Cassetta 6: Lato B

Ancora due lati. Non mollate proprio adesso. Scusatemi. Immagino suoni un po' strano. Non è forse quello che sto facendo io? Mollare?

Sì. In effetti, è così. Perché alla fine è di questo che si tratta, più ancora di tutto il resto. Io… che rinuncio… a me stessa.

Al di là di quello che posso aver detto finora, al di là delle persone che posso aver chiamato in causa, alla fine dei conti, questo riguarda me e me sola.

La sua voce sembra tranquilla. Soddisfatta di quello che dice.

Prima della festa, avevo pensato già tante volte di gettare la spugna. Non so, forse certe persone sono più predisposte di altre a pensarci. Fatto sta che, ogni volta che mi succedeva qualcosa di brutto, io ci pensavo.

"Ci"? Okay, ora lo dico. Pensavo al suicidio.

La rabbia, la vergogna, tutto finito. Ormai ha deciso. La parola non è più un tabù per lei.

Dopo ogni episodio di cui vi ho raccontato, ogni volta che succedeva qualcosa di nuovo, pensavo subito al suicidio. Di solito, era un pensiero momentaneo.

Vorrei morire.

Ci ho pensato tante volte anch'io. Ma è una cosa difficile da pronunciare ad alta voce.

Ed è ancora più terribile renderti conto che forse lo vorresti davvero.

Ma a volte mi spingevo oltre, e cominciavo a riflettere su come avrei potuto fare. M'infilavo nel letto e mi chiedevo se in casa avevo qualcosa da poter usare.

Una pistola? No. Non ne abbiamo mai possedute. E non saprei nemmeno dove trovarne.

Impiccarmi? Ma con cosa? E dove potrei farlo? Ma anche se sapessi come e dove, non mi va che qualcuno mi trovi penzoloni, a pochi centimetri dal pavimento.

Non potrei mai fare una cosa simile a mamma e papà.

E quindi com'è che ti hanno trovata? Ho sentito così tante versioni.

È diventato una specie di gioco malato, lì a immaginare i diversi modi per uccidermi. E ce ne sono alcuni davvero curiosi e originali.

Hai preso delle pasticche. Questo lo sanno tutti. C'è chi dice che sei svenuta e sei affogata nella vasca da bagno.

Due erano i ragionamenti di fondo. Se volevo che la gente pensasse a una morte accidentale, sarei uscita di strada con la macchina. In un punto dove non avrei avuto possibili tà di sopravvivere. E ce ne sono tanti di posti del genere appena fuori città. Nelle ultime due settimane, sarò passata accanto a ognuno di essi almeno una dozzina di volte.

Altri dicono che hai riempito la vasca, ma poi ti sei addormentata sul letto mentre si stava riempiendo. Tua madre e tuo padre sono tornati a casa, hanno trovato il bagno allagato, e ti hanno chiamata. Ma senza risposta.

Poi ci sono queste cassette.

Posso fidarmi del fatto che tutti e voi dodici manterrete il segreto? Che non andrete dai miei a dirgli quello che è successo realmente? E li lascerete credere che si è trattato di un incidente, se questa è la versione che circola?

Fa una pausa.

Non lo so. Non mi fido.

Pensa che ci metteremmo a raccontarlo in giro. Pensa che andremmo dai nostri amici a dire: "Lo vuoi sapere un terribile segreto?"

Così ho scelto la strada meno dolorosa in assoluto.

Pasticche.

Ho un altro spasmo allo stomaco, un tentativo di liberare il mio corpo da tutto. Cibo. Pensieri. Emozioni.

Ma che genere di pasticche? E quante? Non lo so di preciso. E non ho nemmeno molto tempo per scoprirlo visto che domani… è il grande giorno.

Wow.

Mi siedo sul marciapiede, all'altezza di un incrocio buio e tranquillo.

Domani… non ci sarò più.

Sono poche le abitazioni ai quattro angoli dell'incrocio che mostrano ancora segnali di vita. Alcune finestre tremolano con la debole luce bluastra dei programmi tv di tarda notte. Circa un terzo delle case ha lasciato accesa la luce della veranda. Ma, se non fosse per l'erba tagliata o per una macchina parcheggiata di fronte, sarebbe difficile stabilire se le altre siano abitate o meno.

Domani mi alzo, mi vesto, e vado all'ufficio postale. Lì, spedirò una scatola piena di cassette a Justin Foley. E dopo, niente più spazio per i ripensamenti. Andrò a scuola, dopo aver perso la prima ora, e trascorreremo un ultimo giorno tutti insieme. L'unica differenza è che io saprò che è l'ultimo giorno.

E voi no.

Me la ricordo? Ho un'immagine di lei nei corridoi il suo ultimo giorno? Voglio ricordarmi l'ultimissima volta che l'ho vista.

E mi tratterete come mi avete sempre trattata. Vi ricordate l'ultima cosa che mi avete detto?

Io no.

L'ultima cosa che mi avete fatto?

Ho sorriso, ne sono sicuro. Dopo la festa ho continuato a sorriderti ogni volta che t'incontravo, ma tu non alzavi mai gli occhi. Perché ormai avevi deciso.

Se ce ne fosse stata l'occasione, sapevi che mi avresti sorriso anche tu. Ma non potevi permettertelo. Non se volevi andare fino in fondo.

E qual è stata l'ultima cosa che io vi ho detto? Perché giuro che quando l'ho detta, sapevo che sarebbe stata l'ultima.

Niente. Mi hai detto di andarmene via e basta. Dopo, hai escogitato di tutto pur di evitarmi.

Il che ci porta a uno dei miei ultimissimi weekend. Il weekend successivo all'incidente. Il weekend di un'altra festa. Una festa a cui non ho partecipato.

Certo, ero ancora in castigo. Ma non è questo il motivo per cui non ci sono andata. In realtà, se fossi voluta andarci, sarebbe stato molto più semplice rispetto alla festa precedente, in quanto, stavolta, ero ospite in casa di altri. Un amico di mio padre era andato fuori città e io dovevo accudire casa sua, dare da mangiare al cane, e tenere d'occhio la situazione, visto che, a quanto pare, ci sarebbe stata una grande festa in una delle case lì accanto.

E così è stato. Forse non grande quanto la precedente, ma di sicuro non una festa da principiatiti.

Anche se mi avessero detto che ci saresti stata anche tu, sarei rimasto a casa lo stesso.

Visto il modo in cui mi evitavi a scuola, ero convinto che mi avresti ignorato anche lì. Ed era un'ipotesi troppo dolorosa da verificare.

Ho sentito di gente che, avendo avuto un'esperienza particolarmente negativa con la tequila, vomita al solo sentirne l'odore. E anche se la festa in questione non mi ha suscitato una reazione fisica tanto violenta, il solo fatto di essere nei paraggi – di sentirla da lontano – mi ha provocato un nodo allo stomaco.

Una settimana non bastava assolutamente per riprendersi dall'ultima.

Il cane sembrava impazzito. Non appena qualcuno passava davanti alla finestra, lui si metteva subito ad abbaiare. Io mi acquattavo e lo sgridavo, urlandogli di allontanarsi dalla finestra, ma avevo troppa paura di andare fin lì a prenderlo in braccio – paura che qualcuno potesse vedermi e chiamarmi.

Così ho chiuso il cane in garage, dove poteva abbaiare finché voleva.

Fermi tutti, ora sì che mi ricordo. L'ultima volta che ti ho vista.

La musica rimbombava in tutto l'isolato ed era impossibile da tappare fuori. Ma io ci ho provato lo stesso. Sono corsa in giro per la casa, a tirare le tende e a chiudere tutte le persiane che sono riuscita a trovare.

Ricordo le ultime parole che ci siamo detti.

Poi mi sono nascosta nella camera da letto con la tv a tutto volume. E anche se non sentivo più la musica, percepivo comunque i bassi che rimbombavano dentro di me.

Ho strizzatogli occhi, forte. Mentalmente, non stavo più guardando lo schermo. Non ero più in quella stanza. Rivedevo l'armadio, e me nascosta al suo interno, circondata da una montagna di giubbotti. E di nuovo, ho cominciato a dondolarmi avanti e indietro, avanti e indietro. E di nuovo, non c'era nessuno che potesse sentirmi piangere.

Nell'ora del prof Porter, ho notato che il tuo banco era vuoto. Ma quando è suonata la campanella e sono uscito in corridoio, ti ho vista lì fuori.

Alla fine il casino si è calmato. E quando tutti hanno finito di passare davanti alla finestra e il cane ha smesso di abbaiare, ho rifatto il giro della casa a riaprire le tende.

Ci siamo quasi scontrati. Ma tenevi gli occhi bassi e quindi non ti sei accorta che ero io. E abbiamo detto tutti e due: — Mi dispiace.

Dopo essere rimasta chiusa in casa tutta la sera, ho deciso di uscire a prendere una boccata d'aria. E magari, diventare a mia volta un'eroina.

Poi hai alzato lo sguardo. Hai visto che ero io. E nei tuoi occhi, ho colto che cosa? Tristezza? Pena? Mi sei passata accanto, tentando di liberarti la faccia dai capelli. Avevi le unghie dipinte di blu scuro. Ti ho osservata percorrere l'intera lunghezza del corridoio, con la gente che mi sbatteva contro. Ma non me ne importava niente.

Sono rimasto lì a guardarti finché non sei sparita. Per sempre.

Cari amici, eccoci di nuovo al D-4. Casa di Courtney Crimsen. Ovvero la casa di questa seconda festa.

No, questo nastro non è su Courtney… anche se lei ha avuto un ruolo nella vicenda. Courtney non ha idea di quello che sto per dire, perché lei se n'è andata proprio quando le cose stavano cominciando a scaldarsi.

Mi volto e cammino in direzione opposta rispetto alla casa di Courtney.

Il mio piano era di passare lì accanto. Magari avrei trovato qualcuno che riusciva a stento a infilare la chiave nella portiera della macchina e gli avrei offerto un passaggio fino a casa.

Non vado da Courtney. Vado al parco Eisenhower, il luogo del primo bacio di Hannah.

Ma la strada era deserta. Erano già tutti andati via.

O almeno così pareva.

E poi, qualcuno mi ha chiamata.

Lungo l'alto steccato di legno che circondava la casa, è spuntata una testa. E indovinate di chi era?

Bryce Walker.

No. Qui non può che finire male. Se c'è qualcuno in grado di gettare altra merda sulla vita di Hannah, è Bryce.

— Dove vai di bello?

Quante volte lo avevo già visto, con una qualunque delle sue ragazze, mentre afferrava loro il polso e glielo storceva, trattandole come animali?

E per di più in pubblico.

Il mio corpo, le mie spalle, tutto quanto era deciso a continuare a camminare come se niente fosse. E forse avrei dovuto. Ma la mia faccia si è voltata verso di lui. C'era del vapore che saliva dal suo lato dello steccato.

— E dai, unisciti a noi — ha detto. — Non siamo più tanto sbronzi.

E indovinate quale testa è spuntata accanto alla sua? Quella di Miss Courtney Crimsen.

Questa sì che era una coincidenza. Lei era quella che mi aveva usata come autista per andare a una festa. E ora mi ritrovavo a imbucarmi nel suo dopo-festa.

Lei era quella che mi aveva mollata in mezzo alla festa senza nessuno con cui parlare. E ora mi ritrovavo a casa sua, senza che lei potesse nascondersi da nessuna parte.

Non è per questo che l'hai fatto, Hannah. Non è questo il motivo per cui ti sei unita a loro. Sapevi che era la peggior scelta che potessi fare. Lo sapevi.

Ma infondo chi sono io per serbare rancore?

È per questo che l'hai fatto. Volevi che il mondo finisse di crollarti addosso. Volevi che diventasse tutto il più buio possibile. E Bryce, già lo sapevi, non poteva che esserti d'aiuto in questo.

Lui ha detto che vi stavate solo rilassando un po'. E tu, Courtney, ti sei offerta di riportarmi a casa una volta finito il bagno, senza sapere che casa mia, quella sera, era solo due numeri civici più in là. Ma sembravi così sincera, che mi sono stupita.

Mi hai fatto sentire un po' in colpa.

Ero disposta a perdonarti, Courtney. E in effetti ti perdono. Anzi, vi perdono quasi tutti. Ma dovete lo stesso ascoltarmi fino in fondo. Conoscere i dettagli.

Ho camminato sull'erba bagnata e ho sollevato il chiavistello dello steccato, aprendo il cancelletto solo pochi centimetri. Ed ecco lì la fonte di vapore… una vasca idromassaggio a cielo aperto.

I bocchettoni non erano in funzione, così si sentiva solo lo sciabordio dell'acqua contro i bordi. Contro i vostri due corpi.

Avevate la testa poggiata all'indietro. Gli occhi chiusi. E il sorrisetto sulle vostre facce faceva sembrare l'acqua e il vapore davvero invitanti.

Courtney si è girata verso di me, pur continuando a tenere gli occhi chiusi. — Ci siamo infilati dentro con la bianchera intima — ha detto.

Ho esitato un istante. Farò bene?

No… ma lo faccio lo stesso.

Sapevi a cosa andavi incontro, Hannah.

Mi sono tolta la maglietta, le scarpe, mi sono levata i pantaloni, e sono salita lungo gli scalini di legno. E poi? Sono scesa nella vasca.

Era così rilassante. Così confortante.

Ho raccolto un po' d'acqua nelle mani e me la sono fatta sgocciolare in faccia. Passandomela tra i capelli. Mi sono sforzata di chiudere gli occhi, lasciando che il mio corpo sciv olasse all'interno della vasca e la testa si appoggiasse contro il bordo.

Ma con l'acqua che tornava a calmarsi è arrivato anche un senso di terrore. Non era posto per me quello. Non mi fidavo di Courtney. Non mi fidavo di Bryce. Malgrado le loro buone intenzioni, conoscevo entrambi abbastanza bene da sapere che non potevo sentirmi tranquilla a lungo con nessuno dei due.

E avevo ragione… ma ormai avevo chiuso. Basta lottare. Ho aperto gli occhi e ho guardato in alto il cielo stellato. Avvolto dal vapore, tutto il mondo sembrava un sogno.

Cammino con gli occhi socchiusi, anche se in realtà vorrei chiuderli del tutto.

In poco tempo, l'acqua è diventata meno piacevole. Troppo calda.

Quando li riaprirò, voglio ritrovarmi di fronte al parco. Non voglio rivedere più nessuna delle strade che ho attraversato, e che anche Hannah ha attraversato, la sera della festa.

Ma quando, facendo leva contro il bordo della vasca, mi sono messa a sedere per raffreddare la parte superiore del corpo, mi sono resa conto che, da bagnato, il mio reggiseno era trasparente.

Così sono riscesa in acqua.

E Bryce mi è scivolato accanto… lentamente… lungo il sedile interno. E la sua spalla si è appoggiata contro la mia.

Courtney ha aperto gli occhi, ci ha guardati, e li ha richiusi.

Tiro un pugno di lato e colpisco una rete da pollaio mezza arrugginita. Faccio scivolare le dita contro il metallo.

Le parole di Bryce erano come un sussurro, un chiaro tentativo di seduzione. — Hannah Baker — ha detto.

Lo sanno tutti chi sei, Bryce. E cosa fai. Ma io, a onor del vero, non ho fatto niente per fermarti.

Mi hai chiesto se mi ero divertita alla festa. Courtney ha mormorato che io non ero nemmeno presente, ma tu non le hai dato retta. Invece, le tue dita hanno sfiorato la parte esterna della mia coscia.

Colpisco di nuovo colpito la recinzione.

Ho serrato le mascelle e tu hai allontanato le dita.

— È finita abbastanza presto — hai detto. E altrettanto rapidamente, le tue dita sono tornate all'attacco.

Mi aggrappo con forza alla recinzione, continuando a camminare. Quando sfilo via le dita dai buchi nel metallo, la pelle mi si spacca.

Stavolta, con l'intera mano. E quando hai visto che io ti lasciavo fare, hai allungato la mano sulla mia pancia. Il pollice mi sfiorava la parte sotto del reggiseno e il mignolo la parte sopra degli slip.

Ho girato la testa di lato, lontano da te, e so che non ho sorriso.

Hai chiuso le dita della mano, e hai cominciato a massaggiarmi in tondo la pancia. — Mi piace un sacco — hai detto.

Ho avvertito uno spostamento d'acqua e ho aperto per un istante gli occhi.

Courtney si stava allontanando.

Hai per caso bisogno di altri motivi per farti odiare da tutti, Courtney?

Ricordi quando eri in prima? — mi hai chiesto.

Le tue dita si sono fatte strada sotto il reggiseno. Ma non mi hai palpeggiata. Era più un giro di ricognizione, direi. E hai iniziato a sfiorarmi con il pollice la parte inferiore del seno.

Se non sbaglio eri su quella lista? Miglior fondoschiena della prima liceo.

Avrai pur visto la tensione sul mio volto, Bryce. Avrai pur visto che stavo piangendo. Questo genere di cose ti eccita?

Bryce? Certo.

Più che meritato.

E poi, tutto a un tratto, ci ho rinunciato. Le spalle si sono infossate. Le gambe si sono allargate da sole. Sapevo esattamente quello che stavo facendo.

Non ho mai contribuito alla reputazione che voi tutti mi avevate cucito addosso. Mai. Anche se a volte è stato difficile. Anche se a volte mi sono sentita attratta da ragazzi che volevano uscire con me solo per via di quello che avevano sentito sul mio conto. Ma ho sempre detto di no a questa gente. Sempre!

Eccetto con Bryce.

Perciò congratulazioni, Bryce. Hai vinto tu. Ho lasciato che la mia fama diventasse realtà – che io e lei diventassimo una cosa sola – con te. Come ci si sente?

Aspetta, non rispondere subito. Lascia prima che ti dica una cosa:

Non mi sono mai sentita attratta da te, Bryce. In realtà, mi hai sempre fatto schifo.

E la prossima volta che ti becco ti darò una bella lezione. Te lo giuro.

Tu eri lì che mi palpavi… ma io ti stavo usando. Avevo bisogno di te, per riuscire a rinunciare a me stessa, completamente.

Voi altri in ascolto, statemi bene a sentire, non gli ho detto no né ho spinto via la sua mano. Le uniche cose che ho fatto sono state voltare la testa, stringere i denti, e trattenere le lacrime. E lui se riè accorto. Mi ha persino detto di rilassarmi.

— Rilassati — mi ha detto. — Vedrai che andrà tutto bene. — Come se farmi masturbare da lui potesse risolvere tutti i miei problemi.

Ma alla fine, non ti ho detto niente… e tu hai proseguito.

Hai smesso di massaggiarmi in cerchio la pancia. E hai cominciato invece a massaggiarmi lungo i fianchi, su e giù, con delicatezza. Il mignolo si è fatto strada sotto l'elastico degli slip, scorrendo avanti e indietro, da un fianco all'altro. Poi si è infilato sotto un altro dito, spingendo il mignolo più in basso, fino ad accarezzarmi i peli del pube.

E tu non aspettavi altro, Bryce. Hai cominciato a baciarmi la spalla, il collo, facendo scivolare le dita dentro e fuori. E poi hai continuato così. Fino infondo.

Chiedo scusa. È un po' troppo forte come immagine? Peggio per voi.

Quando era tutto finito, sono uscita dalla vasca e me ne sono tornata a casa, due numeri civici più in là. Fine della serata.

Fatto tutto.

Chiudo la mano a pugno e la sollevo davanti alla faccia. Tra le lacrime, osservo il sangue sprizzare tra le dita. Ho diversi tagli profondi, la pelle straziata dalla recinzione arrugginita.

Ovunque Hannah voglia spedirmi adesso, ho comunque deciso dove trascorrerò il resto della notte. Prima, però, devo disinfettarmi la mano. I tagli bruciano, ma soprattutto sento le gambe cedere alla vista del sangue.

Mi dirigo verso la stazione di servizio più vicina. È a un paio d'isolati di distanza e neanche troppo fuori mano per me. Scuoto la mano un paio di volte, lasciando cadere sul marciapiede gocce di sangue scuro.

Quando arrivo alla stazione, mi infilo la mano ferita in tasca e apro la porta a vetri del minimarket. Trovo una bottiglia trasparente di alcol e una piccola confezione di cerotti, butto alcuni dollari sul bancone, e chiedo la chiave per il bagno.

— I bagni sono sul retro — dice la donna dietro al bancone.

Giro la chiave nella toppa e apro la porta del cesso con la spalla. Poi mi sciacquo la mano sotto l'acqua fredda e osservo il sangue scendere a spirale nello scarico. Rompo il sigillo sulla bottiglia di alcol e, in un colpo solo – altrimenti non ne avrei il coraggio – me la svuoto sulla mano.

Tutto il mio corpo si contrae e io mi metto a urlare e a bestemmiare con tutto il fiato che ho in gola. È come se mi stessero strappando via la pelle dal muscolo.

Dopo quella che a me è parsa circa un'ora, riesco finalmente a piegare e a flettere di nuovo le dita. Usando la mano libera e i denti, applico alcuni cerotti sulla ferita.

Riconsegno la chiave e la donna mi augura semplicemente: — Buona serata.

Quando raggiungo il marciapiede, ricomincio a camminare spedito. Manca solo una cassetta. Un numero tredici blu nell'angolo in alto.