CAPITOLO 10
«Se butti giù una foresta, qualche scheggia dovrà pur volare» disse Bret. Stava citando Stinnes, ma avrebbe anche potuto riferirsi allo scontro che aveva avuto quel mattino con Morgan e alle conseguenze che ne sarebbero potute nascere. Sedevamo sui sedili posteriori della sua Bentley guidata dall'autista, che viaggiava sulla corsia del traffico veloce ronzando dolcemente. Stavamo andando da Stinnes. «É un proverbio russo?» domandò. «Sì» risposi. «Ma i russi lo ricordano anche come una scusa ampiamente sfruttata, per spiegare le ingiustizie, le condanne al carcere e i massacri commessi sotto Stalin.»
«Tu sei una specie di dannata enciclopedia ambulante Samson» osservò. «E questo Stinnes è uno stronzetto infido.» Annuii e mi misi comodo sul sedile rivestito di vera pelle. Per motivi di sicurezza, i funzionari di grado più elevato avrebbero dovuto usare un'auto di servizio quando si spostavano per lavoro, e l'unica macchina dotata di autista era quella del Direttore Generale, ma a Bret Rensselaer questo non importava affatto. La residenza che la sua famiglia manteneva a Belgravia sin dalla prima Guerra Mondiale era completa di auto e personale di servizio. Quando Bret mise definitivamente radici alla Centrale di Londra, non vi fu modo di convincerlo ad abbandonare il suo comodo modo di vivere e a cominciare a guidarsi da sé un'auto adatta al suo grado e al suo prestigio nel Dipartimento. «Ed eccoci qui» disse Bret, che aveva trascorso il tempo leggendo la trascrizione dei suoi precedenti colloqui con Stinnes e ora stava rimettendo nella sua valigetta il fascio di fogli dattiloscritti. La lettura non lo aveva lasciato esattamente di buonumore. Berwick House, un bel palazzetto antico in mattoni rossi era stata costruita molto prima che il concetto di edificio si associasse all'architettura anonima dei colleges di provincia. Era un tentativo, compiuto nel XVIIi secolo, di imitare una delle grandi dimore di campagna disegnate da Wren. Ma, senza dubbio, il funzionario del Ministero della Guerra, che immediatamente dopo la seconda Guerra Mondiale aveva deciso di requisire l'intera proprietà, era stato attratto dal fossato che circondava la casa. Questa non era visibile dalla strada; la scorgemmo solo dopo che l'auto svoltò al malandato cartello sul quale era scritto che Berwick House ospitava i corsi del Ministero delle Pensioni. Presumo che fosse il meno attraente genere di dimora che gli occupanti potessero immaginarsi. Il posto di controllo accanto al cancello. portò via tempo. Superammo il cancello esterno e ci fermammo sul sentiero di ghiaia dov'erano i dispositivi di controllo attraverso i quali ogni auto doveva passare. Sapevano del nostro arrivo, e la lucente Bentley nera di Bret era ben nota ma ci fecero fare la trafila completa. Ted Riley volle persino vedere i nostri documenti di riconoscimento, oltre a quelli di Albert, l'autista. Ted era un uomo anziano che tanti anni prima aveva lavorato per mio padre. Lo conoscevo bene, ma lui non diede segno di riconoscermi. «Salve, Ted.»
«Buongiorno, signore.» Non era il tipo d'uomo che avrebbe abusato di una vecchia amicizia. Dopo la guerra, Ted era stato capitano negli Intelligence Corps, a Berlino, ma si era lasciato coinvolgere nel mercato nero di PotsdamerPlatz e mio padre lo aveva trasferito con una rapidità che a lui era risultata sgradevole. Ted, di tanto in tanto, aveva procurato a mia madre interi prosciutti della Westfalia; quando mio padre scoprì i suoi intrallazzi col mercato nero, andò su tutte le furie pensando che, in un certo senso, fosse stato un tentativo di coinvolgere anche noi. Ora Ted aveva i capelli bianchi, ma era sempre la stessa persona che - quando ero piccolo - mi regalava ogni settimana la sua razione di cioccolato. Ci fece segno di passare. Il secondo uomo aprì il cancello elettrico e il terzo chiamò il posto di guardia annesso alla casa. «Sono bastardi villani» commentò Bret, come se la sua definizione fosse stata qualcosa di cui avrei dovuto prendere nota per consultarla nel corso di visite future. «Fanno un lavoro schifosissimo, Bret» dissi. «Dovrebbero impiegare gli agenti del Ministero della Difesa. Questi qui sono pieni di balle. Identità. Figurati se non mi conoscono!»
«Gli agenti del Ministero della Difesa somigliano ai poliziotti, Bret.
L'idea era che questi vestissero in borghese e sembrassero civili.»
«Ah, questi sembrano proprio dei civili, non c'è dubbio» ribatté in tono sprezzante. «Paiono dei vecchietti. Ti immagini come se la caverebbero se qualcuno tentasse davvero un'irruzione qui?»
«Per lo meno possiamo fidarci e non attirano l'attenzione nella zona.
Tutti sono stati controllati minuziosamente e Ted Riley, che è il responsabile, è un uomo sul quale scommetterei la testa. La cosa più importante, qui, è avere di guardia gente che non si lascia corrompere dai reporter e non procura clandestinamente gin agli ospiti.»
E, dato che Bret non aveva risposto, aggiunsi: «Non hanno il dovere di sapere respingere una divisione corazzata»
«Sono lieto che tu me lo abbia detto» commentò lui sarcastico. «Ciò mi fa sentire molto meglio al loro riguardo.» Quando passammo accanto alle baracche di lamiera ondulata dove vivevano le guardie e ai bassi edifici rivestiti di pietra grigia dove talvolta tenevamo delle riunioni, guardò con attenzione. Il paesaggio era bruno e spoglio, e, in certi punti, allarmi e cavi erano rimasti allo scoperto. Passammo il vecchio ponte che attraversava il fossato. Fu solo quando l'auto svoltò nel cortile posteriore dell'edificio che potemmo vedere in quali condizioni era realmente.
Pareva il set di un film: l'ala orientale era poco più che una facciata sostenuta da enormi travi piatte. Questo lato della casa era stato raso al suolo dalle bombe incendiarie sganciate da un pilota della Luftwaffe nel disperato tentativo di riprendere quota. Non c'era riuscito e l'Heinkel era andato a schiantarsi sei miglia più in là, dopo aver portato via la sommità del campanile della chiesa del villaggio. Il Centro Interrogatori di Londra era una versione aggiornata di quella che un tempo veniva chiamata la «Gabbia Distrettuale", il luogo in cui la Squadra Investigativa dei Crimini di Guerra deteneva i pezzi grossi nazisti in attesa di processo. I resti che ricordavano quei tempi non erano completamente scomparsi: in qualche ufficio si potevano ancora vedere vecchi manifesti del tempo di guerra, mentre i muri di alcune delle «camere di rigore" sotterranee - un educato eufemismo coniato al Dipartimento per indicare le celle della prigione - erano deturpati da curiosi segni che parevano simboli magici e che erano stati incisi dai prigionieri per tenere il conto del tempo. I maggiori esponenti del personale amministrativo del CI erano tutti presenti quando arrivammo.
Ciò era certamente dovuto al fatto che ora era Bret che manteneva i collegamenti. In occasione delle mie precedenti visite a Berwick House ero andato avanti e indietro con un saluto pro forma e una firma frettolosa, ma Bret era sufficientemente importante perché sia il Governatore sia il suo vice si trovassero nei loro uffici.
Il Governatore, intorno ai trentacinque, era un uomo enorme con mascelle forti, capelli neri appiattiti con la spazzola contro la testa e baffi sottili e molto curati, stile Rodolfo Valentino quando interpretava la parte del lazzarone. Per completare l'effetto, stava fumando una sigaretta con un bocchino d'ambra. Come il suo vice, indossava pantaloni neri, camicia bianca e una cravatta di tinta unita, anch'essa nera. Ebbi la sensazione che entrambi avrebbero preferito che tutto il personale indossasse un'uniforme, meglio se con una profusione di galloni dorati.
L'ufficio del Governatore risultò essere una vasta stanza rivestita di pannelli di legno con comode poltrone e un imponente caminetto. Gli unici oggetti che giustificavano la definizione di ufficio erano una piccola scrivania in un angolo con due archivi metallici e una scatola di schede di formato piccolo posata sul davanzale della finestra. Il Governatore ci offrì da bere e voleva che ci sedessimo a chiacchierare di nulla in particolare, ma Bret declinò. «Vediamo» disse il Governatore allungando una mano verso il piccolo schedario e facendo scorrere la punta delle dita sul bordo delle schede, come se Stinnes non fosse il loro unico ospite. «Sadoff... ah, ecco qui: Sadoff, Nikolai.» Dalla scatola pescò una foto di Erich Stinnes che sbatté con decisione sul piano della scrivania con l'aria di uno che aveva vinto una partita a poker. La foto mostrava Stinnes che guardava fisso nell'obiettivo reggendo contro il petto un cartellino con un numero. «Ordinariamente si fa chiamare Stinnes» osservai. Quello alzò gli occhi come se mi vedesse per la prima volta. «Qui al Centro Interrogatori non permettiamo alla gente di indulgere a fantasie. Lasciategli usare uno pseudonimo e sarà un invito a inventare tutto il resto.» Posò la sigaretta e tirò fuori dalla scatola una scheda, tenendola abbastanza lontana da poter leggere ciò che c'era scritto a mano, ma tenendo il mignolo in modo che non si perdesse il segno. Immagino che, quando si trascorre tutta la vita a sfogliare ritagli di giornale, si imparino giochetti di questo genere.
«Quando è stato intervistato l'ultima volta?» domandò Bret. «Lo stiamo lasciando cuocere nel suo brodo per qualche giorno» rispose il Governatore. Sorrise. «Cominciava a diventare proprio fastidioso.»
«Che ha fatto?» domandò Bret. Il Governatore lanciò un'occhiata al suo barbuto vice che disse: «Quando gli ho portato via dei libri si è messo a sbraitare contro di me. Una scenata infantile, niente di più. Ma bisogna fargli capire chi comanda»
«L'avete chiuso a chiave?» chiesi.
«É confinato nella sua stanza» precisò. «Stiamo cercando di ottenere informazioni da lui» spiegai pazientemente. «E abbiamo fretta.»
«Una questione di vita o di morte, eh?» fece il Governatore con malcelato sarcasmo. «Esatto» risposi con lo stesso tono. Aveva infilato un'altra sigaretta nel bocchino d'ambra. «É sempre così con tipi come voi» disse, sorridendo con l'aria di un adulto che asseconda il gioco di un bambino. «Ma non si può aver fretta in queste cose. Innanzitutto bisogna stabilire quali debbano essere i rapporti fra personale e prigioniero. Solo allora ci si può dedicare seriamente a tirar fuori le informazioni essenziali.» Sedette su una sedia che era di gran lunga troppo piccola per lui e incrociò le gambe.
«Cercherò di ricordarmelo» promisi; Lui non mi guardò e si rivolse a Bret: «Se lo desidera, può vederlo, ma preferirei che non gli si permettesse di uscire dalla sua camera»
«E poi c'è stata la visita medica» ricordò il barbuto vice al suo capo. «Ah, sì.» La voce del Governatore si fece triste mentre metteva via schede e foto. «Per due volte ha rifiutato la visita medica. Non possiamo permetterlo. Qualsiasi cosa gli capitasse avremmo un sacco di grane, e voi dareste la colpa a me.» Gran sorriso. «E avreste ragione.»
«Allora, qual è la situazione in questo momento?» domandò Bret. «Il medico ha rifiutato di tentare di visitarlo finché Sadoff non lo farà volentieri e con spirito di collaborazione. Di conseguenza abbiamo rimandato il tutto alla prossima settimana. Ma nel frattempo non abbiamo nemmeno un appunto sulla sua altezza, peso e tutto il resto.» Alzò gli occhi su di noi. Presumo che apparissimo entrambi preoccupati. Il Governatore continuò: «Per noi non è nulla di nuovo. Tutto già noto.
Entro la prossima settimana sarà sufficientemente ben disposto, niente paura». Bret rispose: «Si direbbe che sia diventato un conflitto di volontà»
«Io non entro in conflitto» puntualizzò il capo del CI con un sorriso a mezza bocca. «Sono io il responsabile. Chi è chiuso qui dentro fa ciò che dico io. E certamente non permetterò a nessuno di evitare un esame medico.»
«Scambieremo qualche parola con lui» disse Bret. «Verrò con voi» fece il Governatore alzandosi. «Non sarà necessario» rispose Bret. «Temo che lo sarà» ribatté l'altro. Mi rendevo conto che l'ira di Bret stava crescendo sempre più, quindi intervenni: «Non sono certo che le autorizzazioni concernenti la sicurezza in possesso del Governatore siano sufficienti, considerato l'argomento che dovrà essere discusso».
Ovviamente, non c'era all'ordine del giorno nessun argomento particolare, ma Bret fu pronto a raccogliere l'idea. «Verissimo» disse e, rivolto al Governatore, aggiunse: «Meglio attenersi al regolamento. A quanto lei sostiene, Stinnes potrebbe benissimo presentare una protesta scritta per un motivo o per l'altro. In tal caso, vorrei essere certo che lei sia completamente libero da sospetti»
«Libero da sospetti?» ripeté quello indignato. Ma quando vide che Bret non dava altre spiegazioni cadde a sedere, spostò un po' di documenti sulla scrivania e disse: «Ho un sacco di lavoro da sbrigare qui. Se siete certi di potervela cavare da soli, fate pure».
Entrai da solo. Erich Stinnes appariva soddisfatto per quanto potesse esserlo chiunque fosse chiuso a Berwick House e lasciato alla mercé del Governatore e del suo vice. Sapevo quale camera avevano scelto per lui.
Era al secondo piano; pareti color crema e un semplice letto di ferro, con la stampa di una battaglia navale appesa al muro. Quella era la stanza coi microfoni. E lo specchio sopra il lavandino poteva essere sostituito in modo da permettere a una telecamera sistemata nella stanza accanto di filmare attraverso di esso. Al posto del leggero completo di cotone che portava in Messico, ora ne indossava uno più pesante di fabbricazione inglese. Non si poteva dire che gli stesse a pennello, ma andava abbastanza bene. Quando si voltò a guardarmi, i suoi occhiali scintillarono riflettendo la luce proveniente dalla finestra. «Oh, sei tu» disse, senza esprimere nessuna emozione che rivelasse se era contento o no di vedermi. Era in piedi accanto alla finestra, intento ad abbozzare un disegno. Stinnes aveva quarant'anni, una figura sottile e ossuta con lineamenti slavi e occhiali rotondi con la montatura d'oro dietro i quali sfavillavano un paio d'occhi pronti e intelligenti, che davano un'espressione dura a un viso altrimenti non definibile. Avrebbe potuto essere preso per un distratto professore, ma Sadoff - che nella sua attività di agente operativo preferiva il nome di Stinnes - fino a poche settimane prima era stato un maggiore del KGB. Sposato due volte, con un figlio ormai adulto che stava cercando di entrare all'Università di Mosca, aveva disertato, al contempo sbarazzandosi di una moglie fastidiosa e ottenendo un quarto di milione di dollari per i suoi servizi. Un uomo simile aveva il tempo dalla sua parte; era giovanile ed era russo. Sarebbe stato da imbecilli credere che "lasciarlo cuocere nel suo brodo per qualche giorno» potesse avere qualche effetto su di lui.
Non aveva mai avuto un aspetto più rilassato. Andai a vedere il suo disegno. Doveva aver trascorso gran parte delle ore di luce alla finestra. C'era una copia del Reader's Digest Book of British birds con pezzetti di carta a fare da segnalibro e un quaderno zeppo della sua scrittura aguzza. Aveva diligentemente annotato gli uccelli che aveva avuto occasione di osservare. Una guida all'osservazione degli uccelli era stata la prima cosa che aveva chiesto arrivando a Berwick House.
Aveva chiesto anche un binocolo, ma glielo avevano rifiutato. Si era discusso se gli interessi ornitologici di Erich erano genuini o se esisteva qualche altra ragione per volere un binocolo. Se era un pretesto, gli aveva certamente dedicato un bel po' di tempo e di energie. C'erano anche disegni di uccelli appena abbozzati e annotazioni sul loro canto. Ma le sue osservazioni non si limitavano all'ornitologia. Aveva fissato un pezzo di carta al ripiano estraibile di uno scaffale e lo aveva appoggiato contro l'intelaiatura della finestra. Ne era venuto fuori un rudimentale cavalletto che gli permetteva di disegnare il paesaggio così come lo si vedeva dalla sua camera. La carta era quella marrone, da pacchi, e per disegnare usava un vecchio mozzicone di matita e una stilografica. «Non sapevo che tu fossi un artista, Erich... La prospettiva è proprio quella. Però, gli alberi non mi convincono troppo.»
«Ho sempre avuto difficoltà con gli alberi» confessò lui. «Se sono spogli, sono abbastanza facili, ma i sempreverdi sono difficili da disegnare.» Pensoso, aggiunse ancora un paio di tocchi alla linea degli alberi che sormontavano la collina oltre il villaggio. «Ti piace?» domandò, indicando il disegno con la mano senza alzare gli occhi. «A me, molto» dissi. «Ma non piacerà a quelli di sotto.»
«No?»
«Penseranno che comprometti la sicurezza disegnando il fossato e il terreno tutt'intorno e i muri e ciò che c'è oltre.»
«E allora perché mi hanno messo al secondo piano? Se non volevano che vedessi oltre il muro, perché mettermi qui?»
«Non lo so proprio, Erich. Tenerti qui non è stata certo un'idea mia.»
«Tu mi avresti messo in un albergo a quattro stelle, immagino?»
«Qualcosa del genere» ammisi. Scosse le spalle per farmi capire che non mi credeva. «Qui può andare. Il cibo è buono, la stanza è riscaldata, e posso fare un bagno caldo ogni volta che lo desidero. É ciò che mi aspettavo... meglio di quel che temevo potesse essere.» Tutto questo non collimava con quanto Bret aveva detto di Stinnes e delle sue lamentele.
Senza preamboli dissi: «Hanno rilasciato il segretario. Motivi politici: Bonn. Avevamo prove sufficienti, ma è stata presa la decisione politica di lasciarlo andare. Abbiamo beccato anche il corriere. All'inizio pensavo avessimo messo le mani su un organizzatore dell'operazione, ma era solo un corriere.»
«Che nome?» domandò Stinnes, continuando a osservare il paesaggio che aveva disegnato. «Muller, una donna. La conosci?»
«L'ho vista una volta. Iscritta al Partito, una fanatica. Non mi piace che strumentalizzino la gente a quel modo.» Mi mise la matita sotto il naso. «Hai un temperino?»
«Operatore radio» suggerii. Mi domandavo se si divertiva a tenere per sé qualche dettaglio in modo che io mi sentissi gratificato quando riuscivo a tirarglielo fuori. Non mostrò certo nessuna reticenza nel dirmi il resto di ciò che sapeva. «Esatto. Venne a fare il corso a Potsdam. Fu allora che la conobbi. Inutile dirlo, lei non sapeva che io ero negli Alti Comandi.»
«Il suo lavoro era far uscire informazioni da Londra, e probabilmente le passava per le mani il materiale di mia moglie.»
«Sei sicuro?» Prese il mio coltellino dell'esercito svizzero e rifece la punta alla matita con grande cura. «Se uso la lametta, poi non riesco più a farmi la barba. Me ne passano una sola la settimana, e si portano sempre via quella vecchia.»
«É solo un'idea» ammisi. «Fatti crescere la barba.»
«Probabilmente è una buona idea. Nel nostro sistema teniamo il settore Comunicazioni completamente separato dall'Operazioni, cosicché non te lo posso dire con certezza.» Mi restituì il temperino e provò la matita sul margine del disegno. Fece una quantità di minuti scarabocchi, consumando la mina in modo da ottenere una punta particolarmente affilata. Poi tornò a lavorare agli alberi. «Con due nomi in codice?» domandai. «Un solo agente con due codici? E possibile?» Stinnes smise di giocherellare col disegno e mi guardò aggrottando le ciglia, tentando di capire dove volevo arrivare. «Certo, il personale del Comunicazioni fa a modo proprio. Hanno idee strane d'ogni genere, ma questa non l'avevo mai sentita.»
«E il materiale ha continuato ad arrivare anche dopo la defezione di mia moglie.» Sorrise. Un sorriso torvo che non si estese fino agli occhi gelidi. «É la Muller che lo sostiene?»
«Sì, è questo ciò che dice.» Mantenni il tempo presente. Non volevo sapesse che la donna era perduta per noi. «É matta.» Guardò di nuovo il disegno. Non parlai. Sapevo che stava riflettendo su tutta la faccenda.
«Oh, potrebbe aver ricevuto altro materiale, ma gli operatori non sanno mai che differenza passa fra la roba di prima qualità e la spazzatura quotidiana. La Muller ti sta facendo fesso. Che sta cercando di ottenere da te?» Fece gli alberi un po' più alti. Così andava meglio. Poi aumentò il tratteggio del muro, scurendolo un po'. «Pensa, Erich. É importante.» Mi guardò. «Importante? Stai cercando di convincere te stesso che c'è un altro dei nostri rintanato nella Centrale di Londra?»
«Voglio sapere» dissi. «Vuoi essere tu a fare il nome. E questo che intendi?» Mi guardò negli occhi e si lisciò contro la testa i capelli che stavano facendosi radi. Erano capelli sottili, e alla luce della finestra parevano un'aureola. «Sì, in parte» ammisi. «Me lo avrebbero detto.» Si premette la punta aguzza della matita contro il palmo della mano, non una ma più volte, come un geniere che sonda il terreno con cautela in cerca di mine nascoste. «Se alla Centrale ci fosse un altro agente ben piazzato, me lo avrebbero detto.»
«Supponi che la Muller avesse un regolare traffico diretto con Mosca.»
«Probabilissimo. Ma me lo avrebbero detto. Ero il numero uno a Berlino.
Lo avrei saputo.» Smise di giocherellare con la matita e se la infilò nel taschino della giacca. «La Muller sta cercando di farti girare in tondo. Ti consiglierei di non prendere in considerazione ipotesi di un altro agente del KGB a Londra. É il genere di domanda che a Mosca piacerebbe che tu incominciassi a porti.»
«Hai abbastanza da leggere?»
«Ho la Bibbia. Mi hanno dato una Bibbia.»
«É questo che stai leggendo, la Bibbia?»
«Mi ha sempre interessato, e leggerla in inglese mi aiuta a imparare.
Sto iniziando a pensare che il cristianesimo abbia molto in comune col marxismo - leninismo.»
«Per esempio?»
«Dio è il materialismo dialettico; Cristo è Carlo Marx; la Chiesa è il Partito, gli eletti sono il proletariato e il Secondo Avvento è la Rivoluzione.» Mi guardò e sorrise. «E paradiso e inferno come rientrano in questo quadro?» domandai. Rifletté un attimo. «Il paradiso è il millennio socialista, naturalmente. Penso che l'inferno debba essere la punizione per i capitalisti.»
«Bravo, Erich!»
«Lo sai che una volta ero alla Sezione 44?» La Sezione 44 era l'Ufficio Affari Religiosi del KGB. «Era nel tuo dossier» dissi. «Te ne andasti nel momento sbagliato, Erich.»
«Per via della Polonia, vuoi dire? Sì. Adesso, quello che dirige la Sezione 44 è generale. Ma io non avrei mai avuto una promozione simile.
Mi avrebbero fatto passare davanti gente che ne sapeva meno di me. Se fossi rimasto, continuerei a essere tenente. É così che vanno le cose in Russia.»
«É così che vanno dappertutto. Quindi, la Bibbia ti basta?»
«Qualche libro sarebbe bene accetto.»
«Vedrò cosa posso fare» promisi. «E vedrò se riesco a farti portare in un altro posto un po' più confortevole, ma forse ci vuole tempo.» Mi tolsi di tasca cinque piccole confezioni di sigari. Puzzavano, e non avevo voluto dargli la possibilità di accenderne uno prima di andarmene.
«Che cosa è il tempo?» Voltò in su il palmo di entrambe le mani. Non c'era umorismo nel suo gesto: solo sprezzante derisione.
«Dovevi proprio dirgli che Bonn ha ordinato il rilascio di quel tipo?» commentò Bret. Era in piedi nella stanza della sorveglianza con le cuffie in mano. «Questo è mandare in malora la sicurezza, Bernard.
Abbiamo fatto una fatica boia perché non comparisse sui giornali.» Era una minuscola stanza male illuminata, dove c'era appena lo spazio sufficiente per le apparecchiature radio e TV, anche se oggi non c'era nulla inserito, a eccezione del collegamento coi microfoni del secondo piano. «Avrai anche fatto una fatica boia, ma ogni reporter lo sa, quindi non credere che a Mosca si stiano rompendo la testa. è un traffico a due sensi di marcia, Bret. Stinnes si deve sentire parte di ciò che succede.»
«Avresti dovuto fare più pressione. Era per questo che ti volevo, perché contribuissi ad accelerare l'interrogatorio.»
«Lo farò, ma l'interrogatore non sono io, e in un breve colloquio non posso annullare gli effetti di settimane di stupidità, Bret. Questo lo si ottiene con la calma. Lasciamelo portare fuori di qui e stabilire un rapporto di collaborazione.»
«Quasi non valeva la pena di venire fin qui» si lamentò Bret, posando le cuffie sullo scaffale e spegnendo la luce. «Avrei potuto sbrigare un sacco di lavoro questo pomeriggio.»
«E quello che ti ho detto anch'io, ma tu hai insistito per venire con me.»
«Non so mai che cosa potresti combinare quando sei solo.» L'unica luce proveniva da un piccolo lucernario malinconico, e il viso di Bret era completamente in ombra. Si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, tenendo aperto il cappotto di lana scura. Questo atteggiamento aggressivo, gli abiti e l'illuminazione lo facevano somigliare a un fotogramma di un vecchio film di gangster. «Il che mi induce a domandarmi perché hai scelto me come collaboratore in questo caso» chiesi. Questo era vero, maledettamente, vero. Mi guardò come se stesse decidendo se valeva la pena di darmi una risposta soddisfacente. Poi disse: «Non c'è nessuno nella Sezione Tedesca che abbia un'esperienza sul campo paragonabile alla tua. Sei brillante come il diavolo, nonostante ti manchino gli studi e nonostante il fastidio che questo ti dà. Per quanto concerne la Sezione Tedesca, hai le tue fonti di informazioni non ufficiali, e spesso riesci a tirare fuori del materiale che nessun altro potrebbe procurarsi. Sei schietto. Prendi la tua decisione e scrivi i tuoi rapporti fregandotene totalmente di che cosa gli altri vorrebbero sentirsi dire. E questo mi piace.» Si fermò e accennò a piegare la gamba, come se il ginocchio malato gli desse fastidio. «D'altra parte, anteponi te stesso e i tuoi problemi personali al Dipartimento. Sei terribilmente maleducato e io, al contrario di altri, non trovo divertenti le tue osservazioni sarcastiche. Sei insubordinato fino all'arroganza. Sei egoista, spericolato, e non la finisci mai di lamentarti.»
«Tu devi aver letto le mie lettere, Bret» dissi. Era stato interessante constatare che Bret non aveva fatto commenti su cosa Stinnes aveva detto della Muller o sull'ipotesi che il KGB avesse un altro agente alla Centrale. Forse pensava che fosse semplicemente il mio modo di far parlare Stinnes.