Dal diario di Pellegrino Artusi
Campoventoso, 22 ottobre 1900
Apro le pagine a un’ora tarda, credo inusitata: sono quasi le cinque del mattino, e son rientrato in camera appena adesso.
Stasera, o meglio dovrei dire ieri sera, dopo la cena il Gazzolo accompagnò me, il Viterbo, il turco e il delegato D’Ancona ai propri alloggi. Recò per primo l’Aliyan, e quindi il D’Ancona, i quali entrambi si rinchiusero nelle proprie camere con la chiave; la cosa mi sorprese un poco, ma riflettendoci pensai che nelle abitazioni di entrambi v’erano documenti di notevole importanza e forse anche un certo ammontare di danaro, e prendere l’abitudine di serrare l’uscio è salutare quando si è in casa d’altri, e a volte, a seconda dei domestici che si hanno, anche in casa propria.
Lasciato il delegato in camera sua, il Gazzolo ci disse che non aveva punto sonno, e che una volta accompagnatici in camera se ne sarebbe andato a giuocare al biliardo, il suo passatempo preferito nelle molte notti insonni. Io pure, in effetti, mi sentivo vigile e pimpante, e mi proposi di fargli compagnia, e anche il Viterbo si disse per nulla voglioso di andare a rintanarsi tra le coltri. Così, congedato il maggiordomo che era stato con noi sino a quel momento, ci dirigemmo verso il pianoterra.
Così ci mettemmo a giuocare al biliardo, che è sempre una buona scusa per scambiare due chiacchiere, talché il mio buon babbo diceva sempre di non fidarsi di chi giuoca in silenzio.
Il Gazzolo, al principio, mise accanto al biliardo una bottiglia di rhum e alcuni bicchieri, invitandoci a servirci da soli giacché non poteva certo disturbare il maggiordomo a quell’ora tarda; il Viterbo lo prese in parola, riempiendosi generosamente il bicchiere più d’una volta, con volto cordiale, ma non sereno, tanto da farmi sicuro ch’egli fosse preda d’un qualche malessere.
Al principio, equivocai sulla natura di tale angustia, dato che avevo ben visto coi miei stessi occhi come il Viterbo mangiasse più con la vanga che con il cucchiaio. Era inoltre stato servito un timballo di cavolfiori, che son notoriamente ventosi. Mi permisi quindi di fargli notare che, se il suo problema era una eccessiva pressione addominale, era forse meglio dare libero sfogo alla natura – in fondo eravamo fra uomini – che non introdurre altro materiale atto alla fermentazione, come l’alcol.
Il Viterbo mi disse allora, ridendo solo dal naso in giù, che il suo ventre non aveva alcun problema, al che il Gazzolo osservò che il problema allora doveva essere un po’ più in alto.
Il Viterbo all’inizio nicchiava, ma il Gazzolo non è tipo da sentirsi dire che il bianco è scuro, e in più il rhum non è certo un alimento che sostenga la forza di volontà; tanto che dopo un certo tempo il Viterbo tirò un gran sospiro e ci disse: La verità è che mi chiedo se son troppo vecchio per sposarmi o meno. Anzi, già che siamo qui, lo chiedo a voi.
Io tacqui, per decenza. Sono giunto a contare ottant’anni senza sposarmi, pur avendo robuste inclinazioni naturali al bel sesso, anzi, forse proprio per questo. Ma so che l’indole mia è particolare, e non tutti la pensano come me. Per fortuna ci pensò il padrone di casa a trarmi dall’imbarazzo. L’unico consiglio che vi posso dare è di guardarvi dai sensali, da coloro che combinano matrimoni a pagamento, gli disse il Gazzolo, e io non potei che assentire.
Ricordo di quando, morti i miei genitori, mi erano rimaste a ridosso due sorelle che cominciavano a contar gli anni e a smaniare per aver marito, laonde chi ha provato che cosa sia l’aver zitellone in casa saprà dirmi che tormento sia poterle tollerare. Cominciai quindi dal conquibus, che è quello che di solito persuade, e aumentai la dote del mio aggiungendovi mille francesconi, e diedi voce ai sensali.
Non l’avessi mai fatto.
M’arrivarono in casa dei personaggi da scappar via, o da buttarli fuori dall’uscio, o entrambe le cose in questo o quell’ordine. Mi ricordo un tale Buccianti, di Navacchio nei pressi di Pisa, commerciante di granaglie e di concime, che mi disse che sapeva leggere i numeri ma non le lettere, e gli serviva una donna per casa che gli leggesse i contratti e gli evitasse le fregature. Nel figurarmi una delle mie sorelle maritata con un grebano di tal fatta avvampai, reprimendo un moto d’ira tale che lo stesso sensale se n’avvide e guadagnò l’uscio, portandosi via lo zotico, prima che potessi aprir bocca. Insomma, alla fine riuscii a maritarle entrambe, ma mi toccò far da me.
A quei discorsi rispose il Viterbo che non era sua intenzione affidarsi a un commerciante di mogli, e che in realtà aveva adocchiato una giovine carina e costumata che sembrava fare al caso suo. Quello che lo tratteneva, spiegò, era che sentiva forse d’esser troppo distante, d’età e d’altro, dalla ragazza in questione.
Fu così che, mentre il Viterbo parlava, mi sovvenne in mente il caso del povero Domenico.
Domenico era detto Mengone, giacché era di forme erculee, e da noi in Romagna Domenico diventa Mengo e poi, se è grande e grosso, Mengone, e Menghino invece se di fattezze risibili. Tale Domenico se la diceva poco con quelli che la domenica la festeggiano dietro un altare, ed essendo cresciuto nella Romagna papalina incorse in tali e tanti di que’ guai che fu costretto a riparare in Inghilterra, dove siccome era abile credenziere trovò facilmente servizio presso dei gran signori. Ma mentre era in Inghilterra conobbe una giovine e bella irlandese la quale era di religione non cattolica, ma più che cattolica, la quale si fidanzò con un Mengone liberale e finì per sposare in chiesa un Domenico convertito alla messa, e a tutto quel che c’era intorno. Del giovine onestamente spregiudicato non v’era più traccia alcuna. Invecchiando, le cose peggiorarono ancora, e il Mengone che ritrovai in Italia dopo anni era più papalista del Papa.
Contai così questa storia, e ci mettemmo a commentarla. Il Gazzolo, che è quel genere d’uomo che, pur dal cervello fino, ostenta modi grossolani quando si trova in compagnia maschile, commentò dicendo che tira più un singolo pelo di quelli che una coppia di bovi. Io non fui d’accordo, e spiegai il perché.
Io ne ho veduti tanti, di liberali mangiapreti del ’31 che hanno finito i loro giorni a servir messa ed a portare il baldacchino; ne ho conosciuti di celibi e di sposati. Quando uno è giovane, ha il cuore generoso e traboccante di amor patrio, e si lascia trascinare sovente in imprese non sempre lecite; ma calmate le passioni subentra spesso il rimorso facile in coloro che, di cuore benigno e di scarsa istruzione, non hanno convincimenti profondi. Erano liberali da giovani, per soddisfare i loro impulsi di libertà; diventan baciapile quando son più maturi, per soddisfare i loro impulsi di tranquillità. Seguono i loro istinti, come fossero non uomini, ma quadrupedi.
Come dissi questo vidi il Viterbo dondolare la testa, e guardarmi con quella che, se non m’inganno, intesi essere rinnovata stima.
Credo aver capito che il cruccio del Viterbo abbia due voci: una gli sussurra all’orecchio che è troppo vecchio per sposarsi di nuovo, e l’altra che gli ricorda che egli è ebreo, e che la fanciulla che vorrebbe impalmare è una gentile. Mi son difatti convinto, come chiunque abbia gli occhi in testa, che la candidata al titolo di futura signora Viterbo non sia altro che la piccola Delia Bonci. E, se è così, il riserbo del buon banchiere è comprensibile. Se vuoi che i tuoi figli siano ebrei, dice la Torà, occorre che la loro madre sia ebrea; la madre è certa, asserisce la legge talmudica non senza praticità. E quel che abbiamo visto oggi a pranzo mi dice, con certezza, che la piccola Delia e soprattutto suo padre son parecchio cattolici. Ora, diventare cattolici si può, ma diventare ebrei pare di no; bisognerebbe rinascere. E, se anche uno potesse decidere come e dove rinascere, son quasi certo che sceglierebbe di cambiare ben altro della propria vita che non la propria etnia, qualunque essa sia.
Ma questi son sproloqui da vecchio rimbambito pel punto sonno, e m’accorgo solo ora di quante pagine ho riempito. Sarà meglio chiudere qui, che l’Aliyan mi aspetta per insegnarmi a cucinare una nuova pietanza. Tutta la notte sveglio, e ora m’appresto a cominciare la mattinata coi peperoni: speriamo in bene!