Domenica, turno di
giorno
Droghe per una principessa delle favole
Capitolo 38
«Ti sembra l’ora di presentarti?». L’ispettore capo Steel si afflosciò contro la parete dell’ufficio dei sergenti, con la sigaretta finta che le pendeva da un angolo della bocca. «Il turno di giorno comincia alle sette».
Logan tornò allo storm, controllando le azioni e i rapporti del team. «Sono stato in servizio fino alle tre. Tecnicamente, ho diritto a undici ore di stacco tra un turno e l’altro, quindi non mi faccia la predica».
Lei tirò su con il naso. «Nervosetti, stamattina, eh? E sai perché? Non fai abbastanza sesso. Ti rende irritabile». Si infilò una mano nello scollo della camicia e si grattò con soddisfazione. «Ecco perché io sono sempre così dolce e allegra tutto il tempo».
Sembrava che per una volta Ciuffo avesse provveduto ad aggiornare tutti i suoi rapporti. In fondo, i miracoli potevano ancora accadere.
«Pensavo le mancasse Susan».
«Dico davvero, tutto quel seme accumulato finirà per metterti nei guai. Se non te ne liberi, a un certo punto scoppierai come un enorme brufolo di sperma».
«Okay, può anche andarsene, dopo questa». Un paio di furti con scasso dovevano essere controllati. Poi c’erano delle deposizioni di testimoni per una rapina a Cornhill. Un furto d’auto a New Pitsligo. Il guardone era tornato a Macduff, e qualcuno aveva dato fuoco a un capanno a Gardenstown. Si sperava non fosse un idiota incapace di badare al barbecue, questa volta.
«Non vogliamo che succeda, vero? Ingravideresti qualsiasi donna nel raggio di cento metri».
Appuntò tutto nel taccuino. «È ancora qui?»
«Susan sta caricando la macchina. Ha detto di aver preparato tutto il necessario per un picnic: pollo, barbabietole, salsicce, panini con le uova, e quell’assurda insalata di patate con i cetriolini che a te piace perché sei un mostro».
«Il mostro è lei, non io». Logan prese la ricetrasmittente dalla scrivania. Inserì il numero di Janet. «Puoi parlare?»
«Sergente: è sveglio! Si sente bene?»
«No». Logan lanciò un’occhiataccia alla Steel. «Janet, ho bisogno di te e…». Il telefono sulla scrivania si mise a squillare. Sullo schermo c’era il numero dell’ispettore del turno di giorno. «Un attimo». Tirò su il ricevitore. «Capo?».
La voce dell’ispettore McGregor avrebbe potuto far nevicare a luglio, tanto era gelida. «Sergente McRae. Nel mio ufficio. Subito!».
«Non ti ho detto che potevi sederti».
Già sul punto di sistemarsi sulla sedia di fronte alla scrivania, Logan si raddrizzò di scatto. Piedi alla stessa larghezza delle spalle, mani dietro la schiena. «Signora».
L’ispettore si sfilò gli occhiali e sospirò. «Sai cosa mi è piovuto addosso quando sono arrivata al lavoro stamattina, sergente? Mi sono beccata una lavata di capo dal comandante d’area perché a quanto pare non sono in grado di controllare i miei sottoposti».
«Capo, non sono…».
«Ti ho forse detto che potevi parlare?».
Logan chiuse la bocca.
La McGregor si scostò dal viso una ciocca ribelle di capelli grigi. Poi afflosciò le spalle, mentre il gelo di poco prima svaniva dalla sua voce. «Avrei voluto distruggerti, credimi, ma a dire il vero sono più delusa che arrabbiata». Scosse la testa. «Dove ho sbagliato, Logan? Cosa ho fatto per farti decidere che non ero adatta a essere il tuo ufficiale in comando?».
Logan inghiottì un gemito. Lo soffocò giù in fondo alla gabbia toracica, dove poteva lasciarlo marinare nel senso di colpa che iniziava a riempirgli il petto.
Oltre la finestra alle spalle della McGregor, il cielo era una cappa uniforme di granito, scheggiata di gabbiani in volo. Un cielo grigio, un mare grigio, una domenica grigia.
L’unico rumore udibile era il ronzio della ventola del computer.
Lei si indicò. «Hai problemi a prendere ordini da una donna, è questo? Pensavo che avessimo sviluppato un buon rapporto, Logan. Che avessi un minimo di rispetto per me».
Il senso di colpa gli straripò fuori dalle costole inondandogli lo stomaco, risalendogli la gola. Facendogli bruciare le guance.
Espirò. «No, capo. Voglio dire, sì. Voglio dire…». Dannazione, perché non poteva urlargli contro e farla finita? Un attacco diretto e furioso sarebbe stato più facile da accettare. E lei lo sapeva benissimo. «Non ho alcun problema a prendere ordini da una donna, e ho rispetto per lei».
Silenzio.
Logan si schiarì la gola. «Io volevo… Quando abbiamo parlato di fare qualcosa sottobanco, pensavo che questa potesse essere una di quelle cose». Dio solo sapeva di che colore fossero ormai le sue guance, ma le orecchie di sicuro stavano per prendere fuoco e andare in cenere per autocombustione.
L’ispettore McGregor si afflosciò sulla sedia. «Logan, lo so che avevi ottime intenzioni, davvero, ma devi fermarti. Ci hanno dato l’ultimo avvertimento. L’ispettore capo McInnes dirige la scena del crimine a Fairholme Place, ora. Ha bloccato le ricerche e gli scavi fino a data da destinarsi».
Conta fino a dieci. Non dire niente.
Oh, al diavolo. «Capo, con tutto il rispetto per l’ispettore capo McInnes… quell’uomo è un idiota. La madre di Klingon non è mai andata in Australia. Non ha mai preso un aereo per lasciare il paese. È sepolta in quel giardino, e sono stati Klingon e Gerbillo a ucciderla».
«Questa è un’ipotesi, ma finché McInnes non dirà il contrario, nessuno la tirerà fuori da quella fossa. E sì, credo anch’io che sia sbagliato. E penso che sia assurdo che non possiamo procedere contro quei due per le lesioni aggravate a carico di Jack Simpson. Ma non importa quello che penso io, perché noi non abbiamo voce in capitolo, in questo caso. È finita».
Logan si sentì schiacciare le spalle da un peso insopportabile che le spingeva verso il basso. «Sì, signora». La moquette era blu e rovinata. La fissò per un po’. Mosse i piedi. «Potrebbe esserci un piccolo problema, però».
Lei sospirò di nuovo. «Cosa hai fatto?»
«Ho dato dieci sterline a Sammy Wilson per cercare informazioni sul Candelaio, ovvero Martyn Baker».
L’ispettore scoppiò di colpo a ridere. Si appoggiò allo schienale della sedia e mostrò i denti in una lunga risata di pancia.
Cosa diavolo era successo all’espressione delusa e al tono da “moriremo tutti”?
Poi, quando l’attacco di risate le passò, la McGregor si asciugò gli occhi con il dorso di una mano. «Classico. Hai dato a Sammy “Puzzola” Wilson dieci sterline? Io non mi fiderei a dargli neanche un fazzoletto sporco. Un preservativo all’uncinetto sarebbe più affidabile di lui». Mosse la mano verso la porta. «Avanti, vai a prenderti dieci sterline dalla cassa comune, offro io. Te lo meriti per la risata che mi hai fatto fare».
Logan tuffò una bustina di tè nella tazza e mise il bollitore sul fornello. Dai contenitori Tupperware sul tavolo della mensa, sembrava che qualcuno avesse portato dei dolci, quella mattina, ma ormai non ne restavano che briciole e zucchero a velo.
Tipico. A lui non restavano che le briciole.
La detective tormentata dalla Steel, McKenzie, entrò nella mensa parlando al cellulare. «Sì… No, non credo, ma ci proveremo. Okay. Grazie». Attaccò e prese una tazza dallo scaffale. Poi accennò un saluto a Logan, facendo ondeggiare la coda di capelli ricci. «Sergente». La sua voce aveva tutto il calore del vomito del giorno prima, e la stessa percentuale di acido.
Logan restituì il saluto. «È riuscita a prendere un dolce?».
Le rughe in mezzo alle sopracciglia della donna si fecero più profonde. «Perché, c’erano dei dolci?»
«Sì, neanche io sono riuscito ad assaggiarli».
«Come mai nessuno mi ha detto che c’erano?». Lei posò la tazza accanto a quella di Logan.
Lui tirò fuori l’enorme cartone di latte parzialmente scremato dal frigorifero. «Vuole un consiglio disinteressato?»
«No».
«Troppo tardi. L’ispettore capo Roberta Steel può rivelarsi una vera spina nel fianco. Lo so bene, perché per dieci anni è stato il mio fianco a sopportarla. Fai questo, fai quello, vai qui, vai lì…».
«Prendi questo, porta quello». Un piccolo sorriso fece la sua comparsa sul viso della McKenzie. «E fai tutto il mio lavoro d’ufficio».
«Già. Ma è anche…».
«E tutte quelle imprecazioni, e le oscenità, e le allusioni, e i commenti volgari, e il sarcasmo, e quel modo che ha di grattarsi!». La detective allargò le braccia, piegando le dita ad artiglio.
«Sì, ma…».
«Sempre a grattarsi il seno. E poi il suo aspetto! È come se qualcuno fosse passato sopra al tenente Colombo con un tosaerba. Come diavolo si fa a provare rispetto per una così?»
«Ha finito, ora?»
Lei si strinse nelle spalle, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. «Lo sa com’è».
«Sì. E so anche che è incredibilmente leale. Se dovesse commettere un errore, la farebbe a pezzi in privato, ma distruggerebbe chiunque provasse a dirle qualcosa in pubblico. Lei guarda le spalle ai suoi sottoposti, e si fida di loro, al contrario di altri capi».
Silenzio.
Poi la McKenzie alzò il mento e lo fissò dall’alto in basso. «Forse si fida di lei. Il santissimo Logan McRae». La sua voce prese un tono gracchiante e rauco, non la migliore imitazione della Steel, ma neanche poi così male: «“Logan non farebbe così”, “Quando Logan era il mio detective tutto andava meglio”, “Logan è fantastico, Logan è perfetto, tu non ti ci avvicini neanche lontanamente, lui avrebbe fatto questa cosa alla grande…”».
Il bollitore si mise a borbottare.
«Davvero?»
«Già. Lei è il bastone con cui mi colpisce ogni giorno».
«Allora la deve ignorare. Quando trova un varco, ci si infila e continua a battere fino a fare tutto a pezzi o a sistemare le cose. Lei veda di sistemarle».
La Nicholson si fece vedere sulla soglia della mensa. «Eccola qui, sergente. L’avevo chiamata».
«Ho lasciato la ricetrasmittente in ufficio. Cosa posso fare per te, Janet?».
Lei imbronciò le labbra come una rana triste. «Abbiamo avuto un’altra segnalazione anonima. Sembra che il nostro amico Frankie Ferris sia di nuovo in azione».
E addio tazza di tè caldo.
La Nicholson svoltò a destra su Rundle Avenue. Ancora una volta. «Sa, inizio a credere che qualcuno si stia prendendo gioco di noi».
Logan si afflosciò sul sedile del passeggero, guardando fuori dal finestrino. «Ti domandi mai perché continuiamo a prendere tutto così sul serio, Janet?»
«Abbiamo ricevuto… quante, sei chiamate al giorno riguardo a Frankie che spaccia droga in casa? E noi ogni volta ci muoviamo, arriviamo qui e giriamo in tondo mille volte. Ma abbiamo mai preso qualcuno?».
Le case dalla facciata bianca lasciarono il posto a quelle di assi che sembravano dei capanni da giardino.
«Voglio dire, quello che stiamo facendo adesso… non è una perfetta metafora del nostro lavoro? Continuiamo a girare in cerchio, ma cosa otteniamo realmente?».
Lei strinse gli occhi. «Sa cosa penso? Penso che qualcuno abbia capito che questo sia un modo molto, molto semplice per tenerci fuori dai piedi per un’ora».
«Alla fine, la gente continua a farsi cose orribili, e noi cerchiamo di tenere insieme tutto con un po’ di spago e della gomma da masticare».
«Sì, ho sentito che l’ispettore McGregor le ha fatto una lavata di testa, stamattina». La Nicholson serrò la presa sul volante. «Cosa le è capitato, le urla a pieni polmoni o il gioco dei sensi di colpa?»
«Il secondo che hai detto».
«Ah, odio quando lo fa. “Non sono arrabbiata con te, Janet, soltanto delusa”». La Nicholson fece una smorfia. «È perfino più brava di mia madre, e mi creda, non è facile. L’ultima volta che è successo, ho dovuto finire da sola un’intera confezione di gelato per cercare di sentirmi meglio, e alla fine mi sentivo comunque uno schifo». Si fermò vicino al marciapiede, di fronte alla casa di Frankie. Aggrottò la fronte, lanciando un’occhiata attraverso il parabrezza. «E se lui non spacciasse più da casa sua? Se fosse tutta una messa in scena per tenerci lontani dal luogo dove spaccia davvero?».
Logan la guardò, accigliandosi. «Hai visto di nuovo la replica di The Sweeney?».
«Quand’è stata l’ultima volta che abbiamo arrestato qualcuno che usciva dalla tana delle droghe pesanti di Frankie Ferris?».
Vero.
«Non che possiamo ignorare le segnalazioni, però. Se lo facessimo, succederebbe subito qualcosa di orribile: è la legge di Murphy. Okay, facciamo un altro giro e torniamocene alla stazione». Prese il cellulare dalla tasca e chiamò la Steel. «Si è saputo qualcosa dai laboratori?»
«Cosa? No, non verrò in ufficio. Gliel’ho già detto, mia moglie è più importante di qualsiasi lavoro».
Fantastico. Logan chiuse gli occhi e si massaggiò la fronte. «Susan è lì e sta ascoltando, vero?»
«Lo faccia fare alla detective McKenzie. Io passerò del tempo con la mia famiglia, per una volta».
«Sì o no? I laboratori hanno finito di analizzare il dna di Helen Edwards?»
«Dannazione, signore, non so ancora fare miracoli. Queste cose richiedono tempo».
«Santo cielo, doveva dare loro una svegliata e accelerare le cose! Devo fare tutto da solo?»
«Grazie, signore. Ci vediamo quando tornerò alla stazione».
Incredibile. Logan attaccò, sganciò la ricetrasmittente dal giubbotto antiproiettile e chiese al Controllo di metterlo in contatto con il laboratorio di Dundee, mentre la Nicholson li conduceva a fare un altro giro delle stradine sul retro della casa di Frankie.
«Avanti, rispondete a quel diavolo di… Pronto? Devo parlare con chiunque stia lavorando ai campioni del caso di Tarlair. Può…?». Scostò la ricetrasmittente. «Sono stato messo in attesa».
La Nicholson tamburellò con gli indici sul volante. «O forse è qualcuno a cui piace dare fastidio alla polizia? Ci chiama e se la ride guardandoci girare in tondo come idioti…». Aggrottò la fronte. «E se fosse Frankie a chiamare?»
«Riguardo al suo stesso giro di droga? Nah…».
Un sorrisetto sghembo si mostrò sul viso di Janet. «Già, ci pensi: ci chiama e ci offre queste segnalazioni false, sapendo che non c’è nessuno qui a comprare il suo prodotto. Se ci fa perdere abbastanza tempo e pazienza, finiremo per non prendere più sul serio le soffiate».
Un forte accento di Glasgow si fece sentire dalla ricetrasmittente. «Pronto?».
Logan premette il pulsante per parlare. «Sono il sergente McRae, della Divisione b. Vorrei sapere a che punto siete con il confronto del dna della bambina con quello di Helen Edwards».
«Ah…». Un suono sibilante, che faceva già intendere cattive notizie in arrivo. «Tra me e lei: dovremo aspettare fino a martedì o mercoledì. Non ce la faremo prima».
«Avete già avuto quasi una settimana per lavorarci!».
«Sì, be’, c’è un carico di lavoro incredibile, qui, al momento. Tutti gli altri laboratori stanno facendo aggiornamenti alle apparecchiature tranne noi, quindi ci ritroviamo con il lavoro di nove divisioni da smaltire. E il Renfrewshire e l’Inverclyde stanno impazzendo con tutti questi piedi mozzati e…».
«No». Logan puntò l’indice contro il cruscotto. «Mi stia a sentire, non c’è niente di quello che avete per le mani al momento che sia più importante dell’identificazione di quella vittima. Qualcuno potrà dirvi che non è così, ma le assicuro che quel qualcuno non verrà a trovarla a casa alle quattro del mattino per prenderla a calci fino a spedirle i testicoli in gola. Siamo intesi?»
«Ma i piedi mozzati…».
«Preferisce avere a che fare con dei testicoli mozzati?».
Un colpo di tosse. Una pausa di silenzio. «Senta, non sono io che decido, okay? Io devo fare quello che mi viene…».
«E se lo immagina quanta gente si metterà in fila per prenderla a calci, quando si saprà che ve la siete presa comoda? Quando questa storia sarà su tutte le prime pagine dei giornali?». Logan scosse la testa. «Santo cielo, che storia ghiotta per la stampa! Noi stiamo cercando di prendere l’assassino di una bambina, qui, e voi perdete tempo con dei piedi? Crede che i suoi capi le guarderanno le spalle, se la notizia dovesse trapelare? O le metteranno una fila di salsicce intorno al collo e la getteranno in pasto agli squali?».
Silenzio.
«Si prenda del tempo per decidere».
La voce dall’altra parte della linea si abbassò a un sussurro. «Okay. Okay. Metterò le sue analisi in cima alla lista. Ma… le ripeto che io sto solo facendo il mio lavoro, qui».
«E allora lo faccia più velocemente. Voglio quei risultati sulla mia scrivania per la fine del turno». Logan chiuse la chiamata e riagganciò la ricetrasmittente al giubbotto antiproiettile. Alzò lo sguardo sulla Nicholson che lo guardava con un ghigno divertito sulle labbra. «Che c’è?»
«Oh, sergente McRae: è così autoritario!».
Capitolo 39
La Nicholson fece scivolare l’autopattuglia lungo le stradine laterali, tenendo l’ago del tachimetro sotto ai trenta chilometri orari. «Che farà per pranzo?»
«Un manicaretto da re: roastbeef poco cotto; pasticcio di verdure; patate arrosto croccanti rosolate in grasso d’oca; carote e piselli con salsa. A volontà».
«Mi sembra delizioso. Cosa mangerà davvero?»
«Zuppa di lenticchie».
Un cartellone con la pubblicità di un’assicurazione sulla casa scivolò accanto a loro alla fine della strada. Un’allegra famigliola che sorrideva a un cane di plastilina. Qualcuno aveva disegnato un grosso pene viola su di loro con un frettoloso tratto di spray.
La Nicholson lo indicò. «Sa, comincio ad avere l’impressione che il nostro piccolo marxista dei graffiti non sia così interessato alla politica, dopotutto. Credo che si diverta semplicemente a disegnare grossi uccelli dappertutto».
«Credo che tu abbia ragione. E quindi immagino sia ora di fare una visitina al nostro compagno Geoffrey. C’è…».
«Pattuglia Sette, potete parlare?».
«Si ricomincia». Logan premette il pulsante. «Parlate pure».
«Abbiamo una segnalazione di mucche sulla carreggiata della a947, tra Keilhill e il negozio di forniture agricole».
La Nicholson si fermò, si piegò in avanti e sbatté la fronte contro il volante. «Oh, no… non di nuovo».
«Ricevuto, ci andiamo noi». Logan si allungò a batterle una pacca sul braccio. «Avanti, Calamity Janet, è ora di giocare un po’ ai cowboy. Yee-haw, mettiamo in cerchio i carri, occhio agli indiani eccetera eccetera».
«Sì, qui va benissimo». La Macchina Grande si fermò fuori dalla casa del sergente, e Logan aprì lo sportello. «Torni a casa o ti fermi alla stazione per una doccia?».
La Nicholson gli lanciò un’occhiataccia dal lato del conducente. «Ce l’ho ovunque, dannazione». Il fango quasi secco le striava le guance di segni di guerra di un beige pallido, le si era raggrumato tra i capelli e le macchiava le maniche della maglietta nera della polizia e le braccia che ne sporgevano fuori. Ce n’era altro anche sui pantaloni e sul giubbotto antiproiettile.
«Se ti preoccupi che Hector ti spii mentre sei sotto la doccia, torna a casa. Credo che possiamo concederti una mezz’ora in più per il pranzo, oggi, dopo i tuoi sforzi encomiabili per fermare la Grande Ribellione Bovina».
«Oh, che simpatico».
Logan uscì dalla macchina, nel pomeriggio uggioso. «Sarò qui tutta la settimana. Gli autografi in camerino». Chiuse lo sportello e accennò un saluto, mentre la Nicholson gli mostrava i denti e si allontanava dal marciapiede. Tornando verso la stazione di polizia per una doccia calda.
Logan attraversò la strada, tirò fuori le chiavi ed entrò in casa. Non aveva senso portarsi dietro il pranzo quando la sua abitazione era a due passi.
La porta del salotto era aperta, e mostrava quattro belle pareti color crema, con i battiscopa di un bianco immacolato. Non restava che pensare alla moquette.
Logan si aprì il giubbotto antiproiettile e lo appese sopra la balaustra. «Helen?». Nessuna risposta. «Ehi… sono a casa».
Entrò in cucina. Non era lì.
Oh.
Cthulhu sbadigliò, appollaiata sul davanzale in mezzo ai vasetti di erbe aromatiche. Si stiracchiò, si girò a mostrare a Logan il posteriore e poi si acciambellò di nuovo per riaddormentarsi.
Un benvenuto degno di nota, altroché.
Controllò il frigo. Le bistecche erano ancora lì. Come anche i maccheroni al formaggio avanzati. Pranzo.
Logan tirò fuori il contenitore con i maccheroni, bucherellò la pellicola da cucina che li copriva con una forchetta e li infilò nel forno a microonde. Mise su il bollitore.
Si sentì un tonfo dal davanti della casa. «Logan?».
Lui fece capolino in corridoio. «Come ti sembra un pranzo a base di maccheroni al formaggio riscaldati e pane tostato?».
Helen posò sulle assi nude del pavimento le buste di plastica strapiene che stava portando e si asciugò il viso dalla pioggia, i capelli che le pendevano intorno al viso in ricci umidi più scuri del loro colore naturale. «Urgh… e meno male che è quasi estate». Ebbe un brivido. Poi indicò le buste. «Puoi darmi una mano?».
Le svuotarono in cucina, mentre il forno a microonde ronzava in sottofondo. Insalata. Sottaceti. Filetti di salmone. Salsicce. Patate. Cipolle. Cioccolato. Vino.
Logan si sentì avvampare le guance. «Non dovevi… e non devi farlo per forza, lo sai, vero?».
Lei mise via una confezione di salsa per insalate. «Non devo fare cosa?»
«Fare questo: comprare tutta questa roba. Cucinare per me».
Lei inarcò le sopracciglia di un paio di centimetri, mentre gli angoli delle sue labbra si muovevano nella direzione opposta.
Logan sollevò le mani. «No, aspetta… è fantastico, davvero, non mangiavo così bene da mesi, ma non voglio che pensi di essere obbligata a farlo. Non è…». Si schiarì la gola. «Non voglio approfittare di questa situazione».
Lei posò sul bancone della cucina una confezione di senape. La guardò. «Vuoi che me ne vada».
«No! No, non è così, sto soltanto…». Si strinse nelle spalle, indicando il mucchio di cibarie sul tavolo. «Tu stai facendo tutto questo per me, e io non sto facendo niente in cambio».
«Non è vero». Helen gli si avvicinò così tanto da fargli sentire tutt’intorno un delicato profumo di albicocche, oltre al calore del suo corpo. «Tu stai cercando mia figlia».
Allungò una mano, posandogliela sulle reni.
Ding. Il forno a microonde si fermò.
Logan deglutì. Le posò le mani sulle spalle.
Helen sollevò lo sguardo, con le labbra dischiuse.
Okay.
Un respiro profondo. E…
«laz?». Quella singola parola riecheggiò dal davanti della casa, con la delicatezza di un elefante in un negozio di porcellane. «ci sei?»
«Gah…». Logan sussultò. Fissò la porta della cucina. Non adesso.
Helen si scostò di un passo, mordendosi il labbro inferiore e arrossendo.
Lui abbassò la voce a un sussurro. «Forse, se restiamo in silenzio, si arrenderà e se ne andrà…».
La porta della cucina si spalancò di scatto, e un ciclone in maglietta rosa e jeans irruppe nella stanza, con i capelli biondo cenere che le ondeggiavano dietro le spalle. «Papà!». Si aggrappò alla vita di Logan per un rapido abbraccio e poi corse al davanzale. «Cthulhu!».
Accarezzò la gattina, grattandole le orecchie e ricevendo in cambio un coro di fusa.
Spodestato dal gatto. Come sempre.
Helen incrociò le braccia sul petto, arretrando verso il pianale della cucina. «Sì. Giusto. Scusami».
«Dio, che giornata». Susan entrò nella stanza e posò una borsa termica sul tavolo. Si tirò indietro i capelli biondi, raccogliendoli in una coda, e quando sorrise, delle fossette le comparvero nelle guance rotonde. Una rete di rughe sottili le comparve intorno agli occhi. «Logan. Come stai? Non ti vedevamo da una vita. Jasmine è rimasta così delusa che tu non sia riuscito a vedere la sua gara di danza». Susan gli si avvicinò e lo baciò su una guancia. Poi si girò e batté le mani. «Avanti, scimmietta, lavati le mani, è ora di pranzo».
«Ma maaa-mma…».
«Niente ma. Di sopra a lavarti le mani. Non costringere il tuo papà ad arrestarti». Susan si tolse la giacca, mentre Jasmine usciva dalla cucina. Il ventre era un po’ arrotondato, ma non molto più del solito. «Davvero, le voglio un bene dell’anima, ma a volte, giuro su Dio…». Si girò verso Helen e roteò gli occhi. «Mi scusi, mi rendo conto dell’invasione improvvisa. Due ore in una macchina con la bambina di sei anni più rumorosa del pianeta». Le tese la mano. «Susan».
Ci fu una pausa. «Helen».
«Helen. Ha dei capelli meravigliosi, lo sa? I miei non fanno altro che pendere come spinaci. Con Jasmine, al terzo trimestre sembravo Tina Turner, quindi non so se succederà di nuovo, questa volta». Aprì la borsa termica. «Le piacciono il pollo arrosto e l’insalata di cocomero? Ne ho per un esercito».
«Ecco… credo che forse dovrei…».
Susan si girò e prese un respiro profondo. «roberta! non dimenticare le bevande!».
La voce della Steel riecheggiò dal corridoio. «sono al telefono!».
«Ovviamente». Susan tirò fuori dei contenitori dalla borsa. «Sei sempre al telefono».
Il rumore dello scarico del bagno si fece sentire dal piano di sopra. Poi la Steel entrò nella stanza, con una grossa scatola di plastica. La sigaretta elettronica incollata all’angolo delle labbra e il telefono incastrato tra orecchio e spalla. «Non te lo ripeterò, Becky: fai muovere le chiappe a quegli scansafatiche e mandali a girare porta a porta con una foto di Neil Wood… Non mi interessa se piove, nevica o…». A quel punto si bloccò. Fissò Helen. Restò lì per un attimo, con la bocca spalancata. Poi riprese: «Insomma, sistema questa faccenda. Ora devo andare».
Helen intrecciò nervosamente le dita. «È successo qualcosa? Hanno i risultati?».
La Steel posò la scatola di plastica sul pavimento della cucina, rimettendo in tasca il cellulare. «Mrs Edwards?». Lanciò un’occhiata a Logan, con un sopracciglio sollevato. «Okay…». Poi tornò a Helen. «Mi dispiace, Mrs Edwards, ma ci vorrà un po’. Tutti guardano quelle stupide serie tv piene di detective e pensano che certi risultati si possano ottenere in una decina di minuti, ma purtroppo non è così semplice, nella vita reale».
«Oh». Helen si fissò la punta dei piedi per un attimo. «Sì, naturalmente. Che stupida».
«Non si preoccupi. Non sapevo che fosse qui».
Susan si posò una mano sulla pancia, le dita allargate sulla leggera protuberanza della gravidanza. «Oh, mi scusi tanto. Pensavo fosse un’amica di Logan. E non ho fatto che dire sciocchezze». Sorrise, strizzando gli occhi. «Se vuole unirsi a noi per il pranzo, sarebbe…».
«Perché non apparecchi la tavola, Susie?». La Steel indicò alle spalle di Helen. «Io devo portarmi via il sergente McRae per un minutino».
Logan lanciò uno sguardo a Helen, poi seguì la Steel in corridoio, uscendo di casa, nel pomeriggio uggioso. Il mare, ridotto a una lastra di granito grigio, rifletteva le tonalità del cielo. «Avrebbe potuto chiamarmi, prima di piombarmi in casa!».
«A che diavolo di gioco stai giocando?». La Steel gli mollò un pugno sul braccio. «Non riesco a credere che ti stai portando a letto la madre della nostra piccola vittima. Sei impazzito?»
«Ahi!». Lui si massaggiò il punto colpito. «Non è successo niente tra noi, okay? E comunque, non che siano affari suoi». Chiuse la porta d’ingresso.
«Sì, certo, e il mio sedere è la Regina di Saba. Ci stavate dando dentro, vero?»
«Lei non sarebbe costretta a stare da me, se lei si fosse organizzata per tempo e le avesse trovato un posto dove stare, tanto per cominciare».
«Oh mio Dio, sei tu, quindi! L’“amico” da cui si sta facendo ospitare. Lo sapevo».
«Pensa che sia sua figlia quella che teniamo nell’obitorio, okay? Vuole solo qualcuno con cui parlare».
«Tu non ti saresti dovuto avvicinare a lei. Dovresti starle lontano». La Steel lo picchiò di nuovo. «Ma che diavolo hai in testa? Sei…».
«Ah! La smetta, o…».
«…e stai indagando su quel dannato caso! Non è etico».
Logan si allontanò di un paio di passi, poi tornò indietro, gesticolando con forza come a sottolineare le sue parole. «Non è successo niente! E comunque non sto indagando sul caso, quasi non c’entro nulla, con tutta questa storia. Da dove mi trovo io, a malapena si vede!».
La Steel incrociò le braccia sul petto, sollevando il seno. «Non è successo niente? Davvero?»
«Non è successo niente!».
Lei sbuffò sibilando. «Be’, ora non mi stupisce che avessi una faccia da scroto troppo gonfio, stamattina. Vedi, te lo dicevo. Questa si chiama frustrazione sessuale».
Lui si passò una mano sulla faccia. «Stavamo solo pranzando. Tutto qui».
«D’accordo». La Steel lo pungolò sul petto. «E assicurati di tenere le mani dove posso vederle».
Ciuffo indicò a sinistra e annusò l’aria. «Perché sento odore di pollo?».
La Macchina Grande tornò su Rundle Avenue, effettuando il terzo passaggio in quindici minuti.
Non c’era traccia di nessuno che avesse anche solo una vaga somiglianza con la descrizione che Maggie aveva fornito.
Logan si agitò sul sedile. La cintura con l’equipaggiamento gli si stava piantando nello stomaco pieno da scoppiare di pollo e involtini di salsiccia e insalata di patate. Ogni rutto bruciava nell’esofago. Avrebbe proprio dovuto allentarla. Ma se l’avesse fatto, quel dannato strumento di tortura gli sarebbe caduto, in caso di inseguimento. «Allora, avanti: cosa hai fatto?».
La punta delle orecchie di Ciuffo si fece di un rosso feroce. «Forse… ecco, volevo imparare un po’ dal maestro?»
«Cosa hai fatto?».
Un velo di pioggia sottile copriva il parabrezza. I tergicristalli lo ripulivano cigolando, ma due secondi dopo era di nuovo lì. Le punte delle orecchie di Ciuffo avvamparono ancora di più.
«Ebbene?».
Il giovane agente si strinse nelle spalle. «Deano a volte brontola un po’, tutto qui».
«Ciuffo!».
«Ho solo detto che secondo Einstein quando la velocità di un oggetto si avvicina a quella della luce, la sua massa tende all’infinito, giusto? Ecco, e allora i fotoni? Quelli viaggiano alla velocità della luce, perché sono luce».
«Lì», indicò Logan, «la donna in tuta».
La donna in questione correva piano sotto la pioggia sottile, a testa bassa, con un berretto di lana tirato fin sotto le orecchie.
Ciuffo scosse la testa. «Dovrebbe indossare una felpa verde con il cappuccio. Comunque: la luce è sia un’onda che una particella, giusto? E viaggia alla velocità della luce, quindi la parte che è particella dovrebbe avere una massa vicina a infinito, anche se non l’onda. E dunque forse è quella la materia oscura? Tutta quella massa in eccesso?»
«Un momento, tu pensi che la materia oscura sia la luce?»
«Be’, non è terra, o che so io, no? La mia ipotesi è logica…».
«Janet ha ragione… avremmo dovuto sottoporti a un test d’intelligenza». Logan pescò il cellulare, trovò il numero di Helen in rubrica e le inviò un messaggio.
Mi spiace per il pranzo, non sapevo che stessero arrivando.
A volte sono un po’ eccessive.
Aggrottò la fronte, fissando lo schermo. Doveva dire qualcosa riguardo al bacio mancato, oppure no? E se invece lei non intendeva affatto baciarlo, in quel momento? Se fosse stato tutto un equivoco? Sarebbe sembrato un idiota. O un maniaco. O una totale testa di cazzo.
Dio, gli sembrava di essere tornato ai tempi dell’adolescenza.
Calmati, Logan. Giocatela bene.
Se riuscissi a liberarmi presto, potremmo cenare insieme, che ne dici?
Esitò con il pollice sul tasto di invio.
Nah. Quell’ultima frase sembrava da disperati.
La cancellò, e infine mandò il messaggio nel vuoto digitale.
Simpatico, gentile e con nessun contenuto imbarazzante.
Il telefono tornò nella tasca dei pantaloni.
Fuori dai finestrini, l’asfalto bagnato scintillava.
Ciuffo succhiò l’aria tra i denti per un attimo. Poi: «Pensa mai alle origini dell’universo, sergente?».
Logan premette il pulsante della ricetrasmittente e parlò contro la spalla. «Maggie, altri avvistamenti?»
«Sì, una donna bianca con stivali Ugg, tuta blu e canottiera arancione».
Ciuffo schiacciò il pedale del freno, poi fece retromarcia giù per la collina. «L’ho vista». Poi girò a destra, su Ardanes Brae.
E in effetti, la donna era lì. Camminava in fretta sul marciapiede, le spalle curve contro il vento, con una busta di plastica che le dondolava da una mano.
«Okay, aspetta che arrivi all’altezza di quella Passat bianca… Vai».
Ciuffo scivolò avanti, poi si fermò accanto al marciapiede. Prese il berretto dell’uniforme e uscì dalla macchina.
Logan andò dalla parte opposta, aggirando il lato posteriore della Passat, per tagliare la ritirata alla donna.
Lei alzò lo sguardo, giusto in tempo per evitare di urtare contro Ciuffo. Si fermò. Arretrò di un passo. Si voltò. Vide Logan e imprecò.
Kirstin Rattray fece una smorfia che le trasformò il viso scarno in una collezione di rughe, poi afflosciò le spalle. Si leccò le labbra sottili e pallide. «Stavo… facendo un giro».
«Buon pomeriggio, Kirstin».
Nessuno si mosse.
Lei si avvolse un braccio magro intorno al corpo, la mano scheletrica che stringeva l’altro braccio. «Sto andando a trovare Amy». Dondolò la busta di plastica. «Le ho preso qualche giocattolo e vestito. Perché… è il suo compleanno».
Logan accennò oltre la spalla di lei. «Kirstin Rattray, ho motivo di credere che tu sia in possesso di sostanze illegali, quindi sei in arresto secondo la Sezione Ventitré dell’Articolo 1971 sull’abuso di droga, e procederò a perquisirti».
Lei si raggomitolò su se stessa, piegando le ginocchia e proteggendosi la testa con le mani. «Nooo…».
«Non possiamo perquisirti qui, perché non ho un’agente donna che possa farlo. Quindi dovremo portarti alla stazione di polizia finché qualcuno non sarà disponibile. Non sei tenuta a dire nulla, ma tutto quello che dirai…».
«No, vi prego…». La voce di Kirstin era soffocata e strozzata. «Vi prego, se mi mettono dentro non potrò mai più rivedere la mia bambina. Vi prego…».
Ciuffo spostò il peso da un piede all’altro. «Sergente?»
«Ha solo tre anni!».
La stessa età che aveva la figlia di Helen quando era scomparsa.
«Sergente, forse potremmo… non lo so. Fare qualcosa?».
Kirstin restò dov’era, dondolando avanti e indietro, le spalle scosse dai singhiozzi.
Logan alzò lo sguardo alla cappa grigia che incombeva sulla cittadina. La pioggia gli accarezzò il volto con dita fredde e umide. Tre anni.
Ah, al diavolo. Non doveva sempre essere quello cattivo, dopotutto. «Kirstin».
«Vi prego…».
«Kirstin, forza, alzati. Non ti voglio arrestare».
Lei lo guardò, esitante, con gli occhi arrossati. «La mia Amy ha solo…».
«Lo so. Non voglio arrestarti. Alzati».
Lei obbedì, tirando su con il naso e deglutendo rumorosamente. Si asciugò il muco dal labbro superiore con la mano ossuta. «Posso andare?»
«Non ancora». Logan si infilò un singolo guanto di nitrile azzurro. «Cosa ti ha dato Frankie Ferris?».
La mano scheletrica si sollevò agli occhi della donna, strofinandoli. «Io non ho…».
«Sei stata vista, Kirstin. Cosa ti ha dato? Puoi darlo a me, oppure puoi venire con noi alla stazione di polizia e farti perquisire. E quando troveranno quello che hai addosso, ti arresteranno e lo confischeranno comunque. La scelta è tua».
Lei annuì. Tirò di nuovo su con il naso. Poi affondò la mano nella tasca davanti dei pantaloni della tuta che indossava. Ne trasse una bustina di plastica con della polvere marrone dentro. La strofinò tra le dita, come il violino più piccolo del mondo. Si leccò di nuovo le labbra e si schiarì la gola.
Logan tese la mano inguantata. «Kirstin?».
Una berlina li oltrepassò, con il volume della musica così alto da farsi sentire anche attraverso i finestrini chiusi.
«Avanti, Kirstin: cos’è più importante, farti di quella roba o continuare a vedere tua figlia?».
La pioggia continuava a cadere.
Ciuffo spostò di nuovo il peso da un piede all’altro.
Finalmente, Kirstin lasciò cadere la bustina nel palmo di Logan. Le sue dita esitarono per un attimo, poi ritirò la mano, serrandola contro la gola. «È… talvolta è…». Distolse lo sguardo. «L’ho trovato».
«Certo, ovvio. Frankie ha un grosso carico, in casa? Sarebbe utile fargli una visita?».
Lei sollevò una spalla fino all’orecchio. «Io non ho visto niente. Stava… nel corridoio, non fa mai vedere niente».
«Okay». Logan indicò. «Posso guardare dentro alla busta?».
Lei gliela tese e l’aprì.
All’interno c’era un vestitino rosa da principessa, delle ali rosa da fatina e una bacchetta magica rosa.
Logan si scostò. «Grazie. Di’ ad Amy che un poliziotto buono la saluta e le fa gli auguri di buon compleanno, okay?».
La donna annuì. Poi strusciò le suole degli stivali Ugg sull’asfalto. «Lei… è tutto ciò che ho».
«E allora vai, forza. Va’ da lei».
Kirstin si allontanò a passi rapidi, con la busta di plastica stretta al petto. Sempre più piccola, finché la collina e la pioggia non la inghiottirono.
Ciuffo sorrise. «Arresto e rilascio immediato. Mi piace».
«D’accordo. Torniamo al lavoro».
Mentre Ciuffo rientrava in auto e si metteva al volante, Logan chiuse il pugno intorno alla bustina di eroina e rovesciò il guanto intrappolandola all’interno. Poi la fece scivolare in una delle tasche con la chiusura lampo del giubbotto antiproiettile. Non poteva usarla come prova senza mettere in mezzo anche Kirstin, quindi avrebbe dovuto buttarla via in qualche luogo sicuro.
La pioggia si intensificò, con le gocce che diventavano sempre più pesanti e fitte.
Lui si infilò sul sedile del passeggero. Richiuse lo sportello. «D’accordo, ancora un paio di giri e poi ce ne andiamo a Gardenstown a controllare l’incendio di quel capanno». Staccò la ricetrasmittente dal giubbotto antiproiettile, mentre Ciuffo superava Tannery Street e faceva nuovamente il giro di Rundle Avenue.
«Sergente?»
«Vuoi parlare ancora di Einstein?». Logan inserì il numero dell’ispettore McGregor nella ricetrasmittente. «Bravo India, qui Pattuglia Sette, può parlare?»
«Conosce il Big Bang?»
«Parla pure, Logan».
«Pensa che potrei ottenere un mandato di perquisizione per la casa di Frankie Ferris? Stiamo ricevendo moltissime segnalazioni di spaccio, oggi. Sembra che sia riuscito a farsi arrivare un nuovo carico di eroina».
«Stai fermando e perquisendo le persone?»
«Sì, ci stiamo dedicando a questo, al momento».
«Bene. Voglio che perquisisci chiunque esca da quella casa. Se mi fai avere qualche prova o informazione seria, ti farò ottenere un mandato». Ci fu un fruscio dall’altra parte della linea, poi riprese: «Non ho agenti da utilizzare per una perquisizione, oggi. Dovremo farlo domani, o martedì».
Per lunedì o martedì, quel carico di eroina poteva essere già sparito. Ma era comunque meglio di niente. «Grazie, capo».
Ciuffo li riportò in fondo alla strada e girò su Golden Knowes Road. Era il punto più a ovest del centro abitato, senza case sul lato sinistro della strada. Da lì in poi c’erano solo campi e bestiame fino a Whitehills. «Se non avessimo lasciato andare Kirstin Rattray con un’ammonizione, adesso avrebbe il suo mandato».
«E lei non avrebbe più rivisto sua figlia. Pensavo fossi a favore dell’arresto con rilascio immediato».
«Sì, ma…». Ciuffo aggrottò la fronte, mordicchiandosi l’interno di una guancia. Poi il dilemma etico che sembrava agitarsi dentro a quella testolina bacata sembrò risolversi. «Comunque, sembrerebbe che l’universo abbia cominciato a esistere di colpo dal nulla: boom, in una minima frazione di secondo». Staccò le mani dal volante per mimare un’esplosione.
«Chiunque si trovi nelle vicinanze di St Fergus, abbiamo ricevuto segnalazioni di un camper con targa tedesca intento a compiere manovre sospette. Va fermato a vista…».
Ciuffo svoltò a destra su Windy Brae, facendo un altro lungo giro.
«Quindi non c’è nulla, poi un’esplosione, un’espansione e c’è tutto, giusto?»
«Sto iniziando a capire come deve essersi sentito Deano».
Piccole case, villette terrazzate, la pioggia che oscurava ogni cosa.
«A tutte le unità, siamo alla ricerca di una femmina ispanica sospettata di aver derubato un Big Issue a Peterhead, su Back Street…».
«Quindi, in quel milionesimo di milionesimo di milionesimo di secondo, tutta questa schiuma primordiale quantica accelera più della velocità della luce…».
«Che mi dici di quello?». Logan indicò attraverso il parabrezza un uomo in bomber con una felpa con il cappuccio al di sotto, che marciava sotto la pioggia.
«Dovrebbe avere dei cargo verdi, non dei jeans scoloriti. Ma non è la stessa cosa, no? Più ti avvicini alla velocità della luce, più grande è la tua massa, quindi se non fosse per quella minuscola frazione di secondo che ha accelerato tutto a velocità impensabili, non ci sarebbe massa, nell’universo. Quindi siamo fatti di velocità, non di materia».
Logan lo fissò.
«Che c’è?»
«Giuro su Dio, Ciuffo, ero a tanto così dall’essere gentile con te, oggi». Logan sollevò una mano, con pollice e indice a un centimetro di distanza.
Svoltarono a destra su Meavie Place, poi di nuovo a destra su Ardanes Brae.
«Stavo solo cercando di portare avanti un dibattito interessante».
Fino a Rundle Avenue, calò sulla macchina un silenzio delizioso. Be’, a parte il ritmico cigolio dei tergicristalli.
Ciuffo esalò un profondo sospiro. «Deve essere strano vivere in una di quelle casette di legno. A me sembrerebbe come stare in un capanno da giardino di due piani».
«Non so cosa sia peggio, se la tua cosmologia o i tuoi commenti sociali…». Logan si sporse sul sedile, sbirciando fuori dal parabrezza spruzzato di pioggia. «Lì, più avanti. Non è il nostro vecchio amico Martyn Baker?». E stava entrando nella tana della droga di Frankie Ferris, a quanto sembrava. Logan sogghignò e si strofinò le mani. «Bene, parcheggia dietro l’angolo. Non appena esce fuori, ci procuriamo il nostro mandato».
E, soprattutto, aveva la negazione plausibile dalla sua parte. L’ispettore aveva dato l’ordine di fermare e perquisire chiunque uscisse dalla casa di Frankie. Chiunque. E ciò includeva Martyn Baker.
Sì, l’ispettore capo McInnes si sarebbe fatto esplodere un embolo, ma che andasse al diavolo.
Era ora che quei bastardi dei Team Investigativi Primari imparassero com’è fatto un vero poliziotto.
Capitolo 40
«Mr Baker, che sorpresa». Logan uscì da dietro un vecchio e ammuffito furgone Transit. La pioggia picchiettava sul bordo del berretto dell’uniforme, rimbalzandogli sulle spalle del giubbotto catarifrangente. Non era esattamente anonimo, ma Martyn con la y non si era ancora accorto di lui, fino a quel momento.
L’uomo strinse gli occhi. Forse domandandosi se fosse il caso di scappare, ma a quel punto Ciuffo comparve sul marciapiede alle sue spalle.
«Sergente?».
Baker tirò fuori le mani dalle tasche e le serrò a pugno. I tendini sul collo si tesero, balzando fuori dalla pelle. La pioggia gli inzuppava il bomber che indossava, rendendo lucido il tessuto rosso di cui era fatto. «Cosa vuole?». Le sopracciglia folte fremettero come nuvole di tempesta.
«Ho visto che ha visitato Frankie Ferris».
«Non è illegale, mi pare, giusto? Andare a trovare qualcuno, dico». L’accento di Birmingham diventava più pesante a ogni parola. «Voi poliziotti state iniziando a darci fastidio».
Logan gli sorrise. Sorrise ai capelli sollevati dal gel che iniziavano ad afflosciarsi sotto la pioggia. Sorrise alla centrale nucleare di brufoli pronti a esplodere lungo quella mascella. Poi tirò via l’elastico che chiudeva l’obiettivo della telecamera che portava addosso e la attivò. «Martyn Baker, ho motivo di credere che lei sia in possesso di sostanze stupefacenti…».
«Non ci provi». Lui gli mostrò i denti. «Non ci provi neanche, dannazione».
«…secondo la Sezione Ventitré dell’Articolo 1971 sull’abuso di droga…».
«Vi siete già presi il mio telefono, non vi sembra abbastanza?»
«…procedere a perquisirla…».
L’aria uscì di colpo dai polmoni di Logan, quando un pugno lo colpì alla bocca nello stomaco, abbastanza forte da farlo scivolare indietro di qualche centimetro sul marciapiede. Sì, il giubbotto antiproiettile poteva essere un vero fastidio da portare tutto il giorno, ma se proteggeva da una pallottola o da un coltello da cucina, un pugno si rischiava di non sentirlo proprio.
Logan sollevò una mano, allungandola di scatto con il palmo in avanti e le dita allargate, spostando il peso sull’anca. La base del palmo sbatté con violenza contro il mento di Baker. «Indietro!».
La testa dell’uomo scattò in alto, mentre scivolava indietro con i piedi, perdendo l’equilibrio. Roteò le braccia con un gemito roco, e finì sul marciapiede di schiena, come un sacco di patate. Rimase lì steso, a fissare la pioggia sbattendo le palpebre.
Ciuffo si lanciò in avanti, prendendo le manette e chiudendone una sul polso di Baker, per poi strattonarlo in avanti e chiudere anche l’altra. Alzò lo sguardo su Logan. «Tutto bene, sergente?»
«Mai stato meglio, agente Quirrel. Mai stato meglio».
Lo scortarono al centro della stanza di custodia cautelare e lo perquisirono.
Il coro delle celle di Fraserburgh stava tentando una cover di Soft Kitty, mentre Ciuffo passava le mani lungo le membra di Martyn Baker e poi si occupava delle sue tasche.
Il secondino gonfiò le guance e mescolò il tè. «Siete fortunati a non essere stati qui stamattina: abbiamo avuto il revival delle Spice Girls. Riuscite a immaginare di passare la luna di miele in cella, in attesa che i tribunali riaprano lunedì mattina? Cantando di voler fare zigazig-ah?».
Logan si appoggiò alla scrivania della stanza e abbassò la voce a un sussurro. «Voglio che Baker sia interrogato subito, ma teniamo un basso profilo, okay?».
Il secondino incrociò le braccia robuste e tatuate. «Lo sta nascondendo da qualcuno in particolare?»
«Non lo sto nascondendo, sto badando alla sua sicurezza. In caso qualcuno si faccia venire un attacco isterico».
«E quindi…?»
«E quindi voglio che sia tutto finito prima che qualcuno dell’Operazione Troposfera, o qualche stronzo di un Team Investigativo Primario venga a ficcanasare. Baker chiama il suo avvocato e lo portiamo in una sala degli interrogatori. E assicurati di avvertirmi appena sarà pronto. Lo facciamo parlare, festeggiamo e ci becchiamo tutti una medaglia».
Ciuffo finì la perquisizione e tese la mano inguantata a Logan. Al centro del palmo era posata una busta di plastica piena di quella che sembrava erba secca. Non enorme, in realtà. E neanche grande abbastanza da poterlo accusare di possesso di stupefacenti ai fini di spaccio.
Logan si avvicinò e prese la busta dalla mano dell’agente. «Tutto qui?».
Lui si strinse nelle spalle. «Mi spiace, sergente».
Logan si posizionò di fronte a Martyn Baker. «Ebbene, Mr Baker? Ha qualcosa d’altro addosso… o dentro… di cui dovrebbe parlarmi?».
Martyn Baker serrò la mascella, digrignando i denti e facendo tendere i muscoli sotto la pelle. I foruncoli tremarono ancora una volta. Non riusciva a tenere fermi i piedi sul pavimento grigio, seguendo i passi di qualche ignota danza della colpa. Gli occhi puntavano da un lato all’altro, senza mai incontrare quelli di Logan. «Voglio il mio avvocato».
«Non mi stupisce».
Logan sciacquò la tazza vuota sotto il getto dell’acqua calda, sistemandola poi con le altre sullo scolapiatti. Una coppia di agenti se ne stava seduta davanti alla tv della mensa, discutendo animatamente della nuova serie del cartone animato Danger Mouse.
La coscia di Logan vibrò, prima che la suoneria del suo cellulare annunciasse l’arrivo di un messaggio di testo. Prese il telefono per leggerlo.
Scusa per il comportamento a pranzo. Non mi aspettavo tutta quella gente e non sono più abituata. Cmq ci sono le bistecche x cena se vuoi. Posso fare le patatine.
Nessun gentiluomo degno di questo nome avrebbe potuto rifiutare un’offerta del genere.
Premette il pulsante di risposta, poi si fermò. Mise via il cellulare e tornò indietro lungo il corridoio cigolante fino a raggiungere l’ufficio dei sergenti. Alzò il telefono interno.
«Blocco delle celle».
«Salve, sono il sergente McRae. Si sa qualcosa del nostro amico Martyn Baker?».
«È ancora al telefono con l’avvocato. Ci vuole un po’ per ricordare di rispondere “no comment” a tutto. Ci vuole pratica».
«Okay, d’accordo. Io esco per un po’. Fammi un fischio appena è pronto».
Uscì dall’ufficio, scese le scale e si ritrovò nel parcheggio sul retro della stazione.
Qualche minimo indizio di azzurro si intravedeva in mezzo al grigio uniforme del cielo. La pioggia aveva smesso di cadere, lasciando sui parabrezza e le carrozzerie delle autopattuglie e dei furgoni parcheggiati uno strato umido e lucido.
Tirò fuori il cellulare, trovò il numero di Helen e…
«Sergente?». Era Ciuffo.
Logan si bloccò. «Martyn Baker ha detto qualcosa?»
«Ecco… no. Il secondino ha detto che stava uscendo. Le serve aiuto? Vado a prendere la Macchina Grande?».
Sì, certo, perché così sarebbe stato tanto più semplice chiamare Helen.
Doveva pensare subito a qualcosa.
Un’autopattuglia passò ondeggiando sulla cunetta del parcheggio, entrandovi. Doveva esserci un caso, lì fuori, che aveva bisogno di essere controllato.
Logan si girò a guardare l’agente in macchina che faceva un parcheggio orrendo. «A dire il vero, volevo andare a dare un’occhiata al Broch Braw Buys. Per capire se il proprietario ha idea del perché la gang dei registratori di cassa ha scelto proprio il suo negozio, invece di un altro piccolo supermercato della stessa catena degli altri».
Ciuffo annuì. «Okay. Vado a prendere il berretto».
«No, non c’è bisogno. Resta qui e…». Avanti… cosa poteva far fare a Ciuffo, a parte reggere il moccolo? «Fammi un favore. Helen Edwards. Se è davvero la madre della bambina ritrovata morta a Tarlair, voglio sapere qualcosa del padre. Vedi cosa riesci a scoprire sul suo conto».
«Sì, sergente».
«…possibili decessi per droga a Peterhead. L’ambulanza sta arrivando».
Accanto alla stazione di polizia di Fraserburgh, le case erano sfarzose e di granito. Villette da un lato della strada, case a due piani con finestre a golfo dall’altro.
Logan procedette lungo Finlayson Street, con il cellulare all’orecchio, mentre la ricetrasmittente continuava a borbottare crepitando. «Non lo so, in realtà. Non hanno ancora trovato un sostituto per il sergente Muir, quindi se non trovano un altro dovrò fare ancora gli straordinari. E ufficialmente dovrei rientrare per le due, forse le due e mezzo di domattina».
La voce di Helen si abbassò un po’. «Che peccato».
«Mi dispiace». Lui attraversò la strada. «Non so se riuscirò a tornare a casa per cena, ma farò del mio meglio. Dipende tutto da quello che succederà stasera. Se capita qualcosa oppure no».
«Be’, posso comunque rimettere in frigo le bistecche e mangiare tutte le patatine da sola».
Lui mugolò. «Non tentarmi con le patatine: sono la kryptonite di qualsiasi poliziotto».
A sinistra, le case si diradarono fino a lasciare il posto al parcheggio esterno del Riteway. La facciata squadrata del negozio di bricolage era macchiato di grigio scuro. Un gruppetto di ragazzini andava avanti e indietro nel parcheggio con gli skateboard, tentando trucchetti di basso livello e finendo ogni volta sull’asfalto.
«Helen, sei sicura di non aver più saputo nulla del tuo ex marito? Proprio niente del tutto?»
«Ho ricevuto una sola cartolina. Era la Cattedrale di San Martino, a Ourense. È arrivata tre mesi dopo che l’aveva portata via».
«E poi nient’altro?»
«Nella cartolina diceva: “Non perdere tempo a cercarci. Hai avuto la tua occasione di metterla contro di me. Non la rivedrai mai più, stronza frigida e gelosa. Morirai da sola, perché nessuno potrebbe mai amare un’inutile vacca come te”». Un profondo sospiro. Poi una pausa. «Il timbro postale era di Ourense. Il mio investigatore privato ci ha trascorso due settimane, nel tentativo di trovarli».
Logan si fermò all’incrocio tra Finlayson Street e Gallowhill Street. «Brian sembra proprio un tipo che ci sa fare, con le parole». Oltre che uno a cui serviva un pestaggio serio.
«Ho messo degli annunci nei giornali locali, dalla a alla z, ma nessuno ha riconosciuto la foto di Brian o di Natasha. È come se fossero spariti…».
Dall’altra parte della strada, il Broch Braw Buys se ne stava tra il negozio di scommesse e la friggitoria. Le assi inizialmente posizionate sulla vetrina distrutta erano sparite, sostituite da una nuova e scintillante lastra di vetro che già spariva sotto a decine di avvisi e annunci vari.
«Mi dispiace».
«So che questo mi rende una brutta persona, ma se riuscissi a mettergli le mani addosso, lo ucciderei. Non me ne importerebbe nulla di finire in prigione. Lo ucciderei».
Una Fiat Panda lo superò, seguita da una moto, da una vecchia Land Rover e da un Transit del municipio con le fiancate arrugginite.
Già… probabilmente era meglio cambiare argomento.
«Helen, riguardo a oggi, prima che la Steel, Susan e Jasmine…».
«No, non preoccuparti, davvero. Non avrei dovuto…». Helen prese un profondo respiro. «Ma senti quanto parlo. Dovrei lasciarti tornare al lavoro».
«Sì. Giusto. Be’, ci vediamo a cena. Se ce la faccio». Forzò un sorriso. «Sai, essendoci le patatine…».
Niente.
«Helen?».
Aveva già riagganciato.
Logan sospirò. Mise via il cellulare. Attese un varco nel traffico per attraversare.
Due vecchietti se ne stavano davanti al Kenya Bar and Lounge, intenti a fumare sigarette fatte a mano e a lamentarsi del fatto di essere stati buttati fuori alle tre, come del resto ogni domenica.
«A tutte le unità, stiamo cercando un certo Raymond Goldmann, maschio bianco, barba grigia e cranio rasato. Mandato di arresto per atti osceni in luogo pubblico».
E, a proposito di mandati di arresto… Logan sganciò la ricetrasmittente dal giubbotto antiproiettile. «Qui Pattuglia Sette. Ci sono novità su David o Catherine Bisset?».
I due vecchietti lo fissarono per un attimo, poi si allontanarono.
«Ricevuto. Abbiamo avuto una dozzina di segnalazioni da Dundee a Oban, passando per Edimburgo e Klimarnoch. Gli agenti locali le stanno controllando. Vuole che la metta sulla lista delle persone da aggiornare?».
Perché no? «Sì, grazie».
Non si sarebbe pensato che fosse così facile uccidere due persone e poi sparire, ma a quanto sembrava lo era. Rimise a posto la ricetrasmittente e tornò a voltarsi verso il negozio.
Il Broch Braw Buys era più profondo che largo, con scaffali di confezioni di cereali per la prima colazione appena visibili dietro a tutti i cartelli e gli annunci appesi. Quello che offriva cento sterline a chiunque avesse dato informazioni utili a identificare i rapinatori, in modo che il proprietario del negozio potesse gambizzarli era ancora lì, in posizione centrale, sopra ai Coco Pops.
La porta tintinnò, mentre Logan entrava.
File di scaffali, dappertutto, pieni di confezioni di cibo e simili. L’odore che aleggiava nell’aria era uno strano misto di muffa e polvere, con un retrogusto di vernice fresca e stucco. Grandi specchi circolari erano stati appesi alle pareti, probabilmente sistemati in modo che chiunque fosse dietro al bancone potesse vedere ogni più remoto angolo del negozio. Una telecamera a circuito chiuso si trovava in ogni angolo, non molto sotto al soffitto, con le luci rosse accese.
«Posso aiutarla?». Un ometto con un gilet di tweed e occhi a fessura comparve accanto a Logan. Un ispido accenno di barba gli copriva il mento sporgente, i capelli tagliati a scodella intorno a una chierica lucida.
Logan indicò il pavimento, dove quattro buchi segnavano i confini di un rettangolo più pulito rispetto al resto del vecchio linoleum. «Non hanno ancora messo una nuova cassa?»
«Cosa gliene pare? Certo che non l’hanno ancora messa. La compagnia di assicurazioni sta complicando le cose. Oh, non siete coperti per questo, non siete coperti per quello, non avete letto le scritte in piccolo?». Si imbronciò. «Banda di ladri bastardi. Se dovesse esserci una rivoluzione, sarebbero i primi a finire al muro».
L’ometto passò la punta di una scarpa da ginnastica lungo il rettangolo pulito. «Hanno accettato di cambiare almeno la vetrina soltanto ieri. Mi hanno rubato trentacinquemila sterline di onesti guadagni, ma a loro interessa qualcosa? Neanche per idea».
«Erano solo ventisettemila, la settimana scorsa».
Lui si ficcò le mani nelle tasche. «Colpa dell’inflazione. E adesso mi dica cosa vuole. Non faccio sconti ai poliziotti, almeno finché non arresterete quei ladri maledetti che mi hanno rapinato».
Logan alzò lo sguardo alla telecamera di sicurezza montata sopra l’ingresso. «Devo dare un’occhiata alla registrazione della rapina».
La porta tintinnò di nuovo e una bambina con un paio di short in denim e una maglietta di Chainsaw Teddy entrò, sorridendo con le fossette nelle guance e scuotendo i codini, uno skateboard di Hello Kitty sotto a un braccio.
«Tu! Esci subito di qui, sei bandita da questo negozio! Avanti!». L’ometto afferrò Logan per un braccio. «Vedi? Ho qui la polizia. Se non esci subito, ti farò arrestare!».
La bambina mostrò loro il medio, sputò per terra, si girò e uscì di nuovo dal negozio. Non poteva avere più di cinque anni.
Il negoziante mollò Logan e si piazzò la mano sul petto, con le dita che tremavano. «Sono come sciacalli».
«E la telecamera?»
«Entrano qui dentro in branchi, rubano, minacciano, rompono tutto e sputano per terra».
«Ha questo benedetto video oppure no?».
L’uomo tirò su con il naso. «No. Quello che avevamo se l’è portato via la polizia dopo la rapina».
Il che significava che doveva essere rinchiuso nel magazzino delle prove di Queen Street, ad Aberdeen. E non c’era modo che Logan potesse anche solo avvicinarcisi. Comunque, era valsa la pena fare un tentativo.
Si fermò a qualche passo dalla porta. «Perché proprio lei?»
«Ovviamente ci provi a parlare con i genitori, ma pensa che facciano qualcosa? Certo che no. Tra me e lei, quella gente ha paura dei propri stessi figli».
«Perché i rapinatori delle casse sono venuti qui? Tutti gli altri erano piccoli supermercati della stessa catena. Perché hanno scelto lei?».
L’ometto raddrizzò una pila di confezioni di carta igienica. «Io sono un uomo onesto che paga le tasse e fa le cose per bene, e questa gente è la feccia della Terra. Se dovesse capitare una rivoluzione…».
«Sì, l’ha già detto. Finirebbero al muro». Logan indicò il punto in cui si trovava la cassa rubata. «Perché hanno preso di mira lei? Qualcuno è venuto a minacciarla, o voleva dei soldi per la protezione? Cose del genere?»
«I bambini. Lo fanno tutto il tempo. Rubano, minacciano, sputano. Dovrei prendermi una pistola per difendermi».
«Non dica stupidaggini». Logan aprì la porta. «E tolga quello stupido cartello della ricompensa. Lei non gambizzerà proprio nessuno».
«Bambini? Non sono bambini, quelli, sono mostri».
La porta si richiuse, tintinnando, mentre Logan usciva all’esterno.
Okay, dunque il Broch Braw Buys non aveva il video della rapina. Non c’era traccia di telecamere di sicurezza sulla friggitoria accanto, ma il Kenya Bar and Lounge aveva una di quelle piccole telecamere nere sopra l’ingresso che dava su Gallowhill Road. E ce n’era un’altra accanto all’insegna dipinta, e una terza sopra l’ingresso di Finlayson Street.
Perfetto.
Logan bussò sulla saracinesca chiusa. Nessuna risposta.
C’era qualche annuncio, nella parte vuota dietro alla saracinesca sbarrata, ai due lati della porta d’ingresso del locale. Uno pubblicizzava la serata karaoke del martedì, l’altro parlava del nuovo e migliorato sistema di sicurezza. “tutte le telecamere di sicurezza di questo locale sono collegate con la stazione di polizia di fraserburgh. le aggressioni ai membri dello staff o ad altri clienti non saranno tollerate”.
Meglio che mai.
Il coro delle celle di Fraserburgh si stava cimentando in The Ballad of Eskimo Nell da qualche parte sotto ai piedi di Logan, dando a ogni verso una vibrazione a piena gola di Whitney Houston. L’equipaggiamento per il controllo delle registrazioni era stato temporaneamente posizionato su una scrivania graffiata, in un angolo di un ufficio in disuso, la cui mobilia avrebbe avuto bisogno di una mano di vernice fresca che non era mai arrivata.
«C’è altro?». Logan passò il telefono nell’altra mano e prese un sorso di tè.
Sembrava che Big Paul stesse controllando le sue scartoffie. «Stiamo ancora cercando dei testimoni di quella rapina. Dobbiamo controllare un paio di furti con scasso. Qualcuno ha rotto delle finestre a Inverboyndie. E vorrei provare a dare un’occhiata a Newton Drive: a quanto pare il nostro vecchio amico Lumpy Patrick sta spacciando di nuovo. E vorrei rovinargli la piazza».
«Molto bene». Logan controllò il taccuino. «Dovresti anche mandare di nuovo Kate a dare supporto a Fraserburgh. E vorrei che facessi un salto a Rundle Avenue, davanti alla casa di Frankie Ferris, ogni due ore. Rendiamogli difficile spacciare droga nei dintorni. A parte questo, auguro a te, Penny e Joe un buon turno. Ci vediamo quando ci vediamo».
«D’accordo, sergente».
Logan prese il nastro successivo e lo inserì nel lettore. Prese un sorso di tè, mentre il macchinario ronzava e borbottava. Poi Gallowhill Road riempì lo schermo.
La telecamera era stata sistemata per poter controllare gli eventi all’esterno del Kenya Bar, perché quella parte dell’inquadratura era nitida e chiara, mentre il resto della strada era deformato dalla lente grandangolare. L’immagine si allungava e distorceva sempre di più man mano che si allontanava dalla zona centrale.
Logan mandò avanti la registrazione. L’orario nell’angolo in basso a destra andò avanti trenta volte più velocemente del normale.
Proprio in quel momento, un Mitsubishi Warrior verde scuro passò oltre il pub, frenò di scatto e si lanciò in retromarcia attraverso la vetrina del Broch Braw Buys. Tutto in un perfetto silenzio. Il retro del mezzo saltò verso l’alto mentre entrava nella vetrina, facendo volare pacchi e barattoli. Due uomini mascherati saltarono giù, uno dal lato del passeggero e l’altro dal sedile posteriore, ed entrarono dalla vetrina distrutta. Quarantacinque secondi dopo, il Warrior balzò in avanti, strappando la cassa dal pavimento e trascinandola in strada. Poi gli uomini la caricarono nel bagagliaio e fuggirono.
Un minuto e cinquanta secondi in tutto.
Più di quanto ci era voluto per razziare il supermercato di Portsoy, ma a quel punto dovevano essere diventati esperti.
Logan si appoggiò allo schienale della sedia e tamburellò con le dita sulla scrivania. Un minuto e cinquanta secondi. Non era un atto di coraggio, era idiozia. Quel negozio distava forse tre minuti a piedi dalla stazione di polizia. Meno di un minuto in auto. Quegli uomini dovevano essere molto sicuri di loro stessi, per tentare un colpo così rischioso.
Certo, a pensarci bene, ci sarebbe voluto probabilmente un minuto e mezzo per chiamare la polizia e spiegare quello che stava succedendo. E sarebbe stato realistico aggiungerci un minuto per riprendersi dallo shock. E poi altri cinque minuti perché una volante uscisse dalla stazione. E un altro minuto per arrivare sul posto.
In tutto, quasi nove minuti.
Quando la polizia fosse arrivata al Broch Braw Buys, la gang sarebbe già potuta essere a Rosehearty senza neanche infrangere i limiti di velocità.
Comunque, era un grosso rischio.
O quella gente era molto, molto fortunata, o sapeva davvero quello che stava facendo.
E, considerando il numero di casse che avevano strappato via dai piccoli supermercati fino a quel momento, non poteva essere fortuna.
Logan rimandò indietro la registrazione. Non potevano aver scelto quel posto a caso. Dovevano averlo controllato, se non altro per sapere dove si trovasse la cassa al suo interno.
Tornò a tamburellare con le dita sulla scrivania.
Se si voleva mandare una quattro per quattro contro una vetrina, lo si sarebbe fatto senza pensarci, e al diavolo le conseguenze? Oppure si sarebbe scelto di passarci davanti prima, per assicurarsi che non ci fosse nessuno dietro alla vetrina? Magari avevano un palo che li avvertiva al momento giusto.
E non avrebbero scelto di cambiare veicolo per i controlli, giusto? Non prima della rapina. Dopo, semmai. Ma meno si complicavano le cose prima, e meglio sarebbe stato. Il che significava che, prima o dopo, quella quattro per quattro rubata sarebbe comparsa davanti alla telecamera del pub, solo che gli uomini all’interno non avrebbero indossato delle maschere. Si sarebbero accostati e qualcuno sarebbe sceso, sarebbe entrato nel negozio e avrebbe scoperto quello che dovevano sapere. Il tutto registrato dalla telecamera.
Tornò indietro fino all’inizio della registrazione, ma non c’era traccia del Mitsubishi Warrior.
Logan ricontrollò le carte. Il furto del mezzo era stato denunciato solo dopo che la polizia si era presentata a casa del proprietario per arrestarlo. Quell’idiota non si era neanche accorto che l’auto mancava, finché non era stata ritrovata due giorni dopo la rapina, bruciata in un campo a nord di Woodhead.
Forse avevano lasciato scendere il palo dietro l’angolo, facendolo avvicinare a piedi?
Logan ricontrollò la registrazione, ma non vide nessuno che indugiava sulla strada con aria sospetta e parlando al cellulare.
Okay, poteva controllare il giorno prima.
Espulse la cassetta e inserì quella di domenica.
Riprodusse il filmato, mentre inseriva il numero di Ciuffo nella ricetrasmittente. «Qui Pattuglia Sette, puoi parlare?»
«Sono al verso quarantasei, sergente. Questa Eskimo Nell sembra…»
«Che succede con Martyn Baker?»
«Gli hanno assegnato un avvocato d’ufficio giù a Dundee».
«Dundee? Sì, certo, molto utile. Arriva o no?»
«Verso quarantasette. Be’, si penserebbe che questa tizia dopo un po’ si stanchi di…».
«Ciuffo!».
«Mi scusi. Non lo so, sergente. È ancora al telefono».
«Okay, fammi sapere qualcosa appena attacca». Rimise a posto la ricetrasmittente e osservò lo schermo, accigliandosi.
Nella registrazione, una piovosa domenica mattina a Fraserburgh andava silenziosamente avanti. Alcune persone superarono la telecamera, sole o in coppia, con le spalle curve contro il vento. Neanche una con l’ombrello.
Non aveva senso cercare il Mitsubishi Warrior. Ricontrollò le carte. Secondo il proprietario, l’ultima volta che l’aveva usato era stato venerdì sera. Non potevano averlo rubato quel giorno: sarebbe stato troppo tempo prima della rapina. Non appena ne fosse stato denunciato il furto, la polizia sarebbe stata avvertita, gli agenti si sarebbero messi a cercarlo e tutte le telecamere automatiche per il controllo delle targhe l’avrebbero segnalato. Sarebbe bastata una di quelle per fregarli.
Quindi dovevano aver usato un altro veicolo per controllare il luogo.
Controllò tutte le registrazioni della giornata a velocità 6x. Non vide macchine sospette. E gli unici due individui sospetti nelle vicinanze risultarono gli stessi vecchietti che aveva visto quel giorno fuori dal Kenya Bar.
Certo, se i rapinatori non si vedevano su quella telecamera, non significava che non potessero essere sulle altre due del pub.
Si allungò verso il pulsante di espulsione… e si bloccò. Premette il tasto di pausa, invece. E fissò lo schermo stringendo gli occhi. C’era un giovane con un giubbotto blu che stava uscendo dal Broch Braw Buys, con gli auricolari nelle orecchie e una busta di plastica in una mano.
Premette il tasto di riproduzione.
L’uomo avanzò verso la telecamera, i lineamenti sempre più nitidi a ogni passo, finché non fu perfettamente a fuoco.
Logan bloccò di nuovo il video. Premette il pulsante per ingrandire l’immagine. Capelli neri e corti, un naso allungato, un pizzetto corto e ispido. «Bene, bene, bene».
Stampò l’immagine. Il macchinario ronzò e ticchettò, poi produsse una stampa a colori dell’uomo sullo schermo. Tony Wishart. Fissato con la storia e topo d’appartamento.
Logan premette di nuovo il pulsante di riproduzione.
Wishart superò la telecamera e sparì dallo schermo.
La cassetta fu espulsa.
Logan inserì quella della telecamera successiva e la mandò avanti fino al momento che gli serviva.
Tony Wishart entrò nell’inquadratura, sotto alla telecamera. Si fermò all’incrocio. Guardò a sinistra, poi a destra e poi di nuovo a sinistra. Attese che una Fiat Panda passasse e poi attraversò Finlayson Street. Girò a sinistra… e svanì dietro a un grosso furgone di trasporti con la scritta “magnus hogg e figlio: spostiamo famiglie dal 1965” sulla fiancata.
Una Fiat rossa passò sulla strada. Poi una Audi blu.
Ancora nessuna traccia di Tony Wishart.
Un gruppetto di bambini passò sotto la telecamera, seguito dalle madri con i passeggini.
Dove diavolo era finito?
Erano già passati quattro minuti.
O si era infilato nel furgone, oppure in una delle case dietro di esso.
Logan provò con la terza telecamera, ma non trovò nulla di nuovo.
Quindi… Wishart stava rapinando una casa, o si era nascosto?
Fece un’altra stampata.
C’era un solo modo per scoprirlo.
Capitolo 41
La Macchina Grande scivolò lungo Gallowhill Road, raggiungendo l’incrocio con Finlayson Street. Logan fece un cenno a Ciuffo. «Procedi pure».
Lui annuì. «Sì, sergente».
Seduti sul sedile posteriore, gli agenti King Kong McMahon e Dundee Bill si sporsero in avanti. Dundee era grosso, ma la testa di King Kong sfiorava il tettuccio della macchina. La sua grossa testa squadrata sfoggiava capelli cortissimi, lunghe basette, lineamenti pesanti e un sorriso raggiante. Dundee, d’altra parte, sembrava un appendiabiti infilato in un’uniforme da poliziotto. Orecchie a sventola, un lungo naso sottile e una quantità di rughe in faccia che avrebbe fatto vergognare una camicia di lino.
Ciuffo lanciò uno sguardo nello specchietto retrovisore. «Tony Wishart. Maschio bianco, diciotto anni, ricercato per diciotto furti con scasso. Gli piace rubare oggetti storici, insieme ai soliti computer, cellulari e gioielli. Non sembra un violento, ma c’è sempre una prima volta».
Un grosso indice picchiettò la spalla di Ciuffo. La voce di King Kong era molto più affettata di quanto non ci si sarebbe potuti aspettare. «Ci sono possibilità che ci troviamo davanti un cane? O un’arma da fuoco?»
«Sergente?».
Logan scosse la testa. «Niente cani e niente armi».
«Bene. Odio ritrovarmi pezzi di Rottweiler su tutta l’uniforme. Poi ci vuole un secolo per ripulirla».
Dundee Bill sogghignò. Nessuno dei suoi denti sembrava puntare nella stessa direzione di un altro. «Ti ricordi quella volta in cui eravamo in quella palazzina con Spooney Birch?». Dundee piantò una mano sull’altra spalla di Ciuffo. «Spooney è entrato per primo, a passo di carica, urlando “polizia, tutti faccia a terra!”».
King Kong sospirò. «Avanti, non è stata colpa sua».
«E all’improvviso si sente questa serie di latrati acuti, e Spooney urla. E intendo un urlo vero, di quelli a pieni polmoni. Allora entriamo tutti di corsa… ed eccolo lì, al centro del salotto a ballare la tarantella».
«Si è beccato trentadue punti, non mi sembra molto divertente».
«Solo che aveva un Jack Russell terrier attaccato alle palle. Che ringhiava e si scuoteva mentre lui cercava di staccarselo di dosso con il manganello. Billy Smith ha registrato tutto sul cellulare». Il ghigno si allargò. «Non avevo riso così tanto da quando Jimmy Deacon era caduto nel porto».
«Non sei un amico gentile e fidato, tu, vero, Dundee?»
«No».
La fila di negozietti comparve sulla sinistra.
Logan mostrò la stampata della telecamera del pub mentre si avvicinavano all’incrocio. Una fila di case di recente costruzione, pulite e scintillanti, se ne stava di fronte al Kenya Bar. Solo la più vicina doveva essere stata nascosta dal furgone di trasporti. Logan la indicò. «Ci siamo».
«Luci e musica, sergente?»
«Vai pure».
Ciuffo premette il pulsante al centro del cruscotto e schiacciò il pedale dell’acceleratore. La Macchina Grande scattò in avanti, svoltò l’angolo sbandando e si fermò con un forte stridore di freni davanti al primo degli edifici nuovi. Uscirono dall’autopattuglia, sotto a un cielo ancora grigio, Ciuffo e Dundee che superavano con un salto la recinzione del giardino posteriore, mentre Logan e King Kong percorrevano il breve vialetto che conduceva all’ingresso principale.
King Kong piegò la testa da un lato e poi dall’altro, con un imponente schioccare di vertebre. «Vuole che la butti giù?»
«Proviamo prima con i metodi normali, eh?». Logan allungò una mano e premette il campanello.
Produsse un lieve ronzio.
Non ci fu risposta.
Le ginocchia di King Kong schioccarono, mentre l’agente si abbassava a sbirciare all’interno dalla buca delle lettere. Dal foro si udì un ritmo frenetico di batteria e chitarre. «Credo proprio che ci sia qualcuno all’interno».
«È chiuso a chiave?».
La maniglia si abbassò e la porta si aprì. Entrarono.
Il corridoio era piacevole, forse un po’ triste con i suoi muri color magnolia, ma per il resto normale. Una vecchia Bibbia rilegata in pelle era sistemata su un tavolino all’ingresso, accanto al telefono, con gli angoli rovinati e il titolo in lettere dorate quasi cancellato.
La musica veniva dal fondo del corridoio, le parole urlate e inframezzate da assoli di chitarra che sembravano uno strano miscuglio tra rock elettronico ed heavy metal.
Il soggiorno era vuoto.
Il salotto era vuoto.
King Kong aprì una porta, trovandosi davanti un minuscolo bagno. Anche quello era vuoto.
Restava solo la cucina.
Logan si fermò sulla porta. Era aperta di qualche centimetro. Mobili nuovi, dall’aspetto più costoso di quelli che si era potuto permettere per arredare la cucina dell’abitazione dove viveva adesso. Piani neri, piastrelle lucide, pensili di quercia. Un impianto stereo portatile era sistemato al centro del bancone della colazione, con un lettore mp3 inserito sopra.
Riuscì a intravedere per un attimo un lampo di maglietta viola e jeans neri attraverso lo spiraglio nella porta, prima che sparisse di nuovo. Sembrava che il tizio all’interno si stesse divertendo a cantare un po’ da solo. Ma non era un granché, a dire il vero. Le parole le conosceva, ma era stonato come una campana.
Logan mise una mano sul battente e lo spinse.
Si aprì di scatto.
Un giovane era fermo vicino alla dispensa, dando le spalle alla porta, intento a versarsi quella che sembrava birra da un decanter di cristallo in un boccale. Canticchiava a tempo, stonato, con chiunque stesse cantando dalle casse dell’impianto stereo. C’era nell’aria l’odore speziato dell’anice stellato, misto a quello di coriandolo e pepe, presumibilmente proveniente dai tre contenitori termici lasciati sul bancone della colazione. Spaghetti orientali, qualcosa con dei gamberi e quelle che sembravano costine di maiale. Una confezione di nuvolette di gamberi era appoggiata lì accanto.
Lo stomaco di Logan brontolò come un tasso inferocito.
Chi aveva detto che il crimine non paga?
Il tipo non si era ancora girato, quindi Logan scivolò in cucina e premette il pulsante di spegnimento sull’impianto stereo.
Quella sottospecie di canto continuò per un paio di secondi, «Old School Hollywood…», poi si fermò. Il cantante si schiarì la gola. «C’è qualcuno, lì dietro, vero?». A quel punto si voltò. E sgranò gli occhi. «Merda».
Logan sorrise. «Tony Wishart, suppongo. Che piacere. Dimmi, Tony: la Bibbia all’ingresso è quella che hai rubato a Pennan?».
Lui posò il decanter sul pianale della cucina. Si leccò le labbra. «Non so di cosa parla».
«Questa è casa tua, Tony?».
Wishart si spostò lievemente verso sinistra. «Io… la sto curando per una cara vecchia signora. La poveretta ha l’Alzheimer. È caduta e si è rotta l’anca, così mentre è in ospedale io… ecco, faccio la mia parte».
«A me non sembra la casa di una vecchia signora». Logan indicò. «E lasciami indovinare, quello è il decanter della Cutty Sark?».
Wishart strinse le labbra, serrando le mascelle. Si guardò intorno, prima a sinistra e poi a destra. Stava per tentare la fuga. Lo vide tendere le caviglie e i muscoli. Pronto a scattare.
L’agente King Kong McMahon entrò in cucina, riempiendo la porta con la sua mole. «Oh, no. Non ci provare».
«Oh, sì, invece!». E Wishart si lanciò nella direzione opposta, spalancando le ante della credenza, scattando oltre il mobile e fuggendo nel giardino sul retro.
King Kong lo seguì correndo, con Logan alle calcagna.
Dundee Bill comparve dal nulla, le braccia aperte come un portiere, e Wishart scartò di lato, superandolo e uscendo in giardino con Dundee e Ciuffo all’inseguimento. Poi superò l’alta recinzione di legno, usando un bidone di plastica del compost per aiutarsi.
Ciuffo non si fermò in tempo e finì dritto contro la recinzione. Rimbalzò indietro e finì sulla schiena con un «Whoooof!».
King Kong caricò dritto contro il bidone e superò la palizzata.
Logan si fermò scivolando sull’erba bagnata e afferrò il legno, sbirciando oltre come un vecchio graffito di Kilroy.
Wishart stava correndo giù lungo Mid Street con tutta la velocità che gli consentivano le gambe magre, mentre la mole scimmiesca di King Kong gli correva dietro, guadagnando lentamente terreno.
Dundee Bill si fermò di scatto accanto a Logan, sogghignando. Portò le mani alla bocca a mo’ di megafono. «corri, forrest, corri!».
Ma niente, Wishart era più veloce. Quel piccolo bastardo stava per riuscire a darsela a gambe…
Poi una bicicletta sbucò tra due auto parcheggiate e… crash. Tutto finì in un mucchio scomposto di braccia, gambe, ruote e imprecazioni.
Dundee fece una smorfia. «Non deve essere stato piacevole».
Tony Wishart restò sdraiato sull’asfalto, un piede ancora incastrato nella struttura della bicicletta. Si rialzò in ginocchio, giusto in tempo per essere placcato da King Kong.
«Ooh…». Dundee risucchiò un respiro tra i denti storti. «Ma questo ancora meno».
«A tutte le unità, stiamo cercando una Vauxhall Astra rosso scuro, rubata dall’esterno della friggitoria di Gardenstown…».
Tony Wishart era seduto al bancone della colazione, con una busta di mais surgelato premuta contro il lato sinistro del viso. «Mi sa che mi sono scheggiato un dente». La barbetta sul mento era macchiata di sangue rappreso, dove aveva sbattuto sull’asfalto.
Logan gli si sedette di fronte e prese una nuvoletta di gamberi. Fredda, ma ancora buona. «Allora, cosa troverò quando andrò a perquisire questa casa, Tony? Una baionetta della prima guerra mondiale? Forse qualche quadro degli anni ’20?». Un’altra nuvoletta, masticando tra una parola e l’altra. «E tutta quella roba che è sparita dal museo dell’Aberdeen Heritage di Mintlaw?».
Il giovane staccò la busta di mais surgelato dalla guancia. Si intravedeva già un bel livido, in quel punto. «Immagino non mi aiuterebbe dirvi che li ho trovati, vero?»
«In effetti, no».
«Pfff…». Wishart posò la confezione sul bancone. Si fece schioccare otto dita una per una, seguite dai pollici. «Come sapevate dove trovarmi? Qualcuno ha parlato, vero? È stato Baz? Scommetto che è stato lui, è sempre stato uno stronzo».
Logan tirò fuori le due stampe della telecamera del pub e le sollevò una alla volta. «Questo sei tu che esci dal Broch Braw Buys. E questo sei sempre tu che sparisci dietro a un furgone di trasporti. Non sei più tornato fuori, quindi ho pensato che fossi entrato nella casa che c’era dietro». Posò i fogli sul bancone. Poi aggrottò la fronte. C’era qualcosa…
«Ero andato solo a prendere il tè». Wishart afflosciò le spalle. «Posso almeno mangiare il mio spuntino?»
«Spiacente». Logan rimise i coperchi sulle confezioni termiche. «Ma possiamo fare un patto. Tu mi fai vedere tutto quello che hai rubato e nascosto qui dentro e mi dici dove si trova il resto, e io mi assicurerò di far sapere allo sceriffo che hai collaborato».
Ciuffo fece scivolare l’ultimo scatolone dentro al bagagliaio della Macchina Grande. Un sestante d’ottone sporgeva dalla sommità, sistemato tra vecchi dischi per grammofono e mappe arrotolate. L’agente si scostò e richiuse lo sportello. «Finito».
«Bene».
Tony Wishart se ne stava schiacciato sul sedile posteriore, con la sua busta di mais congelato, stretto in mezzo a un mucchio di scatoloni pieni di oggetti storici. Dipinti, vasi, piatti, una valigetta da medico della guerra di Crimea, penne, pipe, fotografie, libri… Un busto di porcellana di un uomo in uniforme della Marina, morto da chissà quanto tempo, era appoggiato sul sedile del passeggero, tenuto fermo da una serie di strisce fluorescenti gialle di solito utilizzate per trattenere gente poco collaborativa.
«È sicuro di voler andare a piedi, sergente?»
«Sono solo due minuti di passeggiata. Vai pure».
Ciuffo si mise al volante.
Logan restò sul marciapiede mentre l’autopattuglia si allontanava. Okay, Tony Wishart non era esattamente un incrocio tra Hannibal Lecter e il professor Moriarty, ma almeno la brava gente di Pennan e di altri centri abitati a nord avrebbe riavuto le sue anticaglie storiche.
King Kong chiuse la porta della casa e intascò le chiavi. «Questo metterà la parola fine ai furti con scasso irrisolti».
«Come sta la gamba?».
Lui abbassò lo sguardo al buco nei pantaloni, dove si intravedeva un ginocchio sbucciato. «Colpa mia, per averlo voluto placcare a tutti i costi». King Kong avanzò sul marciapiede. «Deve sostituire di nuovo Davey Muir?»
«Sto espiando i miei peccati, a quanto pare». Logan prese la busta da dietro il cancello del giardino e si allontanarono lungo la strada, mani dietro la schiena e piedi che avanzavano con una regolarità da metronomo. Non stavano passeggiando, stavano marciando.
Non avevano percorso neanche metà della strada quando Logan si fermò di scatto. Posò la busta su un muretto e tirò fuori le stampate della telecamera.
«Sergente?».
Le tese a King Kong. «Cos’è che non sto vedendo?».
L’agente aggrottò la fronte, accigliandosi. Osservò le foto. «Non ne ho idea. Forse una persona scomparsa? Un’auto rubata? Ha riconosciuto una targa?»
«No». Lui rimise i fogli in tasca e riprese la busta. «Ma c’è qualcosa».
Logan si allontanò dalla zona della cucina e poi tornò indietro, con il cellulare premuto contro l’orecchio. «Che significa, “non è lì”?»
«È tornato a casa».
La mensa della stazione di Fraserburgh era deserta, a parte Logan, il televisore silenziato e il ronzio del forno a microonde.
Inutile, stupido, pigro, bugiardo piccolo bastardo.
«Mi doveva far avere dei risultati su un’analisi entro la fine del turno!».
«Che posso dire? È tornato a casa. Sarà qui domattina alle nove, quindi si senta libero di chiamare e urlargli contro. Io ho del lavoro da fare, adesso».
Logan premette il pulsante di disconnessione della ricetrasmittente. Si alzò e fissò la tv con astio.
Perché nessuno riusciva mai a fare il suo dannato lavoro?
Fortunatamente, non aveva detto a Helen di aver fatto pressioni per accelerare l’arrivo dei risultati. Non ci avrebbe fatto una bella figura.
Il ronzio del forno a microonde si fermò con un tintinnio, e Logan recuperò i contenitori di plastica, scottandosi i polpastrelli. «Ooh, brucia, brucia, brucia…». Li posò su un piatto, prese una forchetta e tornò al tavolo della mensa.
«Pattuglia sette, potete parlare?».
Niente, non gli concedevano neanche cinque minuti di pausa.
Si afflosciò sulla sedia. «Parlate pure».
«Ci aveva dato una segnalazione di persona scomparsa per un certo Charles “Craggie” Anderson. È stato visto mentre comprava una pomata per le emorroidi nella farmacia di Peterhead».
«Sì, fantastico. Hanno trovato il suo cadavere domenica mattina nelle Orcadi. Quindi, a meno che non si tratti di un fantasma, probabilmente è qualcun altro». Logan aprì i contenitori termici, facendo uscire una zaffata di vapore orientale. «Potete cancellare la richiesta?»
«D’accordo».
Posò di nuovo la ricetrasmittente sul tavolo.
Si leccò le labbra.
Le costine erano quasi troppo roventi per toccarle: lucide, speziate, carnose e… Dio santo.
«Sergente». Ciuffo si lasciò cadere sulla sedia davanti a lui. «Ooh, nuvolette di gamberi!». Ne prese una.
Logan si succhiò la salsa dalle dita e lasciò cadere un osso spolpato sul piatto. «Non dovresti essere a casa? Il turno è finito venti minuti fa».
L’altro continuò a masticare rumorosamente. «Volevo assicurarmi che sapesse tutto. Martyn Baker ha parlato con il suo avvocato e ora è seduto nella sala degli interrogatori numero due, in attesa di un interrogatorio a base di no comment». Qualche briciola di nuvole di gamberi si fermò sulla T-shirt nera del giovane agente. «Vuole che assista all’interrogatorio? Non c’è mai niente di interessante in tv, la domenica sera». E continuò a masticare.
Un altro osso fu spolpato e scaricato sul piatto. «Okay, ma solo perché non ti voglio rimandare a casa con la Macchina Grande». Si succhiò di nuovo le dita e tirò fuori le stampate. Le posò sul tavolo, spingendole verso Ciuffo. «Riconosci qualcuno o qualcosa, qui?».
Lui prese un’altra nuvoletta di gamberi. Aggrottò la fronte, masticando. «Forse questa?». Indicò una Kia blu che risaliva Mid Street, puntando verso il Kenya Bar. «Il numero di targa non si legge bene, ma potrebbe essere quella che è stata rubata a Peterhead? Era sulle slide del briefing di lunedì».
«E tu riesci a ricordare un numero di targa visto lunedì?».
Ciuffo continuò a masticare. «È facile: basta trasformarli in parole. Questo qui sembrava un po’ come leggere “Moontihum”. Vuole che controlli sul sistema?»
«Sì, grazie».
Ciuffo si appuntò il numero di targa della Kia, il modello e il colore. Poi fece una pausa. Alzò lo sguardo, le sopracciglia unite come se gli fosse improvvisamente venuto in mente qualcosa di fondamentale. «Sergente?»
«Cosa?»
«Posso avere una costina?».
Logan soffocò a stento un piccolo rutto, che gli riportò in gola il sapore di gamberi orientali con spaghetti fritti in salsa speciale e costine in agrodolce.
Martyn Baker si agitò dall’altra parte del tavolo, nella stanza per gli interrogatori. «No comment».
«Ti ho solo chiesto come descriveresti la tua voce, Martyn. Non sto cercando di incastrarti».
«No comment».
Logan fece un cenno a Ciuffo.
Lui posò la bustina di erba sul tavolo, con un movimento aggraziato. «Sto mostrando a Mr Baker la busta di cannabis che gli ho trovato addosso quando l’ho perquisito nel pomeriggio».
Logan la toccò appena. «Non è poi così tanta, vero, Martyn? Avrei immaginato che un grosso spacciatore del sud ne portasse di più addosso».
«No comment». Sembrava che in cella si fosse dedicato ai suoi foruncoli. Due erano rossi e gonfi, e uno un cratere vuoto chiuso da una crosta rosso scuro.
«Hai in mente di espanderti in tutto l’Aberdeenshire, o soltanto intorno a Banff?»
«No comment». Martyn lo fissò con astio da sotto le sopracciglia folte. «E non sto espandendo niente da nessuna parte. Sono qui in vacanza con la mia donna e la mia bambina. Siamo qui da qualche settimana».
«Come hai conosciuto Colin “Klingon” Spinney e Kevin “Gerbillo” McEwan?»
«No comment».
«Come hai conosciuto Francis “Frankie” Ferris?»
«No comment».
«Questa busta era un campione di qualcosa? Stai cercando di ampliare gli affari?»
«No comment». Le dita di Martyn non stavano ferme un secondo, muovendosi avanti e indietro lungo il bordo del tavolo graffiato.
«D’accordo». Logan infilò una mano nella busta di carta davanti a lui e ne trasse una scatolina di cartone. Il modulo stampato su di essa era riempito a penna blu. Vi si leggeva perché era stato requisito il cellulare, da chi, dove e quando. Maggie era riuscita di nuovo a sbagliare il suo cognome. Aprì la scatola e fece scivolare fuori il grosso Samsung. «Questo è il tuo cellulare. Ricordi? L’abbiamo confiscato perché lo stavi usando alla guida».
Baker si leccò le labbra. Tenne gli occhi fissi sulle dita agitate. «No comment».
«Quando lo manderemo ad analizzare, cosa credi che scopriremo? Tanti piccoli segreti, scommetto. Tanti…».
Baker chinò il capo, mentre le spalle sussultavano. Una volta. Due volte. Tre. Poi si udì un singhiozzo. Seguito da un gemito. Qualche lacrima gli piovve sulle dita tremanti.
Un tantino estremo.
Ma forse aveva finalmente compreso che stava per essere accusato di un tentato omicidio.
Logan batté le dita sul tavolo. «C’è qualcosa che vuoi dirci, Martyn? Lo sappiamo comunque, ma magari possiamo ascoltare la tua versione della storia».
Martyn Baker sembrò farsi tre volte più piccolo, mentre incurvava la schiena e le spalle gli salivano fino alle orecchie arrossate, mentre stringeva i pugni al petto. «Non doveva succedere. Doveva essere solo un avvertimento…».
«Mi pare sia stato un po’ esagerato, come avvertimento, non trovi?». Insomma, massacrare qualcuno con una mazza da baseball non era proprio un messaggio tra le righe.
«Doveva essere un avvertimento. Stai fuori dal nostro territorio. Non volevo che… È stato un incidente».
Un incidente. Con una mazza da baseball?
«Mi stai prendendo in giro? Come si fa a dire che è stato un incidente…?»
«Il proiettile deve aver… non lo so, rimbalzato da qualche parte. Io non miravo a lei, lo giuro». Alzò verso Logan gli occhi arrossati. «Lo giuro sulla vita di mia figlia, è stato un incidente».
Proiettile? Okay, non era esattamente quello che si aspettavano.
Ciuffo fece per parlare, ma Logan lo colpì con un calcio sotto al tavolo.
«Ahi!».
Gli puntò contro un dito ammonitore.
Ciuffo richiuse di scatto la bocca.
Baker chinò di nuovo il capo. «Io non volevo spararle. A quel punto, ho dovuto per forza di cose cercarmi un posto lontano dalla civiltà dove tenere un basso profilo». Le spalle gli sussultavano a tempo con i singhiozzi. «Ho detto a Elsie di mettere qualcosa in borsa mentre andavo a prendere Mandy dalla nonna. Abbiamo caricato la macchina e ce ne siamo andati. Via, più lontano possibile da quel casino». Tirò su con il naso. «Poi in televisione hanno detto che era una poliziotta sotto copertura».
Logan si lasciò sfuggire un lungo e lento respiro. «Hai sparato alla poliziotta sotto copertura di Liverpool, e sei scappato a Banff per nasconderti».
«Io non volevo. Non volevo, davvero. È stato un incidente».
Santo cielo benedetto. «Dov’è l’arma del delitto?»
«Dovevano solo essere un paio di colpi in aria, per spaventarli».
«Martyn, che ne hai fatto dell’arma? Noi…».
Qualcuno bussò alla porta della stanza.
Oh, ma che…
Logan chinò il capo. Chiunque fosse, lì fuori, non avrebbe potuto avere un tempismo peggiore neanche a provarci. Strinse la mano a pugno, premendosela contro la coscia. Si costrinse a tenere bassa la voce. «Agente Quirrel, vada a vedere chi è».
Ciuffo scostò la sedia e si avvicinò alla porta. Uno scatto. Uno scambio di parole a voce bassa. Poi tornò e si chinò a sussurrare all’orecchio di Logan. «Sergente, è l’ispettore capo McInnes e sembra incazzato come se qualcuno gli avesse legato le palle a un Rottweiler furioso».
Logan mantenne lo sguardo su Martyn Baker. «Digli che sono occupato».
«Sì… ma è piuttosto insistente. E molto, molto arrabbiato».
«D’accordo. L’interrogatorio è sospeso alle diciotto. Il sergente McRae lascia la stanza». Si alzò, spingendo un taccuino vuoto lungo il tavolo graffiato. «Forse preferisci scriverlo, Martyn. Metti tutto per iscritto. Potrebbe farti sentire meglio». Poi uscì in corridoio, chiudendosi dietro la porta della stanza.
McInnes prendeva tutto lo spazio che gli era possibile, con le braccia alzate e le mani chiuse ad artiglio. Le rughe che aveva ai lati della bocca sembravano incise a colpi di motosega, i lineamenti arrossati non lasciavano presagire nulla di buono, e i denti erano mostrati in un sorriso cattivo. La voce, tuttavia, era piuttosto calma. «Cosa crede di fare, esattamente, sergente?»
«Sto interrogando il mio sospetto, quindi…».
«Le avevo detto o non le avevo detto di stare lontano dall’Operazione Troposfera? Perché a me sembrava proprio di averlo fatto».
Logan raddrizzò le spalle. «Ho fermato e perquisito il soggetto e l’ho trovato in possesso di sostanze stupefacenti. Stavo soltanto facendo il mio lavoro».
«No, lei stava cercando di creare problemi a me e alla mia operazione». L’ispettore capo si fece più vicino. «Ha arrestato quell’uomo, l’ha trascinato fin qui da Banff e ha detto a tutti di non farmelo sapere. Pensava davvero che non l’avrei scoperto?». Il sorriso si fece ancora meno piacevole. «Non ha idea di quello che sta facendo, vero?»
«Perché, solo perché ho arrestato il Candelaio prima di lei? A me sembra di sapere esattamente quello che sto facendo».
L’altro sollevò un sopracciglio. «Candelaio? E cosa diavolo è un “Candelaio”?»
«L’uomo che ha rifornito Kevin McEwan e Colin Spinney, magari».
McInnes scoppiò a ridere. Fu una risata sguaiata, di pancia, che lo lasciò senza fiato, ad asciugarsi gli occhi dalle lacrime. «Non Candelaio, idiota… Caramellaio. Il fornitore si fa chiamare Caramellaio. L’Uomo delle Caramelle. E non è lui».
Oh… Logan alzò lo sguardo al soffitto. «Caramellaio». Quindi aveva passato l’ultimo giorno e mezzo a dare la caccia a un fantasma che neanche esisteva. Grazie tante, Jack Simpson.
Idiota.
«Pensava di mettersi in mezzo nell’Operazione Troposfera. Le avevo intimato di stare lontano da tutto e tutti coloro che avevano qualcosa a che vedere con la mia indagine, e lei è andato comunque ad arrestare Martyn Baker».
Logan scosse la testa. «Lei ha appena detto che non ha niente a che fare con Klingon e Gerbillo, quindi…»
«Sì, ma lei pensava il contrario». McInnes si fece avanti di un passo. Ora era abbastanza vicino da far sentire il suo respiro caldo sulla guancia di Logan. Sapeva di sigarette e mentine extraforti. «Pensava che avesse a che fare con loro e l’ha arrestato comunque, anche se sapeva che le avevo detto di smetterla. Ha fatto del suo meglio per rovinare me e la mia operazione». Le rughe ai lati della bocca di McInnes si fecero ancora più profonde. «Pensa davvero che la farà franca, sergente?».
Ovviamente non sarebbe successo.
«Non aveva nulla a che vedere con il suo caso».
«Ma lei ha fatto casino comunque». L’ispettore capo lo pungolò sul petto con l’indice. «E sa cosa? Non l’avrei neanche scoperto, se lei non avesse cercato di tenermelo nascosto». Girò i tacchi, allontanandosi lungo il corridoio. «McRae, glielo avevo detto: le avevo dato un ultimo avvertimento. Quello che accadrà da ora in avanti sarà soltanto colpa sua».
Fantastico.