La sera del 25 ottobre, un giovedì, erano tutti radunati nella sala grande in attesa della cena, Nani e Gasparetto stanchi per i loro pellegrinaggi tra botteghe e osterie, dove avevano raccolto i soliti mugugni della gente, Paolo che rifletteva sull’amuleto islamico al quale non sapeva dare un senso e Marco che si tormentava ormai da giorni, disorientato per ciò che era successo a villa Albani.
«Buonasera a tutti» esordì Valentini unendosi al gruppo. «Oggi ne ho saputo una nuova.» L’attenzione degli amici si appuntò subito su di lui. «È da qualche tempo che frequento il Collegio Romano, la scuola dei Gesuiti che istruisce gli allievi dai primi anni di studio all’università.»
«Ecco dove ti eri nascosto!» ironizzò Paolo.
«Meglio così che andare dietro alle donne durante le feste» commentò acido Guido, mentre Marco si sentiva arrossire. Valentini sapeva qualcosa di Viola?, si chiese. «È meglio che mi ascoltiate attentamente» continuò poi versandosi un calice di vino. «Al Collegio Romano ho conosciuto un gesuita di origine croata, tale Ruggero Boscovich, un protetto del cardinale Silvio Valenti Gonzaga. È un personaggio singolare, di cultura eclettica, che insegna logica e matematica ma si interessa di altre mille materie, tra cui l’astronomia. Valendosi della ricca biblioteca dell’istituto, Boscovich sta studiando le orbite dei pianeti e le eclissi di sole, su cui è perfino intento a comporre un poema.»
Si fermò per bere mentre gli altri pendevano dalle sue labbra.
«Bene» continuò. «Questo studioso ha confrontato i frutti delle sue ricerche con le Effemeridi del Regio montano del XV secolo e con gli studi di Keplero e Cassini e… a suo parere tra qualche giorno a Roma si assisterà a un’eclissi totale di sole.»
«Cristo santo!»
«Ci mancava sola questa. Ora la gente si agiterà ancora di più.»
«Come lo spieghiamo al popolino che un’eclissi è un fenomeno naturale?»
Guido sospirò. «Impossibile.»
«Ma si sa almeno quando avverrà?» chiese Paolo. «Dovremmo inventarci qualcosa; per esempio, potremmo anticiparla con preghiere collettive e sguinzagliare tra la folla alcuni predicatori che, quando verrà buio e il sole scomparirà, convinceranno la gente che Nostro Signore è adirato con il popolo che non rispetta la sua Chiesa…»
«Bella iniziativa» commentò Valentini, «degna dei nostri avversari. Il guaio è che Boscovich non ha la minima idea di quando si verificherà.»
Clemente in quel momento li interruppe per annunciare la cena, che fu insolitamente silenziosa e dopo la quale ognuno si ritirò nella propria stanza, mentre Paolo Nuzzi tornava a casa sua.
Marco non tentò neppure di prendere sonno. Ormai erano diverse notti che non dormiva. Si rigirava tormentato dal senso di colpa, si assopiva e gli appariva l’immagine di Chiara corrucciata come se avesse saputo del tradimento. Non le aveva più scritto da giorni, e c’era la possibilità, conoscendo il suo Dono, che lei sapesse tutto davvero, e l’idea di perderla lo sconvolgeva. Quando poi si svegliava, lo prendeva la nostalgia di Viola, che aveva abbandonato così bruscamente.
Viola. L’aveva amata, sia pure per un breve momento? Il suo amore era Chiara, ma provava per lei un’infinita tenerezza.
Qualche giorno prima l’aveva rivista in lontananza. Paolo l’aveva condotto al Caffè degli Inglesi, dove era stato ritrovato l’amuleto islamico e dove speravano di rinvenire qualche traccia. Viola era là, all’altro capo della sala, in compagnia dei giovani antiquari inglesi e di un personaggio sconosciuto che Marco identificò con quel lord Gray che aveva sentito parlare nel buio la notte dell’Ottobrata. Si erano guardati a lungo, poi la ragazza aveva abbassato gli occhi.
Era da poco spuntata l’alba del venerdì quando Marco sentì lo zoccolio di un cavallo e qualcuno che bussava energicamente al portone. Si trovò da basso mentre Clemente, in veste da camera, si affrettava ad aprire e gli altri scendevano a loro volta assonnati dalle rispettive stanze.
«Carlone» esclamò Pisani stupefatto, facendo entrare l’aiutante del bargello. «Che ci fai qui?»
«Mi ha mandato il capitano Beccari» ansimò il giovane. Il suo viso solitamente gioviale era stravolto e gli occhietti si muovevano spaventati. «Il conte Nuzzi è già stato avvertito… Vi aspettano là.»
«Là dove?»
«A palazzo Muti, una tragedia… lo stiamo presidiando in forze.»
«Ma insomma, cosa è successo?» si alterò Marco pensando allo Stuart che abitava il palazzo.
«La folla… sono inferociti, vogliono assaltarlo…»
Così, rinunciando a capirci di più, i veneziani si prepararono alla meglio e saltarono a cavallo seguendo Carlone che si destreggiò tra i vicoli del rione Campitelli, superò il Campidoglio, mentre intorno a loro si infittiva una folla di romani che correvano nella stessa direzione, e raggiunse piazza Santi Apostoli, dove legarono i cavalli, svoltando poi l’angolo di piazza della Pilotta.
Si aprirono a fatica la strada tra la gente che gremiva la piazza e raggiunsero il cordone di sbirri davanti alla facciata di palazzo Muti. E qui rimasero impietriti.
Il palazzo presentava due avancorpi laterali che delimitavano uno spiazzo in fondo al quale, fiancheggiato da colonne, si apriva il portone, sovrastato dalla terrazza su cui davano le finestre dei piani superiori. E dalla terrazza, legato per i piedi come un animale, appena coperto di miseri stracci, irrigidito dalla morte, scalzo, spettinato, pendeva il cadavere di un bambino di sette, otto anni.
Il rumoreggiare della folla era poco rassicurante.
«All’assassino!»
«Morte al pederasta!»
«Vergogna, uccidere un bambino!»
Alcuni uomini erano armati di bastoni, qualcuno brandiva un coltello, uno levava in alto un forcone.
Marco e Guido, seguiti da Nani e Gasparetto, si avvicinarono a Paolo che, al fianco del bargello in persona, era occupato a disporre il cordone di sbirri che facevano da sbarramento. Fu Nuzzi a spiegare.
«Alle prime luci un passante ha scorto questa terribile scena e ha dato l’allarme. C’è stato un corri corri da tutte le parti. Per fortuna gli sbirri sono arrivati in tempo e nessuno è riuscito a entrare nel palazzo.»
«Ancora non capisco…» obiettò Marco.
«Forse non sai» chiarì Paolo, «che il cardinale Henry Stuart è un noto pederasta, e la gente ha fatto presto a credere che quella povera creatura sia stata violentata e uccisa da lui. Come se fosse possibile che il cardinale sia tanto stupido da esibire le sue vittime davanti a casa come trofei. Inoltre la gente comune non fa distinzione tra pederastia e pedofilia.»
«Adesso è tutto chiaro» concluse Pisani. «Ci troviamo di fronte all’ennesimo tentativo di screditare la Chiesa. Ma chi lo va a spiegare a questa gente? Come temevo, i nostri sconosciuti nemici stanno alzando il tiro: dopo quel povero prete, hanno ucciso un bambino.»
Si intromise Guido. «Ora però bisogna tirarlo giù. Gasparetto, fatti aiutare dagli sbirri.»
Quando nello spiazzo apparve una scala a pioli che fu appoggiata alla balaustrata della terrazza e nel palazzo qualche finestra cominciò a socchiudersi e qualche testa ad apparire, la folla fece silenzio.
Gasparetto si arrampicò e tagliò la corda che legava i piedi del bambino, quindi scese col cadavere in spalla e lo adagiò delicatamente a terra, su una coperta apparsa chissà come.
La folla ricominciò ad agitarsi mentre Valentini, seguito da Pisani e Nuzzi, si chinava sul corpicino scostandone gli abiti.
«Povero bambino» commentò. «Dev’essere stato sfortunato anche in vita. È magrissimo e pallido, e guardate le mani, sono callose per il duro lavoro.» Provò a sollevare un braccio, che non oppose resistenza. «È morto da almeno due giorni, il rigor mortis è già scomparso. E per questi due giorni il corpo è rimasto adagiato. Vedete le macchie ipostatiche sul dorso? Volete sapere come è morto?» continuò allargando il colletto della lacera camicia. «L’hanno strangolato, potete vedere anche voi i segni sul collo, ma purtroppo» concluse indicando i calzoni sporchi di sangue, «prima di ucciderlo l’hanno violentato.»
Gli astanti, compreso il capitano Beccari, avevano gli occhi lucidi. La folla ricominciava a inveire e ad agitarsi.
«Era un projetto» osservò Nuzzi. «Lo si capisce dalla doppia croce marchiata sul piede sinistro.»
«Ma i projetti non stanno al sicuro a Santo Stefano in Sassia?» obiettò Marco.
«Dipende» spiegò Paolo. «Una volta grandicelli possono essere ceduti ad alcune famiglie che garantiscano di trattarli bene e di insegnare loro un mestiere.»
«Però questo poverino dev’essere incappato in una famiglia che non si curava di lui» si intromise il bargello. «Ho appena chiesto a Carlone e non risulta che in questi due giorni qualcuno ne abbia denunciato la scomparsa.»
Erano riprese le grida.
«A morte l’inglese!»
«Sfondiamo il portone e diamogli una lezione!»
La gente premeva, a mala pena trattenuta dagli sbirri, i bastoni ondeggiavano, le urla si moltiplicavano.
«Ecco come i preti trattano i bambini!»
«A questo punto» concluse Valentini, «direi di chiamare l’ambulanza e di farlo portare all’ospedale di Santo Stefano, dove potrò dare un’occhiata più approfondita al corpo. Voi intanto…» E si rivolse al bargello e ai suoi uomini. «… cercherete i genitori affidatari.»
Fu in quel momento che si udì cigolare il chiavistello del portone di palazzo Muti, che venne spalancato. E, tra la meraviglia degli astanti improvvisamente ammutoliti, un piccolo corteo si inoltrò nello spiazzo.
Due giovani abati lo aprivano reggendo su cuscini dorati la corona e lo scettro degli Stuart. Seguiva l’alta figura del cardinale Henry Benedetto duca di York in veste talare scarlatta, di cui due valletti reggevano lo strascico, la vita sottile cinta dalla fascia, lo zucchetto rosso sul capo, il pastorale in mano, una croce d’oro sul petto e l’anello cardinalizio con un grosso rubino al dito. Dietro di lui due canonici in nero agitavano i turiboli dell’incenso da cui si sprigionava una nuvola di vapore profumato, e altri due avanzavano porgendo al cardinale un aspersorio d’argento e il secchiello dell’acqua santa.
Mentre il gruppo del bargello faceva ala, Henry di York si avvicinò alla salma. I più vicini videro che aveva gli occhi lucidi e lo udirono mormorare: «Ti accolga il cielo, povero piccolo. Sia dannato chi alza la mano su un bambino!». Poi il cardinale si ricompose, immerse l’aspersorio nel secchiello e impartì una lenta benedizione alla folla.
Si fecero allora avanti altri due canonici che portavano gli oli santi, e il povero trovatello ricevette l’estrema unzione dalle mani del cardinale.
Alla fine il corteo rientrò a palazzo Muti mentre uno strano vento freddo che sembrava emanare dalla terra si levava all’improvviso. La luce del giorno sembrò farsi più scura.
Dapprima nessuno ci fece caso, intenti com’erano tutti ad allungare il collo per seguire l’arrivo dell’ambulanza di Santo Spirito che era venuta a prendere la salma, poi i cavalli della vettura cominciarono ad agitarsi, levarono e scossero la testa, scalpitarono ed emisero una serie di strazianti nitriti rivolti al cielo.
E allora tutti videro. Un corpo celeste si stava avvicinando al sole rubandogli la luce, e continuava ad avanzare, sia pure lentamente.
«Ci siamo» osservò Valentini. «Proprio adesso doveva cominciare l’eclissi di sole. Che Dio ci aiuti! Amici» continuò rivolto ai suoi e al bargello, «diffondiamo il più possibile la notizia che è un fenomeno naturale e passeggero, che nulla di brutto sta per succedere, che nessuno si spaventi…»
Secoli e secoli di sbigottimento per i fenomeni celesti non si potevano certo cancellare in un attimo. Dalla folla che ormai gremiva piazza della Pilotta si levarono urla scomposte, invocazioni di terrore. «Muore il sole!» Grida di pentimento. «Perdonaci, Signore, per i nostri peccati!» Predizioni di catastrofi. «Moriremo tutti, è la fine del mondo!»
Le donne piangevano, i bambini strillavano, qualche vecchio biascicava preghiere.
E l’ombra della luna continuava ad avanzare.
Qualche voce sovrastava le altre. «La colpa è della Chiesa, sono i suoi peccati che offendono Dio! Il papa è il vero colpevole! Vanno puniti tutti.»
Gli sbirri, incitati dal comandante, cercavano di disperdere la folla, compito non facile perché gli accessi alla piazza erano poco più che strozzature.
Ed era sempre più buio.
Pisani, Valentini e Nuzzi, con i loro aiutanti, si immersero tra la gente per facilitare il compito ai militari, e fu così che Marco, levatosi in punta di piedi per controllare l’andamento dell’operazione, scorse due uomini incappucciati che, dopo aver gridato a gran voce «A morte il papa», cercavano di sgattaiolare tra i gruppi che si andavano diradando in direzione di piazza Santi Apostoli.
Bastò un’occhiata a Nani, che gli stava vicino, e senza farsi notare si misero entrambi sulle loro tracce. Il giovane aiutante, senza perdere il passo, strappò un bastone robusto di mano a un passante lasciandolo allibito al vedere un abate tanto deciso e aggressivo.
Davanti a palazzo Colonna, dove la folla era in ginocchio a contemplare il sole nero e i raggi della corona, i due sconosciuti accelerarono l’andatura, senza accorgersi di essere seguiti. Presero per i vicoli in direzione dei mercati di Traiano e, voltato il primo angolo, si misero a correre.
Anche Nani e Marco spiccarono la corsa, ma il rumore dei loro passi li tradì. I due sospetti volarono sul selciato sconnesso, evitando passanti e carrette, finché Nani, scorto in un angolo un capitello abbandonato, vi saltò sopra agilmente, il mantello nero al vento, roteò il bastone e lo lanciò tra i piedi del fuggitivo rimasto indietro.
Costui cadde e Marco in un lampo gli fu addosso, mentre l’altro spariva.
Il cielo era tutto scuro e faceva freddo mentre sollevavano da terra la loro preda tenendola saldamente e le abbassavano il cappuccio del mantello.
«E costui da dove viene?» si chiese Nani contemplando ansante un ragazzo di corporatura atletica e capelli chiari che, ansimando a sua volta, li fissava con odio.
«Finalmente abbiamo preso qualcuno che ce lo dirà» si augurò Marco. «Perché vuoi il papa morto?» continuò rivolto al giovane.
«Io non voglio il papa morto» replicò il prigioniero con un leggero accento straniero.
«È quello che urlavi tra la folla poco fa.»
«Si sbaglia, signore, mi ha confuso con un altro.»
«E allora perché tu e il tuo compagno siete fuggiti?»
«Perché voi ci inseguivate con un bastone.»
Marco capì che l’interrogatorio sarebbe stato cosa lunga. «Nani» decise, «leghiamolo con la tua fusciacca a quell’anello per cavalli. Poi tu lo sorvegli e io vado a cercare rinforzi.»
Mentre erano intenti a eseguire l’operazione, veloce come un lampo lo sconosciuto trasse però un coltello dalle pieghe dell’abito e, senza esitare, con un rapido fendente si tagliò la gola. Un fiotto di sangue investì i suoi assalitori e il giovane crollò esanime a terra.
La prima lama di sole stava ricomparendo dietro la luna.
Questa volta nella sala autoptica dell’ospedale non furono ammessi spettatori. I veneziani, con Paolo e il bargello, contemplavano in silenzio le due salme, quella del ragazzino e l’altra dello sconosciuto, che uno strano destino aveva accumunato.
Gasparetto aveva svestito per primo lo straniero e aveva fatto una scoperta. «È circonciso» aveva esclamato togliendogli i calzoni.
«E siccome di sicuro non è un ebreo» aveva concluso Guido, «bisogna dedurne che sia musulmano. Unendo questa circostanza all’amuleto islamico che abbiamo trovato viene da pensare che i nostri nemici vengano dall’Oriente.»
«Si rinforza così la teoria che il capo sia quel Duodo che è andato a Costantinopoli» aveva aggiunto Paolo.
Si era intromesso il capitano Beccari che era stato informato delle indagini. «Dal modo in cui si è ucciso direi che si tratta di qualcuno addestrato a combattere. Si presenta anche in ottima forma fisica.»
«Un vero guaio che sia riuscito a uccidersi…» si era rammaricato Marco. «Ma il suo gesto ci rivela qualcosa: ha ragione il papa quando dice che il sultano non c’entra. Queste non sono milizie regolari, siamo di fronte a un gruppo di fanatici, pronti a sacrificarsi per chissà quale ideale. E chissà da dove viene!»
Guido aveva osservato meglio il corpo. «Certo non è arabo» aveva concluso. «Il suo tipo fisico è del Nord Europa.»
«Un inglese?» si era chiesto Nuzzi. «Un inglese musulmano? È pur vero che quel giro di antiquari cova qualcosa. Tu, Marco, hai sentito quel lord Gray…»
«E perché non austriaco?» aveva replicato Pisani. «Sappiamo che il cardinal Albani odia gli Stuart ed è filoasburgico.»
«Con seguaci musulmani?»
«Potrebbe essere uno slavo. Tra loro ci sono molti musulmani.»
«Ci si capisce sempre meno» era stata la saggia conclusione di Gasparetto.
A mezzogiorno Guido stava osservando il corpo della piccola vittima quando dal corridoio giunse un vocio e dalla porta fece capolino il faccione addolorato di Carlone.
«Capitano.» E si inchinò rispettosamente al bargello mentre con una mano sbarrava la strada a una coppia di mezza età. «Si sono presentati i genitori affidatari del ragazzino… vogliono vederlo.»
«Giusto loro» si fece avanti Pisani. «Ce ne avete messo di tempo prima di preoccuparvi! Presentatevi» ordinò. E fermò con una mano la donna scarmigliata che stava per buttarsi piangendo sulla piccola salma.
L’uomo, il testone bitorzoluto sul corpo tarchiato, si rigirava tra le mani il cappello rotondo. «Siamo Giacinto e Domenica Fantuzzi, falegnami» spiegò. «Abitiamo in via Sediari dietro piazza Navona, e lui» continuò indicando il corpicino, «è il nostro amato figliolo adottivo Tonino.»
«Amato mica tanto» osservò Guido guardandoli storto. «Il bambino era denutrito e sfiancato dal lavoro. La schiena curva indica che gli facevate portare pesi superiori alle sue capacità.»
«No!» si intromise la donna. «Mangiava fin che voleva, era magro di costituzione. Ed era già così curvo quando l’abbiamo preso.»
«È la solita storia» si fece avanti Nuzzi. «Vi fate dare i projetti del Santo Stefano per sfruttarli come schiavi!»
«Siamo povera gente» tentò di giustificarsi l’uomo, «e dobbiamo lavorare. Lavoriamo noi e i nostri figli. Però da noi Tonino ha avuto il calore di una famiglia.»
«Tanto è vero che vi siete accorti che era scomparso solo dopo due giorni.»
L’uomo stava per replicare quando Pisani prese la parola. «Dove stava andando due giorni fa, prima di sparire da casa?»
«L’avevamo mandato dal parroco di Sant’Anastasia, al Palatino, a ritirare una seggiola che doveva essere riparata» rispose Giacinto grattandosi la testa. «Ma non è mai arrivato. Così abbiamo pensato che si fosse imbucato tra i ruderi a farsi una bella dormita. Non era la prima volta, era un po’ sfaticato…»
«Ma questa mattina» aggiunse la donna asciugandosi gli occhi col grembiule, «quando abbiamo sentito della disgrazia, siamo andati dagli sbirri. È stato il cardinale? Lo dicono tutti…»
Pisani afferrò per le braccia i coniugi Fantuzzi e li fissò minaccioso. «Guai a voi se vi sento spargere questa calunnia. Il cardinale non c’entra niente. A rapire e uccidere questo povero bambino è stata una banda di sconosciuti, che noi arresteremo e puniremo. E se voi lo aveste trattato meglio, ricordatevelo bene, Tonino non avrebbe avuto bisogno di andare in giro da solo nelle zone deserte a offrirsi come vittima.»
I due chinarono il capo.
«Quando potremo riavere il corpo?» chiese Giacinto a voce bassa. «L’arciconfraternita dei falegnami vuole organizzare funerali solenni domenica sera a San Giuseppe, ai fori romani. Sarebbe un grande onore… la folla… le fiaccole…»
Mentre i Fantuzzi se ne andavano, Guido ricoprì con cura le salme.
«E questo dove verrà sepolto?» chiese il capitano Beccari indicando lo sconosciuto.
«Deciderà il governatore Imperiali» rispose Guido. «Noi per ora abbiamo finito e torniamo a casa.»
«Ma tu, Nani» aggiunse Marco rivolto al suo aiutante che stazionava in corridoio, «è opportuno che, in qualità di abate Pisani, ti mescoli per qualche giorno alla corte del cardinale Stuart per controllare che nessuno si introduca nel palazzo con cattive intenzioni.»
«Agli ordini, paròn» rispose Nani per niente contento.