17

Sayer

Avevo una mozione da finire prima che Zeb arrivasse con Hyde, ma ovviamente non sarei riuscita a concentrarmi neanche se ne fosse andato della mia vita. Invece di mandare in malora l'intero caso, decisi di provare a preparare i pancake per colazione. Pensai che a tutti i bambini piacciono i pancake, così mi infilai un paio di jeans e un maglione largo e corsi al supermercato a comprare il preparato. Già che c'ero presi anche della frutta e delle merendine: la mia dispensa non era molto fornita di roba per bambini, anzi non era molto fornita in generale. Quando finalmente arrivai alla cassa e buttai tutto in macchina ero già in ritardo, quindi mi ritrovai ad aggirarmi per la cucina fissando l'orologio del forno invece di stare attenta ai pancake.

Avevo comprato un preparato già pronto, quindi avrebbe dovuto essere impossibile sbagliare. Impossibile per chiunque, ma non per me: uno sbuffo di fumo si alzò dai fornelli, facendomi tossire spasmodicamente, così buttai tutto quanto nel lavello, padella e pastella annerita, e feci scorrere l'acqua sperando che non partisse l'allarme antincendio. Mi ero bruciata le dita, ed ero abbastanza sicura di avere della pastella nei capelli. Stavo snocciolando tutte le parolacce che sapevo quando un trillo acuto risuonò per la casa.

All'inizio pensai di non aver agito abbastanza in fretta, e che l'allarme antincendio fosse scattato, ma dopo una pausa il rumore si ripeté e mi resi conto che qualcuno stava suonando il campanello. Mi precipitai fuori dalla cucina troppo in fretta, così inciampai nei miei piedi e caddi in ginocchio con un ouch. Ero sconvolta sia fuori sia dentro, ma dovevo riprendermi in fretta, altrimenti il campanello avrebbe svegliato Poppy, e Zeb avrebbe capito che ero un disastro e non mi avrebbe affidato Hyde.

Aprii la porta proprio mentre Hyde si stava alzando in punta di piedi per suonare di nuovo il campanello. Tornò giù e mi sorrise felice. Dio, assomigliava proprio tanto all'uomo impassibile in piedi dietro di lui. Mi chiesi se fosse maleducato rimanere a guardarlo per tutto il giorno, rimpiangendo il tempo perduto.

«Ehi.»

«Cos'hai sulla faccia?» Hyde si indicò la guancia, e io mi sfregai via la pastella appiccicosa con il dorso della mano.

Sospirai e li feci entrare. «Stavo cercando di preparare i pancake per colazione, ma non è andata molto bene.»

Il sorriso di Hyde si allargò ancora di più, e Zeb inarcò un sopracciglio. «E perché stavi cercando di fare i pancake?»

Io alzai le spalle, cercando di evitare di mangiarmelo con gli occhi. Era così vicino, eppure fra di noi si apriva un baratro immenso. «Pensavo che a Hyde sarebbero piaciuti, e che sarebbero stati facili da fare, ma mi sbagliavo.»

Lui scosse la testa e sulla sua bocca spuntò un sorriso riluttante, che fece muovere la sua barba e brillare i suoi occhi verdi.

«Hai passato l'esame di avvocato non in uno ma in due stati, e non sei riuscita a capire come si fanno i pancake?»

Io incrociai le braccia sul petto, stizzita. «Se voglio dei pancake di solito vado da qualche parte e me li faccio preparare da qualcuno più esperto di me.»

Lui ridacchiò e si chinò per sfilare a Hyde il giaccone e il cappello. «Lui a colazione mangia qualunque cosa, ma se ti dice che lo nutro soltanto di pizza, sappi che sta mentendo.» Hyde fece una smorfia, e Zeb gli scompigliò i capelli. «Ci stai facendo un grosso favore oggi, Sayer, restando con lui tutto il giorno, vero, ragazzo?»

Hyde annuì vigorosamente, e si avvicinò per prendermi la mano. Io lo guardai e non potei fare a meno di sorridere a quel faccino adorabile.

«Se vuoi fare i pancake, Sayer, ti aiuto io. Sono un bravo aiutante, vero, Zeb?»

«È vero, tesoro. Mi raccomando, fai il bravo con Sayer, e ricordati che se uscite devi...»

Hyde lo interruppe prima che potesse completare la frase: «Coprirmi bene. Lo so».

Dio, vederli insieme era uno spettacolo. In poche settimane erano entrati perfettamente in sintonia. Davanti a loro era difficile respirare, era impossibile non innamorarsi.

«Di solito si diverte facilmente, basta stargli accanto e giocare con lui. Ha l'abitudine di togliersi i guanti e buttarli dove capita. Se lo porti fuori a giocare, tienilo presente. Li perde in continuazione.»

Io annuii e abbassai lo sguardo su Hyde, che mi stava tirando per la mano. «Andiamo a fare i pancake, Sayer.»

Io accettai, e poi alzai gli occhi su Zeb, che aveva uno sguardo a metà fra il vero amore e il dolore più straziante. Quello sguardo annullò tutti i miei pensieri, e cancellò qualsiasi cosa stessi per dirgli.

«Ci vediamo dopo.»

«Ciao, Zeb.» Hyde mi lasciò la mano e corse dal suo papà. Zeb si chinò e lo prese al volo, un attimo prima che si schiantasse contro le sue ginocchia. Lo sollevò e gli schioccò un bacio sulla guancia.

«La tua barba fa il solletico.»

Già, era proprio vero. Quel pensiero improvviso mi fece avvampare. Hyde si avvicinò all'orecchio di Zeb e sussurrò come fanno i bambini, abbastanza forte perché potessi sentirlo.

«Tornerai a prendermi, vero, Zeb?»

Io inspirai così bruscamente da sentire dolore. Zeb mi lanciò una rapida occhiata, prima di immergere i suoi occhi verdi e luminosi nell'altro paio di occhi verdi e luminosi. «Io tornerò sempre a prenderti, Hyde.»

Il bambino lo guardò per un minuto buono prima di fargli un cenno di assenso, con serietà esagerata, e di divincolarsi per essere messo giù.

Io e Zeb rimanemmo a guardarci, e tutto quello che avrei voluto dirgli, tutto quello che sapevo di dovergli dare, rimase come un macigno immobile fra noi due. Avrei voluto poter fare come Hyde, corrergli incontro fidandomi ciecamente che mi avrebbe preso al volo.

«Ciao, Zeb. Buona giornata e buon lavoro.»

Lui fece un cenno con il capo. «Grazie, Say. Ci vediamo più tardi.»

Io appoggiai una mano sulla spalluccia di Hyde e lo guardammo andare via, entrambi già pieni di nostalgia. Quando la porta si chiuse dietro di lui, diedi a Hyde una piccola spinta con il fianco, inclinando la testa verso la cucina.

«Adesso penso che si possa entrare, se vuoi riprovare con i pancake.»

«Sì, dai. Sono un po' affamato.»

Mi girai per accompagnarlo in cucina, dove aleggiava ancora un certo odore di bruciato, e lo guardai da sopra la spalla quando scoppiò in un'irrefrenabile risata.

«Che cosa c'è da ridere?»

Lui si mise le mani sulla pancia e buttò la testa all'indietro, ridendo così forte che vedevo tutti i buchi dove gli mancavano i denti.

Feci una smorfia e incrociai scherzosamente le braccia. «Dai, Hyde, fai ridere anche me.»

Lui continuò a ridere e indicò la mia schiena. «Hai fatto un bel pasticcio!» Non c'era dubbio, e aver dovuto guardare suo padre uscire di casa senza poterlo toccare, baciare e abbracciare me lo aveva ricordato senza possibilità di dubbio, come uno schiaffo in piena faccia.

Ovviamente non potevo vedermi il sedere, così mi piazzai di fronte al frigorifero d'acciaio e mi girai per vedere che cosa lo aveva fatto sghignazzare così tanto. Sulle tasche posteriori dei jeans c'erano due belle impronte di mani, residuo del mio primo tentativo coi pancake. Alzai gli occhi al cielo e scossi la testa davanti alla mia goffaggine.

«Ho fatto proprio un bel pasticcio. Ultimamente ne combino un sacco.» Aiutai Hyde a salire su uno degli sgabelli intorno all'isola della cucina, trovai una ciotola pulita e un cucchiaio e glieli misi davanti, mentre pesavo un'altra dose di preparato e recuperavo il latte dal frigo.

«Zeb dice che va bene fare i pasticci, basta che poi pulisci.» A quanto pareva Zeb aveva un istinto naturale per la paternità.

«Il tuo papà dà un sacco di buoni consigli.»

Lui aggrottò le sue sottili sopracciglia scure, mentre io versavo il liquido nella ciotola e gli dicevo di cominciare a mescolare. Pensai che si stesse concentrando sul suo compito, ma quello che disse mi colse di sorpresa.

«Tutti lo chiamano il mio papà.»

Io appoggiai i gomiti al ripiano e misi il mento sulle mani. «Perché lui è il tuo papà. Non so come altro potremmo chiamarlo.»

Lui mi guardò, succhiandosi il labbro inferiore e poi sporgendolo di colpo. «Prima di essere il mio papà lui era mio amico.»

«È vero. Ed è ancora tuo amico, anche se adesso è anche il tuo papà.»

«Certe volte vorrei chiamarlo papà.»

Io tirai il fiato con i denti. Non ero sicura di essere la persona giusta per fare questa conversazione con lui. «Cerca di schiacciare tutti i grumi che puoi.» Gli indicai la pastella nella ciotola e mi avvicinai per potermi appoggiare al ripiano accanto a lui. «Hai detto a Zeb che forse vorresti chiamarlo papà?»

Lui scosse la testa. Cominciò a scalciare su e giù con i piedi, li sentivo sbattere sotto il mobile.

«No. E se non gli piace?»

Io allungai una mano, gli appoggiai l'indice sotto il mento e gli sollevai il viso per guardarlo negli occhi. «Hyde, tu pensi che Zeb sia sincero con te?»

Lui mi guardò meditabondo, e io cercai di non fare una smorfia quando lasciò cadere il cucchiaio nella ciotola, dove fu inghiottito dalla pastella appiccicosa.

«Sì. Zeb non dice bugie.»

«Quindi se gli dici che vuoi chiamarlo papà, sai che ti dirà la verità. Io scommetto cento dollari che lo renderai molto felice, e che potrebbe addirittura mettersi a piangere. E se sarà così, i cento dollari te li darò io» Era una scommessa sicura. Sapevo che l'avrei vinta, perché era impossibile che gli occhi di Zeb non si inumidissero quando Hyde gli avrebbe fatto quella domanda.

Mossi su e giù le sopracciglia, facendolo ridere. «Zeb non piangerà.» Sembrava così sicuro: quel bambino adorabile non aveva idea dell'effetto che faceva al suo grosso, barbuto papà.

Gli tesi la mano. «Cento dollari che lo farà.»

Hyde mise la sua mano nella mia e fece una smorfia di concentrazione. «Però io non ho cento dollari. Ho solo dieci quarti di dollaro.»

Poteva esistere un bambino più meraviglioso? La risposta era un sonoro no. «Non dovrai darmi le tue monete: se perdi, tutto ciò che dovrai fare sarà abbracciarmi fortissimo. Andata?»

Lui mi strinse la mano pompando vigorosamente su e giù e mi fece un grande sorriso. «Andata.»

Io lo attirai più vicino, fin quasi a sfiorare il suo naso con il mio, e chiesi in tono cospiratorio: «Vuoi sapere un segreto?».

I suoi occhi del colore dei sempreverdi si spalancarono, e annuì così forte che pensai sarebbe caduto dallo sgabello. Posai le labbra sulla sua guancia vellutata e gli diedi un rapido bacio.

«Al tuo papà non importa come lo chiami... Papino, Zeb, Zebulon, Signor Gigante, Capitan Barbuto, Paul Bunyan... a lui importa solo che tu sia lì, comunque lo chiami. Lui vuole te, Hyde. Voglio che te lo ricordi sempre, okay?»

Lui fece un piccolo cenno con la testa, io mi staccai e portai la ciotola vicino ai fornelli, per provare a rifare i pancake dopo aver trovato un altro cucchiaio. Non avevo nessuna intenzione di recuperare quello che ci era caduto dentro, avrei finito per ritrovarmi la pastella anche nei posti che ancora non si erano sporcati.

Avevo preparato tutto, ed ero concentratissima sul mio compito quando mi arrivò la voce di Hyde dall'altra parte della stanza.

«Come mai hai solo un muro rosso?» Era sceso dallo sgabello ed era andato a guardare il muro color papavero, studiandolo con la testolina inclinata di lato.

«Uh, in realtà è stato il tuo papà a dipingerlo per me. Ho un'amica che vive con me, e lui le aveva chiesto di scegliere un colore per farla contenta. Lei ha scelto quello.»

«Mi piace. È allegro.»

«Anche a me piace, e quando avremo finito di fare i pancake, sperando stavolta di non bruciarli, possiamo andare a svegliare Poppy e tu puoi dirle che ti piace. Sarà molto contenta.»

«Chiederai al mio papà di dipingere altre cose?»

La mia schiena si irrigidì, mentre il burro si scioglieva e sfrigolava nella padella. Mi chiesi se si fosse accorto di aver parlato di Zeb come del suo papà. «No, non pensavo di fargli dipingere altro, solo quel muro lì.»

Lui tornò vicino a me, e io lo avvertii di tenere le mani lontane dai fornelli.

«A te piace così?»

Io abbassai lo sguardo su di lui. «Così come?»

«Il resto è troppo noioso. Il muro rosso è molto meglio.»

Io mi morsi l'interno del labbro e mi voltai verso di lui. «Hai ragione, è vero che è più bello.»

E no, non mi piaceva che il resto della casa fosse semplice e noioso. Doveva essere rassicurante, accogliente, invece sentivo che quella casa non aveva personalità, e che ogni parete dipinta di colori neutri mi derideva mentre ci passavo davanti. Sospirai e tolsi la padella dal fuoco.

«Andiamo da Poppy e divoriamoci i nostri capolavori, cosa dici?»

Lui mi seguì senza protestare.

Per fortuna Poppy era già sveglia, la trovammo in soggiorno. Avrei dovuto sapere che non poteva non essersi svegliata per il campanello. Hyde si trovò subito bene con lei, e tutti e tre passammo il resto della mattinata mangiando pancake, disegnando sui fogli della stampante e giocando a fare musica con le pentole rovesciate. Hyde era un ottimo batterista, e mi stupii dell'impegno che Poppy profuse nel suo ruolo di chitarrista immaginaria. A me non restava che il ruolo di cantante del gruppo, purtroppo per loro: le uniche canzoni di cui sapevo le parole erano quelle heavy metal degli anni Ottanta. Dopo il secondo giro di Pour Some Sugar on Me, Poppy si arrese e dichiarò che aveva bisogno di un riposino. Anche Hyde sembrava un po' stanco, così lo sistemai sul divano con la TV accesa su Nickelodeon. Si addormentò prima che potessi girarmi e portargli una coperta.

Sapevo che avrei dovuto correre nella stanza che usavo come studio a prendere il computer per approfittare di finire il lavoro che mi aspettava, ma non riuscii a fare altro che rimanere incollata lì a fissare quel bambino meraviglioso.

Era così dolce, eppure aveva dimostrato una grande resistenza dopo tutto quello che aveva passato. Non avevo idea di come fosse riuscito a rimanere così fiducioso e aperto all'amore, ma ero infinitamente grata di questo. Potevo imparare moltissimo da lui.

Sobbalzai quando Poppy mi toccò il gomito e inclinò la testa verso il mio studio. Io la seguii il più silenziosamente possibile per non svegliare Hyde, e tirai su col naso quando mi resi conto che avevo le lacrime agli occhi. Avevo troppe emozioni dentro di me, e ormai cominciavano a colare fuori con regolarità.

«Credevo che stessi facendo un pisolino.»

«Stavo per farlo, ma poi mi è venuto un pensiero e volevo parlartene, prima di perdere il coraggio.» Cominciò a torcersi le mani e a camminare avanti e indietro davanti a me. Frullava qua e là come un uccellino dorato e cominciai a preoccuparmi.

«Sai che a me puoi dire qualsiasi cosa, Poppy.»

Lei deglutì visibilmente. «Io... dunque, non si tratta di me, si tratta di te, Sayer, e per me è molto difficile dirtelo dopo tutte le cose meravigliose che hai fatto per me.»

Era riuscita a cogliermi di sorpresa. «Ehm, okay, ti ascolto.»

Lei fece un sospiro profondo, chiamando a raccolta tutte le sue energie per riuscire a sputare fuori queste parole: «Saresti una mamma fantastica».

Io battei le palpebre, stupita da quell'affermazione inaspettata. «Scusa?»

Lei si scostò i capelli dal viso con mani tremanti e vidi che stava arrossendo. «So che stai ancora soffrendo per il modo in cui è morta tua madre, e che ti senti abbandonata, ma, Sayer...» Allungò una mano e me la mise sul braccio. «Tu non lo faresti mai, non potresti mai fare una cosa del genere a qualcuno. Ti ho guardato stare con Hyde tutta la mattina, e ho visto quanto gli vuoi bene.»

Io misi una mano sulle sue e le diedi un buffetto. «È solo un bambino, Poppy. È impossibile non volergli bene.»

Lei strinse i suoi occhi ambrati e il suo sguardo si fece più deciso. «Davvero? Perché in questo caso avrebbe dovuto esserci sua madre a fargli i pancake per colazione, non tu.»

Aprii bocca per ribattere, ma poi la richiusi dato che non aveva tutti i torti.

«Non è solo questo. Quando mi hai accolto in casa senza esitazione perché non sopportavo la vista degli uomini, neanche quello di cui mi fidavo di più al mondo, ho pensato che tu fossi il mio angelo custode. Non sarei sopravvissuta senza di te, Sayer.»

«No» risposi automaticamente, negando il mio ruolo nella sua ripresa. «Tu sei una combattente, Poppy.»

Lei fece una risatina secca dal naso, e sollevò le sue sopracciglia color caramello. «Dici? Perché tu mi hai lanciato un salvagente mesi fa, e finora non ho fatto altro che galleggiare sperando di non annegare. Non ho neanche provato a nuotare, Sayer, ma tu mi hai amato e protetto, mi hai offerto un rifugio e ti sei battuta per me quando io stessa non volevo farlo. Per me tu hai fatto tutto ciò che tua madre non ha potuto fare per te.»

Io sobbalzai ancora, e mi sottrassi di scatto al suo tocco. Lei mi guardò con espressione solenne. «Tuo padre ha cercato di convincerti che non eri mai abbastanza, che non andavi bene, ma tu per me e per quel bambino sei già una madre migliore di quella che è stata la tua. Tu ci vuoi più bene di quanto ce ne abbiano voluto le persone il cui unico scopo nella vita doveva essere di amarci e proteggerci. Quindi adesso è ora che cominci a nuotare anche tu, Sayer. Dopo tutto quello che il nostro passato ci ha buttato addosso per seppellirci, dobbiamo a noi stesse il diritto di non limitarci a galleggiare.»

Aprivo e chiudevo la bocca come un pesce. Le lacrime che mi erano salite mentre guardavo Hyde con il cuore in gola cominciarono a scorrere.

«Io... dove... che cosa ha innescato questi pensieri, Poppy?»

Anche lei aveva gli occhi lucidi, ma la corazza in cui era stata nascosta fin da quando era venuta a vivere con me si stava sbriciolando ormai, e da dentro stava spuntando una nuova creatura vibrante di energia.

«Uh...» Non sapevo bene che cosa dirle, ma quando lei mi buttò le braccia al collo e mi diede il primo vero abbraccio da quando era venuta a stare da me, non potei fare altro che ricambiarlo, mentre piangevamo insieme. Ci meritavamo di essere coraggiose, eravamo sopravvissute a tante prove. I segni della violenza su di lei erano molto più visibili di quelli che un tipo completamente diverso di abuso avevano lasciato su di me, ma entrambi venivano da ferite profonde, entrambi ostacolavano il nostro modo di vivere e di amare. Se lei però poteva superare i suoi problemi, non c'era motivo per cui non potessi farlo anch'io.

Poppy si staccò da me e si passò una mano sulle guance bagnate. «Voglio chiedere a Rowdy di aiutarmi a comprare una macchina, e voglio tornare al lavoro.» Dovevo avere un'aria sconvolta, perché lei fece una risatina. «Forse non domani, ma molto presto. E voglio anche traslocare. Ho bisogno di avere una casa mia, il che significa che tu avrai una marea di stanze vuote.» Si diresse verso la porta e mi guardò da sopra la spalla. «Pensaci.»

Non stava solo nuotando, stava remando con forza verso la riva, e io dovevo seguire il suo esempio. Finora avevo proceduto per gradi, ma se non volevo perdere Zeb e Hyde per sempre dovevo cominciare a fare grandi balzi.

«Sayer?» La porta si aprì e Hyde entrò sfregandosi gli occhi. Sporgeva il labbro inferiore e aveva le ciglia appiccicate, come se anche lui avesse pianto.

«Tutto bene, tesoro?» Lui scosse la testa per dire di no, così mi sedetti in una delle poltroncine del mio studio e me lo feci arrampicare in grembo. Poi gli passai le dita nei capelli. Lui appoggiò la guancia al mio petto e tirò su col naso. «Vuoi dirmi che cosa c'è che non va? Non hai dormito molto, ma forse hai fatto un brutto sogno?»

Lui scosse di nuovo la testa, e i suoi capelli morbidi mi sfregarono il mento.

«Ti manca il tuo papà? Se è così possiamo chiamarlo un attimo e sentire come sta.»

Scosse di nuovo la testa, e si rannicchiò ancora di più vicino a me.

«Ho finito le idee, tesoro. Devi aiutarmi un po', così poi posso cercare di aiutare te, okay?»

Lui mi si strinse addosso ancora di più e mi mise un braccio attorno al fianco. Le sue ciglia umide si richiusero, e sospirò. «Tu non c'eri. Ho aperto gli occhi e tu non eri lì vicino a me. Mi sei mancata.»

Gesù. Se c'era qualcosa nell'universo che mi obbligava a essere forte, era quel bambino. Non c'era tempo di crogiolarsi nel passato o di temere le incertezze del futuro, come quelle semplici parole che guarivano ogni minimo punto dolente della mia anima. A Hyde non importava se non ero ancora completamente arrivata al punto in cui pensavo di dover arrivare per poter essere la persona che si meritava di avere nella sua vita: gli mancavo perché mi voleva bene. Aveva pianto perché ero importante per lui, e si fidava si me. La pura verità di quel pensiero strappò gli ultimi fili che tenevano insieme la mia storia, che si sbrogliò completamente. Lui sentiva la mia mancanza, e Zeb mi amava.

Amava la Sayer impacciata, la Sayer riservata, la Sayer che sapeva essere fredda e distaccata.

La Sayer che provava a fare i pancake anche se non era capace.

La Sayer che sapeva essere spietata in tribunale.

La Sayer che cercava di fare la cosa giusta per le ragioni sbagliate.

La Sayer disposta a fare sesso scatenato contro un muro di vernice fresca.

Loro amavano tutte le diverse versioni di me, e tutte insieme bastavano a formare una persona degna del loro amore. Diedi a Hyde un bacio sulla tempia. «Mi dispiace di averti lasciato solo. Poppy voleva parlarmi, e io non volevo svegliarti. Anche tu mi sei mancato, Hyde.»

«Va bene.» E infatti andava bene. Andava tutto bene. Per la prima volta in un tempo che mi sembrava infinito, pensai davvero che le cose sarebbero andate per il verso giusto. Finalmente sapevo esattamente che cosa volevo, e come ottenerlo. Non sarebbe stata una cosa rapida. Avevo danneggiato Zeb, ma alla fine le mie fondamenta erano salde, il terreno sotto di esse era solido. C'era ancora da rimuovere qualche detrito, ma una volta fatta piazza pulita gli avrei lasciato costruire tutto quello che voleva.

Hyde fece un vero sonnellino in braccio a me, si svegliò un'ora dopo e disse che voleva andare fuori a giocare. Mi ci vollero venti minuti per fargli mettere il cappello e i guanti, e una volta usciti si accorse che faceva troppo freddo e volle tornare dentro. Finimmo per giocare a nascondino e a tris per ore, finché non arrivò Zeb nel primo pomeriggio.

Sembrò stupito che Hyde non gli corresse incontro per salutarlo, ma che invece lo trascinasse in cucina per mostrargli tutti i suoi disegni che avevo appeso al frigo. Hyde chiacchierava a macchinetta e Zeb mi fissava come se avessi due teste. Io gli sorrisi e lui mi guardò storto, e a un certo punto di quel duello silenzioso Hyde si rese conto di aver perso l'attenzione dei grandi, perché tirò la mano di Zeb e si lamentò: «Papà, non stai guardando il mio disegno».

La testa di Zeb scattò all'indietro di colpo, tanto che ero certa si fosse procurato un colpo della strega. Spalancò la bocca e batté le palpebre per un secondo. «Mi hai chiamato papà?»

Hyde spalancò gli occhi, passando lo sguardo da me a Zeb e viceversa. Io gli feci un cenno di incoraggiamento e mimai con le labbra: va bene.

«Ehm... posso? Sayer ha detto che potevo.»

Zeb si voltò per guardarmi, e io non riuscii a impedirmi di sorridere. I suoi occhi verdi sembravano un prato dopo la pioggia.

Lui si accucciò per trovarsi al livello di Hyde e lo abbracciò stretto. «Ma certo che puoi. Io sono il tuo papà e non potrei esserne più orgoglioso. Tu puoi chiamarmi come ti pare, Hyde.»

Il bambino strillò dentro l'abbraccio potente di Zeb, e sotto la mia pelle si accese una scintilla di invidia. Anch'io avrei voluto essere dentro quell'abbraccio.

«Stai piangendo? Sayer ha detto che avresti pianto. Ha detto che se piangevi mi dava cento dollari!» Hyde si tirò indietro e studiò la faccia del padre. Era difficile capirlo per via della barba, però, come previsto, sulla guancia abbronzata di Zeb c'era una singola, luminosa lacrima. Hyde buttò la testa indietro e rise, poi mi puntò l'indice contro: «Mi devi cento dollari».

Zeb lasciò andare suo figlio e si erse in tutta la sua altezza, lanciandomi uno sguardo interrogativo. Io mi limitai a scrollare le spalle. Poteva benissimo capire da solo che avevo valutato l'opzione vincente e l'avevo lasciata a Hyde, non c'era bisogno che glielo spiegassi io. «Li darò da tenere a tuo padre, ma prometto di pagarli.»

«Sembra che voi due vi siate divertiti oggi.»

Hyde annuì con forza. «Io voglio bene a Sayer.»

Vidi il pomo d'Adamo di Zeb alzarsi e abbassarsi. «Buono a sapersi, ragazzo mio.»

Io mi schiarii la voce e mi spostai i capelli dietro una spalla. «Sinceramente, sono stata felice di averlo qui oggi. Se tua madre ha bisogno di riposarsi nel weekend, sarei felice di stare con lui mentre tu sei al lavoro.»

Un'ombra passò sul viso di Zeb, che mi lanciò un'occhiata inquisitoria. «Sul serio?»

«Sul serio.» Mi assicurai che capisse dai miei occhi quanto ero convinta.

Lui fece un ringhio basso in fondo alla gola, e le sue mani si strinsero a pugno. «Ehi, ragazzo, perché non vai a prendere il tuo giaccone così parlo un attimo con Sayer?»

«Ti fai dare i miei soldi?»

Lui abbaiò una risata. «Sì, prenderò i tuoi soldi.» Sentimmo dei passettini uscire dalla stanza, e non appena restammo soli Zeb si gettò su di me e mi spinse contro l'isola della cucina, imprigionandomi fra le sue braccia.

«Sei pronta a fare la tua scelta, Sayer? A scegliere noi?»

Mi tornò in mente quando mi aveva bloccato contro la mia macchina dopo l'udienza, e mi aveva baciato fino a farmi perdere la testa. Avrei voluto fargli la stessa cosa, ma non avevamo molto tempo prima di essere interrotti da un certo bambino di cinque anni, ed era evidente che le ferite che gli avevo lasciato andavano prima curate.

Posai una mano al centro del suo petto e lo guardai negli occhi, mettendoci tutto il mio cuore ormai uscito dal disgelo. «Sto nuotando, Zeb. Non sono ancora arrivata a riva, ma ci sto provando. Hai avuto fiducia in me per la questione di Hyde per tutto questo tempo, ho solo bisogno di quella fiducia ancora per un po'.»

«E perché dovrei farlo?»

Io presi la sua camicia a scacchi nel pugno della mia mano e lo tirai verso il basso fino a sfiorare il suo naso col mio. «Perché prima di poter scegliere te, prima di poter scegliere Hyde, devo scegliere me stessa, ed è quello che sto cercando di fare.» Speravo che capisse, perché quello era il primo balzo che dovevo fare. «Non è così semplice.»

Lui sbuffò, e il suo respiro mi sfiorò le labbra come un bacio fantasma. «Aspetto sulla spiaggia da molto tempo, Sayer.»

«Lo so, Zeb. Ti prego, fidati di me.»

Nel momento in cui Hyde si precipitò nella stanza lui si spinse via dal ripiano della cucina. I suoi occhi erano imperscrutabili, e la sua bocca non sorrideva quando disse: «Tu sei sempre nei miei piani, Sayer. Quelli non sono mai cambiati».

Quelle parole mi riempirono il cuore, perché questa volta non avevo intenzione di deluderlo. Potevamo vincere entrambi, e questa volta la vittoria sarebbe durata per sempre.