Capitolo 19


TRAPPOLA MORTALE

 

Marika e Jake fecero tre gradini su per la scala del sotterraneo. Pindoro si allontanò dalla porta chiusa e li raggiunse.

Non c'era modo di uscire da quella parte. Jake rimase immobile sul gradino. Non voleva ritrovarsi intrappolato su quella scala, quando gli altri pungicoda fossero sbucati in volo dall'oscurità.

Avevano bisogno di trovare un'arma... e una luce.

Poi Jake si ricordò. Dopo il disastro su all'Astromicon, si era ficcato la torcia nei pantaloni. Armeggiò per cercare di aprire la tasca e alla fine, non riuscendoci, la strappò con impazienza. Il bottone venne via con uno schiocco, volando attraverso la stanza.

Jake tirò fuori la torcia e premette l'interruttore. L'oscurità venne interrotta da una lama di vivida luce. Colto di sorpresa, Pindoro trattenne il respiro, e rischiò quasi di finire dritto per terra.

Marika si aggrappò al braccio di Jake.

All'accendersi repentino della luce, ronzii e raschiamenti si erano fermati.

« Dobbiamo trovare un posto dove nasconderci, dove quei pungicoda non ci possano raggiungere », disse Jake.

« Pindoro aveva ragione quando ha detto che quaggiù è un vero labirinto », osservò Marika. « Ci sono altre stanze, oltre a questa. Se solo potessimo arrivarci... » Ma questo significava attraversare il salone, prima.

Jake deglutì. La torcia emanava solo un sottile fascio luminoso. E l'oscurità che si stendeva tutt'intorno sembrava perfino più nera, adesso. Quando faceva scorrere il raggio per la stanza, si avvertivano ombre che sussultavano e tremolavano. La luce, invece che svelarli, sembrava creare altri nascondigli.

Ma permise anche di scoprire l'esistenza di una porta chiusa, che si trovava esattamente dalla parte opposta rispetto a dove si trovavano loro. Per raggiungerla, avrebbero dovuto fare una corsa. Era la loro unica possibilità. Ma... e se l'avessero trovata chiusa? E se dietro di essa si fossero celate cose orribili, peggio ancora dei pungicoda? Chi poteva sapere che altro nascondeva Zahur nelle gabbie?

In risposta a tutti i dubbi di Jake, si udì un lungo gemito. Si era dimenticato che anche prima aveva sentito quel suono. E sembrava provenire proprio da dietro quella porta laggiù.

« C'è qualcuno, qui », sussurrò Marika.

Ma era una cosa buona o cattiva?

Jake azzardò un passo nel salone. Fece scorrere tutt'intorno il fascio di luce. Perlustrò il pavimento, il piano del tavolo, la volta sopra di loro, con le ombre scure dei puntoni.

Un movimento fulmineo attrasse il suo sguardo verso le luci che pendevano dal soffitto. Una delle catene stava dondolando, e si accorse che attaccata a essa c'era una massa nera.

Jake puntò il raggio contro il pungicoda. Quando la luce lo colpì, le ali del mostro si aprirono di scatto e si mossero con un ronzio furioso, frullando fino a sfocarsi in un'immagine indistinta. La coda appuntita s'incurvò verso l'alto. Irritato dalla luce, il pungicoda lasciò il suo punto d'appoggio e spiccò il volo, lanciandosi in picchiata proprio addosso a Jake.

Lui fece un balzo all'indietro, scontrandosi con Marika e Pindoro. Lo scorpione andò a sbattere nello stesso punto in cui prima si trovava lui... e s'infranse in mille pezzi, come se fosse stato di vetro.

La coda velenosa cadde rimbalzando giù per le scale.

Dopo qualche istante di attonito silenzio, Pindoro chiese: « Che cos'è successo? » Jake allungò una mano, e con un dito diede un colpetto a quella cosa. Era dura come una roccia e gelida. Quell'affare si era solidificato in un blocco di ghiaccio, come se qualcuno l'avesse immerso nell'azoto liquido. Ma chi mai poteva averlo fatto?

« La tua torcia! » disse Marika, rispondendo così alla sua domanda silenziosa.

Il fascio di luce adesso era puntato su una brocca di cristallo piena di fiori che si trovava sul tavolo. Prima i fiori erano freschi, ma ora si erano anneriti, ed erano ricoperti da una crosta di brina. La brocca esplose all'improvviso, facendo tintinnare le schegge di ghiaccio sul tavolo.

« È la tua torcia », insistette Marika. « Quel batterio che ci hai messo dentro! È passato attraverso i macchinari dell'Astromicon. » Jake ripensò a quando aveva messo la batteria nel contenitore di bronzo... insieme con un frammento di cristallo blu, che era noto per le sue capacità di raffreddamento. Aveva pensato che il cristallo si fosse consumato passando attraverso la macchina, ma ora capiva che cosa era realmente successo.

Rosso e verde fanno il giallo.

« La batteria e il cristallo si sono fusi insieme! » Le proprietà del cristallo e l'energia della batteria in qualche modo si erano unite, creando così un raggio di luce dal potere refrigerante.

Jake fece per sollevare la mano verso il raggio in modo da provarne l'effetto, ma Marika gli afferrò il polso. « No, non farlo! » Lui abbassò il braccio. Al buio non era possibile vedere che era arrossito per l'imbarazzo. Che cosa stupida che stava per fare! Le sue dita avrebbero anche potuto staccarsi dalla mano, per effetto del gelo improvviso. Tenne il raggio della torcia puntato davanti a sé. Adesso avevano un'arma... almeno fintantoché fosse durata la batteria. Ma chi poteva sapere di quanto tempo si trattava? « State dietro di me.

Dobbiamo arrivare fino a quella porta laggiù », disse a Marika e a Pindoro.

Jake cominciò ad avanzare lentamente, facendo ruotare la luce della torcia a destra e a sinistra. Si stava avvicinando al tavolo, quando uno strano rumore, come una specie di scritch scritch, lo mise in guardia. Indietreggiò con un balzo, e subito da sotto una seciia uscì a piccoli passettini un altro pungicoda, con la coda ritta che gocciolava veleno.

Jake gli puntò addosso la luce. Le zampette rimasero congelate all'istante, ma, per via dello slancio, la bestia continuò a scivolare sulla superficie di pietra. Jake allora fece ricorso a una mossa di taekwondo e con un calcio radente fece volare via quel mostro.

Poi, ruotando su se stesso, perlustrò con la torcia tutto lo spazio intorno.

Se erano stati liberati tutti e cinque gli scorpioni di Zahur, voleva dire che ne rimanevano in giro altri tre, che scorrazzavano... o volavano. Gli attacchi successivi arrivarono, uno dai puntoni e un altro dalla cima di un armadio.

In un frenetico frullare di ali, i mostri si lanciarono giù in picchiata da due direzioni opposte.

Jake non era in grado di fermarli entrambi.

Puntò il fascio di luce contro uno dei due e lottò per mantenerlo fisso abbastanza a lungo da congelarlo. Il frullio d'ali si bloccò a mezz'aria, poi la bestia piombò sul tavolo come un sasso. Le zampe si ruppero sotto il suo peso, ma il corpo rimase intatto, come un raccapricciante centrotavola.

Jake cercò di ruotare il raggio in tempo per congelare anche l'altro, ma, proprio mentre si stava girando, Pindoro tirò un pugno che fece precipitare al suolo lo scorpione, interrompendo il suo attacco.

La bestia atterrò sulla schiena, e rimase così, agitando le zampe e facendo schioccare gli artigli. Mentre Pindoro indietreggiava barcollando, Jake balzò in avanti e con un calcio discendente conficcò un tallone nel ventre del mostro.

« La porta! » disse poi, facendo cenno agli altri di andare avanti. Doveva esserci ancora un altro pungicoda, lì in giro.

Marika la aprì con uno strattone. La camera dall'altra parte aveva l'aspetto di una piccola infermeria, con un lettino, scaffali pieni di bottigliette di vetro e un tavolo sul quale erano disposti rotoli di bende, forbici e vasetti pieni di dense pomate. Nel locale aleggiava un odore pungente, derivato probabilmente dalle medicine che venivano usate.

Marika lanciò un urlo.

Jake vide immediatamente quale ne era stato il motivo.

Sdraiata sul letto, sotto una sottile coperta, c'era la cacciatrice Livia. Era pallida come un fantasma. La sua pelle aveva un lucore argenteo e sembrava quasi trasparente, nella flebile luce emanata da una minuscola lampada posta accanto al letto.

Appoggiato sul suo petto, c'era l'ultimo scorpione. Aveva la coda velenosa inarcata verso l'alto, pronta a colpire. Jake ebbe timore di puntare la torcia sulla creatura. Il raggio avrebbe potuto colpire anche Livia col suo potere refrigerante.

« State indietro », sussurrò agli amici, spegnendo il fascio di luce. Poi si accucciò e lentamente fece tre passi in direzione del letto. Doveva avvicinarsi.

Da quando erano entrati, il pungicoda era rimasto immobile come una statua, all'erta, quasi fosse consapevole della minaccia. L'unica cosa che si muoveva erano gli occhietti neri che si trovavano in cima a delle sottilissime antenne.

A Jake mancava un solo passo ancora... ma ormai era troppo tardi.

Con una sferzata fulminea, la coda sferrò un colpo in avanti, come la testa di un serpente a sonagli che attacca. E si buttò sul sottile collo di Livia. Jake allora accese la torcia. Il raggio di luce andò a finire a meno di tre centimetri dal pungiglione dello scorpione, nel momento stesso in cui questo si conficcava nel collo della donna.

Marika sussultò, senza fiato, mentre Jake manteneva la posizione. Lo scorpione gigante estrasse il pungiglione e indietreggiò, nel tentativo di sottrarsi al tocco ghiacciato del raggio. Ma Jake ruotò il polso e puntò la luce in direzione della testa. Le zampe della bestia vennero subito colte da spasmi e convulsioni. Gli artigli affondarono nella coperta, aprendovi dei buchi. Poi, con un ultimo tremito, il mostro stramazzò a terra, come una marionetta alla quale fossero stati tagliati i fili.

Jake aveva trasformato il suo cervello in un blocco di ghiaccio.

Ancora scosso dai brividi, il ragazzo allontanò la creatura dalla cacciatrice con un colpo della mano. Marika corse da lui. Anche Pindoro si avvicinò, ma non prima di aver assestato un bel colpo di tallone al pungicoda, assicurandosi così che fosse effettivamente morto.

« L'ha punta », gemette Marika.

Spenta la torcia, Jake si chinò sulla cacciatrice. C'era del sangue che le colava dal collo, ma senza zampillare. Esaminò la ferita. Il pungiglione non aveva colpito un punto vitale.

Con un buon bendaggio, tutto sarebbe dovuto tornare a posto.

« Il veleno la ucciderà nel giro di pochi secondi », disse Marika.

Jake guardò il petto di Livia che si sollevava e si abbassava sotto la coperta. « Forse no, Mari. Ho fatto l'unica cosa che potevo fare: ho congelato la coda per prima. Con un po' di fortuna, il veleno si sarà trasformato in ghiaccio rimanendo così intrappolato nel pungiglione. » Negli occhi di Marika si accese un flebile barlume di speranza. « Pochi minuti e sapremo se è andata proprio così. » Per qualche istante mantennero un vigile silenzio. Nel frattempo, Jake ebbe cura di tenere dolcemente premuto un pezzo di stoffa sulla ferita di Livia, ma ormai non sanguinava quasi più. Dopo tre minuti buoni, Marika si volse verso Jake con una nuova luce negli occhi.

Il petto di Livia continuava a sollevarsi e abbassarsi, debolmente, ma non più di quanto non facesse prima.

« Credo che ce la farà », disse Marika.

Concreto come sempre, Pindoro provvide subito a smorzare la sua speranza. « Forse non è stata avvelenata dal pungicoda, ma dentro il suo corpo ci sono ancora quelle schegge di diaspro sanguigno. » E, come a conferma di queste parole, in quel momento la cacciatrice emise un basso lamento. Di colpo, sollevò la mano e con un gesto inconsulto fece cadere la lampada posta a fianco del letto. All'improvviso era come impazzita, il corpo scosso da fremiti convulsi. Le palpebre si spalancarono in un battito, rivelando gli occhi rovesciati.

« Dobbiamo aiutarla! Ma cosa possiamo fare? » Marika si guardò in giro per la stanza, con l'aria persa. « Ma dov'è il Maestro Zahur? E mio padre, e il Maestro Oswin, dove sono? » Jake scosse il capo. Non aveva visto nessuno. « Che non siano ancora arrivati, forse? » Nella voce di Marika era comparsa una nota d'isteria. « Anche se fossero venuti fin qui a piedi, dal carro avremmo dovuto vederli. » « No, io penso che siano arrivati, invece », intervenne Pindoro, che si era inginocchiato per recuperare la lampada che Livia aveva fatto cadere. Da sotto il letto tirò fuori un sottile bastoncino di legno che sembrava una bacchetta magica. La punta di cristallo rifletteva la luce della lampada.

Jake la riconobbe, era la bacchetta che il padre di Marika aveva usato per neutralizzare la punta di freccia in diaspro sanguigno.

« La bacchetta di papà! » esclamò Marika.

Quindi suo padre era stato lì.

Marika la strappò dì mano a Pindoro e se la strinse al petto.

Fece un giro completo su se stessa, come se si aspettasse di trovare all'improvviso suo padre lì in piedi dietro di lei.

Sembrava trovarsi a un passo da un vero e proprio attacco di panico.

Jake cercò di calmarla. « Solo perché la bacchetta si trova qui, non ci dice che cosa sia realmente successo. Potrebbero essere andati ovunque. » E si trattenne appena in tempo dall'aggiungere: « Cadaveri, non ne abbiamo visti ».

« E chi ci ha teso questa trappola, allora? Chi è stato a rinchiuderci quaggiù? » chiese Marika.

« Forse Zahur », disse Pindoro. « Erano sue, quelle bestiacce dalla coda appuntita. Ed è stato lui a chiamare tuo padre. Forse era solo una scusa per attirarlo qui, mentre tutti gli altri erano impegnati con le olimpiadi. » Marika fece un cenno di diniego: non voleva crederci. Ma non scosse il capo con troppo vigore, né rimproverò Pindoro per il fatto di nutrire simili dubbi. Come Jake, anche lei si stava macerando nei sospetti. Le sue dita erano ancora strette intorno alla bacchetta.

Dall'altra stanza giunse un forte rumore di cardini che scricchiolavano, come delle ossa che sfregassero l'una contro l'altra. I tre ragazzi s'irrigidirono. Stava arrivando qualcuno.

« Rimanete qui », sibilò Jake.

Sbirciò nella stanza immersa nel buio. La luce fioca gli consentì di scorgere una piccola porticina secondaria, che si stava aprendo lentamente. Un movimento furtivo: forse qualcuno che era venuto a controllare se loro erano morti.

Jake scivolò nel salone.

Dalla stretta porticina sgusciò fuori un'ombra. E se fosse stato uno dei Maestri? Anche in quel caso, Jake non avrebbe saputo come comportarsi. Di chi si poteva fidare?

La porta si aprì un po' di più e l'intruso mise piede nella stanza. La piccola sagoma ne rivelò l'identità.

« Bach'uuk », mormorò Jake.

Il ragazzo si bloccò, raggelato. Sembrava pronto a scappar via come un fulmine. Jake poteva solo immaginare il terrore che aveva provato al sentir sussurrare il suo nome nel buio.

Accese la torcia, ma tenne la luce puntata verso il pavimento.

Bach'uuk rimase all'erta.

Accanto a Jake comparve Marika. « Bach'uuk! » Alle sue spalle c'era Pindoro. « Sia lodato Apollo! Una via di fuga da questa trappola! ».

Jake teneva ancora la torcia sempre pronta. E chi ci dice che di Bach'uuk possiamo fidarci?

Marika, di sospetti di questo tipo, non ne aveva. Corse da Bach'uuk e lo strinse in un abbraccio.

« Che cosa ci fai qui? » Liberatosi dalla sua stretta, il ragazzo cominciò a strofinare i piedi per terra. « Ho visto qualcuno... uno sconosciuto che scappava da sotterranei. Sono venuto a vedere se il Maestro Zahur aveva avuto qualche problema. » « Ci puoi giurare, che l'ha avuto », borbottò Pindoro.

Marika stava per spiegare tutto, ma Jake l'interruppe. « Che aspetto aveva questo sconosciuto? » « Era fatto di ombra. » « Che cosa vuoi dire? » chiese Marika.

Bach'uuk cominciò a tremare da capo a piedi. « Lo sconosciuto non aveva forma. Le ombre gli salivano sulle spalle e volavano dietro lui, come un mantello. Quando passava, le lampade si spegnevano, come mangiate dalle ombre. » Jake si voltò verso la stanza immersa nel buio. Ecco perché i cristalli non si accendevano.

« Ho visto solo un unico luccichio. » E Bach'uuk si toccò la gola, come se stesse indicando il fermaglio di un mantello.

« Risplendeva solo perché era più nero delle ombre che lo ricoprivano. » Da quella descrizione, Jake lo riconobbe. « Il diaspro sanguigno. » « È andato di corsa dentro il castello, e le ombre lo hanno inghiottito. » E Bach'uuk scosse il capo, per dire che non sapeva altro.

« Hai visto mio padre? O Maestro Oswin? » chiese allora Marika. Nella sua voce si sentiva risuonare l'inquietudine, come un campanello d'allarme.

Bach'uuk si accigliò. « Non dopo stamattina. » La ragazza parve agitarsi ancora di più. « Che cosa facciamo? » chiese Pindoro. « Con chi possiamo parlare? I Maestri sono spariti.

E tutti gli altri sono alle olimpiadi. » Dalla gola di Livia uscì il soffio di un debole lamento.

Sembrava venire già da lontano, come se la donna si stesse dissolvendo, come se fosse sul punto di attraversare un confine oltre il quale loro non avrebbero più potuto seguirla.

« Non possiamo abbandonare Livia. Dobbiamo cercare di salvarla. Può essere che lei abbia visto qualcosa », disse Marika.

Jake sapeva che ciò non era molto probabile, ma nelle rughe intorno agli occhi di lei lesse anche l'angoscia per suo padre. Si soffermò a considerare la salute della cacciatrice.

Sarebbe durata al massimo un'altra ora. Forse anche meno.

Dovevano fare qualcosa. Annuì, più rivolto a se stesso che agli altri. « Cercheremo di distruggere il diaspro sanguigno che ancora si trova in lei. » Si aspettava delle proteste, e invece Pindoro lo sorprese. « Che cosa vuoi che facciamo? » Jake pensò rapidamente. Pindoro aveva le gambe più lunghe, e poteva correre più veloce di lui. « Bach'uuk, puoi fare salire Pin per le tue scale secondarie? Su fino all'Astromicon? È meglio che non vi facciate vedere. » Bach'uuk annuì.

« Pin, voglio che tu raccolga tutti i pezzi in cui il Maestro ha smontato l'iPod di Kady. » « Quel suo apparecchio per la comunicazione a distanza, vuoi dire? » « Proprio quello. Porta tutto quaggiù. » Pindoro annuì e corse via con Bach'uuk. Jake si voltò e tornò vicino a Marika, che era seduta sul bordo del letto. Sarebbe stata un'attesa difficile. Abbassò gli occhi e scoprì la mano di Marika stretta nella propria. « Lui sta bene, ne sono certo », le disse a bassa voce. Non si riferiva a Pindoro.

Lo sguardo di Marika era perso nel vuoto, affranto da angoscia e paura. « È tutto quello che mi è rimasto. » Jake le strinse le dita: lo conosceva bene, il dolore che stava provando.

Perdere una madre o un padre... è una pena che non si può cancellare, mai.