su. «Ci penso io».

Tornò nell’ufficio principale.

Becky lo oltrepassò quasi a passo di carica, con una tazza in una mano e un pacchetto di patatine nell’altra. Imprecando tra i denti mentre sbucava in corridoio, puntando verso il piano superiore.

Logan raggiunse l’ufficio degli agenti.

La Nicholson stava battendo sulla tastiera per concludere i rapporti della giornata.

Lui si appoggiò alla scrivania. «Non immaginerai mai chi ho appena incontrato».

Lei alzò lo sguardo dallo schermo. «Babbo Natale?»

«Il tuo bastardo sessista preferito, il detective Dawson».

«Urgh…». Lei tornò a digitare sulla tastiera, con più violenza di prima. «Spero che si becchi la sifilide. Da un Rottweiler incazzato».

«Non mi stupirei che si intrattenesse con…».

La porta dell’ufficio si aprì di scatto, facendo entrare l’agente che digitava i numeri delle etichette sulle buste nel foglio di calcolo: una faccia larga con qualche crosticina scura lungo il doppio mento, come se si fosse rasato troppo in fretta. «Sì, salve. Scusate». Un sospiro. «Sentite, il detective Dawson dice che se dovete preparare il tè, avremmo bisogno di tre tazze con latte e una zolletta di zucchero; quattro solo con latte; due caffè macchiati e uno nero con due zollette di zucchero. Per caso avete dell’Earl Grey? Al capo piace molto».

La Nicholson si alzò in piedi di scatto. «Ora ascoltami bene, fi…».

«Sarà un piacere», la interruppe Logan, alzandosi e battendo una pacca sulla spalla di Janet. «Non è così, agente?».

Ci fu una pausa.

L’uomo con le croste sul mento si strinse nelle spalle. «Sto solo facendo quello che mi hanno chiesto di fare».

Lei esalò un respiro sibilante. «Sì, sergente».

La Nicholson sistemò le tazze in fila, di malagrazia, sul bancone accanto al lavandino. Tutte e dieci. Mise a bollire l’acqua, poi fece cadere una bustina di tè e qualche cucchiaiata di caffè istantaneo nelle varie tazze.

Logan si appoggiò al distributore automatico, accartocciando nel palmo l’avviso secondo il quale i prezzi della macchina sarebbero saliti ancora. «E non dimenticarti il latte».

Lei lo guardò con riprovazione. «Non riesco ancora a capire perché dobbiamo servire e riverire quei…».

«Perché noi siamo dei bravi piccoli poliziotti di provincia che sanno stare al loro posto». Allungando il braccio sinistro, Logan raggiunse la porta della mensa e la spinse. Il battente girò e si chiuse con un tonfo.

La stanza aveva le pareti intonacate di un color magnolia molto industriale. Qualche bidone dell’immondizia, il distributore automatico e un televisore su una mensola da un lato; un tavolo blu al centro; gli scaffali, la cucina e il lavandino sulla parete opposta. Uno gnomo da giardino in cemento era appollaiato sul davanzale; qualcuno gli aveva dipinto gli occhi con il bianchetto e un pennarello nero, donandogli un paio di sinistre sopracciglia, per poi ficcargli in mano un tagliacarte spezzato. Probabilmente, per fare la guardia al salvadanaio a forma di maialino.

Logan tirò su il porcellino di coccio e lo scosse. Tintinnò appena.

La Nicholson lo indicò. «Vede? Non contribuiscono neppure alla cassa comune per il tè e il caffè. Luridi spilorci…».

«D’accordo». Logan cercò qualcosa nelle tasche della felpa. «L’acqua bolle?».

Lei controllò «Quasi». Poi si imbronciò. «Insomma, sergente, non è giusto».

«Stiamo soltanto preparando ai nostri cari colleghi una buona bevanda calda. Non c’è niente di male in questo».

La Nicholson posò il grosso cartone di latte parzialmente scremato vicino alla cucina. «Come fa a rimanere così calmo in questa situazione?»

«Perché io sono un adulto». Tirò fuori le confezioni di quello che aveva preso al Tesco di Fraserburgh. «Quattro scatole di sollievo violento e imprevedibile». Ne lanciò una alla Nicholson. «Qual è la dose raccomandata?».

Accigliandosi, lei controllò le istruzioni. «Una capsula prima di andare a dormire. Ma perché sta…?»

«Che ne dici: tre o quattro per tazza?».

Lei spostò il peso da un piede all’altro. «Non pensa che… sì, insomma, se ne accorgeranno?»

«No, non nel tuo ottimo tè. Triturale bene, e vediamo se riusciamo a far cacare sotto i nostri graditissimi ospiti».

Capitolo 12

I raggi del sole entravano nella stanza, attraversando le tende sottili. L’odore di muffa era ancora avvertibile nonostante l’attacco combinato di due deodoranti a presa elettrica; messo all’angolo, ma ancora combattivo. Dalla radiosveglia provenivano le note gracchianti di una canzone vivace e allegra.

Logan si girò sulla schiena e premette il pulsante per zittirla. Restò disteso a fissare la selva di macchie scure sul soffitto. Quella sembrava un bisonte. Quell’altra un piede maciullato. E quella laggiù… la Norvegia?

Le pareti non se la cavavano molto meglio: coperte di carta da parati arricciata e staccata, di una rivoltante tonalità che somigliava a una mousse di ribes nero.

Casa dolce casa.

Fu scosso da un enorme sbadiglio, mentre allungava gambe e braccia, sotto alla coperta. Per poi restarsene lì, abbandonato e perso, a sbattere più volte le palpebre.

Erano le sette. Aveva dormito per ben due ore e mezzo di seguito.

Forza: in piedi. Graham Stirling non si sarebbe condannato da solo.

Si alzò dal letto e si trascinò fino alla finestra, i piedi nudi che strusciavano sul parquet. Scostò di qualche centimetro una delle tende. Il cielo era di un azzurro cristallino, con qualche fiocco di nuvola molto in alto. La marea si era ritirata, lasciandosi dietro una striscia di sabbia chiara da lì fino al fiume Deveron. Qualche orlo di schiuma bianca si muoveva sull’ampia distesa del mare. Uno yacht si allontanava nel blu.

«Unngh…». Si grattò. Sbadigliò.

Cthulhu saltò sul davanzale accanto a lui, atterrando in un silenzio spettrale. Emise un basso miagolio, per poi spingergli la testolina contro un braccio. Piccola e pelosa, con il mantello tigrato e una coda quasi più grande del resto di lei. Logan le grattò un orecchio peloso, facendole socchiudere gli occhietti e fare le fusa.

La radiosveglia si rianimò in quel momento. Alle note finali della canzone di prima si sostituì la voce allegra di una donna. «Non so a voi, ma a me piace!».

Le fusa si interruppero. Cthulhu scosse la testa e saltò giù sul pavimento, atterrando come un sacco di mattoni, per poi allontanarsi, con la coda dritta in aria. Aveva sicuramente qualcosa di fondamentale da fare.

«L’appuntamento con il notiziario e le previsioni del tempo è alle nove e trenta. E ne sapremo qualcosa di più riguardo alle ricerche di Neil Wood, il quarantatreenne scomparso. Ma adesso, godiamoci l’ultimo singolo dei Monster Mouse Machine…».

Al diavolo. Era ora di una doccia veloce, e poi via verso Aberdeen.

«D’accordo, d’accordo, arrivo…». Logan si avvolse il telo intorno alla vita, fece scivolare i piedi bagnati nelle pantofole e scese le scale, mentre il campanello continuava a strillare fastidiosamente. Superò il corridoio, puntando verso la porta. La aprì di scatto. «Che succede?».

Oh… fantastico.

L’ispettore capo Steel sollevò un sopracciglio e prese un lungo e lento tiro dalla sigaretta elettronica che le sporgeva dall’angolo delle labbra. «Sono lusingata, ma non credo che mia moglie approverebbe». I suoi capelli erano tutti schiacciati da un lato, mentre l’altro lato sembrava aver deciso di proclamare l’indipendenza dalla testa. Ombre scure le coloravano le borse sotto agli occhi. E altre ombre scure le circondavano le ascelle della stessa camicia di seta azzurra che indossava il giorno prima. La giacca appesa a una spalla, una grossa busta di plastica che pendeva dall’altra mano. Accennò al torso di Logan. «Belle cicatrici, comunque».

Lui incrociò le braccia sui segni rilevati e chiari.

La Steel aggrottò la fronte. «Sei dimagrito. Che è successo al morbido orsacchiotto McRae che tutti conosciamo e amiamo? Sei diventato tutto pelle e ossa».

«Ci provi lei a scarrozzare in giro per dieci ore al giorno più di sei chili di equipaggiamento».

Un minibus pieno di signore anziane li superò, i volti avvizziti e pallidi delle occupanti premuti contro i finestrini. Ci fu un coro di esclamazioni entusiaste e gesti osceni.

La Steel agitò una mano in un cenno di saluto. «Be’, hai intenzione di restare qui a gocciolare con l’uccello di fuori, o pensavi di invitarmi a entrare?».

Lui sbuffò, si girò e tornò dentro. «Non posso stare molto: devo andare ad Aberdeen con la Swanson, ricorda?».

La Steel si chiuse la porta alle spalle e fischiò tra i denti. «Wow. Rennie aveva ragione, vivi davvero in un buco orrendo».

La carta da parati era stata strappata via nel corridoio e sulle scale, con l’intonaco rovinato e pieno di macchie. Un cavo elettrico grigio pendeva dal soffitto, con la sua lampadina nuda che somigliava alla goccia sulla punta di un naso non soffiato. La polvere si accumulava a mucchi su ogni gradino delle scale, la vernice scura che ne laccava il legno sbiadita e rovinata ai lati della striscia più chiara dove un tempo correva la moquette. Non c’era moquette neanche sul pavimento. Piccoli tratti rovinati di linoleum creavano punti irregolari sulle assi di legno.

La Steel aprì una porta nel corridoio. La stanza era piena di scatoloni di cartone. Non proprio dal pavimento al soffitto, ma quasi. «È la tua collezione di riviste porno? È quasi grande quanto la mia».

Lui salì le scale, in pantofole. «La stazione di polizia ha usato questo appartamento come archivio di emergenza per decenni. Il bollitore è in cucina. Si renda utile».

Quando riscese, asciutto e vestito del tipico nero della Polizia di Scozia, lei era in salotto, con una bottiglia di birra stretta al petto. Stava osservando, accigliata, i libri sulla cappa del camino.

Per il resto, c’erano un piccolo televisore in equilibrio sopra uno scatolone di cartone, un divano dall’aspetto usato che sembrava uscito da una vendita di beneficenza, una sedia pieghevole, due scale a pioli con dei teli per la polvere appoggiati sopra e qualche latta di vernice con dei pennelli. E qualche sacco di calce.

Lui lasciò cadere la felpa nera sul divano e si infilò la T-shirt nei pantaloni ruvidi. Prese le ciotole di Cthulhu dal tappetino in un angolo. «Sono le sette del mattino. Dove l’ha trovata la birra?»

«L’ho confiscata». Un sorso. «Laz, sul serio, questo posto è una discarica. E neanche una di quelle accettabili; questo è il genere di posto che ti costringe a correre dal dottore, dopo esserci stato, perché ti sei preso qualcosa. Metà delle finestre sono sbarrate!».

Logan portò le ciotole in cucina. I pensili potevano anche essere economici, ma erano nuovi e puliti. Le pareti di un giallino allegro erano state ridipinte di fresco. Una fila di vasetti di erbe aromatiche faceva bella mostra di sé sul davanzale della finestra, godendo della luce del mattino.

Attraverso il vetro, la stazione di polizia di Banff si vedeva nell’angolo opposto della piccola piazza. Tre piani di arenaria sporca, con un finto balcone sopra l’entrata principale e qualche capitello arricciato che sosteneva gli architravi. Degli elementi di pietra simili a urne decoravano la facciata frontale del tetto. Se non fosse stato per l’insegna bianca e blu con la scritta polizia e le file di autopattuglie e furgoni parcheggiati all’esterno, l’edificio sarebbe potuto sembrare un vecchio hotel.

Un gruppo di reporter si aggirava davanti all’entrata; bevevano caffè da bicchieri di polistirolo e si scaldavano sotto il sole del mattino. In attesa…

Logan svuotò il bollitore, lo riempì e lo mise sul fornello. «Le va un tè?».

La Steel comparve sulla soglia. «Quanto tempo ti ci vorrà per rimettere a posto questa casa? Cinque anni? Dieci?»

«Si vedrà. I lavori sono in corso d’opera».

«Pfff…». Lei infilò una mano nella busta di plastica e ne tirò fuori una copia del «Daily Mail». L’appoggiò sul bancone della cucina. «A quanto pare, la tua agente Nicholson non è l’unica con un problema di “perdite”».

Su gran parte della prima pagina campeggiava una foto di Neil Wood, sotto al titolo “caccia al pervertito – la polizia è alla ricerca di un pedofilo scomparso”. C’era perfino una foto della piscina all’aperto di Tarlair.

«Be’, non guardi il mio team, questa è sicuramente opera del suo gruppo di idioti». Infilò una delle ciotole di Cthulhu nella busta di croccantini per gatti, riempiendola. «Allora, cosa è successo con la bambina?»

«L’autopsia è alle nove e mezzo. Ci sono Young e Finnie di turno, mentre la sottoscritta si prenderà cinque ore tutte per lei…». Spalancò la bocca in uno sbadiglio da slogarsi la mascella, seguito da un rutto. E da un brivido. E da un altro sorso di birra. «Sono sveglia dalle sette di ieri mattina. Due kebab, tre litri di caffè, una bustina di patatine al formaggio e cipolla e una birra». Sollevò la bottiglia come in un gesto di saluto. «Questo lavoro sta facendo meraviglie per la mia dieta».

Logan svuotò la ciotola dell’acqua e la riempì di nuovo. «Allora venga a lavorare in divisione, vedrà che perderà qualche chilo come il sottoscritto».

«Bastardo insolente». Un altro sorso di birra. «E questa fuga di notizie non può essere arrivata dal mio gruppo di idioti. La maggior parte di loro ha passato la notte a bombardare a tappeto i cessi. È stato come rivivere la battaglia di Dresda, ieri notte, alla stazione di polizia». Un cenno. «Fortunatamente, io sono più tosta di loro».

Aveva soltanto avuto la fortuna di farsi portare una tazza di tè dal detective McKenzie prima che lui e la Nicholson avvelenassero quei bastardi, a dire il vero.

Logan si asciugò le mani su uno strofinaccio. Fece del suo meglio per sembrare innocente. «Può farmi un favore?»

«Se devo spogliarmi anch’io per fartelo: no».

«Un paio di stronzi locali hanno ricevuto un grosso carico di droga dal sud. Ho un mandato per perquisire il nascondiglio. Ma ieri non ci sono potuto andare, per via del ritrovamento della bambina…». Attraversò il salotto per rimettere al loro posto le ciotole di Cthulhu. «Se li lasciamo in pace un altro po’, divideranno il carico e lo faranno sparire per le strade. E lei ha tutte le forze della divisione a sua disposizione». Tornò in cucina.

«La smetti di andare avanti e indietro? Mi stai facendo venire il mal di mare». La Steel inghiottì quel che restava della birra, poi posò la bottiglia sul pianale della cucina. E afflosciò le spalle. «Quando, e quanti uomini ti servono?»

«Domani sera. Diciamo… quattro specializzati e un cane antidroga? Quello di Syd Fraser è bravo, se potessimo avere lui».

Un enorme sbadiglio la fece tremare e stiracchiare, con le spalle fin sotto le orecchie e le braccia sollevate sopra la testa. «Per quanto tempo?»

«Un paio d’ore. Circa». Cercò una scodella nella credenza, insieme alla confezione di cereali di una marca sconosciuta. «Quanto alla bambina, state controllando la piscina all’aperto, il parcheggio e gli edifici, giusto?». Versò i cereali nella ciotola. «E se non fosse stata abbandonata lì?».

La Steel tirò fuori un apribottiglie e aprì un’altra birra. «Non è certo volata fin lì da sola. Il corpo deve esserci arrivato, in qualche modo».

«C’è del muschio viscido intorno a tutta la piscina principale, soprattutto dal lato del mare. E quel genere di roba cresce soltanto se il muro viene coperto regolarmente dall’acqua. Considerando che abbiamo avuto un paio di giorni di brutto tempo durante il weekend…».

Lei lo fissò. Poi si coprì il viso con le mani. «Dannazione. È stata portata lì dal mare».

«È sicura di non volere una tazza di tè?»

«Voglio andare a fare pipì».

«Il bagno è in cima alle scale».

Lei risalì i gradini, facendoli scricchiolare sotto le scarpe. Poi si udì il tonfo della porta che si chiudeva.

Logan versò un po’ di latte sui cereali e controllò il cellulare: c’erano un messaggio vocale da parte di Deano e uno di testo da sua madre. Che finì cancellato senza essere letto.

«Sergente, sono Deano. Senta, organizziamo un barbecue da noi, giovedì sera. Un amico porterà delle bistecche. Le va di unirsi a noi? Ci faccia sapere».

Perché no? Sarebbe stato carino godersi una vera cena, per una volta. E per giovedì Graham Stirling sarebbe sicuramente già partito per Barlinnie, dove avrebbe passato il resto dell’esistenza. Inoltre, sarebbero già andati a perquisire il nascondiglio del carico di Klingon e Gerbillo. E avrebbero trovato tanta di quella droga da garantirsi citazioni di merito nei rapporti, medaglie e una parata. Sarebbe stato proprio il momento giusto per festeggiare.

Era troppo presto per richiamare Deano. Quindi Logan divorò i cereali, si infilò in tasca il cellulare e fece scivolare una fetta di pane in cassetta in offerta nel tostapane. Fece capolino in corridoio. «Si sbrighi: devo uscire tra un minuto».

Non ci fu risposta.

«Okay, le lascio la copia delle chiavi sul tavolo. Può uscire da sola».

Silenzio.

«Senta». Logan raggiunse il fondo delle scale. «Pensavo di andare a trovare Susan, già che sono in città. Per vedere come se la sta cavando. La trovo a casa, oggi?».

Niente.

Forse non era stata così fortunata con il tè avvelenato, alla fine?

«Ehi?». I gradini gli scricchiolarono sotto i piedi per tutto il tragitto. «Non ci è mica caduta dentro, vero?». Quando bussò alla porta del bagno, la vide aprirsi.

Fortunatamente, la Steel non era seduta sul gabinetto con i pantaloni alle caviglie. La stanza era vuota, con le sue piastrelle e i suoi sanitari nuovi. Economici ma funzionali. Anche se ci erano volute settimane per sistemare tutto.

«Ehi?».

A quel punto, sentì uno strano rumore raschiante, come una sega al lavoro su un pezzo di metallo corrugato, proveniente dalla camera da letto. Ci fu una pausa di silenzio. Poi riprese.

Mise una mano sulla porta e la aprì. Eccola lì: distesa sulla schiena, sul suo letto, con i piedi ancora sul pavimento. Un braccio disteso a sinistra, l’altra mano appoggiata sul seno. La bocca spalancata. Russava come un contrabbasso.

Fantastico.

Le sollevò le gambe sul letto, le tolse gli stivali e le drappeggiò addosso una coperta.

Dal corridoio si sentì un basso miagolio. Cthulhu entrò nella stanza e saltò sul letto accanto alla Steel. Impastò la coperta con le zampine per una buona manciata di secondi, poi si girò un paio di volte e si acciambellò sul cuscino, accanto alla sua testa.

«Stronzetta traditrice».

Logan chiuse la porta e le lasciò sole.

Logan si passò la felpa da una mano all’altra ed entrò nella stazione di polizia. L’odore innaturale e acuto del disinfettante e del deodorante per ambienti all’aroma di pino lo afferrò al naso e gli scese fin nella gola. Era come se qualcuno stesse cercando di coprire una puzza terribile.

Cercò di mantenere un’espressione seria.

Fece capolino nell’ufficio degli agenti: era vuoto. C’era una coppia di scatoloni di cartone al centro della stanza: erano pieni zeppi di buste di carta marrone per le prove, ma a parte quello, l’ufficio era il solito mucchio di poster, avvisi e scrivanie affollate di scartoffie.

Non c’era nessuno nella mensa, e neanche nell’ufficio principale.

Due giornali abbandonati se ne stavano ripiegati sul bordo della postazione accanto alla scrivania di Maggie, una copia dell’«Aberdeen Examiner» e una dell’«Evening Express». Su una c’era una foto aerea della Tarlair Outdoor Swimming Pool, con una foto più piccola all’interno che ritraeva una sagoma scura che doveva essere una bambina: “cadavere rinvenuto in un belvedere abbandonato del nord-est”. Sull’altra si vedeva un primo piano di Neil Wood: “il pedofilo scomparso ha ucciso una bambina?”. Una sottile colonna laterale portava il titolo: “il processo contro stirling continua”. Si sarebbe potuto pensare che una notizia del genere meritasse più spazio, considerando quello che Graham Stirling aveva fatto a Stephen Bisset.

Logan si girò su se stesso. «Ehi, c’è qualcuno?».

Forse il Team Investigativo Primario aveva già arrestato chiunque avesse ucciso la bambina e se n’era tornato da dove era venuto? Sarebbe stato fantastico…

Tirò fuori le chiavi e aprì l’armadietto blu con il suo nome sopra. Sganciò la ricetrasmittente dal caricatore, la accese e la infilò nella tasca della felpa. Poi si spinse nell’ufficio dei sergenti.

E lì si fermò.

Il detective Dawson era ancora alla sua scrivania. Solo che questa volta non sembrava più tanto arrogante.

Aveva la faccia di un pallore grigiastro, con borse sotto agli occhi di un colore livido. Il ciuffo aveva perso tutta la sua baldanza e gli pendeva floscio sulla fronte sudata. Alzò gli occhi mentre Logan chiudeva la porta. Fece una smorfia, posandosi una mano sul ventre, mentre qualcosa che sembrava una macchina del caffè gli borbottava dentro. «Cosa ci fa qui? Pensavo che avesse il turno pomeridiano».

Logan fece del suo meglio per non sorridere. «Non si sente bene?»

«Urgh… Dobbiamo aver mangiato tutti del kebab avariato, ieri sera. Metà della stazione ha cominciato a correre al bagno dalle quattro di stanotte».

«Che disgrazia». Logan sbloccò il piccolo schedario grigio e aprì il cassetto con il suo taccuino. Se lo infilò in una tasca. «Dovrei farmi dare un passaggio ad Aberdeen da Swanson. L’ha mica vista?»

«Sono rimasto bloccato nelle celle per due ore: era l’unico bagno rimasto libero». Dawson gonfiò le guance e si massaggiò la pancia che continuava a borbottare. «Non toccherò mai più un kebab in vita mia».

«Sembra una cosa terribile». Non sorridere. Non sorridere. «Allora, la Swanson?»

«Non ne ho idea. So soltanto che tutti sono corsi fuori a fermare una rissa fuori dal… Urgh…». Un altro rombo di tuono dalle sue viscere. «Oh, Dio…». Si afferrò alla scrivania. Una pausa. Prese un respiro profondo, e lo esalò in un lungo e basso sibilo. «No, ce la faccio…».

Logan si stampò in faccia l’espressione più comprensiva che gli riuscì di fingere. «Be’, ho un paio di minuti, quindi… che ne dice se le porto una bella tazza di tè?».

L’agente Swanson spostò la presa sul volante, china in avanti sul sedile mentre affrontavano una curva, dirigendosi a sud sulla a947. Aveva mani grandi, il viso largo e capelli arruffati e castani con meches bionde a larghe strisce, legati in uno chignon sulla nuca. Portava gli occhiali. «Mi dispiace davvero tantissimo. Solo che quei due vecchietti se le stavano dando di santa ragione. Pugni e dentiere che volavano ovunque». Fece una smorfia. «Mi spiace».

«Te l’ho detto, non è un problema. Mi basta arrivare in tribunale per le nove, tutto qui». Logan tirò fuori il cellulare, mentre attraversavano a tutta velocità Castleton Bridge. Nessun nuovo messaggio.

Un costante borbottio di chiamate si faceva sentire dalla sua ricetrasmittente: la Divisione b cominciava la sua giornata lavorativa.

«Sospetta overdose su Crooked Lane, Peterhead».

«C’è qualcuno nelle vicinanze dell’Asda di Fraserburgh? Un taccheggiatore è stato fermato dalla sicurezza del negozio».

«A tutte le unità, stiamo cercando un certo Tony Wishart, maschio, bianco, diciotto anni, capelli scuri. Ha un mandato di arresto per effrazione e rapina».

«Ci sono state lamentele per rumori molesti a Whitehills, c’è un’unità libera per rispondere? Priorità uno».

Logan abbassò il volume e si sistemò meglio contro lo schienale del sedile, come se si volesse fondere con il tessuto.

Era bello non dover indossare un giubbotto antiproiettile e una cintura piena di oggetti fastidiosi, per una volta.

Fuori dal finestrino, campi di un verde vivace e alberi sfilavano rapidi. Il rollio di sottofondo delle ruote si unì al ronzio della ricetrasmittente e al borbottio ringhioso del motore dell’autopattuglia. E al tintinnio della cassetta di plastica blu sul sedile posteriore. La macchina affrontò un’altra curva, e il crepitio delle buste delle prove all’interno della cassetta si unì al concerto.

La Swanson lo guardò con una smorfia. «Speriamo soltanto di non imbatterci nel traffico mattutino dell’uscita per Dyce. Non so se sia meglio o peggio passare da Inverurie o…».

«Andrà tutto bene. I laboratori non faranno nulla con quelle prove fino a questo pomeriggio, comunque». Spinse indietro il sedile di un paio di scatti e si coprì gli occhi e il naso con il berretto dell’uniforme. «E se vedremo che si fa troppo tardi, accenderemo le sirene. Non penso che ai piani alti si lamenteranno, se servirà a sbattere in carcere una volta per tutte Graham Stirling». Si stiracchiò, represse uno sbadiglio e sospirò.

«Sergente?»

«Che c’è?»

«Lei non russa, vero?»

«Stiamo per scoprirlo».

Lo scroscio di applausi cominciò non appena Logan entrò nell’ufficio del cid. Pareti beige, soffitto sporco, moquette ancora più sporca, lavagne magnetiche piene di appunti e linee. Era più piccolo del vecchio ufficio, ma del resto anche il team si era ridotto, dilaniato da tutte le unità specializzate che erano saltate fuori dalla trasformazione della Grampian Police in Polizia di Scozia. Ma la mezza dozzina di agenti lì dentro lo salutò con una standing ovation, una tazza di tè al latte e un panino al bacon.

Biorischio gli batté una pacca sulla spalla e aprì il coperchio di una bottiglietta di ketchup, schizzandone un po’ sul panino. «Si deve tenere in forze per oggi».

«Già. E tu quando vai a testimoniare?»

«Domani mattina». Posò la salsa sulla sua scrivania. «Ma sicuramente a quel punto sarà già tutto finito».

Gli altri tornarono alle loro scrivanie e ai loro telefoni, mentre Biorischio lo portò verso uno schedario accanto alla stampante, con la scritta “taccuini” a grandi lettere in pennarello nero. «Mi sono preso questa piccola libertà».

Logan morse il panino. Era tiepido, ma sapeva di vittoria affumicata, mentre lui cercava nel cassetto i taccuini che aveva riempito quando stavano cercando Graham Stirling. Li posò sopra la stampante. «E Rennie?»

«Domani pomeriggio. Sempre che sappia come tornare qui, dal buco sperduto in mezzo alle campagne dove vive lei adesso».

«Ehi, bada a come parli». Logan prese un altro boccone di panino, buttandolo giù con un sorso di tè. «Hai idea di come stia andando il processo, finora?»

«Lo sa come vanno queste cose. Ieri hanno soltanto tergiversato. Argomentazioni preliminari e cose del genere. Niente su cui la giuria potesse affondare davvero i denti. E, a proposito…». Biorischio prese una cartellina verde e gliela porse. «Adesso usano i mock-up».

Logan si ficcò in bocca quel che restava del panino e controllò il contenuto della cartellina. Invece delle vere foto della scena del crimine, qualcuno aveva modellato un corpo al computer e vi aveva aggiunto le ferite di Stephen Bisset. Una roba delicata e accettabile per la quindicina di persone che nel giro di un paio di giorni avrebbero spedito in carcere Graham Stirling.

Logan rimise le immagini nella cartellina. Poi controllò l’orologio. «Sarà meglio che vada. Sai bene come sono i pezzi grossi, prima di un processo del genere». Inghiottì gli ultimi sorsi di tè. «Ci andiamo a bere qualcosa, dopo?»

«Può contarci». Un sorriso illuminò il viso di Bob Biorischio, tutto denti e guance paffute. «La Steel ha perfino messo quindici sterline nel salvadanaio».

«Era ora». Logan si ficcò i vecchi taccuini nelle tasche. «Bene, sarà meglio che vada».

Bob ammiccò. «È una vittoria annunciata». Arricciò un lato del viso e si piegò a sinistra. Si udì un suono sibilante e acuto. E poi sorrise. «Un portafortuna tutto per lei».

L’odore lo investì come una mazzata in testa. Logan arretrò, con gli occhi che quasi lacrimavano, agitando una mano davanti alla faccia. «Buon Dio… che hai mangiato?».

Il sorriso sul volto di Bob si allargò. «Oh, sì, Stirling affonderà».

Capitolo 13

Il brusio delle voci riecheggiava dalla stanza dei testimoni. Logan si mise il berretto dell’uniforme sotto un braccio e tirò fuori il cellulare. Si diresse alle scale, superando diverse porte, mentre cercava nella rubrica il numero di Deano e saliva al piano di sopra. Si appoggiò al davanzale di una finestra, mentre il telefono squillava. All’esterno, la pavimentazione di granito di Marischal Street scendeva lungo la collina, interrompendosi davanti alla carreggiata a due corsie del ponte e poi procedendo fino al porto. Le case di tre piani di pietra grigia scintillante di inclusioni di mica sotto al sole avevano abbaini su cui la luce si rifletteva, abbagliante. Una barca si intravedeva sul fiume in fondo alla strada, con lo scafo giallo e nero macchiato di ruggine.

Probabilmente avrebbero cominciato a bere al Blackfriars, dopo il processo. Un paio di pinte di birra, e poi sarebbero passati da Archie, dall’altra parte della strada, per una fetta di pasticcio con le patate e altra birra. E poi sarebbero andati all’Illicit Still. Al Prince of Wales. E da Ma Cameron’s… In tutti i vecchi locali di un tempo. Forse perfino al…

«Pronto?»

«Deano? Sono Logan. Grazie per l’invito al barbecue, mi sembra un’ottima idea».

«Ottimo. Verranno anche Janet e Ciuffo. Ho una cassa di bistecche grosse quanto la sua testa».

«Domani potremo far valere il mandato di perquisizione per quel carico di droga. Ho ottenuto gli uomini in più».

«Ancora meglio. Sarà fantastico arrestare finalmente Gerbillo e quell’idiota di Klingon».

«Puoi dire al team di tenere d’occhio il posto, stanotte? Probabilmente sono solo paranoie, ma non voglio che dividano il carico e comincino a venderlo prima che siamo riusciti a entrare lì dentro. Però tenete un profilo basso».

«Senz’altro».

«Vuoi che porti qualcosa, giovedì?»

«Un’insalata di patate? Un po’ di coleslaw? Qualcosa del genere. Sì, e mi raccomando: non già pronta. Deve farla lei. Oops, devo andare: sto bruciando il pane».

Logan stava per rimettere in tasca il cellulare quando lo sentì squillare di nuovo. «Ma che diavolo…?». Lo ritirò fuori. Numero sconosciuto. Premette il pulsante di ricezione. «Logan McRae».

Silenzio.

«Pronto?».

Una voce sottile e nervosa gli riempì l’orecchio. «È… è il sergente McRae? Lei ha salvato la vita a mia madre, ieri sera».

Lui aggrottò la fronte. Davvero l’aveva fatto. «Oh, Mrs Bairden». La vecchietta nella vasca da bagno.

Un uomo robusto in giacca nera, con il cravattino e il colletto inamidato, sbucò dalla porta del pianerottolo al piano di sotto. Lanciò uno sguardo al piano inferiore, poi alzò gli occhi e vide Logan. Aveva orecchie e naso molto piccoli, e gli occhi nascosti in mezzo a una rete di rughe grigiastre. Il funzionario controllò la cartellina che aveva in mano. «Sergente McRae?».

Logan annuì, sollevando un dito. Tornò al telefono. «Sta bene?»

«I medici hanno detto che ha avuto un attacco di cuore. Se non fosse stato per lei…». Una pausa. «Grazie».

Un’ondata di calore gli si espanse nel petto, come un sorso di whisky di malto. «Sono lieto di essere stato d’aiuto».

«Sergente McRae, la stanno aspettando». Il funzionario di corte si accigliò. «E non dovrebbe usare il cellulare qui dentro».

«Davvero, grazie di cuore…».

«È stato un piacere. Le faccia i miei auguri di pronta guarigione».

«Sergente McRae, devo insistere…».

«Mi scusi, ora devo andare. Sono in tribunale».

«Sì, sì, certo. Grazie ancora…».

Quando la donna attaccò, Logan si ritrovò a sorridere. Spense il telefono e lo rimise in tasca. Poi si calcò il berretto in testa e scese le scale, raggiungendo il funzionario di corte. Gli batté una pacca sulla spalla. «Sa, certi giorni mi ricordo perché sono entrato in polizia».

La corte non sembrava affatto come quelle che si vedevano di solito in televisione. Era luminosa e moderna, con pannelli di legno chiaro lucidato e pareti color panna. Lunga e stretta, divisa a metà da una partizione che arrivava all’altezza della vita. Un folto gruppo di cittadini di Aberdeen si era accalcato nelle file di posti dedicati al pubblico, con i volti lucidi nella stanza fin troppo calda. Il tavolo della stampa era pieno di giornalisti con le camicie sudate, che digitavano furiosamente sulle tastiere dei portatili o prendevano appunti sui loro taccuini.

Al centro della partizione, un pannello di vetro antiproiettile alto due metri e mezzo chiudeva su tre lati la postazione dell’imputato. Graham Stirling era seduto lì, fiancheggiato da due enormi guardie di sicurezza. Invece del prendisole azzurro con cui Logan l’aveva visto l’ultima volta, adesso indossava un ben più sobrio completo scuro. Aveva i capelli più lunghi, che gli si arricciavano intorno alle orecchie. Sembrava più un contabile che un manipolativo e crudele predatore sessuale. Girò la testa, evitando lo sguardo di Logan.

Meglio così.

Un grosso tavolo ovale occupava gran parte dello spazio di quel lato della partizione. Da una parte c’era l’accusa: un sostituto procuratore e il suo assistente in toga nera e cravatta; accanto a loro, il procuratore, in gessato grigio, con i capelli e i baffi militareschi dello stesso colore. La difesa era seduta al lato opposto: il patrocinante per la corona e il suo assistente in toga, parrucca corta e cravatta bianca; l’avvocato d’ufficio che sembrava un agente immobiliare di Elgin.

Il funzionario di corte era seduto tra loro, come un arbitro in una terra di nessuno. La giuria si trovava dietro la difesa, di fronte al banco dei testimoni, con degli schermi televisivi piatti accanto. Altri due enormi schermi si trovavano sulle pareti opposte, per mostrarvi le prove.

Niente mogano. Niente decorazioni vittoriane pseudo-gotiche. Niente odore di vecchie sigarette emanato dalla moquette consumata. L’unico accenno a qualcosa di antico era lo stemma intagliato sopra il banco del giudice e la mazza montata sulla parete lì accanto.

Be’, e l’abito del giudice.

La donna si sistemò la toga bianca, che virava su una vaga tonalità rosata, forse per via delle due grosse croci rosse sul davanti e di un ciclo di lavatrice a temperatura troppo elevata. La parrucca bianca era posata sui suoi lunghi capelli grigi. Aveva un paio di severi occhialetti sul setto del lungo naso sottile. Una mano si massaggiava la punta del mento appuntito, mentre osservava Logan raggiungere il banco dei testimoni.

Il funzionario che l’aveva accompagnato attese che si sistemasse, prima di rivolgersi al giudice. «Vostro Onore, si presenta ora in aula il testimone numero sei, il sergente Logan McRae».

«Bene». La donna si alzò e sollevò la mano destra. «Sergente McRae, ripeta dopo di me: giuro di fronte a Dio Onnipotente di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità».

«Quindi, sergente McRae», Sandy Moir-Farquharson si sfilò gli occhiali, pulendoli sul bordo della toga nera, «si aspetta davvero che la giuria creda che sia stata una coincidenza, se lei si trovava ai Cults, quella sera?». Si rimise gli occhiali e sorrise. L’espressione non fece che enfatizzare il modo in cui stava arricciando il naso. Aveva capelli grigi pettinati all’indietro, ritratti sulle tempie, e con la chierica calva in cima alla testa coperta dalla parrucca bianca. Il completo che sporgeva dal bordo della toga probabilmente costava più di sei mesi di stipendio di Logan.

Lui raddrizzò le spalle. «Non è quello che sto dicendo. Graham Stirling era lì e cercava di fare una nuova vittima, quindi…».

«Obiezione». L’avvocato si volse al giudice, sorridendo. «Vostro Onore, il testimone sta facendo una supposizione».

La donna annuì. «Accolta». Poi guardò verso il banco dei testimoni. «Sergente McRae, la prego di attenersi ai fatti».

«Lo sto facendo, Vostro Onore. Graham Stirling stava pubblicando degli annunci personali anonimi nell’“Aberdeen Examiner”, in cerca di uomini interessati a rapporti sessuali con transessuali non operati. Seguendo il consiglio del nostro psicologo forense, abbiamo provato a rispondere a uno di questi annunci e abbiamo organizzato l’incontro…».

«Ci arriveremo, sergente». Moir-Farquharson controllò i suoi appunti. Probabilmente solo per fare scena. Quel viscido piccolo bastardo di sicuro ricordava tutto a memoria. «Dunque, nella sua testimonianza ha dichiarato di aver iniziato un inseguimento attraverso i giardini sul retro di Hillview Drive perché c’era, e cito le sue parole testuali, “qualcosa di sospetto riguardo a quella persona in prendisole azzurro”. Dico bene? E sospetto in che senso?».

«…qualcun altro ha sentito questa presunta confessione, sergente?».

L’orologio sulla parete ticchettava silenziosamente.

Particelle di polvere vorticavano nel fascio di luce che scendeva dalle finestre.

«Sergente?».

Logan girò un paio di pagine del suo vecchio taccuino. «Graham Stirling ha detto: “Stephen Bisset sta morendo nel buio, e non puoi farci niente”».

Moir-Farquharson scosse la testa. «No, sergente, non le ho chiesto quello che lei afferma di aver sentito, le ho chiesto se c’è qualcuno che può confermare le sue parole».

Tick. Tick. Tick.

«Eravamo soli nel giardino, in quel momento, ma…».

«Pensavo di no». Il sorriso dell’avvocato era ampio e splendente. Doveva avere un bravo dentista. Non si riusciva neanche a distinguere in quale punto qualcuno gli aveva fatto saltare i denti a suon di calci. «Quindi, lei ha aggredito Graham Stirling: l’ha colpito con una testata e gli ha rotto il naso. Ha cercato di fratturargli un polso e poi, miracolosamente, ha ottenuto la sua confessione, che nessun altro ha sentito».

Il sostituto procuratore scattò in piedi, puntando il braccio verso il collega della difesa. «Obiezione!». Aveva lunghi ricci grigi tirati indietro a scoprire la fronte alta, e un viso arcigno. La voce roboante non mascherava affatto il netto accento di Edimburgo: «Il sergente McRae ha agito con l’energia necessaria per fermare un sospetto che stava resistendo all’arresto con tutte le forze. Dipingere questa realtà come una specie di confessione ottenuta sotto tortura è agire in malafede, per non dire di peggio».

Moir-Farquharson sollevò una mano. «Mi scuso, Vostro Onore. Il sottoscritto non voleva implicare nulla del genere».

«Le confessioni prive di conferme da parte di terzi sembrano essere un marchio di fabbrica della sua testimonianza, non trova, sergente? Mi riferisco, ovviamente, a quella che afferma di aver ottenuto da solo sul sedile posteriore dell’auto della polizia…».

Tick. Tick. Tick…

Logan si sistemò la T-shirt della polizia. «Graham Stirling ha dichiarato che avrebbe parlato soltanto se i miei colleghi fossero usciti dalla macchina».

«Quindi non ci sono persone che possano corroborare le sue affermazioni».

«Abbiamo ritenuto, correttamente, che la vita di Stephen Bisset fosse in grave pericolo. Era importante che…».

«Secondo la sua dichiarazione, le è stato detto…», l’avvocato sollevò un foglio di carta e lo lesse da sopra il bordo degli occhiali, «“Non troverete mai la capanna senza di me. Quel posto non è su nessuna cartina. Quando lo troverete, Steve Bisset sarà morto da tempo”. È vero?»

«Sì, è così».

«Molto conveniente per lei…».

«Mi dica, sergente McRae, è normale pratica della Polizia di Scozia negare a un sospetto di avere un avvocato, quando viene arrestato?».

Santo Dio.

«Si trattava di circostanze fuori dal comune: Stephen Bisset era gravemente ferito e stava morendo…».

«Ha sentito parlare della sentenza Cadder, vero, sergente? È sua abitudine contravvenire ai diritti umani dei suoi sospetti?».

Tick. Tick. Tick…

«Sergente?»

«Noi non abbiamo… ho preso la decisione che, considerando il tempo che giocava a nostro sfavore, era più importante salvare la vita di Stephen Bisset!».

«Capisco». Moir-Farquharson si volse alla giuria. «Quindi, ancora una volta, signore e signori della giuria, il sergente McRae ha deciso di ignorare la procedura, di piegare le regole alla sua volontà e di fare di testa sua».

«Per riassumere: ancora una volta, abbiamo soltanto la sua parola in proposito, sergente?».

Respiri profondi. Calma.

Logan guardò dritto davanti a sé. «Graham Stirling si rifiutò di mostrarmi dove fosse la capanna, a meno che il detective Rennie e il detective Marshall non fossero rimasti indietro. Potevo andare con lui, o lasciare che Stephen Bisset morisse».

L’avvocato sospirò. Poi scosse la testa. Quindi si girò verso la giuria. «E ancora una volta, le regole vengono infrante».

«Non avevo scelta! E solo lui conosceva la combinazione del lucchetto, solo lui…».

«Lei ha la fastidiosa abitudine di ignorare le procedure, sergente McRae. Come possiamo sapere se il suo senso della giustizia non sia altrettanto compromesso? Quanto si spingerebbe avanti per ottenere un arresto?»

«Obiezione!».

«Mi sembra, sergente McRae, che lei abbia considerato Graham Stirling responsabile della scomparsa di Stephen Bisset, e abbia manipolato le circostanze e le prove in modo che dimostrassero la sua convinzione».

«Questo non è vero. Avevamo le prove che Stephen Bisset aveva risposto a un annuncio personale di Stirling, cercando un rapporto sessuale con quello che lui riteneva fosse un transessuale e…».

«bugiardo!». Un giovane si era alzato in piedi, in mezzo al pubblico in aula. Aveva i capelli neri lunghi fino alle spalle, una cravatta nera e una camicia che conservava ancora le pieghe con cui era stata confezionata. Il volto sottile era rosso e gonfio intorno agli occhi. La saliva spruzzata a ogni parola che scintillava in controluce. «lei è un bugiardo! mio padre non avrebbe mai fatto una cosa del genere!».

Lo sceriffo in carica sbatté il martelletto contro il banco. Tre colpi secchi. «Mr Bisset, non glielo ripeterò di nuovo. La corte comprende il suo dolore, ma è…».

«lei è un bugiardo!».

La giovane donna accanto al ragazzo lo prese per un braccio, cercando di farlo rimettere seduto. Aveva gli stessi capelli neri, lo stesso volto sottile. «David, non…».

«mio padre non era un pervertito!».

Altri tre colpi secchi di martello. «Ora basta, Mr Bisset. Questa corte non può…».

«fategli dire la verità!».

«Ordino di far allontanare quest’uomo dall’aula».

E per tutto il tempo, Graham Stirling non si mosse. Se ne rimase lì seduto in silenzio al banco degli imputati. Sbattendo lentamente le palpebre. A milioni di miglia da lì, mentre i figli della sua vittima venivano scortati fuori dall’aula.

«Sta forse negando che ha minacciato di uccidere Graham Stirling, sergente McRae?».

Logan piantò le unghie nel legno chiaro del banco dei testimoni. «Non ho mai minacciato di ucciderlo».

«Davvero?». L’avvocato sembrò sorpreso. «Allora nega di aver detto: “Dovrei prenderti a calci fino ad ammazzarti”?».

Tick. Tick. Tick…

«Sergente?»

«Non me lo ricordo. Avevo appena ritrovato Stephen Bisset. Era stato…».

«Mi dica questo, sergente: lei ha detto o non ha detto al suo superiore: “Mi serve un’ambulanza e qualcuno che mi impedisca di impiccare Stirling all’albero più vicino”?».

Logan si piegò sul lavandino. Le gocce gli caddero dal viso, creando cerchi concentrici nell’acqua. Affondò di nuovo le mani nell’acqua e se ne gettò altra in faccia. Fredda contro la pelle. Capace di spegnere il calore bruciante che sentiva.

Bastardo.

I bagni del tribunale erano abbastanza puliti, profumati di deodorante e detersivi.

Un’altra manciata d’acqua, che lasciò gocciolare nel lavandino. Tutti quei cerchi concentrici che si intrecciavano tra loro, per poi scomparire, senza lasciarsi dietro niente che facesse immaginare la loro esistenza.

Sentì il cellulare vibrare sul pianale tra i lavandini. E poi partì la Marcia imperiale di Star Wars.

L’ispettore capo Steel.

Ignorala. Lascia che parli con la segreteria telefonica.

La porta del bagno si spalancò e il procuratore entrò a passo di marcia: corti capelli grigi pettinati in avanti, sulle sopracciglia aggrondate. I baffi da generale fremevano, mentre le labbra masticavano le parole in un potente accento di Glasgow, che risuonava in una voce troppo forte per appartenere a un ometto alto poco più di un metro e sessanta. «Ma che diavolo è successo là dentro?»

«Cosa dovevo fare, secondo lei, mentire sotto giuramento?»

«Certo che no. Ma… questo…». Quattro passi netti e raggiunse il bagno più vicino. La cui porta ricevette un calcio da mulo da parte di una scarpa elegante e lucidissima. Ci fu una pausa. Poi il procuratore si passò un dito sui baffi, come ad assicurarsi che tutto fosse in ordine. «Sono riusciti a distruggere la confessione di Stirling. Dopo quella farsa a cui abbiamo appena assistito, sarà considerata inammissibile».

Logan afferrò una manciata di tovaglioli di carta verde appoggiati accanto all’asciugamani automatico rotto. «Non avevo scelta, okay?». Si asciugò la faccia con la carta ruvida e verde, prima di gettare i tovaglioli usati in un bidone dell’immondizia. «Se mi fossi attenuto alle procedure, Stephen Bisset sarebbe morto. Probabilmente sarebbe ancora disperso, disteso in quella dannata capanna a marcire nel bel mezzo di quel fottuto bosco!». Logan chiuse gli occhi, serrandosi il setto nasale tra pollice e indice della mano destra. Una smorfia corrucciata, poi espirò. «Mi scusi».

Il procuratore sbuffò sibilando, come se si stesse sgonfiando. «Avrebbe potuto registrare quella dannata confessione sul suo cellulare. Avrebbe potuto utilizzare la ricetrasmittente per farla sentire ai colleghi. Avrebbe potuto fare qualcosa».

Logan lasciò ricadere la testa all’indietro, picchiando la nuca contro il muro. Poi lo fece di nuovo. E poi ancora una volta, per buona misura. «Lo so».

«Sì, be’, suppongo che Cartesio avesse ragione: il senno di poi è uno specchio ingannevole. A questo punto, dobbiamo sperare che la corrispondenza del dna li convinca».

Accanto al lavandino, il cellulare di Logan riprese a emettere la Marcia imperiale. Lui lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. «Vi servirò di nuovo?».

Il telefono continuò a suonare, finché non si attivò la segreteria.

Il procuratore si schiarì la gola. «Credo che lei abbia già fatto abbastanza».

Il cellulare di Logan ricominciò a suonare mentre lui scendeva le scale. Non era la Marcia imperiale, stavolta, ma la musica dei Muppet. Controllò lo schermo. “nicholson”.

Premette il pulsante di ricezione con il pollice. «È importante? Perché non è un buon momento».

«Sergente? Sono Janet. Pensavo che le facesse piacere saperlo: la Macchina Grande è tornata».

Lui raggiunse il piano terra. «Janet, al momento non me ne potrebbe fregare di meno della…».

«L’odore all’interno non è dei migliori. È come se ci fosse morto dentro qualcosa». L’agente abbassò la voce a un sussurro. «Senta, riguardo a quei tè e caffè di ieri notte… ecco, glielo devo dire, mi sento un tantino… in colpa».

«Al diavolo. Non permetterò a nessuno di quegli stronzi del Team Investigativo Primario di trattare qualcuno del mio team come una cameriera qualsiasi».

«Sì, ma… stanno lavorando a un caso di omicidio, e da quello che ho sentito, gran parte di loro ha passato metà della notte a impersonare un razzo Soyuz».

Lui uscì da un’entrata laterale, ritrovandosi su Marischal Street ed evitando la calca dei media davanti al tribunale. «E quindi?».

Una pausa. «Si tratta di una bambina, sergente».

Qualcuno suonò il clacson. C’era un taxi parcheggiato in mezzo alla strada, che bloccava il traffico mentre faceva scendere un cliente.

Una bambina morta… la Nicholson non aveva tutti i torti.

Perfetto: un’altra dose di sensi di colpa.

«Se può farti sentire meglio, non sarebbero riusciti comunque a ottenere niente, ieri notte». Attraversò la strada. Non aveva senso risalire la collina, ritrovandosi di nuovo a tiro dei giornalisti e delle loro telecamere. «Per prima cosa: tutti sono già là fuori a cercare Neil Wood. Secondo: finché non la identificheranno, non potranno formare una valida lista di sospetti. Terzo: senza un’identità e senza testimoni, c’è ben poco che possono fare, finché l’autopsia non dirà la sua». Raggiunse il marciapiede opposto. Nuovo piano: attraversare il ponte, scendere le scale fino a Shore Lane e poi raggiungere la parte posteriore di Castlegate. A quel punto, sarebbe potuto entrare di soppiatto nel quartier generale della Divisione passando da East North Street. «Se un gruppo di arroganti sessisti passa qualche ora a contorcersi al cesso, non cambierà proprio niente».

Si sentì un lungo e profondo respiro. Poi: «Grazie, sergente».

«E poi, ho dato un’altra dose di lassativi al detective Dawson, stamattina».

«Urgh… Lo so che ho detto che volevo ucciderlo, ma non intendevo che avremmo dovuto davvero…».

Il resto della frase si perse nel nulla. «tu!».

Logan si fermò. Si girò.

Il ragazzo che era nell’aula, quello con i capelli lunghi e neri, stava uscendo dal taxi. Lo fulminò con lo sguardo. «bastardo mentitore!». Il figlio di Stephen Bisset.

Fantastico. Perché fino a quel momento la giornata non si era già rivelata abbastanza speciale, giusto?

«Scusami, Janet, devo andare». Attaccò e rimise il cellulare in tasca. Tese le mani avanti. «Deve calmarsi».

Il giovane si era allentato la cravatta, che ora gli pendeva dal collo come un cappio. «hai mentito. perché hai mentito?».

La sorella scese dal taxi dopo di lui. Ora che erano più vicini, era chiaro che la ragazza era più giovane di lui. Un’adolescente appena. «David, per favore, ne abbiamo già parlato. Se ti calmi…».

«non voglio calmarmi!». Il viso del figlio di Bisset stava prendendo un insano colorito violaceo, mentre le lacrime gli rigavano le guance. «papà non è un pervertito!». Percorse la discesa a passo di carica, diretto verso Logan, con le mani chiuse a pugno. «tu hai mentito!».

Dio santo…

«Non ho mentito. Abbiamo seguito la pista dei messaggi, ed è stato così che abbiamo trovato suo padre…».

«sta’ zitto, bugiardo! chiudi quella cazzo di bocca!».

La sorella lo raggiunse e lo afferrò per un braccio, come aveva fatto anche in aula. «Devi smetterla».

«No! Catherine, quest’uomo ha mentito, ha mentito sotto giuramento!».

«Va tutto bene. Va tutto bene, shhh…». La ragazza cercò di riportarlo verso il taxi, ma lui non si mosse. «Avanti, David, torniamo a casa. Ti prego…».

Logan arretrò di un passo. «Senta, mi dispiace che questo la turbi, ma non ho mentito. Ho fatto tutto quello che potevo per riportare a casa suo padre sano e salvo». Sì, perché poi ci era riuscito, soprattutto, vero?

David Bisset gli mostrò i denti, sibilando le successive parole come se fossero acido. «Sano e salvo?». Puntò l’indice nella direzione dell’Aberdeen Royal Infirmary. «Davvero? sarebbe stato meglio se fosse morto!».

«Lo so che è difficile, ma…».

«bugiardo!». David Bisset si scosse di dosso la sorella e si lanciò contro Logan, cercando di colpirlo, totalmente a caso. Non aveva la minima idea di quello che stava facendo.

Logan si scostò, lo afferrò per un braccio e glielo piegò dietro la schiena. Poi portò l’altra mano sul gomito di David, bloccandogli il polso. Lo afferrò per la spalla opposta e lo strattonò verso di sé.

La classica presa di sottomissione.

«lasciami! lasciami, ho detto, bas…».

Logan applicò una leggera pressione.

«aaaaargh!».

«Adesso calmati».

La ragazza, Catherine, si afferrò alla manica della felpa di Logan. «La prego, non intendeva offenderla, è sconvolto, la prego, non gli faccia del male».

«lasciami!».

«Ti calmi, adesso?»

«La prego, non è colpa sua. È arrabbiato… lo siamo tutti».

David si zittì, limitandosi a respirare affannosamente tra i denti stretti.

«Siamo tutti calmi, ora? David? Va tutto bene?».

Catherine si morse le dita. «David, ti prego, non…».

Il respiro del ragazzo rallentò. Smise di opporre resistenza e chinò il capo. «Mi dispiace».

«Okay». Logan lo lasciò andare e arretrò di un passo. «Non è successo niente».

David si appoggiò alla parete di granito dell’edificio più vicino, massaggiandosi la spalla dolorante con una mano. Si fissò la punta delle scarpe. «Mio padre non è un pervertito».

«Se può esserti d’aiuto, so cosa significa…».

«No». La mascella del ragazzo si serrò, le parole appena udibili tra i denti stretti. «Non è vero. Tu non ne sai niente».

Un respiro profondo. «La mia ragazza è caduta». Logan si girò e indicò un punto di Marischal Street, verso l’appartamento all’ultimo piano che ormai apparteneva a qualcun altro. «Proprio da lì. Cinque piani. Sono quattro anni che è in coma. So cosa significa avere qualcuno che ami bloccato in un letto d’ospedale, incapace di muoversi o di parlare». Si schiarì la gola. «È orribile. E ingiusto. E fa schifo. Ma comunque è tuo padre».

David lo fissò con rabbia, le labbra ridotte a una linea sottile e tremante.

Poi la sorella lo prese per un braccio e lo ricondusse verso il taxi. «Vieni, David, torniamo a casa. Va tutto bene».

«Lui non è un pervertito…».

«Lo so».

Risalirono sul taxi, con lui piegato in avanti, una mano ad asciugarsi le lacrime e lei che lo accarezzava sulla schiena, tra le scapole.

Logan restò dov’era, mentre il taxi lo superava.

David stava piangendo a dirotto, adesso, il viso disfatto, la schiena che sussultava. Ma la sorella guardava fuori dal finestrino, fissando Logan dritto negli occhi. Il viso inespressivo.

E poi sparirono. Giù lungo Marischal Street e poi a sinistra, scomparendo su Regent Quay.

Graham Stirling non aveva rovinato la vita solo a Stephen Bisset, ma anche quella dei suoi figli. Li aveva distrutti al punto che forse non si sarebbero mai più ripresi, dopo aver visto il padre disteso in quel letto d’ospedale nel reparto di terapia intensiva, collegato a tutti quei tubi e quei cavi e quei macchinari.

Erano passati quattro mesi, e quasi non si era mosso. Non aveva detto una sola parola. Era rimasto lì, disteso.

Un brivido danzò sulla nuca di Logan.

Quattro mesi da vegetale, ad attendere la morte. E lui non stava neanche riuscendo a sbattere in galera il bastardo che l’aveva ridotto così.

David Bisset aveva tutto il diritto di infuriarsi con lui.

Se lo meritava.

Il sedile di Logan vibrò mentre il grosso motore diesel affrontava la salita, su per il crinale della collina. Fuori dai finestrini, le case di granito scintillavano nella luce del pomeriggio. Gli alberi brillavano di mille tonalità di verde e oro. Le rose creavano fuochi d’artificio congelati nei giardini.

Logan pescò dalla borsa termica la prima lattina di birra. Ancora fredda di frigo, imperlata di condensa sulla superficie metallica. Strappò la linguetta e ne prese un lungo sorso. Serrò i denti e deglutì. Amaro. Un sapore che si addiceva perfettamente alla situazione.

Il 35 era quasi vuoto. Una coppia di vecchietti se ne stava davanti, vicino al conducente. Non parlavano tra loro: lui leggeva il giornale, lei guardava fuori dal finestrino. E Logan aveva quasi tutto l’autobus per sé.

Un altro sorso.

Dannato Sandy Moir-Dannato-Farquharson.

Cosa diavolo avrebbe dovuto fare, lasciar morire Stephen Bisset?

Riprese il berretto dell’uniforme dal sedile accanto a sé e lo ficcò nella borsa. Seguito dalle spalline della polizia, staccate dalla maglia. Okay, sulle maniche c’era ancora scritto “polizia”, ma rimboccandole un paio di volte lo nascose. Ora era uno skinhead come tanti, vestito di nero, che beveva birra di bassa qualità sul fondo di un autobus. Fissando con odio la città, mentre il conducente li portava attraverso Berryden, oltre l’Aberdeen Royal Infirmary, e attraverso Bucksburn e Dyce, per poi spingersi nelle campagne.

Prese la seconda lattina, schiacciando quella vuota e riponendola nella borsa termica.

Campi, pecore e bestiame scivolavano via oltre i finestrini. Terra verde, cielo azzurro e allegre, dannate nuvolette bianche e soffici.

Avrebbe dovuto piovere. Ci sarebbe dovuto essere un dannato temporale, secchiate d’acqua da un cielo grigio come l’asfalto, e un vento violento contro l’autobus e gli alberi.

Il cellulare squillò di nuovo. Tanto per cambiare, non la Marcia imperiale: un numero sconosciuto.

Trattenne il pollice sopra il pulsante di ricezione. Alla fine lo premette. «Pronto?».

La voce della Steel gli muggì nell’orecchio. «Come diavolo hai fatto a rovinare tutto? Era un caso semplice e chiaro. Che cazzo c’è che non va in te?»

«Non è stata colpa…».

«Hai idea di cosa stanno facendo adesso i grandi capi? Stanno appuntendo un grosso palo, così potranno ficcarmelo nel didietro e arrostirmi su un dannato falò!».

«Io non…».

«Tutta la fatica che avevamo fatto per quell’indagine… e ora è rovinata!».

«Ci sono ancora le prove del dna. Possono…».

«sei stato tu a portare stirling sulla dannatissima scena del crimine!».

Silenzio. Probabilmente la Steel stava contando fino a dieci. Poi tornò a parlare, con la voce di qualcuno che si era appena fatto cadere qualcosa di pesante su un piede. «Sid Sibilo già punta alla contaminazione crociata. Non solo stiamo rischiando di non riuscire a far condannare quel bastardo, ma saremo fortunati se Graham Stirling non ci querelerà di corsa! È…».

Logan attaccò.

Tre secondi dopo, il cellulare riprese a squillare. E poi anche la ricetrasmittente si unì al coro.

Spense entrambi, affondandoli nelle tasche della felpa.

Si aprì un’altra lattina di birra.

E tanti saluti ai festeggiamenti.

Capitolo 14

Il suono di un allegro riff di chitarra accompagnato dalle note di un pianoforte fece riemergere Logan da profondità abissali, facendolo precipitare nel grigiore del mercoledì mattina.

«Restate con noi per altre hit famose degli anni ’80 dopo il notiziario e il meteo con Bernie».

Logan tornò a sdraiarsi sul letto, con una mano sugli occhi, mentre l’altra armeggiava alla ricerca della radiosveglia.

«Grazie, Clyde. La polizia di Merseyside ha confermato questa mattina che una delle donne uccise nella sparatoria di domenica a Liverpool era Mary Ann Nasrallah, una poliziotta sotto copertura. Ne parleremo in modo più approfondito nel prossimo notiziario della mattina. Nel frattempo, la caccia al pedofilo scomparso Neil Wood è al secondo giorno, mentre…».

Logan colpì la radio, zittendola.

Avrebbe dovuto togliere la sveglia prima di crollare la sera prima.

Qualcosa di buio e pungente gli pulsava dietro gli occhi. E gli riempiva la gola di polvere ruvida e amara. Facendo sapere tutto di whisky di infima qualità. Poi quel qualcosa gli affondò le zanne nella vescica.

Unnngh…

Il mondo gli sembrò un luogo acuminato e nauseante, mentre si trascinava in bagno.

Per poi tornare a letto.

Al diavolo la giornata.

Le rondelle del lucchetto cigolano sotto le sue dita avvolte nel nitrile blu. La parte inferiore cade al suolo, seguita dal resto del meccanismo, e lui spalanca la porta.

I cardini cigolano come il coperchio di una bara, e lui entra nell’oscurità fetida.

«Stephen?». Quella parola si espande in un soffio di vapore, pallido come un fantasma. «Va tutto bene, sei al sicuro, ora…».

No, non è vero.

La torcia porta il suo occhio giallastro su mucchi di paletti, seghe e catene, tronchi e una stufa di ghisa. E poi si ferma su una pila di coperte luride.

Non farlo.

Ma la sua mano si allunga comunque. Ha forse una scelta?

Afferra il tessuto ruvido e lo strattona.

«Stephen?».

Il corpo giace su un fianco, raggomitolato su un pianale di legno macchiato di scarlatto e di nero. Gli spazi tra le assi sono scuri e vuoti, come la bocca spalancata dell’uomo. Le gengive spaccate e sanguinanti dove i denti sono stati strappati via. Le dita piegate in modo innaturale, come se qualcuno le avesse frantumate a colpi di martello. Spessi giri di nastro adesivo argentato sugli occhi. Sangue ormai secco intorno all’inguine ferito e alle natiche sporche. Altro sangue sul petto gonfio. Catene intorno ai polsi e alle caviglie, pesanti e arrugginite.

È morto. Deve essere morto.

Logan si sente chiudere la gola da un nodo che sembra fatto di ghiaia appuntita. Lo inghiotte. Si costringe a mandarlo giù, acuminato, duro e gelido. «Mi dispiace».

E poi quella testa cieca e massacrata si gira e urla

La tazza del gabinetto era fredda contro la guancia di Logan. Il respiro rallentò. Il martellio nelle tempie si ridusse a un ritmo da rematori su una galera, che pulsava a tempo con il suo cuore.

Seduto sul pavimento del bagno, ebbe un nuovo conato e buttò fuori fiotti di vomito giallastro. Mugolò.

Si risollevò in piedi.

L’uomo che lo guardò dallo specchio sembrava una comparsa di The Walking Dead.

Si sciacquò la bocca. E poi la faccia. Si asciugò. Non riuscì a guardarsi ancora.

Sentì lo stomaco gorgogliare e si bloccò dov’era, una mano premuta contro le cicatrici che gli attraversavano l’addome. Ma poi sembrò calmarsi.

Non avrebbe più bevuto whisky di pessima qualità in vita sua.

Mai più.

Soprattutto, non mezza bottiglia da solo.

Tornò in camera da letto. Restò in piedi a fissare le lenzuola disfatte e umide di sudore.

Già, al diavolo anche tornare a letto.

Il sole entrava dalla finestra, trasformando l’aria in uno sciroppo dorato, pieno di scintillanti particelle di polvere. Il silenzio del reparto era spezzato dal sibilo dei ventilatori. Dal lontano ronzio monotono di una lucidatrice. E dallo scricchiolio di scarpe comode sulle piastrelle azzurre del pavimento.

Logan bussò sullo stipite della porta aperta. «Si può?».

Louise alzò lo sguardo da una cartellina. Sorrise. «Logan. Non è una bellissima giornata?». Il taglio corto e sbarazzino che portava era di almeno vent’anni troppo giovane per lei. Tinta di biondo, con la frangia bloccata con il gel in una linea spezzata sopra un paio di pesanti sopracciglia scure. Una camicia di lino bianco, jeans a zampa d’elefante su scarpe da ginnastica nere. Prese dalla scrivania una grossa busta marrone e poi accennò con il pollice alle proprie spalle. «Ci prendiamo una tazza di tè?».

Louise uscì sul balcone, con la cartellina sotto un braccio e un vassoio retto con entrambe le mani. Una teiera, una caffettiera, due tazze e un piatto di mini sandwich triangolari. Posò il vassoio sul tavolo. «Scusami se ci ho messo tanto».

La casa di cura Sunny Glen faceva onore al suo nome. Le pareti coperte di pannelli di legno scintillavano alla luce del sole, e la balaustra di vetro e metallo cromato brillava. Logan aveva scelto il tavolo sulla terrazza superiore, all’ombra, con la vista sulla vallata e verso il mare. Un mercantile arancione puntava verso l’orizzonte, lasciandosi dietro una scia di un bianco accecante.

E, cosa più importante di tutte, la terrazza superiore permetteva di osservare quella inferiore.

Laggiù, qualche sedia a rotelle era sistemata lungo il pavimento piastrellato. Alcuni dei pazienti indossavano dei cappelli, altri dei berretti da baseball. Testa scoperta per un paio di loro.

Louise versò il tè nella tazza di Logan. Accennò alla busta marrone. «Tutto firmato?».

Lui la spinse lungo il pianale del tavolino verso la donna. «Sì. E ora?»

«E ora daremo i documenti agli avvocati, che li consegneranno allo sceriffo, che dichiarerà Samantha incapace di intendere e di volere, e tu diventerai il suo tutore legale. Dovrebbero volerci al massimo un paio di settimane».

Logan si agitò sulla sedia. «Non è incapace, è malata. Non è la stessa cosa».

«Lo so, ma bisogna farlo. Non ha nessun altro. Se i suoi genitori fossero ancora vivi…». L’infermiera si strinse nelle spalle. Poi sorrise e accennò alla terrazza inferiore. «Però sta bene, non trovi?».

La sedia a rotelle di Samantha era vicina alla ringhiera, e voltava loro le spalle. Aveva i capelli ormai quasi del tutto castani, con solo una sottile frangia del colore precedente sulle punte. Un rosso che ormai si era trasformato in una sorta di rosa grigiastro. Teneva le braccia strette intorno al corpo, le ginocchia unite e la testa piegata di lato. Come se una mano enorme l’avesse afferrata e stretta fino a deformarla. Era abbastanza lontana da loro da non sentire quello che stavano dicendo su di lei.

«E questa infezione alle vie respiratorie…?».

Louise si strinse nelle spalle. «Lo sai com’è. Ora che sta seduta dritta per la maggior parte del tempo è meno suscettibile a questo genere di malattie. Ma quando si tratta di danni cerebrali, è sempre la stessa cosa. Infezioni polmonari, o alle vie urinarie. Perlomeno, il controllo della temperatura va molto meglio: sono mesi che non ha più attacchi».

Il tè era caldo ma troppo leggero. Insipido e anemico. La pallida ombra di quello che sarebbe potuto essere.

Louise premette il pulsante della caffettiera a filtro. «Samantha ha compiuto notevoli progressi, da quando è arrivata qui. Se continua così, potremmo pensare a una cranioplastica tra agosto e settembre. Così che possano chiuderle il buco nel cranio con una placca metallica».

«Una placca metallica».

«Be’, se la pressione endocranica resta nei limiti accettabili… Ma non c’è motivo di credere che non lo faccia. Così, sembrerà di più com’era prima, senza quella grossa cavità in testa». Louise si versò il caffè e lo sorseggiò. «Ieri ha sorriso».

Logan si raddrizzò di colpo. «Cosa?».

L’infermiera sorrise. «Non è fantastico? Per la prima volta ha reagito a qualcosa. Ho provato a chiamarti. Non hai ricevuto il mio messaggio?».

Non entusiasmarti troppo. Procedi a piccoli passi. Ricorda quello che ha detto il neurochirurgo.

«A cosa ha reagito? Cos’è che l’ha fatta sorridere?».

Logan si accosciò accanto alla sedia a rotelle, sedendosi sui talloni. Guardò Samantha in faccia, poi si accigliò, prendendo un fazzoletto per asciugarle un filo di bava che le colava sul mento. «Ho saputo che hai sorriso al tipo che ti massaggia i piedi. Furfante».

Non ci furono reazioni. Ma del resto, non ce n’erano mai.

Due spesse strisce di velcro la tenevano dritta sulla sedia, avvolte intorno alla struttura di metallo dello schienale e al suo petto. Evitavano che scivolasse in avanti o cadesse.

«Louise dice che adesso hai raggiunto ufficialmente un indice di dieci sulla Scala del Coma di Glasgow. Non è fantastico?».

Niente.

«E ti stiamo facendo dichiarare incapace, il che è una buona cosa, no?». Sbuffò, gonfiando le guance. «Ho cercato di dissuaderli più a lungo possibile, ma a quanto pare non ho più scelta. Quindi diventerò il tuo tutore legale. Come Bruce Wayne con Cosetto il Ragazzo Prodigio. Solo che tu non dovrai indossare quello stupido mantello giallo e calzoncini verdi sopra i collant».

Ancora niente.

Le asciugò un altro filo di bava.

«Comunque, sembra che vogliano montarti una placca di metallo in testa. Forse a settembre. Se continui come stai facendo adesso. Sarebbe divertente, no?». Le scostò una ciocca di lunghi capelli castani dal viso. Facendo del suo meglio per non toccarle la grossa indentatura sopra l’orecchio sinistro, dove le avevano rimosso una parte di cranio per ridurre la pressione cerebrale. «Potrai di nuovo indossare dei cappelli, pensa. Oppure potremmo attaccarci dei magneti, tipo quelli per il frigo…».

Logan appoggiò la schiena alla balaustra di vetro. «Abbiamo trovato il cadavere di una bimba, lunedì notte. Giù alla piscina abbandonata. La Steel se ne sta occupando con il Team Investigativo Primario. I risultati delle analisi di Susan sono arrivati, e c’è solo una possibilità su cinquemila che il bambino possa avere la sindrome di Down. È una buona cosa, no?».

Samantha non si mosse, guardando attraverso di lui come al solito.

Si schiarì la gola. Distolse lo sguardo. «Sì, era quello che pensavo anch’io».

Il mercantile era più piccolo, ora, mentre si allontanava verso l’orizzonte attraverso l’immensa distesa blu.

«Ho fatto casino. Graham Stirling riuscirà a cavarsela nonostante quello che ha fatto a Stephen Bisset. Riuscirà a scrollarsi di dosso le accuse e tornerà a piede libero… a causa mia».

Un gabbiano si posò dall’altra parte della ringhiera di vetro. Iniziò a camminare impettito avanti e indietro, fissandolo con i selvatici occhi gialli.

«Dovrebbe passare il resto della vita dietro le sbarre, e invece… lo lasceranno andare…».

Il gabbiano piegò la testa di lato e gracchiò. Poi continuò a camminare. Strillando e guardandolo. Come un ispettore capo Steel in miniatura.

«Sid Sibilo sta cercando di dimostrare che ho incastrato Stirling. Ci pensi? Io?». Una breve risata amara come il vomito che aveva lasciato nella tazza del gabinetto quella mattina. «Non ho mai incastrato nessuno in vita mia».

Il gabbiano sollevò le ali e gli strillò contro, con uno stridio acuto e fastidioso, che gli affondò nel cervello come un assalto di piccoli artigli aguzzi.

«Ho passato metà della vita a cercare di sbattere in gabbia bastardi come lui, e i giudici li lasciano andare. Se avessi voluto incastrarlo, mi sarei almeno assicurato che non potesse salvarsi in nessun modo…». Logan fissò il gabbiano con odio. L’uccello ricambiò lo sguardo in tralice. «Te lo dico io cosa dovrei fare: dovrei andare a casa di Stirling nel bel mezzo della notte e spaccargli la testa con un piede di porco».

Un sospiro.

«Be’, si può sempre sognare, no?». Si rialzò in piedi, spolverandosi i jeans. «Non ti va di sentire queste brutte cose, vero? Certo che no. Sono solo i miei stupidi piagnistei». Batté le mani, recuperò una sedia dal tavolino più vicino e la posò accanto a Samantha. «Ora che ne dici se guardiamo le barche e i gabbiani per un po’?».

«Sì, un momento…». Logan incastrò il cellulare tra l’orecchio e la spalla, spostando le pesanti buste di plastica da una mano all’altra, per poi recuperare le chiavi da una tasca. «Scusa, stavi dicendo?».

Dall’altra parte della linea, Biorischio aveva la voce di chi stesse masticando delle schegge di vetro. «Stavo per prenderlo a pugni. Giuro su Dio, lì in mezzo all’aula del tribunale. Omofobico? Io?»

«Quindi siamo fottuti».

«Ha detto, e ti cito le sue testuali parole: “Da quanto tempo la Polizia di Scozia sta operando una vendetta contro le comunità di lesbiche, gay, bisessuali e transgender di Aberdeen?”. E lo sai perché? Perché Stirling era vestito da donna quando l’abbiamo beccato, e io l’avevo chiamato Danny la Drag Queen!».

«Non è…». Logan fece scivolare la chiave nella serratura. «Senti, non potevamo farci nulla. Abbiamo salvato la vita a Stephen Bisset. È pur sempre qualcosa, no?»

«Vallo a dire ai suoi figli».

Logan entrò nell’appartamento. Si chiuse la porta alle spalle e la bloccò. Si premette il cellulare contro il petto. «Cthulhu? Papà è a casa». Non era in salotto. E neanche in cucina. Tornò a parlare a Biorischio. «Si sono già fatti sentire quelli degli Affari Interni?»

«Che ne dici? Ho passato le ultime due ore a farmi distruggere le orecchie riguardo ai pregiudizi di genere e alle pari opportunità per transessuali e drag queen».

Logan chiuse una grossa busta di patate in offerta nell’armadietto sotto al lavello. Mise sul fuoco il bollitore. «Hanno detto niente su di me?»

«Ormai è chiaro che la giuria non condannerà mai quel viscido bastardo. Non c’è una confessione, non ci sono prove forensi e non c’è un avvaloramento delle prove. Tutto quello che abbiamo si riduce a un paio di messaggi nella colonna degli annunci per cuori solitari».

«Biorischio: concentrati. Cosa ha detto Napier di me?»

«Non ne ho idea, mi sono beccato la mia ramanzina dall’ispettore Laird. Quella vecchia acida leccaortiche. Per quello che ne so io, il prossimo sulla lista sei tu».

Fantastico.

«Vedrai se non ho ragione: quando tutto il caso crollerà miseramente, tu, io e quel povero ragazzo di Rennie ci ritroveremo in una vasca di merda fino alle orecchie».

«Tanto per restare sul piacevole argomento».

«Già. E ora scusami, ma devo andare a farmi massacrare». A quel punto, Biorischio attaccò.

Logan restò in cucina, a fissare la stazione di polizia di Banff dalla finestra.

Forse sarebbe stato meglio dare subito le dimissioni. Prendersi quello che poteva prima che lo sbattessero fuori a calci. Andare a lavorare su una piattaforma petrolifera, o comunque in un posto che non richiedesse di indossare un giubbotto antiproiettile all’inizio della giornata. E dove si avessero turni normali. E una paga migliore. E un bel po’ di tempo libero…

La tentazione era forte.

Ma poi chi avrebbe badato a Cthulhu, mentre lui era al largo della costa?

Tirò fuori il suo piatto speciale e andò a prendere una scatoletta di cibo per gatti. Fischiò un motivetto bitonale, una nota alta e una bassa. Si fermò sulla porta della cucina con la scodella in mano. «Cthulhu?».

Niente miagolii sommessi. Niente zampette sorprendentemente pesanti giù per le scale.

Salì al piano di sopra.

Si fermò in corridoio e tese l’orecchio per cogliere l’eventuale coro di fusa ritmiche e asimmetriche.

Poi gettò indietro la testa e imprecò.

Posò una mano sulla porta della camera da letto e la spinse.

La Steel era sdraiata sulla schiena, nel suo letto, con un piede nudo e una mano che sporgevano dalla coperta. La bocca spalancata. Stava russando.

Un mucchio di vestiti sgualciti era appallottolato sul pavimento sotto la finestra. Una copia di Cinquanta sfumature di grigio se ne stava placida sul comodino.

Cthulhu sollevò la testa dal cuscino, mostrò l’ampio triangolo di uno sbadiglio e si sollevò sulle zampe. Si girò e si acciambellò di nuovo per riaddormentarsi.

Tipico.

Logan posò la scodella con il cibo per gatti sul comò e spinse la Steel su una spalla. «Ehi!».

«Mmmnnnghphhhhh…». La sua bocca si mosse in umidi cerchi. Poi ricominciò a russare.

«sveglia, sveglia!».

«Gnph…!». Lei scattò goffamente a sedere sul letto, sgranando gli occhi e sbattendo le palpebre. «Cosa? Non l’ho toccata, giuro…».

Oh. Santo. Dio.

La Steel era nuda…

Logan deglutì. Arretrò di un passo, mentre un sapore acido gli riempiva la bocca. «Oh, Dio, non di nuovo!».

«Noooo…». Lei afferrò le coperte e se le tirò fin sotto il mento, prima di lanciargli un’occhiataccia. «Brutto bastardo. Stavo sognando Claudia Schiffer!». Sbatté di nuovo le palpebre. «Che ore sono?»

«Che ci fa nel mio letto? Nuda, per giunta. Perché se ne sta nuda nel mio letto?». Un altro passo indietro, e si ritrovò con le spalle al muro. «Aveva giurato che non sarebbe mai più successo! L’aveva promesso!».

La Steel tornò a sdraiarsi contro il cuscino. «Era anche coperta di Nutella…».

«Sa cosa? Ora basta». Un respiro profondo. Poi Logan si raddrizzò. «Questo non è un Bed & Breakfast». Andò alla finestra e aprì le tende. «In piedi».

«Gah! Non fare lo stronzo!». La Steel si coprì anche la testa, tirando la coperta e mostrando i polpacci e le ginocchia. «Non riuscivo a dormire in albergo, c’era un qualche idiota che russava».

«Probabilmente era lei. Avanti, fuori di qui».

La massa sotto alla coperta non si mosse. «Io non russo».

«Al diavolo, certo che sì. Sembra un maiale ubriaco intrappolato in un cassonetto dell’immondizia». Logan afferrò i vestiti e glieli lanciò. «La voglio di sotto. Entro cinque minuti».

La Steel si trascinò in cucina con addosso un accappatoio dell’albergo e le pantofole di Logan. Si lasciò cadere sull’unica sedia di legno e spalancò la bocca in uno sbadiglio da scardinare la mascella, mostrando tutte le otturazioni. «Caffè».

«Nel mio letto, dannazione!».

«Non fare la ragazzina. Ho cambiato le lenzuola e la coperta, prima. Di certo non mi sarei infilata nella tua tana schifosa. Dio solo sa cosa mi sarei potuta prendere, altrimenti». Un altro sbadiglio. «Hai del pane tostato?»

«Non è stata colpa mia. Graham Stirling, intendo. Ho fatto quello che dovevo fare e non mi scuserò oltre per questo. Ma a loro questo non piace».

Lei si infilò una mano sul davanti dell’accappatoio e si diede una grattata. «Forse avrei dovuto indossare il reggiseno…».

Oh, Dio. Non di nuovo. Una volta era stata già abbastanza.

Le voltò le spalle e rimise l’acqua a bollire. «Se vuole urlarmi contro, può prendersi le sue cose e andarsene. Il mio turno comincia alle tre: fino a quel momento, non mi interessa».

«Invece sì che ti interessa». Lei tirò su dal pavimento la bottiglia di whisky di infima qualità e la scosse appena. «Altrimenti non berresti questo piscio».

«E, già che ci sono, come diavolo è entrata qui?».

Un altro sbadiglio. «Mi hai lasciato le chiavi, ricordi?».

Fuori dalla finestra della cucina, un gruppo di agenti in uniforme con addosso i soliti giubbotti catarifrangenti salì sul retro di un grosso furgone della polizia. Probabilmente andavano di nuovo a controllare la scogliera o la strada. Come se servisse a qualcosa.

Logan prese due tazze dalla credenza e vi versò un paio di cucchiaiate di caffè istantaneo. «Avete già identificato la vittima?»

«Magari». Un leggero sospiro si fece sentire alle spalle di lui. «Non è nel database delle persone scomparse, quindi Finnie è andato a consegnare ai notiziari una sua foto e ha lanciato un appello per chiunque avesse informazioni rilevanti. E indovina un po’ cos’è successo?»

«Niente?»

«Seicento telefonate, e neanche un’informazione utile». Un altro sbadiglio. «Non so neanche perché ci stiamo affannando tanto».

Il bollitore cominciò a borbottare con forza.

Logan infilò nel tostapane due fette di pane bianco da supermercato. Poi mise su il tono più noncurante che gli riuscì di trovare. «Facciamo comunque quella perquisizione, oggi? Quattro agenti specializzati e un’unità cinofila?»

«Ne hai, di faccia tosta. Dopo quello che hai combinato ieri?».

Lui versò l’acqua bollente nelle tazze. «Potrei comunque buttarla fuori a calci. In quell’accappatoio rubato».

Lei si strinse nelle spalle. «Provaci».

D’accordo.

Logan versò l’acqua sui granelli di caffè istantaneo. Fissò fuori dalla finestra, mentre il furgone della polizia si allontanava. «Mi serve un successo, okay? Biorischio dice che quelli degli Affari Interni stanno per farmi a pezzi».

«Mi domandavo quando ci saremmo arrivati. Povero Logan, oh, povero piccolo Logan, guardalo lì, tutto triste e disperato, è solo piccino, capiamolo…». La Steel tornò a grattarsi. «Certo, Biorischio non ha tutti i torti. Ti massacreranno di sicuro, per come è andata ieri. Direi che al momento ti basta una singola stronzata per farti buttare fuori dalla polizia».