CAPITOLO 9

 

 

Mi identificavo con Stinnes. Era un tipo gelido, eppure lo percepivo come uno simile a me.

Suo padre era stato un soldato russo che aveva fatto parte delle forze di occupazione a Berlino ed egli, come me, era stato allevato come un tedesco. Poi mi sentivo vicino a lui per il modo in cui le nostre vie si erano sovrapposte da quando mi aveva fatto arrestare a Berlino Est. Io lo avevo persuaso a passare dalla nostra parte, lo avevo rassicurato circa il trattamento che avrebbe ricevuto e lo avevo personalmente scortato a Londra da Città del Messico. Rispettavo la sua professionalità, e ciò dava un'impronta particolare a tutti i miei pensieri e a tutte le mie azioni. Ma non potevo dire che mi piacesse realmente, e anche questo influiva sui miei giudizi. Non riuscivo a capire appieno l'indubbio successo che aveva con le donne. Che diavolo vedevano in lui? Le donne sono sempre attratte dalla decisione e dalla forza virili, dall'abilità organizzativa e da quella sorta di fiducia in sé che lascia tutto non detto. Stinnes possedeva tutto ciò in abbondanza. Ma non mostrava nessuna delle altre caratteristiche che ordinariamente si incontrano nei donnaioli: niente allegria, niente esibizionismo, niente storielle divertenti, nessuno dei gesti o dei movimenti del corpo grazie ai quali così spesso le donne ricordano. coloro che un giorno amarono. E non aveva niente di quel calore umano che rende così facile iniziare una relazione e così difficile uscirne: niente autoironia, nessuna aperta ammissione dei propri insuccessi; solo quegli occhi gelidi, la mente calcolatrice e il viso imperscrutabile. Il suo sangue freddo si rivelava particolarmente quando era al lavoro.

Forse ciò aveva qualcosa a che fare col suo essere donnaiolo, poiché il donnaiolo è distruttivo, la roccia contro la quale donne disperate si annientano. Ma non si poteva ignorare l'energia dinamica che era evidente in quel corpo all'apparenza inerte. Stinnes aveva qualità di attore, una volontà quasi ipnotica che si attivava come un raggio laser.

Una simile disposizione alla crudeltà si trova nelle grandi stelle di Hollywood, in certi uomini politici fortemente idealisti, e ancor più spesso, sotto forma di serpeggiante brutalità, nei comici che intimoriscono il pubblico inducendolo a ridere alle loro mediocri battute. Non provavo queste sensazioni riguardo a Bret Rensselaer, la cui, personalità era completamente diversa. Bret non era un professionista dallo sguardo duro come Stinnes. A parte il suo tedesco insufficiente, Bret non avrebbe mai potuto essere un agente operativo, poiché non sarebbe mai stato in grado di sopportare squallore e sconforto. E Bret non avrebbe mai potuto essere un buon agente operativo per la stessa ragione per cui tanti altri americani fallivano in quel ruolo: Bret amava mettersi in mostra. Era un animale sociale desideroso di essere notato. Quell'atteggiamento dimesso e furtivo che, in una società ancora essenzialmente feudale, viene insegnato a tutti gli europei, non è per nulla spontaneo agli americani. Bret sembrava aver avuto un numero interminabile di donne da quando sua moglie l'aveva lasciato, ma la sua abilità nell'affascinare era di facile comprensione, persino da parte di coloro che erano inaccessibili al suo fascino.

Nonostante l'età era fisicamente attraente, spendeva volentieri il proprio denaro ed era una compagnia divertente. Amava il cibo e il vino, la musica e il cinema. E faceva tutte le cose che i ricchi sanno sempre fare: sciava, sparava, faceva vela e cavalcava; e anche se il ristorante era affollato, riusciva sempre a farsi servire. In passato, io avevo già pagato per la mia diversità rispetto a Bret; avevo sofferto le sue insultanti esplosioni e ammirato, seppure di malavoglia, la sua ostinazione, ma non era un arido burocrate. Se lo si coglieva nel momento giusto, sapeva essere informale e avvicinabile come nessuno degli altri funzionari di grado superiore. Ancora più importante. Bret aveva il talento - squisitamente americano - dell'elasticità, la disponibilità a provare qualsiasi cosa promettesse di risolvere un problema di lavoro. E di lavoro ne faceva tanto, cosa di cui gli riconoscevo il credito dovuto; è per questo che, quando cominciai a pormi delle domande sulla sua lealtà, trascinai le indagini con estrema lentezza. Bret Rensselaer aveva il mento sporgente e i lineamenti marcati ed eternamente giovani dell'eroe dei fumetti.

Come gran parte degli americani si preoccupava del proprio peso, della propria salute e dei propri vestiti in una misura che i suoi colleghi inglesi consideravano inaccettabilmente straniera. Gli alti funzionari della Centrale di Londra - tutti provenienti dalle più prestigiose università del paese - spendevano esattamente quanto lui in completi Savile Row, in camicie confezionate a mano e in scarpe acquistate in Jermyn Street, ma li indossavano con quella negligente trascuratezza che era parte essenziale del loro atteggiamento snobistico. Un vero gentiluomo inglese non prova mai: questo era un articolo di fede. E Bret Rensselaer provava. Ma Bret era in grado di ricostruire la storia della sua famiglia fino alla Guerra d'Indipendenza e, ancora più importante, Bret aveva denaro, un mare di denaro. E con ogni genere di snob, il denaro è la carta vincente se la sai giocare bene. Era già nel suo ufficio quando arrivai. Iniziava a lavorare molto presto. Un'altra delle sue caratteristiche di americano. Il fatto che arrivasse presto e la sua puntualità alle riunioni erano universalmente ammirati, quantunque non si possa dire che avesse dato il via a una nuova tendenza. Per questa mattina era stato combinato un incontro nell'ufficio di Bret fra me, Dick Cruyer, Morgan - il tirapiedi del D.G. - e Bret stesso. Ma quando arrivai puntuale - l'essere stati allevati in Germania ingenera nella gente un'assolutamente innaturale decisione a essere puntuale - Morgan non c'era e Dicky non si era ancora visto nel proprio ufficio, men che meno in quello di Bret. L'ufficio di Bret Rensselaer era all'ultimo piano, con quelli di tutti coloro che contavano alla Centrale di Londra.

Dalla sua scrivania si vedeva la parte della città che ospita i parchi: St. James Park, Green Park, il giardino di Buckingham Palace e Hyde Park erano tutti allineati a formare un ininterrotto tappeto verde. In estate era una vista meravigliosa. Anche ora, in inverno, con la foschia prodotta dal fumo dei camini e gli alberi nudi, era assai meglio che ammirare gli archivi ammaccati della mia stanza. Bret stava lavorando.

Era seduto alla scrivania, intento a leggere dei documenti e a cercar di fare in modo che il mondo vi si conformasse. La sua giacca, completa di fazzolettino bianco inamidato che spuntava dal taschino, era accuratamente sistemata sulla spalliera di una sedia che sembrava adibita unicamente per quello scopo. Indossava una cravatta a farfalla di seta grigia e una camicia bianca col monogramma collocato in modo che fosse visibile anche quando portava il panciotto. Il panciotto - "gilè", lo chiamava, naturalmente - era sbottonato, e lui si era arrotolato le maniche della camicia. Bret si era fatto arredare l'ufficio secondo il proprio gusto - il che era una delle prerogative dei funzionari di più alto grado - e ricordo il trambusto che aveva sollevato introducendo il suo arredatore nell'edificio. Qualcuno della Sicurezza Interna, convinto che gli arredatori siano da identificare con una numerosa squadra di operai in tuta bianca, muniti di martello pneumatico, ponteggi e secchi di vernice, aveva sollevato una quantità di obiezioni e di ostacoli. Nel caso specifico si trattava di un delicato omino con la barba, in giacca di tela jeans sulla quale erano stati ricamati motivi floreali, con sotto una maglietta su cui si leggeva spudoratamente «Energia Nucleare No, grazie". Ci volle del bello e del buono per riuscire a fargli superare la guardiola del portiere. Ma i risultati valevano la fatica.

Il pezzo più importante dell'ufficio era un'immensa scrivania col piano di cuoio nero e cristallo e le gambe cromate, importata apposta dalla Danimarca. Il tappeto era grigio scuro e le pareti erano anch'esse grigie, ma in due diverse sfumature. C'era un lungo divano nero, imbottito, dove i visitatori potevano sedere mentre Bret si muoveva sulla sua grossa poltrona rotante e oscillante, in cuoio e cromature come la scrivania. Il principio era che sarebbero stati gli abiti di chi occupava la stanza a fornire tutti i necessari colori. Finché il coloratissimo arredatore barbuto fu nella stanza, l'idea funzionò. Ma Bret era una figura monocroma e si mescolava con l'arredamento come un camaleonte col suo habitat naturale, se non fosse stato per il fatto che i camaleonti si confondono con l'ambiente solo quando impauriti. «Mi prendo Stinnes» mi annunciò senza preamboli quando entrai nel suo ufficio. «Ho sentito che stavano cercando di accollartelo!» dissi. Lui fece un largo sorriso in risposta al mio tentativo di sbatterlo giù.

«Non me lo hanno accollato, amico mio. Io sono molto contento di condurre quest'ultima parte dell'interrogatorio di Stinnes.»

«Bene, allora è semplicemente fantastico» commentai. Guardai l'orologio.

«Sono arrivato troppo presto.» Entrambi sapevamo che non stavo facendo altro che avvelenare il pozzo per Dicky Cruyer e Morgan, ma Bret mi assecondò. «Gli altri sono in ritardo. Sono sempre maledettamente in ritardo.»

«Cominciamo noi?» proposi. «O devo andare a bermi una tazza di caffè?»

«Sta' seduto dove sei, furbone. Se hai un bisogno così urgente di caffè, te lo faccio portare qui.» Premette un pulsante del dittafono bianco e parlò fissando lo sguardo vuoto sull'altra estremità della stanza.

Mandarono caffè per quattro e Bret si alzò e lo versò in tutte e quattro le tazze, in modo che Cruyer e Morgan lo trovassero freddo. Pareva una vendetta infantile, ma forse era l'unica a cui Bret potesse pensare.

Mentre io bevevo il mio, lui guardò fuori della finestra, poi esaminò ciò che aveva sul tavolo e fece ordine. Era un uomo che non stava mai fermo e, nonostante un ginocchio leso, si muoveva in continuazione in tutte le direzioni come un pugile suonato. Fece un giro e si sedette sul bordo della scrivania per bere il caffè, nell'atteggiamento studiato del dirigente informale, lo stesso assunto dai direttori delle grandi compagnie quando si fanno fotografare per la rivista Forbes. Bret e io sedevamo in silenzio a bere il nostro caffè e gli altri due non si erano ancora fatti vivi. «Ho visto Stinnes ieri» disse alla fine, pieno di buona volontà. «Non so che cosa facciano alla gente in quel maledetto Centro Interrogatori, ma era d'umore schifoso e non aveva voglia di collaborare.»

«Dove lo hanno messo, a Berwick House?»

«Sì. Lo sai che il cosiddetto Centro Interrogatori di Londra ha locali fino a Birmingham?»

«Fino all'anno scorso si servivano di un posto in Scozia, poi il D.G. ha stabilito che non potevamo permetterci di perder tempo a viaggiare su e giù.»

«Be', non è che Stinnes si diverta. Non ha fatto altro che lamentarsi.

Ha detto di averci dato tutto quello che era disposto a dare finché non otterrà alcune concessioni. La prima è andare da qualche altra parte. Il «Governatore" - quello che a te non piace, Potter - dice che ha minacciato di fuggire.»

«Come ti sentiresti tu, confinato a Berwick House settimana dopo settimana? è arredata come una pensioncina da due soldi e l'unico divertimento all'aria aperta è passeggiare in un giardino cintato da un muro contando quanti allarmi riesci a far scattare prima che ti ordinino di tornare di nuovo dentro.»

«Parli come uno che è stato rinchiuso lì dentro» osservò Bret. «Non lì, Bret, ma in posti molto simili.»

«Quindi, tu non ce lo avresti portato?»

«Portarlo in un posto del genere?» Non potei fare a meno di sorridere, era così spaventosamente ridicolo. «Hai dato un'occhiata al personale del Centro Interrogatori ultimamente?» gli domandai. «Sai dove reclutano quella gente? In gran parte sono ex impiegati, licenziati per eccesso di personale, del famoso Ufficio Dazi e Dogane di Sua Maestà. E quel ciccione che ora viene ufficialmente chiamato Governatore - fermami se ti viene mal di stomaco a forza di ridere - è arrivato dall'Ufficio Imposte sul Reddito di West Hartlepool. No, Bret, io non avrei messo quel povero bastardo a Berwick House. Non ci avrei messo nemmeno Stalin.»

«Be', di' quello che devi» fece Bret sforzandosi di non perdere la pazienza. Scivolò giù dal bordo della scrivania e stiracchiò le spalle come se stesse irrigidendosi. «Non è che io ci abbia pensato molto, Bret. Ma se volessi la collaborazione di qualcuno, lo metterei in un posto dove si trovasse bene. Lo metterei nella suite Oliver Messel al Dorchester Hotel.»

«Faresti così, eh?» Sapeva che stavo cercando di punzecchiarlo. «E sai una cosa, Bret? Il Dorchester costerebbe al contribuente solo una piccola parte del costo per il mantenimento di Berwick House. Quante guardie e impiegati ci sono, adesso?»

«E come impedirgli di uscire dal Dorchester?»

«Via, Bret, forse uno non vorrebbe fuggire dal Dorchester nello stesso modo in cui vuole fuggire da Berwick House.» Bret si chinò in avanti per osservarmi meglio. «Io ascolto tutto ciò che dici, ma non sono mai totalmente sicuro che tu creda davvero a tutte le balle che mi racconti.» Non risposi. Poi aggiunse: «Non ricordo di aver sentito nessuna di queste teorie quando Giles Trent era custodito a Berwick House. Tu sei quello che aveva detto che non bisognava permettergli di fumare e avevi disposto che gli dessero pigiami troppo piccoli e coi bottoni mancanti e una vestaglia di cotone tutta rattoppata, senza cintura»

«Questo è il procedimento consueto per tutti gli interrogati. Gesù, Bret, tu conosci bene il motivo: è per farli sentire in inferiorità. Non è stata una mia idea. É roba vecchia come il cucco.»

«A Stinnes la suite Oliver Messel e a Trent nemmeno i bottoni del pigiama? Che mi stai dicendo?»

«Stinnes non è un prigioniero. è venuto da noi di sua volontà. Dovremmo lusingarlo e farlo sentire a proprio agio. Dovremmo creargli una disposizione d'animo tale da fargli desiderare di darci il cento per cento.»

«Forse.»

«E Stinnes è un professionista... un ex agente operativo, non un mezzemaniche arrivista come Trent. E Stinnes conosce a fondo il proprio lavoro. Sa benissimo che non gli strapperemo le unghie e non gli metteremo elettrodi dove fa più male. Lui ha l'asso nella manica, e finché non gli daremo qualcosa resterà muto.»

«Hai discusso questa cosa con Dicky?» mi domandò. Mi strinsi nelle spalle. Bret sapeva che Dicky non voleva sentir parlare di Stinnes; lo aveva detto chiaro a tutti. «Non c'è ragione di lasciar raffreddare il resto del caffè» feci. «Ti spiace se prendo la tazza di Dicky?» La spinse verso di me e, guardando di nuovo in direzione della porta continuò: «Non occorrerebbe nemmeno un'idea grandiosa per migliorare la situazione attuale»

«É muto?»

«Per le prime due settimane è andato tutto bene. L'interrogatore anziano - Landbrook, l'ex poliziotto - sa il fatto suo. Ma non sa abbastanza del nostro scopo finale. Si è sentito in alto mare, e Stinnes, dall'arresto di Berlino, è diventato sempre più difficile. è molto deluso, Bernard. La luna di miele è passata e ora è piombato nella malinconia post - luna - di - miele.»

«No, non dirmi, Bret.» Mi portai una mano alla testa come sul punto di ricordare qualcosa di importante. «La "luna di miele» e la "malinconia post - luna - di - miele"... Riconosco queste espressioni così ispirate... c'è un tocco di Hemingway, oppure è Shelley? Quale artefice di parole dalla lingua dorata ti ha suggerito che Stinnes era nella - com'è che ha detto? - la malinconia post - luna - di - miele? Devo prender nota per non dimenticarmelo. è stato il vice Governatore, quello con la barba e il bassotto incontinente che caga sul tappeto? Gesù, se solo potessi mettere nei miei rapporti roba del genere, a quest'ora sarei D.G.» Bret mi guardò e, furibondo, si morse il labbro. Era inferocito contro di me, ma lo era ancor più contro se stesso per aver ripetuto tutte le fesserie che quelli del Centro Interrogatori tiravano fuori per coprire la loro totale incompetenza. «E allora, dove potremmo portarlo? Tecnicamente, è affidato in custodia al Centro Interrogatori.»

«Lo so, Bret. E a questo punto tu mi ripeterai che è necessario continuare a fingere di interrogarlo circa la mia lealtà, nel caso in cui il Ministero dell'Interno cominci a pestare i piedi per farlo trasferire al MI5.»

«É la verità» disse lui. «Indipendentemente da quanto poco possa piacerti, tu sei la nostra sola scusa per trattenerlo.»

«Stronzate! Anche se il Ministero dell'Interno cominciasse a chiedercelo oggi, ci vorrebbero tre mesi per far pervenire i documenti attraverso i canali ordinari, e quattro o cinque mesi nel caso si voglia tirarla per le lunghe.»

«Non è così. Potrei nominarti tre o quattro persone consegnate al Cinque nel corso di due - tre settimane dalla loro entrata nel Regno Unito.»

«Io sto parlando dei documenti, Bret. Fino a ora li abbiamo quasi sempre lasciati andare perché non ci interessavano. Ma i documenti che rendono imprescindibile il trasferimento richiedono una media di tre mesi.»

«Non voglio discutere con te. Suppongo che dal tuo posto tu veda più documenti di me.»

«Oh, gente, se ne vedo!» Guardò l'orologio. «Se non arrivano per le nove, dovremo rimandare a più tardi. Ho un incontro nella sala delle riunioni alle dieci meno un quarto.» Ma non appena l'ebbe detto, Dicky Cruyer e Morgan entrarono, parlando animatamente e in tono follemente amichevole. Io rimasi sconcertato a questa rumorosa esibizione, poiché detestavo Morgan quanto nessun altro in quegli uffici. Morgan era l'unica persona la cui paternalistica superiorità mi portava sull'orlo della violenza fisica. «E che succede se ti riporto a casa oltre la mezzanotte?» domandò Dicky col tono di voce basso e morbido che usava dopo che la gente aveva riso a un paio delle sue battute. «Ti trasformi in una zucca o qualcosa del genere?» Risero entrambi. Forse non stava parlando di Tessa, ma mi venne la nausea a pensarla in compagnia di Dicky Cruyer e all'idea di quanto infelice si sentisse George. Senza una parola di saluto, Bret indicò con l'indice il divano di pelle nera e i due sedettero. Ciò parve restituire a entrambi un po' di compostezza e spinse addirittura Dicky a scusarsi per il ritardo. Morgan aveva con sé una cartelletta azzurra, rigida; se la mise in equilibrio sulle ginocchia e tirò fuori un foglio di carta e una sottile penna d'oro.

Dicky aveva la valigetta di Gucci con la cerniera lampo che aveva portato da Los Angeles. Dalla valigetta tolse uno spesso fascio di carte varie che parevano l'intero contenuto del suo cestino della posta in arrivo. Sospettai che avesse intenzione di scaricarmele addosso, come faceva abitualmente. Ma lui dedicò qualche attimo a rimetterle in ordine per far vedere quanto preparato fosse per questa riunione di lavoro. «Ho un importante appuntamento fra poco» iniziò Bret. «quindi lasciamo perdere i convenevoli e dedichiamoci al lavoro.» Tese la mano verso il foglio dell'ordine del giorno e, dopo essersi sistemato gli occhiali, ce lo lesse ad alta voce. Bret era deciso ad assumere immediatamente il controllo della riunione. La sua superiorità gerarchica era indubbia, ma aveva tutto da temere da entrambi. L'insidiosa tattica di Morgan, che sfruttava il suo ruolo di assistente del D.G. per manipolare tutti e tutto, era ben nota. Quanto a Dicky Cruyer, Bret aveva tentato di sottrargli l'ufficio tedesco ed era stato rintuzzato colpo su colpo.

Osservando il modo in cui Dicky stava ingraziandosi Morgan, cominciai a valutare quanto Bret era stato surclassato nelle manovre. «Se devi andare, Bret, possiamo sospendere la riunione, spostarci nel mio ufficio e finire lì» offrì Morgan, affabile. Il suo viso era molto pallido e tondo e gli occhi piccoli, come chicchi d'uva passa in una ciotola di pudding di riso. Aveva un forte, cantilenante accento del Galles. Mi domandai se fosse stato sempre così o se volesse essere individuato come il ragazzo di provincia che aveva fatto strada. «Chi firmerebbe le minute?» disse Bret, respingendo con eleganza il tentativo di Morgan di metterlo da parte. «No, farò in modo che tutto sia finito in tempo.» Era una riunione di routine per decidere su alcuni stanziamenti supplementari a favore delle varie aree operative tedesche le quali, sotto l'aspetto finanziario, avevano attraversato un periodo particolarmente difficile poiché gli stanziamenti non avevano tenuto dietro alle innumerevoli rivalutazioni che avevano fatto salire il marco. Bret inforcò gli occhiali per leggere l'ordine del giorno e procedette a rotta di collo, tagliando corto con tutte le digressioni di Dicky e le domande di Morgan. Quando tutto fu terminato, Bret si alzò.

«Ho accettato l'invito del D.G. a sovrintendere all'interrogatorio di Stinnes». annunciò anche se, a quel punto, i presenti, se non l'intero edificio, ne fossero già al corrente. «Intendo chiedere di essere assistito da Bernard.»

«Non è possibile» saltò su Dicky, reagendo come un gatto scottato. Aveva improvvisamente intravisto l'ingrata prospettiva di essere costretto a sbrigare da sé il lavoro riguardante l'ufficio tedesco, invece di passarlo a me mentre lui cercava di trovare nuove voci da inserire nel conto spese. «Bernard ha un mucchio di lavoro arretrato. Non potrei fare a meno di lui.»

«Avrà tempo sufficiente anche per altro lavoro» fece Bret tranquillo.

«Voglio solo che mi consigli. Ha delle idee che mi piacciono.» Mi guardò e sorrise, ma io non sapevo con certezza a quale proposito sorridesse.

Morgan intervenne: «Quando ho offerto aiuto, non intendevo un funzionario di grado elevato. E certamente non un tecnico come Bernard».

«Be', non sapevo che tu mi avessi mai offerto qualcosa» osservò Bret gelidamente. «Avevo l'impressione che fosse sempre il D.G. a dirigere il Dipartimento.»

«Un lapsus, Bret» disse Morgan conciliante. «Bernard è la sola persona che può sbloccare i problemi che il Centro Interrogatori ha attualmente con Stinnes.» Bret stava distribuendo i ruoli. I problemi con Stinnes sarebbero rimasti problemi del CI, non di Bret, e i ripetuti fallimenti nel risolverli sarebbero stati miei. «É semplicemente impossibile» ripeté Dicky Cruyer. «Non voglio apparire quello poco desideroso di cooperare, ma se il D.G. continuerà a insistere, sarò costretto a spiegargli esattamente che cosa c'è in gioco.» Tradotto, significava che se Bret non l'avesse piantata, lui avrebbe indotto Morgan a fingere che l'ordine di piantarla venisse dal D.G. «Dovrai affrontare il tuo problema procurandoti un aiuto temporaneo, Dicky» rispose Bret. «Questa particolare faccenda è già risolta. Ieri ho parlato col D.G. al Traveller's Club; l'ho incontrato per caso e mi è parsa una buona occasione per parlare della situazione attuale. Il D.G. ha detto che potevo prendermi chi desideravo. Anzi, non sono certo che non sia stato Sir Henry a fare per primo il nome di Bernard nel corso della conversazione.» Guardò l'orologio, sorrise a tutti e si tolse gli occhiali da poliziotto motociclista. «Devo andare. La prossima è una riunione veramente importante.» Non come questa che stava per lasciare, che era implicitamente una riunione veramente poco importante. Era la volta di Morgan di fare dell'ostruzionismo. «Stai trascurando un paio di cosette, Bret» disse col suo cadenzato accento gallese più che mai evidente. «Ciò che andiamo a raccontare in giro è che tratteniamo Stinnes esclusivamente per indagare su possibili scorrettezze di Bernard. Come potremo spiegare la sua presenza a Berwick House in qualità di funzionario incaricato delle indagini?» Bret si spostò da dietro la scrivania verso di noi. Tutti eravamo in piedi, l'uno vicino all'altro. Pareva a corto di argomentazioni. Si srotolò lentamente le maniche concentrandosi totalmente nell'operazione di spingere i gemelli d'oro attraverso gli occhielli. Forse non aveva fatto i conti con una simile obiezione. Quantunque, fino a quel punto, avessi avuto riserve riguardo all'opportunità di entrare nel gruppo di Bret Rensselaer, ora vedevo la necessità di esternare il mio punto di vista, se non altro per autoconservazione. «Le menzogne che tu racconti per trattenere Stinnes sono un problema tuo, Morgan» feci. «Io non sono mai stato consultato al riguardo, e non vedo perché si debbano prendere decisioni di carattere operativo al solo scopo di avvalorare le tue insostenibili storie fantastiche.» Bret prese l'imbeccata dal mio discorso. «Ma certo, perché Bernard dovrebbe levarsi di mezzo senza protestare per togliere le castagne dal fuoco a te?» disse. «Bernard è l'unico che sia stato vicino a Stinnes. Conosce i suoi motivi come nessun altro di noi. Non lasciamo che sia la coda a dimenare il cane. Eh?» "eh" era indirizzato a Morgan nel suo ruolo di coda. «Il D.G. non sarà contento» minacciò Morgan. Si lisciò la cravatta. Era un gesto nervoso, e altrettanto fu lo sguardo che lanciò in direzione di Dicky. O in quella che avrebbe dovuto essere la direzione di Dicky, senonché questi era tornato al divano ed era tutto indaffarato a raccogliere, e contare, i plichi di documenti che non avevamo discusso. Anche se erano soltanto scartoffie che egli portava con sé per apparire oberato di lavoro, quando sorgeva una discussione come questa, lui sapeva come diventare improvvisamente occupatissimo e in tal modo tenersi alla larga dalle fazioni in conflitto. Bret andò alla sedia dove aveva ordinatamente appoggiato la giacca e se la infilò senza fretta. Tirò fuori i polsini dalle maniche e si aggiustò il nodo della cravatta. «Ne ho già discusso con lui, Morgan» disse. Poi respirò profondamente. Fino a ora si era mantenuto calmo e composto, ma era sul punto di esplodere. Conoscevo i segnali. Senza alzare troppo la voce continuò: «Non ho mai voluto assumermi responsabilità per la questione Stinnes e tu lo sai meglio di chiunque altro, visto che sei stato tu a rompermi le scatole perché lo facessi.

Ma ora ho detto di sì e ho cominciato a lavorare.» Respirò profondamente un'altra volta. Avevo già assistito a qualcosa di simile. Bret non aveva bisogno di respirare profondamente, ma in questo modo dava agli spettatori innervositi l'impressione d'essere sul punto di fare a pugni.

Nel caso specifico, cacciò l'indice nel petto di Morgan. «Se mi mandi a puttane questo affare, io ti strappo le palle. E non tornare qui strisciando, portandomi due righe di istruzioni scritte a mano e siglate dal vecchio. La sola cosa che riusciresti a cambiare è che ti restituirei immediatamente questo schifoso incarico, che non è del genere sul quale si costruiscono le carriere. Te ne accorgerai, Morgan, se sarai così stupido di cercare di appropriartene.»

«Calma, Bret» intervenne Dicky in tono neutro, alzando appena lo sguardo dalle carte ma senza entrare nel raggio d'azione dell'ira di quello.

Bret era davvero infuriato. Questo era qualcosa di più di uno dei suoi capricci, e mi domandai che cos'altro ci potesse essere dietro. Aveva i lineamenti tesi e la bocca contratta come se avesse in mente di continuare, poi sembrò cambiare idea. Con le dita sfiorò il taschino della giacca per assicurarsi di non aver dimenticato gli occhiali e uscì a grandi passi dalla stanza senza voltarsi a guardare nessuno. Morgan sembrava scosso da quell'esplosione. Aveva già assistito a sfuriate simili, ma non era stata la stessa cosa che esserne il destinatario, come io ben sapevo. Dicky ricontò i fogli ancora una volta, attenendosi rigidamente alla propria neutralità. Questo round era stato vinto da Bret, ma solo ai punti, e Bret non era così stupido - o così americano - da credere che un paio di rapidi colpi al corpo potessero decidere le sorti del match contro questi due picchiatori. Avere la meglio in una piccola discussione con la mafia delle università prestigiose della Centrale di Londra, era come assestare un colpo contro il pesante sacco di cuoio del pugile: l'effetto visibile era alquanto modesto, e due minuti dopo l'oscillazione del marchingegno ti metteva k.o. Quando Bret se ne fu andato, rimanemmo in silenzio. Mi sentivo come Cenerentola abbandonata dalla fata madrina, alla mercé delle sorelle cattive. A conferma di questi timori, Dicky mi consegnò le carte, che erano davvero il contenuto del suo cestino della posta in arrivo, dicendomi che avrei dovuto dare un'occhiata e riportare il tutto nel pomeriggio. Poi guardò Morgan e disse: «Bret non è lo stesso in questi giorni»

«É comprensibile» rispose Morgan. «Ha avuto la vita difficile ultimamente. Da quando ha perduto il Comitato d'Informazioni Economiche, non si è mai più rimesso in carreggiata.»

«Secondo certe voci, Bret avrà Berlino quando Frank Harrington se ne andrà» osservò Dicky. «Non senza il tuo beneplacito, Dicky» rispose Morgan. «Il D.G. non metterebbe mai a Berlino uno col quale avresti difficoltà a collaborare. Tu vuoi Bret a Berlino?» Ah! Era così. Era evidente ciò che Dicky avrebbe potuto guadagnare tenendosi buono Morgan, ma ora capivo che cosa Morgan avrebbe potuto chiedere in cambio. Dicky bofonchiò qualcosa riguardo al fatto che si trattava di un problema remoto, il che era un modo per evitare una domanda che Morgan avrebbe continuato a porgli più e più volte, fino a quando avesse accettato un "no" in risposta.