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Freddo

Non è esattamente la giornata che immaginavo. Niente sole, niente azzurro, nemmeno un passerotto che canta. Gli alberi sono spogli e c’è un po’ di nebbia che cancella le cose.

È come se questa foschia volesse anche cancellare i nostri mesi insieme. Quelli miei e di Selene. Quelli della nostra storia. Ma è solo una brutta sensazione. Questo febbraio inquieto porta cattivi pensieri.

Sono nel chiostro della Cattolica e cammino avanti e indietro da un bel po’. È l’ora di pranzo e voi potreste pensare: che cavolo ci fai così presto in un ambiente che non ti appartiene? Semplice: dopo tanti ripensamenti, rimuginii e ansie, mi sono deciso a fare una sorpresa a Selene. È arrivato il momento di cambiare qualcosa tra noi. Non possiamo continuare a frequentarci la sera e basta. Ho bisogno di lei anche di giorno. Voglio conoscere le sue amiche, il suo ambiente. Per dire: io, a parte Ilaria, non so nulla o quasi delle persone che frequenta. Lei sì.

Se per persone intendi Jack...

Nello zaino ho il disegno nuovo che ho fatto per lei. Oggi, al posto di portarglielo a casa sua, come di consueto, ho deciso che sarebbe stato più carino consegnarglielo a mano. Una sorpresa, insomma.

Scusa Peter, mi scappa un’osservazione: ma tu non eri quello che odiava le sorprese?

Sì, vabbè, Mila, io non faccio testo. Sono strano, sono un artista, sono un outsider. Tutti amano le sorprese, dai! Selene, poi, le adora.

Se lo dici tu...

Guardo l’ora sul mio smart. Ragazze e ragazzi escono a gruppetti. Alcuni si fermano per fumare, altri se ne vanno. Selene dovrebbe finire la lezione tra poco. Da quello che mi ha detto, quando esce dall’università va a pranzo con le sue amiche. Ecco, ho pensato che sarà strafelice di vedermi e di mangiare un boccone insieme.

Inganno il tempo cazzeggiando sul cellulare. Mando qualche messaggio. Rispondo a Davide, che è da una vita che mi scrive e mi chiede cose, e io niente. Mi stringo nel mio giubbotto perché fa un freddo boia. Cammino e non posso fare a meno di sentire un senso di disagio. La Cattolica, l’ambiente universitario, questi ragazzi. Boh? Sembra tutto così distante da me. Così freddo, ecco. E non è solo il clima nebbioso e grigio. È qualcosa che sento nell’anima.

Poi, ecco. La sento subito. La sua risata! Sì, la potrei riconoscere in mezzo a una folla. La voce di Selene che scherza con le amiche. Mi caccio lo smart in tasca, cerco di sistemarmi meglio la sciarpa. Mi sento disperatamente a disagio, mentre la vedo da dietro una colonna. Elegante nel portamento, nonostante il look molto easy. Ha tre amiche al seguito.

Quando mi avvicino a loro la sensazione di disagio cresce. Avanzo con falsa sicurezza. Mi tremano le gambe.

Avete presente quel giochino sulla “Settimana enigmistica” in cui dovete trovare un oggetto fuori luogo in una vignetta? Tipo: una banana dentro il bicchiere del dentifricio. Cazzo c’entra la banana lì dentro? Non ci dovrebbe essere uno spazzolino, tipo?

Mi avvicino a Selene e la saluto con un gran sorriso, allargando le braccia e dicendo: «Sorpresa, amore!». In quel preciso istante, mentre i miei occhi mettono a fuoco le espressioni attonite e interrogative delle ragazze, la sensazione di essere una banana nel bicchiere del bagno è assoluta, definitiva.

Te e le tue sorprese del cavolo...

«Peter... cosa ci fai qua?» Selene rimane neutra. Il suo tono è strano. Non so cosa mi fa più male. Forse il fatto che mi sta guardando come fossi un lebbroso o un ladro. Forse il fatto che appena mi ha visto ha smesso di ridere. Forse il fatto che si vergogna di me?

Esagerato! Be’, considerato il target di fighette che si porta appresso...

«Volevo farti una sorpresa! Non ci vediamo mai di giorno, allora ho pensato...» tronco lì il discorso, perché quando sono agitato comincio a parlare troppo in fretta e a balbettare.

C’è un silenzio pazzesco, orribile.

Le amiche di Selene sembrano chiedere a sguardi allibiti chi cazzo sono io. Io vorrei abbracciarla come faccio di solito. Schioccarle un bacio sulla bocca. Dirle ti amo. Ma lei è talmente distante, talmente imbarazzata dalla mia presenza, che ogni mio slancio è pietrificato.

«Grazie Peter, ma...» Selene guarda le amiche stronzette, come per cercare un loro consenso «... tra pochissimo riprendiamo lezione.»

Cala il gelo. Come se fuori non facesse già abbastanza freddo. Cavolo significa che ha lezione? Ma non fanno pausa? Soprattutto: non è felice di vedermi? Non ha voglia di abbracciarmi e dire a quelle cretine delle sue amiche che sono il suo ragazzo?

Altro silenzio che dura un’eternità. Io vorrei sprofondare, oppure scomparire nella nebbia. Ma perché non mi vuole nemmeno presentare?

Rimaniamo a un paio di metri di distanza, come congelati. Immobili. Io e Selene, che fino a poche ore prima eravamo l’uno dentro l’altra.

Te l’avevo detto che st’idea della sorpresa era una stronzata! Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te: dovrebbe essere una regola, no?

Per non mettermi a piangere dall’imbarazzo, come gesto conclusivo di una giornata da dimenticare, sapete cosa faccio? Mi tolgo lo zaino dalle spalle, mi metto in ginocchio, sfilo il disegno e lo porgo a Selene.

Dovrei sentirmi benissimo. Invece mi sento una merda. Come se le avessi appena consegnato un certificato di morte. Mica la rappresentazione dolcissima di noi, innamorati, che cavalchiamo una stella!

Selene lo prende. Con diffidenza, sembra. Lo guarda appena. Dice: «Bello, grazie», poi lo nasconde nel suo zainetto, tra l’altro piegando il disegno malamente. Nemmeno lo mostra a quelle sceme delle sue amiche, che sono tutte occhi e sguardi ammiccanti, disprezzanti. Selene mi sorride appena. Forse una parte di lei riesce a uscire allo scoperto, mostrandomi un’ombra di apprezzamento. Ma forse mi sbaglio.

«Allora vado. Ci sentiamo dopo, magari» dico con la voce strozzata e con una delusione che mi sta uccidendo.

Selene alza appena la mano per salutarmi. Forse vorrebbe darmi un bacio. Intravedo uno slancio. Ma ancora una volta mi sbaglio. È incatenata al suo ruolo. Al suo ambiente. Alle sue amiche. Alla sua parte da recitare.

E io, in tutto questo, non ci sono. No, non ci sono per un cazzo.

Vaffanculo.

Volto le spalle, saluto velocemente e scompaio davvero nella nebbia del chiostro.

Con un freddo maledetto che mi divora l’anima.