Inizio

– Questo, di cui nella lezione di oggi parleremo, è fenomeno talmente complesso che l’analizzarlo stanca il pensiero e scoraggia la scienza.

L’aula è piena, gremita, con persone persino in piedi; eppure, a parte il suono dei tacchi dell’uomo che passeggia di fronte alla cattedra, non si avverte il minimo rumore.

– Pur tuttavia, mostreremo oggi come si possano, in questo fenomeno sì intricato e inafferrabile all’intelletto, trovare dei termini che non mutano.

Il che si spiega, forse, con il fatto che ad assistere alla conferenza ci sono i più disparati tipi di persone. Si sa, infatti, che il rumore in qualsiasi tipo di assemblea è spesso correlato con il grado di conoscenza reciproca dei convenuti: una classe di una ventina di studenti fa molto più casino dello stesso numero di persone nella sala d’attesa dell’ortopedico. E in questo caso gli uditori sono piuttosto variegati.

– E il primo fatto che dobbiamo accettare, e che guiderà la nostra ricerca e la nostra lezione, è che la traiettoria con cui si evolve tale fenomeno non è una linea retta, bensì una parabola.

Persone che non hanno niente in comune, se non l’ammirazione per la figura dell’onorevole Paolo Mantegazza, senatore del Regno, docente di Fisiologia presso l’Università di Firenze e autore di un gran numero di libri sugli argomenti più diversi.

Ci sono parecchie signore e signorine, di tutte le età, più d’una con un rossore vivace sul volto; erano ben noti, del resto, i libri che il professor Mantegazza aveva scritto sulla fisiologia del piacere e in ispecial modo del piacere femminile, nonché il ricordo delle pubbliche lezioni riguardo allo stesso. Dicevano in molti che il cattedratico, oltre alle lezioni pubbliche, tenesse volentieri seminari privati sul medesimo tema, impartiti a giovini e meno giovini rappresentanti del gentil sesso alle quali il professore introduceva volentieri l’argomento; ma queste, al momento, sono cose che non ci riguardano.

Anche perché l’argomento della lezione, oggi, non è il piacere.

– Partiremo da qui – dice il professor Mantegazza, tracciando sulla lavagna una linea a ferro di cavallo, con un tratto sicuro, senza mai staccare il gesso. – Da tale parabola, sulla quale seguiremo l’evoluzione del nostro sistema lungo tutto il suo dipanarsi.

Se ci fosse nella sala una qualche professoressa di matematica, obbietterebbe forse che quella tracciata dal Mantegazza non è affatto una parabola, e a guardar bene non è nemmeno una funzione; ma professoresse di matematica non ce ne sono. Ci sono invece, abbiamo detto, molte signore e signorine: dalla ragazzina in cerca di marito, accompagnata da una madre contegnosa e orgogliosa di mostrare che la propria figlia si interessa delle ultime scoperte scientifiche, alla nobildonna in cagnolino e crinolina che cerca nei piaceri dell’intelletto quello che la propria cagionevole salute unita a un aspetto da batrace le ha impedito di trovare nelle gioie della vita di relazione.

E ci sono, in maggioranza, uomini. Uomini di ogni tipo.

Studenti eleganti, in camicia bianca e panciotto odoroso di sigaro e colonia, e studenti meno eleganti, con addosso un cappotto che non sarebbe stato di moda nemmeno quando lo portava il loro fratello maggiore, dieci anni prima, ma guai a toglierselo perché quel che c’è sotto è anche peggio. Signori di una certa età, forse commercianti, forse attori. Forse, ancora, professori di liceo – ma non di matematica. E, in ultima fila, un tipo curioso.

Curioso perché, pur essendo nelle retrovie, è uno di quelli che sono arrivati prima; tre quarti d’ora prima, per essere precisi, che ha trascorso leggendo un libriccino dal titolo in inglese. Curioso perché, visto che si parlava di moda, il tizio è vestito in marsina e cilindro, un abbigliamento che sarebbe risultato fuori tempo massimo già alcuni lustri prima; ma il vestito è di panno di qualità ottima, inglese come il libriccino e come il sarto che probabilmente lo ha tagliato, e il cilindro che tiene appoggiato sulle ginocchia è lucido perché è nuovo, non per l’usura.

Nel frattempo, il professor Mantegazza ha finito di scrivere sopra il ferro di cavallo alcune parole in sequenza, e in bella calligrafia:

Infanzia – Adolescenza – Giovinezza – MATURITÀ – Vecchiaja – Decrepitezza.

L’uomo in cilindro sorride, sotto i baffoni da tenente dell’esercito austroungarico, muovendo lentamente il capo in su e in giù.

L’argomento della lezione di oggi è la Vita.

E lui, dell’argomento, ne sa parecchio.

Forse anche più del professor Paolo Mantegazza.

– Giunti a questo punto – disse il professore – c’è un’ultima cosa da ricordare, la quale deve essere anche la prima nelle nostre coscienze.

E, voltandosi verso l’uditorio, guardò gli astanti, soddisfatto.

Non se n’era andato nessuno.

Nessuno, durante i quarantacinque minuti della conferenza, aveva abbandonato il proprio posto. Erano ancora tutti lì.

C’erano gli studenti, ma quello era quasi ovvio – andare via durante la lezione pubblica di un tuo docente, magari dopo essersi messo in prima fila, sarebbe stato un errore grossolano.

C’erano le signore, e le signorine; e se sulle signore, specie le più attempate, il Mantegazza sapeva di poter contare, la presenza di fanciulle e di giovani spose lo metteva sempre di buon umore, e la loro attenzione lo soddisfaceva forse anche più della loro ammirazione.

C’erano i suoi colleghi, che venivano spesso a seguire le sue lezioni: a volte per imparare, a volte per invidiare, a volte per entrambe. Lo faceva anche lui, sia l’una che l’altra.

E c’era, soprattutto, uno dei suoi più cari amici, che Mantegazza aveva scorto subito all’inizio della lezione, anche se era seduto in fondo all’aula; una di quelle presenze discrete che Paolo Mantegazza cercava sempre, e che lo rassicuravano non poco, quando doveva parlare in pubblico. Un volto noto, con un’espressione fiduciosa, affidabile, da seguire durante il discorso per trovare approvazione, dubbio, curiosità, e regolare l’eloquio di conseguenza.

C’erano tutti. Non mancava nessuno.

– Fare scienza significa innanzitutto prevedere, e nella evoluzione di questa ideale linea giace la fallacità della nostra scienza – disse il professor Mantegazza, soddisfatto ma serio, mostrando con la mano la parabola alle proprie spalle, e indicandone l’estremo a destra. – Giacché non sappiamo prevedere quanto si piegherà, e curverà, nel corso della nostra esistenza. Sappiamo che la vita di ognuno di noi giunge al termine, ma non ci è dato di sapere né come, né quando.

E infine ci sei tu, amico lettore o più probabilmente amica lettrice, che rispetto al dottor professor Paolo Mantegazza e a tutti gli altri uditori della conferenza hai un vantaggio sleale. Cioè, siccome quello che stai leggendo è un giallo, sei perfettamente consapevole che nel volgere di qualche pagina qualcuna delle persone che stai per conoscere tirerà il calzino. E, seppure ignorando i termini precisi dell’evento, sai benissimo che verrà assassinata. Solo, ignori chi sta per lasciarci, e chi ne sia il responsabile.

Se hai un po’ di pazienza, ci arriveremo.