OGGI
Non le era servito scopare con lui, dargli piacere, prendersi i pugni sulla schiena durante il suo orgasmo, con la faccia schiacciata sul cuscino. Sarebbero sicuramente usciti i lividi. Le spinte di quell’uomo le avevano fatto male, come non le accadeva da molto tempo, da quando era stata avviata alla carriera di puttana di strada.
Irina sperava di non morire così: aveva immaginato un’altra vita possibile, con il Santo, perché una seconda possibilità esiste per tutti. Ma era solo una cazzata inventata dai buonisti. Le differenze ci sono, non siamo tutti uguali. La seconda possibilità è solo un’illusione per non farla finita prima, una sorta di religione in cui credere per tirare a campare.
Aveva appena messo giù il telefono. Il suo uomo, quello che credeva fosse la sua seconda possibilità, stava arrivando per aiutarla. Ma Irina sapeva che non avrebbe mai fatto in tempo.
Nuda, in piedi sulla porta del bagno, sentiva crescere i lividi sulla schiena.
Costretta a guardare quest’altro uomo mentre pisciava. Non le faceva schifo. Pregava solo che finisse tutto il prima possibile.
Non parlava. Quando aveva smesso di prenderla a pugni, si era tolto da dentro di lei senza nemmeno dirle grazie. L’aveva spinta via. Irina si era rialzata subito, l’orgoglio di non farsi vedere aggrovigliata sul letto. C’era abituata alla violenza, ne aveva subìta molta. Stavolta, però, temeva davvero di non rivedere l’alba.
L’uomo finì di pisciare. Si girò verso di lei mentre ancora teneva in mano il suo membro. Si stava massaggiando. Non era ancora finita per Katia.
La scopata non era servita. Anche se era stata brava.
Marco stava per arrivare. Pensò che lui era uno dei pochi che conoscesse il suo vero nome, Irina: per tutto il resto del mondo lei era Katia, il nome da prostituta assunto anni prima. Voleva continuare a essere chiamata Irina, come facevano i suoi genitori. Voleva sperare, pensare di avere un futuro.
Ora doveva tergiversare in qualche maniera. Ma sapeva anche che l’uomo di fronte a lei non gliel’avrebbe lasciato fare. Aveva ordini precisi. Forse, tra questi ordini, non c’era quello di divertirsi. Era da solo, nessuno poteva controllare che seguisse gli ordini alla lettera. Poteva fare quello che voleva.
In fondo gli uomini quando vengono lasciati senza controlli, senza punizioni, liberi di decidere, si trasformano in esseri che non hanno paura di nulla, che non hanno rispetto di niente. Diavoli senza coscienza, che non temono alcuna conseguenza.
Lui si avvicinò. Katia sperò che avesse bisogno di sfogarsi ancora. Con lei, nuda e sensuale lì di fronte.
Lo accarezzò in mezzo alle gambe. Lui la lasciò fare. Katia fece un sorriso malizioso. Doveva guadagnare tempo. Forse ce l’avrebbe fatta.
Si induriva.
L’uomo le accarezzò il viso con entrambe le mani.
Lei iniziò a giocare con le dita, a muovere delicatamente, a stringere e muovere.
Sentì le mani dell’uomo scenderle sul collo. Sapeva cosa fare: prese in bocca quella malata eccitazione e cominciò a giocare con le labbra.
Si muoveva lentamente, al suo meglio. Sperando di guadagnare tempo. Ancora.
Di non farlo venire.
Inutilmente.
Le dita di lui iniziarono a stringerle il collo.
Irina sentì che era finita.
Una stretta sempre più forte. Smise di usare le labbra, sperando che lui si staccasse. Ma lo sentì soddisfarsi un’altra volta, la bocca ancora bagnata del suo seme.
Stringeva sempre più forte. Ogni spasmo faceva aumentare la stretta intorno alla gola.
Marco non era arrivato.
Si era umiliata. Per amore.
La sua seconda possibilità.
Un’illusione.