Appendice

La nascita della runologia

Nel solo territorio svedese sono note oltre 3500 iscrizioni runiche, poco più della metà del corpus complessivo, alcune in fuþark a 24 segni, altre medievali, ma di certo la maggior parte di Epoca Vichinga e concentrata nelle due regioni centrali di Uppland e Södermanland, cuore dell’antico Svealand. Non è un caso, quindi, che la runologia sia nata dalle osservazioni dei primi eruditi antiquari svedesi e che il loro lavoro di archiviazione delle iscrizioni abbia posto le basi per la nascita della disciplina odierna.

L’ultimo arcivescovo cattolico di Uppsala, Johannes Magnus (1488-1544) partì in esilio per non tornare mai più quando la Riforma si impose in Svezia. Trascorse gli ultimi anni della vita tentando di riportare il cattolicesimo al Nord e scrivendo il suo Gothorum Sveonunque Historia, le cui edizioni dopo la sua morte vennero curate e integrate dal fratello Olaus (1490-1557). È questa la prima opera in cui si ha un riferimento alla sequenza runica, contornato di fantasiose teorie che ne riportano l’antichità ai tempi del Diluvio Universale. Paradossalmente anche il primo arcivescovo protestante di Uppsala Laurentius Petri (1499-1573) e il fratello Olaus (1493-1552) erano animati dallo stesso interesse antiquario. Olaus addirittura intuì il valore storico delle iscrizioni e lo strano rapporto che affiancava rune e latino in epoca medievale: le prime pensate per una comunicazione quotidiana, il secondo per una più dotta. Scrisse un trattato, perduto come le opere probabilmente scritte dal fratello, ma il loro lavoro contribuì alla formazione di quello che è considerato il vero fondatore della runologia: Johannes Bureus (1568-1652). Nonostante le origini piuttosto umili, Bureus riuscì a coltivare gli studi e il proprio talento artistico tanto da essere assunto nella Cancelleria reale, facendosi poi notare per la propria erudizione fino a essere scelto come precettore del principe ereditario, ruolo che gli valse una grande ascendenza negli ambienti aristocratici. Bureus era dotato di una propensione naturale per lo studio delle lingue e dei sistemi grammaticali ed era un abile disegnatore dalla mano precisa anche nella resa dei più minuti dettagli. Rivolse la propria attenzione alle rune verso il 1593 arrivando in meno di un anno a commentare e disegnare una ventina di iscrizioni, fino a quando nel 1599 realizzò un’incisione in rame in formato infolio in cui riepilogava un impressionante insieme di osservazioni sulle rune e sul loro funzionamento, includendo un’analisi dei valori fonetici e della resa dei dittonghi, l’uso delle legature e delle rune puntate, e perfino un accenno alle rune di Dalarna, la cui conoscenza si diceva avesse appreso da un contadino locale. Passò la vita a studiare, catalogare e disegnare iscrizioni, perseguendo la sua più grande ambizione, pubblicare i Monumenta runica, cioè l’edizione completa di tutte le iscrizioni svedesi in cui ogni testo avrebbe dovuto essere corredato da una tavola con il disegno del monumento e dall’interpretazione linguistica. Quando morì aveva scoperto oltre 600 iscrizioni, per la quasi totalità upplandesi, dando alle stampe però solo una piccola parte della sua opera, altrimenti trasmessa in forma di manoscritti da lui stesso numerati in 11 Libri.

Bureus era convinto che le rune documentassero la fase più antica della lingua svedese, a sua volta da considerarsi una delle più antiche al mondo, ed espresse vivacemente le proprie teorie all’interno di una querelle intellettuale che lo vide contrapporsi al danese Ole Worm (1588-1654), sostenitore dell’origine danese. Worm, medico per formazione, iniziò a interessarsi alle antichità del Paese quando, spostandosi per motivi di lavoro in varie regioni, la sua attenzione fu catturata dai monumenti runici, che incominciò ad approcciare proprio studiando i primi lavori di Bureus, che egli ammirava per certi versi, ma contrastava vivacemente per il coinvolgimento nelle teorie esoteriche che stavano diventando di moda all’epoca. Non essendo un disegnatore come lo svedese, scelse di avvalersi dell’aiuto di alcuni collaboratori. La sua attività fu in un certo senso facilitata da un proclama reale risalente al 1622 in cui veniva richiesto di inviare alla capitale da tutte le parti del Regno resoconti, informazioni e disegni inerenti le antichità del Paese, che comprendevano spesso iscrizioni runiche. Non avendo una formazione linguistica di base, ed essendo allora l’antico nordico ancora sconosciuto, Worm ebbe l’idea di mettersi in contatto con alcuni studiosi islandesi, tra i quali Arngrímur Jónsson (1568-1648), che gli regalò perfino copie di alcuni antichi manoscritti, fino a quando l’inizio della caccia alle streghe rese pericoloso trattare di rune e la comunicazione si interruppe bruscamente. Worm si rivolse agli altri sapienti in Europa e suoi scritti arrivarono fino a Bureus. Nacque così la loro querelle, i due combattevano una sorta di guerra intellettuale mentre i rispettivi Paesi erano effettivamente scesi sul campo di battaglia uno contro l’altro. Nel 1643 Worm pubblicò i suoi Danicorum Monumentorum Libri Sex, riuscendo in parte a realizzare quello che Bureus aveva solo sognato, ma per cui stava lavorando da tutta la vita. Tuttavia la critica più aspra arrivò dal nuovo vescovo islandese, Brynjólfur Sveinsson (1605-1675), non tanto per gli errori di interpretazione delle iscrizioni, che Bureus già aveva evidenziato, quanto per la conoscenza approssimativa dell’Edda. Worm non ebbe modo di rispondere, poiché morì nell’epidemia di peste del 1654, ma nonostante gli errori e le imprecisioni in cui può essere caduto, gli va riconosciuto il merito di aver posto le basi per una prospettiva scientifica degli studi di runologia.

Dopo la morte di Bureus restava ancora un mistero da decifrare, costituito dalle rune di Hälsinge. Fu perfino promessa una ricompensa reale per chi fosse riuscito a interpretarle. Magnus Celsius (1621-1679), originario di quella regione, decise che sarebbe riuscito nell’impresa. Gli ci volle quasi una vita intera di studi, ma alla fine raggiunse il suo scopo e fu in grado di presentare i risultati durante una conferenza a Uppsala. Sfortunatamente morì prima di dare alle stampe le sue scoperte, che vennero ereditate dal figlio minore, Olof (1670-1756), il quale, una volta cresciuto, con i soldi della ricompensa reale iniziò un viaggio di studi che lo portò in vari Paesi europei, fino a giungere all’università di Lipsia dove conobbe Árni Magnússon (1663-1730). Nel corso di dotte conversazioni sulle antichità nordiche, Olof si appassionò alla materia tanto da riprendere il lavoro del padre. Tornato in Svezia deciso a pubblicarne le opere, le analizzò minuziosamente alla luce di nuove iscrizioni emerse nel frattempo e aggiunse delle osservazioni sulla loro datazione e sull’origine del fuþark. Solo dopo la sua stessa morte gli scritti videro le stampe, ma a quel punto era ormai nata la runologia.

I decenni a seguire videro un susseguirsi di studi e pubblicazioni e lo studio delle rune andava di pari passo con quello della lingua antica. Johann Hadorph (1630-1693), quale responsabile della commissione per le antichità nazionali, aveva promosso una raccolta di antichi manoscritti con l’obiettivo di incentivare e supportare lo studio dell’antica lingua islandese. Nel 1762 Nils Reinhold Brocman (1731-1770) con la sua Sagan om Ingwar Widtfarne och hans son Swen, från gamla isländskan öfwersatt och undersökning om wåre runstenars ålder non solo aveva pubblicato la prima edizione della saga islandese, ma aveva dimostrato come la questione della datazione delle iscrizioni potesse essere strettamente collegata a eventi storici ben individuabili.

Il secolo successivo, con la nascita della linguistica storica, fu incentrato sulla definizione della maggiore antichità del fuþark a 24 segni rispetto a quello a 16 e sulla questione dell’alfabeto modello, mentre con l’inizio del XX secolo iniziò l’attività di edizione dei corpora delle varie regioni e dei differenti momenti della produzione runica. Attività mai terminata, in continuo aggiornamento ed evoluzione, che oggi è passata dall’ambito cartaceo a quello digitale, con la realizzazione di database e corpora elettronici, che hanno il merito di rendere i testi delle iscrizioni accessibili non solo a quanti della runologia hanno fatto una professione, ma anche a chi alle antichità nordiche si accosta per puro interesse personale.

Osservare e interpretare un’iscrizione runica oggi

L’osservazione e l’interpretazione di un’iscrizione runica sono tecnicamente, ma anche dal punto di vista concettuale, due fasi ben distinte dell’attività di studio e analisi delle epigrafi. Osservare un testo partendo da un preconcetto, o meglio da un’idea più o meno precisa che per vari motivi già ci si potrebbe essere fatti del suo contenuto, potrebbe portare a una falsa interpretazione. Nella fase iniziale, quindi, l’osservazione deve partire dalla resa il più precisa e oggettiva possibile del testo. Non si tratta di un’operazione semplice, perché a volte i documenti sono fortemente danneggiati e i singoli caratteri possono essere difficilmente percepibili a occhio nudo. In tal caso è necessario ricorrere al supporto tecnologico fornito da microscopi e scanner.

Una volta individuato il testo – si potrebbe quasi dire una volta fotografato – per poterlo studiare in maniera più agile dal punto di vista linguistico occorre produrne un’edizione, il che significa riportare i caratteri runici, al di là della variante epigrafica, a una versione standard delle rune, normalizzate tramite una font riconosciuta dalla comunità scientifica denominata Futhark A. Le rune così normalizzate andranno quindi traslitterate per mezzo di un’altra font appositamente ideata, il Runlitt A. Questo secondo carattere tipografico è stato sviluppato a partire dall’alfabeto latino non per un valore intrinseco dell’alfabeto latino in sé e nemmeno come sottinteso riconoscimento di derivazione del fuþark da questo sistema di scrittura, ma per pura convenzione scientifica. Traslitterare significa osservare il grafema, la runa, e renderla nella font di più immediata fruibilità, mentre trascrivere un testo è una fase successiva che si basa sull’attribuzione del valore fonetico al grafema.

Bisogna sempre ricordare che il runico è un alfabeto, non una lingua in quanto tale, e quando si parla di koiné runica per la fase più antica e preletteraria del germanico settentrionale si vuole fare riferimento al fatto che le iscrizioni sono gli unici documenti scritti attestanti tale lingua in una fase tanto remota da precedere le successive diramazioni in area orientale e occidentale antenate delle attuali lingue scandinave. Il lavoro di edizione, ovviamente corredato dai commenti sulla resa epigrafica, sull’analisi del monumento da ogni punto di vista utile e con qualsiasi altra informazione pertinente, si concluderà quindi con la resa nella lingua antica e con la sua traduzione in una lingua moderna a scelta.

Le prime due fasi, resa standard delle rune e traslitterazione, costituiscono il momento dell’osservazione, le successive – resa nella lingua antica e traduzione – quello dell’interpretazione del testo. L’errore di interpretazione è purtroppo sempre in agguato. In particolare la fissità stessa di certe formule può trarre in inganno gli studiosi, che spesso di fronte a una forma inaspettata all’interno sono più propensi a emendarla in base a qualcosa che secondo loro è più rispettoso della norma piuttosto che a interrogarsi ipotizzando la volontà del runristare di ricorrere a una forma inusuale.