6

Zeb

Ero sotto shock, consumato in parti uguali da terrore ed esaltazione.

Dentro stavo impazzendo, ma fuori ero concentrato soltanto sul fatto che Sayer stava premendo la sua morbida bocca sulla mia. Era molto più facile pensare alla mia reazione al suo bacio, abbandonarmi al modo in cui il mio sangue si stava infiammando, piuttosto che concentrarmi sulle altre emozioni più paurose che aleggiavano ai margini del mio cuore.

Hyde era mio, e questo avrebbe cambiato la mia vita, ma in quel momento, in quel fuggevole attimo, potevo ancora soltanto baciare Sayer e toccarla come sognavo senza tregua da troppo tempo. Mi sembrava che lei fosse l'unico punto fermo, l'unico solido appoggio nel mio nuovo mondo. Volevo aggrapparmi a lei, tenermi stretto quel senso di sicurezza che il suo atteggiamento pragmatico e diretto riversava su di me. Ma più di tutto volevo attorcigliare la mia lingua con la sua e riempirmi le mani di quella sua pelle morbida e delicata, che sembrava non finire mai. Volevo ringraziarla con le mani e con la bocca per non avermi guardato come un fallimento, come uno che ha combinato l'ennesimo disastro. Avevo fatto un errore che intendevo riparare a qualsiasi costo, e lei lo capiva. O almeno, dal modo in cui cercavamo di consumarci a vicenda, sembrava che lo capisse.

Non ero una cattiva persona, ma sicuramente avevo dei difetti, e il fatto che lei li vedesse e li accettasse incondizionatamente, stringendosi a me come se volesse annullare la distanza fra di noi, mi faceva venire voglia di divorarla.

Premetti più forte con la bocca e la presi per la vita per farla girare, in modo che si trovasse appoggiata di schiena al bordo del tavolo, poi la spinsi verso il basso.

Venivo da una giornata di duro lavoro ed ero sporco, ma non sembrava che le importasse della polvere e della sporcizia mentre infilava le dita nel groviglio dei miei capelli, o mentre le mie manacce le lasciavano le loro impronte sui vestiti. Cominciai a tirare il bordo della sua morbida camicetta per sfilarla dalla gonna. Lei rispondeva al mio bacio con altrettanto fervore, la sua lingua agile danzava sulla mia e i suoi denti si fermarono per affondare nella curva del mio labbro quando mi tirai indietro di un millimetro per accertarmi di non aver graffiato la sua pelle delicata con la barba ruvida.

Era bellissima, con gli occhi blu sfocati dalla passione, troppo grandi per il suo viso. Quando tirò fuori la lingua per passarsela sull'arco umido del labbro superiore, mi sfuggì un gemito e abbandonai ogni cautela nei confronti dei suoi vestiti eleganti, infilando bruscamente le mani sulla sua cassa toracica finché le mie dita non raggiunsero i confini di un territorio di seta e pizzo. Avrei scommesso che la biancheria intima di quella donna costava più delle rate mensili della mia Jeep, e il mio sesso fremette all'idea di riuscire a vederla con addosso soltanto quella. La sua sola presenza me lo aveva fatto venire duro, ma sentire la pressione vellutata della sua pelle sulla mia aveva richiamato in zona un'altra ondata di sangue, rendendo la situazione dentro la cerniera dei miei jeans decisamente scomoda.

Lei mi guardò in silenzio, mentre sfioravo col pollice il contorno del suo reggiseno e cercavo di interpretare la sua reazione in quegli occhi color dell'oceano. Ci vedevo galleggiare una passione inebriante, che però era contrastata da una comprensibile incertezza. Non mi aveva detto di fermarmi, e il suo petto ansimava forte quanto il mio, ma c'era un'ombra di disperazione nella sua presa sui miei capelli, e quando mi tirai indietro lei non prese l'iniziativa di un'altra carezza, o di un altro bacio.

Le sorrisi, e usai la punta del pollice per superare la barriera di pizzo che mi separava dal dolce rigonfiamento del suo seno. Sayer era alta per essere una ragazza, il che era un bene perché eravamo perfettamente allineati, ed era morbida e soffice nei punti in cui le mie dita stavano tracciando una via pericolosa e proibita. C'era parecchio da scoprire dietro quel reggiseno che, anche se non lo vedevo, ero certo fosse all'altezza del resto dell'abbigliamento.

«Hai intenzione di fermarmi?» La mia voce era arrochita dal desiderio, e da tante altre energie compresse dentro di me e pronte a liberarsi.

Lei fece un respiro tremante, e le sue mani lasciarono la presa d'acciaio sui miei capelli e scesero ad appoggiarsi dolcemente sulle mie spalle. Batté le palpebre su quegli occhi cerulei e tirò fuori la lingua per leccarsi di nuovo le labbra.

«è probabile di sì, quindi dovresti baciarmi di nuovo, così dimenticherò che tutto questo è assolutamente inappropriato e che devo smetterla subito.»

Non me lo feci dire due volte. Appoggiai l'altra mano, quella che non stava esplorando il suo seno generoso, al centro della sua schiena e la feci piegare verso di me, in modo da avere accesso diretto non solo alla sua bocca accogliente ma anche alla curva elegante del collo e alla delicata conchiglia dell'orecchio, quando quel fiume setoso di capelli biondi cadde di lato. A quel punto lasciai perdere i giochetti e spinsi con decisione il suo reggiseno verso l'alto, per avere campo libero e poter massaggiare col palmo della mano il suo capezzolo ormai duro e appuntito.

Questo la fece gemere, e io le coprii la bocca con la mia per assaporare quel suono fino in fondo.

Era cedevole, liquida, si era sciolta al mio tocco avvolgendosi su di me come se non avesse più una struttura ossea a tenerla dritta. Ero io il suo unico sostegno, e questo mi fece salire in gola un ringhio di soddisfazione. L'avrei plasmata, modellata in un essere fatto soltanto di desiderio, passione, bisogno e soddisfazione, se me lo avesse permesso.

Spostai la mano dentro la camicetta per poter stuzzicare con le dita quel capezzolo che mi premeva sul palmo con impazienza. Ero così ansioso di prenderlo in bocca che sentivo già la sua dolcezza colarmi sulla lingua. Mi allontanai dal calore vorace e pressante della sua bocca, non solo per vedere l'effetto delle mie carezze su di lei ma anche per respirare e distaccarmi un po': per quanto lo volessi disperatamente, sapevo che quella sera non avrei avuto nessuna possibilità di arrivare con le mani o con la bocca sotto la sua gonna. Certo, era impossibile negare la scintilla fra di noi, la tensione magnetica che ci attirava e ci guidava l'uno verso l'altra, ma Sayer non era il tipo di donna che permette a un uomo di ribaltarla su un lurido tavolo da cucina e farsela su due piedi. Almeno così credevo, ma poi la sua mano scivolò dalla mia spalla e cominciò a percorrere il centro del mio petto, diretta proprio verso la cintura, dove la aspettavano un sacco di guai.

Il tocco delle sue dita attraverso il cotone leggero della maglietta mi procurava sensazioni più intense e bollenti di qualsiasi carezza potessi ricordare di aver ricevuto sulla pelle nuda. Quella donna poteva disfarmi senza alcuna fatica: una rivelazione inquietante, considerando quanto avevo bisogno di lei, in tanti aspetti della mia vita.

Le passai la mia mascella pelosa sulla guancia, e sorrisi vedendola ridacchiare. Era un suono così lieve e allegro che lo feci di nuovo, solo per poterlo risentire. Quando le sue dita si fermarono sulla grossa fibbia della mia cintura presi un respiro profondo e diedi un piccolo strappo al capezzolo con cui stavo ancora giocherellando, poi tirai la mano fuori dal suo reggiseno e mi diedi una spinta all'indietro per mettere un po' di distanza fra di noi.

Seguii la curva del suo orecchio con la punta della lingua, e in risposta sentii tutto il suo corpo scuotersi. Presi nota mentalmente che le orecchie di Sayer erano molto sensibili e sussurrai: «Non so fino a dove pensavi di arrivare, ma se apri quella lampo scommetto che finiremo molto oltre quello che pensavi. Per me non c'è problema, ma qualcosa mi dice che forse per te è diverso. Io ti voglio, Sayer, ma credo che ci siano posti migliori in cui farlo di un tavolo di cucina che potrebbe anche non reggere il nostro peso, visto quanto ti desidero e tutto quello che ti farei. Ti ho detto che volevo uscire con te, dovresti lasciarmelo fare prima di passare a vie di fatto».

Lei fece un verso come uno squittio mischiato a un gemito di frustrazione. Spostò le due mani sulla mia pancia piatta e mi diede una piccola spinta. Io feci un passo indietro e lei mi girò intorno, sistemandosi il reggiseno e rimettendosi a posto la camicetta.

Arrotolò la sua criniera bionda e se la spinse dietro le spalle. Aveva un lieve rossore sugli zigomi, vedevo i segni che la mia barba le aveva lasciato sul collo e sul mento. Avrebbe dovuto dispiacermi, invece mi venne voglia di sorridere, battermi il petto e gridare a tutto il mondo che lei era mia. Quei segni erano il mio marchio, che diceva a tutti gli altri di non toccarla.

«Scusami, ho perso un po' la testa. Hai questo effetto su di me.» Aveva parlato a voce bassa e capii che si sentiva in imbarazzo, come se ammettere che ricambiava il mio inebriante interesse fosse qualcosa di cui vergognarsi.

Sospirai e allungai una mano prendendola per un braccio, mentre lei cercava la sua borsetta. Lei alzò lo sguardo su di me, e mi si strinse lo stomaco vedendo un'ombra spiacevole attraversare il cielo sereno dei suoi occhi. Mi sarei fatto in quattro per rassicurarla se avessi pensato che quell'ombra aveva a che fare con me, ma capivo che in realtà era preoccupata di se stessa.

«Anche tu mi fai questo effetto, Sayer, e lo sai benissimo. È solo che il mio mondo è improvvisamente diventato molto più complicato, e tu sei l'unica che può renderlo più gestibile. Ho bisogno di te.»

Vidi le sue narici fremere, poi lei annuì bruscamente. «Hai bisogno... che io faccia il mio lavoro, ed è quello che farò. Ti ho detto che avremmo sistemato tutto e intendo mantenere la parola. Non ti deluderò.»

Quelle parole mi suonarono come una specie di dichiarazione imparata a memoria, mi fecero aggrottare la fronte.

«Io ho bisogno di te, Sayer, in tutti i sensi.»

Lei si limitò a scuotere la testa e ad accarezzarmi le dita che stavano cominciando a stringerle il braccio più forte di quanto intendessi.

«Non ti preoccupare, Zeb, avrai il meglio di me.» Si sciolse dalla mia presa e fece qualche passo verso la porta. «Presenterò una richiesta formale per farti incontrare Hyde già questa settimana. Probabilmente dovrà essere una visita sorvegliata, e dovrà svolgersi in un luogo decretato dal giudice, magari una struttura protetta.»

Aveva ripreso il suo ruolo professionale e mi stava parlando come se fossi un cliente qualsiasi, e non un tizio che l'aveva quasi ribaltata e scopata su quel traballante tavolo da cucina.

«Che cosa diavolo è una struttura protetta?» Incrociai le braccia sul petto e mi riappoggiai al tavolo, seccato e sessualmente frustrato. Avrei dovuto lasciarle infilare le mani nei miei pantaloni.

«Una struttura protetta è un luogo dove facilitare le visite nei casi di affidamento controverso, per renderle meno dure per il bambino e spesso anche per i genitori. Il Tribunale dei Minori ne ha diverse sparse per la città. Il Colorado ha delle istituzioni davvero ottime per aiutare i bambini che hanno bisogno di protezione legale.»

Io annuii. «Mi basta di poter vedere il piccolo e passare un po' di tempo con lui, prima che si avvii tutto il processo. Non mi interessa dove, o chi starà lì a guardare.»

L'idea che stavo per incontrare mio figlio a faccia a faccia, che stavo per conoscere quella personcina che avevo contribuito a creare, fece riaffiorare tutta la mia felicità ma anche tutti i miei dubbi.

«Ci penserò io. Sul serio, Zeb, congratulazioni. Questo ragazzino è fortunato ad averti dalla sua parte.»

Strinsi gli occhi mentre lei arricciava un po' il naso e si passava le dita sui segni rossi che le avevo lasciato sul collo.

«Io sono fortunato ad averti dalla mia parte, Sayer.»

Lei annuì distrattamente, e spostò le dita sulle piccole chiazze rosse che aveva sul mento. Io soppressi una risata, cosa che la fece voltare verso di me con un sopracciglio alzato.

Inarcai entrambe le sopracciglia e poi le lasciai ricadere in una smorfia chiaramente lasciva. «Prova solo a pensare alla sensazione di avere la mia faccia fra le gambe. Fra noi due la faccenda è tutt'altro che conclusa.»

Quelle parole la fecero arrossire, ma non ribatté. «Mi farò sentire quando saprò qualcosa dal tribunale. Ora che abbiamo accertato la paternità le cose si muoveranno in fretta, o almeno con tutta la velocità consentita dalle procedure legali. Ci vediamo presto.»

Se ne andò, io sospirai e mi voltai per recuperare la mia cintura porta attrezzi abbandonata sul tavolo. A quanto pareva c'era ancora una valanga di lavoro da fare... nella casa e su quella ragazza.

E nella mia vita, ora che avevo un figlio che dovevo e volevo farci entrare.

Passai il resto della settimana sulle spine, in attesa di notizie da Sayer. Sia mia madre sia Beryl erano fuori di sé dalla gioia, anche se non credo che fossero rimaste sorprese. Quando dissi loro che Sayer stava organizzando un incontro con il bambino, credo che fossero entrambe ansiose ed eccitate quanto me.

Sayer chiamò subito prima del weekend e mi disse che era arrivata l'autorizzazione del tribunale e che potevo vedere Hyde, ma che doveva essere un incontro supervisionato e monitorato presso una struttura selezionata. Il cuore mi si incastrò in gola, e non riuscii a rispondere niente, ma solo a grugnire come un uomo di Neanderthal.

Mi chiese se potevo prendermi un pomeriggio libero la settimana successiva e mi disse che avrebbe organizzato tutto quanto. Dato che era il mio avvocato, avrebbe dovuto presenziare anche lei, ma mi assicurò che sia lei sia l'incaricata del tribunale avrebbero interferito il meno possibile, in modo da non interrompere il mio incontro con Hyde.

Quando alla fine ritrovai la voce per ringraziarla mi venne fuori quasi uno squittio. Le chiesi se mi era permesso portare un regalo a Hyde. Non sapevo molto sui bambini, specialmente sui maschi intorno ai cinque anni, a parte il fatto che lo ero stato anch'io, ma mi era venuto in mente che poteva essere una buona idea rompere il ghiaccio con qualcosa per giocare. Quando avevo cinque anni bastava un qualsiasi veicolo con quattro ruote che facesse rumore per farmi felice... anzi, mi rendeva felice anche da adulto, per dirla tutta. Sayer mi disse che doveva verificare con il referente della struttura, e che mi avrebbe fatto sapere. Fissammo la data della visita per il mercoledì successivo e io trascorsi i giorni di attesa passando dall'esaltazione assoluta al panico più totale. Ero certo di stare esasperando Beryl con le mie continue chiamate per chiederle che cosa dovevo fare o dire. Non potevo credere di essere così devastato dalla preoccupazione per l'impressione che avrei potuto fare a un bambino di cinque anni.

Alla fine, alla trentesima chiamata, Beryl mi passò Joss, e la mia nipotina mi disse di smetterla di preoccuparmi, perché piacevo a tutti i bambini. Io mi misi a ridere, e le chiesi come faceva a saperlo: il suo ragionamento fu così semplice e innocente che riuscì ad allontanare qualcuna delle mie paure.

Disse che ero così alto e grosso che sembravo un supereroe, disse che potevo prenderla in braccio e portarla in giro anche una volta cresciuta, e che riuscivo sempre a farla ridere. Disse che i miei abbracci erano i migliori di tutti, e che la mia barba le faceva il solletico quando mi baciava sulla guancia, e poi mi centrò dritto al cuore quando mi disse che avevo tenuto al sicuro lei e la sua mamma quando il suo papà era stato cattivo con loro. Mi disse che ogni bambino aveva bisogno di qualcuno che lo facesse sentire al sicuro, quindi a Hyde sarei piaciuto per forza.

Quando restituì la cornetta a Beryl, capii che mia sorella stava piangendo, e onestamente anch'io sentivo le lacrime bruciare dietro le palpebre.

Il giorno prima di quello stabilito per l'incontro col mio bambino, Sayer mi chiamò e mi disse che aveva ottenuto dal rappresentante della struttura protetta e dalla mamma affidataria di Hyde il permesso di portargli un piccolo regalo. Mi avvertì di non esagerare, perché lui poi avrebbe dovuto ritornare alla casa famiglia e quindi avrebbe avuto intorno altri bambini che avrebbero potuto essere gelosi se fosse arrivato con qualcosa di troppo appariscente e costoso.

E così mi ritrovai nella corsia dei giocattoli di Target mezz'ora prima della chiusura, a fissare con sguardo vacuo file e file di scatole colorate. Non avevo idea di quale fosse un regalo appropriato, o anche solo di che gusti avesse Hyde e mi veniva voglia di strapparmi i capelli, ma alla fine mi cadde l'occhio su una scatola di Lego e si accese una lampadina.

Magari gli piaceva costruire, proprio come piaceva a me. Nella confezione c'erano moltissimi mattoncini, così anche se la casa dove viveva fosse stata piena di bambini avrebbe potuto condividerli e giocare con loro. Presi due scatole diverse e ritornai a casa, sapendo che non avrei chiuso occhio fino al momento di incontrarlo. Passai il tempo a fissare il soffitto e a dividere i miei pensieri fra il bambino e la donna che aveva un ruolo chiave nel farlo entrare definitivamente nella mia vita.

Non riuscivo a pensare a uno dei due senza che l'altro invadesse la scena dopo un attimo. Erano entrambi così importanti e intrinsecamente legati in quel momento che sembrava impossibile separarli, e peraltro non ero sicuro di volerlo fare. Se avessi ottenuto davvero la piena custodia di Hyde, lui avrebbe fatto parte del pacchetto se mai Sayer avesse deciso di farmi entrare nella sua vita. Non poteva avere me senza di lui, e mi chiedevo se in parte fosse questo il motivo per cui aveva ripreso la sua maschera professionale ogni volta che ci parlavamo.

Era sempre gentile, rassicurante, ma dal suo tono non traspariva più neanche un accenno dell'attrazione spensierata che c'era prima: faceva in modo che ogni nostra conversazione fosse breve e rimanesse in argomento. Mi stava facendo impazzire, ma non sapevo come cambiare le cose e francamente dovevo concentrarmi su mio figlio e non sui miei bisogni sessuali.

Quando arrivò il giorno della visita mi presi la mattinata libera dal lavoro e lasciai la guida della squadra al mio braccio destro, Azzy.

Azzy era un bravo ragazzo, sopravvissuto a un passato veramente terribile. Aveva trascorso gli anni della formazione in riformatorio, e la maggior parte della sua gioventù dietro le sbarre. Ci eravamo conosciuti nel carcere di Canyon, e una volta uscito mi aveva cercato. Non aveva nessuna esperienza di costruzioni e sapevo bene quanto fosse difficile per chiunque, ma soprattutto per un uomo di colore con la fedina penale sporca, trovare un buon lavoro e qualcuno disposto a offrirgli un'onesta possibilità per il futuro. Odiavo essere giudicato per gli errori che avevo fatto, ma sapevo che poteva andarmi anche molto peggio. Azzy era ferocemente determinato a non finire mai più in prigione, e si era dedicato con accanimento a fare qualcosa di buono per se stesso. Da quando lo avevo assunto aveva anche dimostrato di saper imparare in fretta. Negli ultimi anni gli avevo affidato sempre più responsabilità e carichi di lavoro. Anzi, una volta completati il progetto e il preventivo stavo pensando di affidare a quel ragazzo l'intero edificio. Azzy era pronto per lavorare in autonomia, e sapevo che Asa avrebbe capito quando gli avessi spiegato perché volevo passare il lavoro al mio protetto.

Mi infilai un paio di pantaloni neri e una camicia scozzese leggera, con i bottoni di madreperla e dei profili bianchi sulle spalle. Cambiai gli scarponi da lavoro con un paio di stivali neri, e cercai di domare la mia criniera ribelle con l'aiuto di un pettine e un po' di gel. Mi ero ripulito da capo a piedi, ma certo nessuno mi avrebbe offerto le chiavi della città e non c'era molto che potessi fare per i tatuaggi che spuntavano ai lati del collo e mi coprivano il dorso delle mani, quindi sapevo che mi avrebbero guardato in quel modo, quello che diceva che per quanto il mio lavoro e il mio conto in banca fossero rispettabili, o per quanto fosse bella la macchina che guidavo, non sarei mai stato elegante e sarei sempre rimasto un ex detenuto.

Decisi che questo era il massimo che potevo ottenere, quindi salii sulla Jeep con il mio carico di Lego e mi diressi all'indirizzo che mi aveva dato Sayer.

La struttura protetta sembrava un ufficio fra tanti nella strada secondaria dove si trovava. Mi resi conto di quanto era diverso solo una volta entrato, quando dovetti passare i controlli di sicurezza e superare infiniti sguardi sospettosi. Mi registrai alla reception e mi guardai intorno nella piccola zona di attesa, alla ricerca di un viso familiare. Non vedevo altro che uomini dall'aria sconfitta e donne dall'aria spaventata. Quel posto rappresentava chiaramente la peggiore delle ipotesi per molta gente, e questo mi agitò ancora di più.

Non volevo essere la peggiore delle ipotesi nella vita di Hyde: volevo essere la soluzione migliore possibile nella maledetta sfortuna che aveva avuto fino a quel punto della sua vita.

Si aprì una porta accanto alla reception e comparve Sayer, che venne verso di me. La sua vista per un attimo mi lasciò di sasso. L'avevo vista parecchie volte vestita da avvocato quando lavoravo in casa sua, ma vederla tutta in tiro, in alta uniforme, per rappresentare me mi fece un effetto incredibile. I suoi capelli biondi erano tirati indietro a scoprire il viso: avrei voluto infilarci le mani e scioglierli. Mi sfiorò con lo sguardo e un angolo della sua bocca truccata con un rossetto leggero si sollevò in un sorriso.

«Stai benissimo. Sei pronto? Lei è Maria, è la nostra referente per questa struttura. Passerà la prossima ora nella stanza con te e Hyde. Non preoccuparti se la vedi prendere appunti, e devi sapere che ogni tua visita qui verrà registrata e ripresa da una telecamera. Per ora a Hyde è stato detto che sei un vecchio amico di sua madre. Siamo tutti d'accordo che non è ancora il momento di spiegargli che sei suo padre, prima vogliamo che impari a sentirsi a suo agio con te. Sei d'accordo su tutto, Zeb?»

Io mi limitai ad annuire seccamente: che altro potevo fare? «Farò tutto quello che mi chiederete.»

Il suo sorriso si allargò, placando le lame acuminate che sentivo sottopelle. Quando allungò una mano e me la appoggiò sul gomito, finalmente riuscii a respirare normalmente.

«Dobbiamo solo riempire dei formulari e poi andremo da lui. Hyde è già nella stanza, sta giocando con un'altra addetta di questa struttura.»

Io annuii di nuovo, mi sembrava di non riuscire a fare altro in quel momento.

Sayer doveva essersi accorta del mio stato d'animo, perché quando si avvicinò per darmi una pila di carte fece un passo avanti e mi bisbigliò: «Zeb, è un bambino felice. Sembra molto dolce, e non ha dimostrato curiosità o paura quando la madre affidataria l'ha portato qui. Vuole solo giocare. Sarà contento di vederti, per lui è tutta un'avventura». Espirai così forte che mi stupii di non averla fatta volare via.

«Grazie, Sayer.»

Lei mi fece l'occhiolino e mi accarezzò il braccio. «Di persona la somiglianza è ancora più evidente.» Indicò la propria guancia. «Ha perfino la tua fossetta.»

Sentii le mie sopracciglia inarcarsi da sole. «Come fai a sapere che ho una fossetta?» Avevo cominciato a farmi crescere la barba in prigione, perché non avevo voglia di affrontare le difficoltà di procurarmi un rasoio. Quando ero uscito era lunga e disordinata, ma una volta tagliata e curata mi era sembrata fantastica, quindi avevo deciso di tenermela. Da quanto ne sapevo nessuno dei miei attuali conoscenti mi aveva mai visto rasato, compresa Sayer.

Il suo sorriso si attenuò un po'. Allontanò la mano dal mio braccio, e mentre scarabocchiavo nome e data di nascita sulla pila di fogli si schiarì la voce e distolse lo sguardo, borbottando: «Nella foto segnaletica non hai la barba. Ho notato la fossetta mentre controllavo il materiale a mia disposizione prima di presentare la mozione al tribunale».

La foto segnaletica. Merda, aveva visto la mia foto segnaletica. Digrignai i denti rumorosamente: non c'era da stupirsi che si fosse allontanata da me. Non si poteva certo negare che avevo scontato una condanna per un atto indubbiamente violento. Con quel genere di prova sotto gli occhi, perché avrebbe dovuto darmi una possibilità di diventare qualcosa di più di un amico? Mi era sembrata così comprensiva riguardo al mio passato ingombrante, ma come poteva ignorarlo quando le veniva continuamente sciorinato davanti? Non esistevano porte tanto robuste da poter tenere al sicuro per sempre ciò che c'era nel mio passato.

«Sei pronto?» Diede le carte alla donna che mi aveva appena presentato e io abbassai il mento in una specie di cenno di assenso.

«Più pronto di così non sarò mai. Facciamolo.» Avrei voluto sentirmi sicuro come sembrava dal mio atteggiamento.

«Okay, seguimi.»

Percorremmo un lungo corridoio e poi entrammo in una stanza che sembrava l'aula di un asilo. C'erano dei tavolini con materiali per disegnare e colorare, e sul pavimento un tappeto imbottito coperto di lettere e numeri. In mezzo a tutto questo c'era un bambino coi capelli scuri, sdraiato a pancia in giù, che scalciava in aria coi piedi e faceva dei rumori con la bocca, giocando con un grosso camion di plastica.

Il tempo si bloccò.

Il mondo si bloccò.

Io mi bloccai.

Tutto ciò a cui tenevo, tutto ciò che mi era sembrato importante fino al momento in cui posai gli occhi su quella personcina che era una parte così importante di me, perse completamente di valore e di significato. Due occhi verdi identici a quelli che vedevo nello specchio tutte le mattine si alzarono su di me, e sotto balenò un largo sorriso a cui mancava un dentino inferiore. Il bambino si alzò in piedi e corse a raggiungermi. Io lo guardavo immobile, con il cuore in gola.

«Ciao. Io sono Hyde. Sei un gigante? Quello è Lego? Mi piace tanto il Lego. Vuoi giocare con me?»

Io abbassai lo sguardo su quella mia fotocopia in miniatura e mi obbligai a riprendermi. Non avrei avuto un'altra occasione per fare una buona prima impressione su quell'omino che era diventato all'improvviso tutto il mio mondo.

Mi accovacciai, per ridurre la distanza fra di noi, e gli allungai la scatola. «Ciao, Hyde. Io mi chiamo Zeb. Non sono un gigante, ma posso sembrarlo perché sono molto alto. Questo Lego è per te, mi piacerebbe molto giocare insieme.»

Adesso che poteva guardarmi negli occhi batté lentamente le palpebre e piegò la testa di lato, osservandomi per un momento con aria meditabonda.

«Tu conoscevi la mia mamma?» Sentire il tremito nella sua voce mi diede un colpo al cuore.

«Sì. L'ho incontrata una volta sola, ma è stata molto gentile con me. È stata una buona amica per me, e in quel momento ne avevo davvero bisogno.»

Lui annuì solennemente e prese la scatola di Lego che avevo ancora in mano, poi la appoggiò subito sul pavimento vicino alle sue scarpe da ginnastica. «A volte era gentile, ma non sempre. Ti sei fatto disegnare sulla pelle?» Indicò il mio collo, dove era raffigurato un vecchio orologio da taschino, e io girai le mani per fargli vedere gli arabeschi che le ricoprivano. Cercai di rimanere immobile mentre lui allungava un ditino e toccava i disegni.

«Sì. Però sono disegni che non vanno più via. Posso tenerli per sempre.»

Lui mosse le labbra, e la fossetta che avevo anch'io si approfondì sulla sua guancia, mentre mi sorrideva. «Okay. Posso toccarti la faccia?»

Non riuscii a impedirmi di ridere forte: a quanto pareva Joss aveva ragione a proposito della barba, ai bambini piaceva davvero.

«Certo. La mia nipotina dice che le fa il solletico quando le do un bacio.»

Sentii uno strano verso alle mie spalle, e lanciai un'occhiata verso Sayer, rossa come un peperone, che si copriva la bocca con una mano e tossiva. Apparentemente, Joss non era l'unica a cui i miei baci facevano il solletico. Dovetti girarmi di nuovo quando due manine mi afferrarono le guance e mi accarezzarono la barba.

Guardai dentro quegli occhi così simili ai miei, e dovetti reprimere l'istinto di prenderlo in braccio e non lasciarlo andare mai più. Quel sorriso con la fossetta comparve di nuovo. «Mi piace.» Sentii un coro di sospiri provenire dalle donne presenti nella stanza, ma stavolta non staccai gli occhi dal bambino.

«Sono contento.»

Lui annuì, come se in qualche modo capisse l'importanza di quell'incontro quanto gli adulti presenti nella stanza.

«Va bene, adesso giochiamo.» Si rivolse alle due donne in piedi dietro di me. «Volete giocare anche voi?»

Dio, era meraviglioso, proprio come aveva detto Sayer. Era dolce, attento e così amichevole che non riuscivo a capire come si potessero preferire a lui droga e relazioni violente. Era fatto di luce.

La dolce voce di Sayer si librò su di noi mentre aprivo per lui le scatole di mattoncini colorati.

«Grazie, Hyde, ma è meglio se giochi con Zeb. È venuto apposta per te. Ha aspettato tantissimo tempo per giocare con te.»

«Davvero?»

La meraviglia nella sua voce mi fece formicolare le dita, che volevano stringersi a pugno. Come poteva un bambino così fantastico dubitare della propria importanza? Mi faceva venire voglia di spaccare qualcosa, anzi, moltissime cose.

«Sì, è proprio vero. Giochiamo io e te. Costruiamo qualcosa di fantastico.»

«Sì, dai!» Si ributtò sul tappeto a pancia in giù, di fronte a me. Il suo entusiasmo era contagioso. Io mi sedetti sul pavimento e lanciai un'occhiata a Sayer.

Si copriva la bocca con le mani, lo sguardo fisso su di noi. In quegli occhi azzurri e profondi riconobbi la stessa determinazione che, lo sapevo, stava illuminando i miei.

Hyde era mio. Doveva venire a stare con me, a qualsiasi costo.

Quel bambino non avrebbe mai più dovuto chiedersi se qualcuno lo voleva. C'era qualcuno che lo voleva con tutto il cuore, e prima avessi potuto dirglielo meglio sarebbe stato.