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Neve dell’anima

Non so come reagirebbe una persona normale. La ragazza che credevi perfetta non lo è. Poco male, non è questo il guaio. Nessuno è perfetto. La persona che dice di amarvi, di punto in bianco, vi ignora. Inspiegabilmente. Trattandovi come un coglione qualsiasi. Anzi, come una mosca fastidiosa. Questo sì che è un guaio. Ecco. Non so come reagirebbe una persona normale. Forse si metterebbe a sbraitare. A litigare. A urlare. A scaricare la rabbia con una sbronza. A mandare tutti affanculo. A raccontare la storia a un amico fidato per cercare una spiegazione insieme. Boh? Cazzi delle persone normali, appunto. Io non lo sono. Sono un disegnatore. Un cavolo di artista. E quindi mi tengo tutto dentro. Faccio fatica a raccontare i sentimenti belli. Figuriamoci quelli brutti! Quelli tra l’altro che non riesco a spiegare nemmeno a me stesso! Io i problemi li risolvo disegnando, di solito. O scrivendo una canzone. Insomma, cerco di sublimarli attraverso l’arte. Ma non so se sta cosa poi mi salva veramente. Metto fuori il problema attraverso delle belle forme e dei bei colori. Cerco di trasformare il dolore in qualcosa di piacevole.

Ma in questo momento, credetemi, mi sembra di vivere dentro un incubo.

Sono tornato a casa a piedi, infreddolito fin dentro il midollo. Mi sono sparato la mia playlist preferita nelle orecchie a volume assurdo. Sperando che la musica potesse in qualche modo coprire il grido di dolore della mia anima. Niente da fare. Ci vuole ben altro. Calcio un sasso con rabbia. Ma non ne ho abbastanza. Anche l’ira mi rimane dentro. Tutto dentro, adesso. Tutto stritolato dentro le costole, che mi sembra di scoppiare.

Fortuna che Jack non è in casa, perché ora una sua battuta sarcastica mi distruggerebbe.

Sono confuso, smarrito, disorientato. È come se la mia bussola interiore avesse perso il suo Nord. Guardo la mia stanza, le mie carte, la mia Eko e tutto mi appare di colpo senza senso. Come se qualcuno avesse improvvisamente strappato l’anima alle cose. Selene. Lei ha voluto così. Ma perché? Perché?

Giro in tondo come un idiota. Finché la testa mi gira. Finché mi assale la nausea. Finché quella domanda senza risposta mi fischia nelle orecchie. Perché?

Questa casa mi sembra una trappola. Ma credo che qualsiasi casa adesso mi sembrerebbe una trappola, anche la mia di Torino. Chi mai potrebbe capirmi?

Tutto molto semplice, Peter: lei ha sempre finto. Finché vede te, bon. Appena tu ti mischi alla sua gente, al suo ambiente, ecco che viene fuori la vera Selene. Non assomiglia molto all’amore questo comportamento...

«Fottiti, Mila!» grido alla stanza vuota. Sbatto un pugno furioso sulla scrivania. Cade giù una penna. Poi una matita.

Due lacrime amare mi sgorgano dagli occhi. E bruciano come il fuoco.

Una persona normale continuerebbe a sfogarsi così, a suon di cazzotti e manate. Magari buttando fuori il magone con un bel pianto liberatorio.

Io invece mi siedo, mi asciugo gli occhi, apro il bloc-notes. Il cuore mi batte all’impazzata. Ma appena comincio a disegnare si calma. È tutta apparenza, ma almeno non avrò un infarto.

Nel disegno che traccio con segni rapidi, incazzati, ma molto espressivi, ci sono io, congelato per metà. Ho un buco all’altezza del petto. Come se qualcuno mi avesse sparato contro con un bazooka. Ficco le mani in quel cratere nero e tiro fuori il mio cuore congelato. Fatto di ghiaccio, sì. Azzurro e tutto crepato, come un vetro pronto a disintegrarsi in mille pezzi. Di fronte a me c’è Selene, bellissima, ma seria. Cupa. In qualche modo diabolica. Le disegno lo sguardo vuoto. Siamo lontani. Come non siamo mai stati, nemmeno in un disegno. Io le lancio contro il mio cuore e lei, come una statua di ghiaccio, si frantuma in centinaia di schegge bianche. Lo sfondo è neutro. Potremmo essere a Milano, in Scandinavia, al Polo Nord, all’Equatore, in qualsiasi luogo. Tanto il risultato non cambierebbe. La neve nell’anima si accumulerebbe comunque. Io continuerei a sanguinare. E lei, la mia Selene che amo più di qualsiasi cosa al mondo, rimarrebbe quella statua di ghiaccio bellissima senza occhi.

Disegno a più riprese. Faccio un sacco di variazioni sul tema. Io che lancio il mio cuore di ghiaccio contro la sua faccia. Io che lancio il mio cuore di ghiaccio contro il suo cuore. Io che lancio il mio cuore di ghiaccio contro le sue gambe. L’effetto è sempre lo stesso. L’immagine di Selene si disintegra in mille pezzi. Azzurro che si sparpaglia per il foglio. Ma il colore lo immagino soltanto, perché il disegno finito sarà in bianco e nero. Il dolore è in bianco e nero. Sempre. Nessun colore. Il dolore è riservato, chiuso a chiave dentro il cuore. Bianco e nero. Non ci sono colori per rappresentare un amore che va in briciole. Non ci sono colori per tinteggiare un sentimento che si spezza. Solo un bianco-latte che fa paura. E un nero-china senza speranza.

Non so quanti disegni faccio. Sono completamente perso nelle mie forme. Così tanto che mi fermo solo quando la mano mi fa male. Mollo la matita. La faccio scivolare sul legno della scrivania. Va a sbattere contro il mio smart che proprio in quel momento s’illumina e mostra un nuovo messaggio su whatsapp. Riprendo faticosamente il contatto con la realtà. La debole luce del giorno entra con fatica dalla finestra. Prendo in mano il cellulare.

Un messaggio di Selene.

Un tonfo al cuore.

Freddo lungo la spina dorsale.

Fiato che mi manca.

La neve che ho nel petto sembra sciogliersi un poco. O forse no. Impossibile, perché il sole che ho dentro è nero, e non scalda.

Tentenno un sacco con lo smart stretto tra le dita. Non so se ho voglia di vedere cosa mi scrive Selene. Non so se ho voglia di vedere scritta la fine. Immaginarla la fine, fa male. Ma farebbe ancora più male vederla scritta in un messaggio. Sarebbe più definitiva, forse.

Non fare il coglione. Leggi. Ora. Chiudi gli occhi. Prendi fiato. Uno, due, tre...