L'ORO DI TOMÁS VARGAS

 

 

 

 

 

Prima che iniziasse il madornale bordello del progresso, chi aveva qualche risparmio lo seppelliva, era l'unica maniera nota di metter via il denaro; ma più tardi la gente prese confidenza con le banche. Quando fecero la strada e diventò più facile arrivare in città con l'autobus, cambiarono le monete d'oro e d'argento con pezzi di carta colorata e li misero in casseforti, come fossero tesori. Tomás Vargas rideva di loro, perché non aveva mai creduto in quel sistema. Il tempo gli diede ragione, e quando finì il governo del Benefattore, che durò una trentina d'anni, a quanto si dice, le banconote non valevano più niente e alcune finirono appiccicate alle pareti, come decorazione e infame ricordo del candore dei loro proprietari. Mentre tutti gli altri scrivevano lettere al nuovo Presidente e ai giornali per lamentarsi della truffa collettiva delle nuove monete, Tomás Vargas teneva il suo malloppo d'oro in una sepoltura sicura, anche se questo non attenuava le sue abitudini d'avaro e accattone. Era un uomo senza decenza, chiedeva denaro in prestito senza l'intenzione di restituirlo, e teneva i figli affamati e la moglie in cenci, mentre lui portava cappelli di pelo e fumava sigari da signore. Non pagava neanche la quota della scuola, i suoi sei figli legittimi furono educati gratis perché la Maestra Inés decise che finché lei fosse stata sana di mente e avesse avuto la forza di lavorare nessun bambino del paese sarebbe rimasto analfabeta. Con l'età non divenne meno litigioso, ubriacone e donnaiolo. Considerava un grande onore l'essere stimato il più maschio della regione, come sbraitava in piazza ogni volta che la sbornia gli faceva perdere i sentimenti e annunciare a pieni polmoni i nomi delle ragazze che aveva sedotto e dei bastardi che avevano il suo sangue. A credergli dovevano essere sui trecento, perché a ogni baldoria elencava nomi diversi. La polizia lo mise dentro diverse volte, e il Tenente in persona gli propinò più di una manganellata sulle natiche, per vedere se gli migliorava il carattere, ma la cosa non ebbe più risultati delle prediche del curato. In realtà rispettava soltanto Riad Halabí, il padrone dello spaccio, perciò i vicini ricorrevano a quest'ultimo quando sospettavano che Tomás avesse passato i limiti della dissipazione e stesse frustando moglie e figli. In tali occasioni l'arabo abbandonava il bancone in tanta fretta che non si ricordava di chiudere bottega, e si presentava, soffocando di disgusto giustiziere, a mettere ordine nel casale dei Vargas. Non aveva bisogno di dire molto, al vecchio bastava vederlo comparire per calmarsi. Riad Halabí era l'unico capace di svergognare quel bellimbusto.

Antonia Sierra, la moglie di Vargas, aveva ventisei anni meno di lui. Giunta alla quarantina era già una rovina, non le restava quasi un dente sano in bocca e il suo agguerrito corpo di mulatta era stato deformato dalla fatica, dai parti e dagli aborti; tuttavia conservava ancora l'impronta della sua passata arroganza, una maniera di camminare con la testa ben eretta e la vita stretta, un avanzo di antica bellezza, un tremendo orgoglio che stroncava qualsiasi tentativo di compatirla. Le bastavano appena le ore per portare a termine i suoi compiti, perché oltre a curare i figli e a occuparsi dell'orto e delle galline si guadagnava qualcosa cucinando per la polizia, lavando biancheria altrui e pulendo la scuola. A volte aveva il corpo costellato di lividi blu, e anche se nessuno chiedeva niente tutta Agua Santa sapeva delle bastonate che le impartiva il marito. Solo Riad Halabí e la Maestra Inés si azzardavano a farle regali discreti, cercando scuse per non offenderla, qualche indumento, cibo, quaderni e vitamine per i bambini.

Molte umiliazioni dovette sopportare Antonia Sierra da suo marito, compreso il fatto che le imponesse una concubina nella sua stessa casa.

 

Concha Díaz giunse ad Agua Santa a bordo di un camion della Compagnia Petrolifera, sconsolata e lamentevole come uno spettro. L'autista si era impietosito nel vederla scalza per la strada, col suo fagotto in spalla e la sua pancia da donna gravida. Traversando il paese, i camion si fermavano allo spaccio, perciò Riad Halabí fu il primo a sapere la notizia. La vide comparire sulla porta e dalla maniera in cui lasciò cadere il fagotto davanti al bancone si rese subito conto che non era di passaggio: quella ragazza era venuta per restare. Era giovanissima, bruna e di bassa statura, con un viluppo compatto di capelli crespi stinti dal sole, in cui sembrava non fosse penetrato un pettine da molto tempo. Come faceva sempre con i visitatori, Riad Halabí offrì a Concha una sedia e un succo d'ananas e si dispose ad ascoltare il racconto delle sue avventure o disavventure, ma la ragazza parlava poco, si limitava a soffiarsi il naso con le dita, gli occhi fissi a terra, le lacrime che le scorrevano senza fretta sulle guance e una litania di rimproveri che le sgorgava fra i denti. Infine l'arabo riuscì a capire che voleva vedere Tomás Vargas, e mandò a cercarlo alla taverna. L'aspettò sulla porta e appena lo ebbe davanti lo prese per un braccio e lo mise di fronte alla forestiera, senza dargli il tempo di riprendersi dalla sorpresa.

"La ragazza dice che il bambino è tuo," disse Riad Halabí con quel tono dolce che usava quando era indignato.

"Non si può provarlo, turco. Si sa sempre chi è la madre, ma del padre non c'è certezza," replicò l'altro confuso, ma con coraggio sufficiente ad abbozzare una strizzatina d'occhio maliziosa che nessuno apprezzò.

Stavolta la donna si mise a piangere con entusiasmo, biascicando che non sarebbe venuta da tanto lontano se non avesse saputo chi era il padre. Riad Halabí chiese a Vargas se non si vergognasse, poteva essere il nonno della ragazza, e se pensava che ancora una volta il paese dovesse perdere la faccia per i suoi peccati si era sbagliato, cosa si era immaginato, ma quando il pianto della giovane aumentò aggiunse quello che tutti sapevano avrebbe detto.

"Va bene, bimba, calmati. Puoi restare a casa mia per un po', almeno fino a che non nasce il bambino."

Concha Díaz prese a singhiozzare più forte e dichiarò che non sarebbe andata ad abitare da nessuna parte, solo con Tomás Vargas, perché per questo era venuta. L'aria si congelò nello spaccio, si fece un silenzio lunghissimo, si sentivano solo i ventilatori sul soffitto e il moccichio della donna, senza che nessuno osasse dirle che il vecchio era sposato e aveva sei figli. Finalmente Vargas prese il fagotto della viaggiatrice e l'aiutò ad alzarsi in piedi.

"Benissimo, Conchita, se è questo che vuoi, non c'è altro da dire. Andiamo a casa mia, adesso," disse.

Fu così che tornando a casa dal lavoro Antonia Sierra trovò un'altra donna che riposava nella sua amaca e per la prima volta l'orgoglio non le bastò a dissimulare i suoi sentimenti. I suoi insulti corsero per la strada principale e l'eco giunse fino in piazza e si infilò in tutte le case, annunciando che Concha Díaz era un immondo topo di fogna e che Antonia Sierra le avrebbe reso la vita impossibile fino a rimandarla nella tana da cui non avrebbe mai dovuto uscire, che se credeva che i suoi figli avrebbero vissuto sotto lo stesso tetto con una troia si sbagliava, perché lei non era una cretina, e suo marito era meglio che stesse attento, perché lei aveva sopportato troppe sofferenze e troppe delusioni, tutto per i figli, poveri innocenti, ma adesso basta, adesso tutti si sarebbero accorti chi era Antonia Sierra. La rabbia le durò una settimana, in capo alla quale le urla si trasformarono in un continuo mormorio e perse l'ultima traccia della sua bellezza, non le restava più neanche la maniera di camminare, si trascinava come una cagna bastonata. I vicini tentarono di spiegarle che tutto quel casino non era colpa di Concha ma di Vargas, ma lei non era disposta ad ascoltare consigli di temperanza o di giustizia.

La vita nel casale di quella famiglia non era mai stata gradevole, ma con l'arrivo della concubina si mutò in un tormento senza tregua. Antonia passava le notti accoccolata nel letto dei figli, sputando maledizioni, mentre accanto suo marito russava abbracciato alla ragazza. Appena spuntava il sole Antonia doveva alzarsi, preparare il caffè e impastare le focaccine, mandare i bambini a scuola, curare l'orto, cucinare per i poliziotti, lavare e stirare. Si occupava di tutte queste cose come un automa, mentre dall'anima le distillava un rosario di amarezze. Poiché si rifiutava di dar da mangiare a suo marito, Concha si incaricò di farlo quando l'altra usciva, per non incontrarsi con lei davanti al focolare. Era tanto l'odio di Antonia Sierra che alcuni in paese pensarono che avrebbe finito per uccidere la rivale, e andarono a chiedere a Riad Halabí e alla Maestra Inés di intervenire prima che fosse troppo tardi.

Ma le cose non andarono in questo modo. In capo a due mesi la pancia di Concha sembrava una zucca, le si erano gonfiate tanto le gambe che le vene erano sul punto di scoppiare, e piangeva continuamente perché si sentiva sola e spaventata. Tomás Vargas si stufò di tante lacrime e decise di andare a casa solo per dormire. Dato che non fu più necessario che le donne facessero i turni per cucinare, Concha perse l'ultimo incentivo a vestirsi e rimase sdraiata nell'amaca a guardare il soffitto, senza neanche la forza di farsi un caffè. Antonia la ignorò per tutto il primo giorno, ma la sera le mandò un piatto di minestra e un bicchiere di latte caldo mediante uno dei bambini, affinché non dicessero che lei lasciava morire di fame qualcuno sotto il suo tetto. La cosa si ripeté e pochi giorni dopo Concha si alzò per mangiare con gli altri. Antonia fingeva di non vederla, ma almeno smise di lanciare insulti all'aria ogni volta che l'altra le passava vicino. A poco a poco fu sopraffatta dalla compassione. Quando vide che la ragazza deperiva ogni giorno di più, un povero spaventapasseri dal ventre immenso e dalle occhiaie profonde, cominciò ad ammazzare le sue galline a una a una per farle il brodo, e quando finì il pollame fece ciò che fino allora non aveva mai fatto, andò a chiedere aiuto a Riad Halabí.

"Sei figli ho avuto, e diverse nascite malriuscite, ma non ho mai visto nessuno ammalarsi tanto di gravidanza," spiegò arrossendo. "È tutta ossa, turco, non riesce a mandar giù il boccone che lo sta già vomitando. Non che a me importi, non ho niente a che vedere con questa storia, ma cosa dico a sua madre se mi muore? Non voglio che dopo vengano a chieder conto a me."

Riad Halabí portò all'ospedale la malata con la sua camionetta, e Antonia l'accompagnò. Tornarono con una borsa di pillole di vari colori e un vestito nuovo per Concha, perché il suo non le arrivava più giù della cintura. La disgrazia dell'altra donna costrinse Antonia Sierra a rivivere frammenti della propria gioventù, della sua prima gravidanza e delle stesse violenze che lei aveva sopportato. Desiderava, suo malgrado, che il futuro di Concha Díaz non fosse funesto come il suo. Non provava più rabbia, ma una tacita compassione, e cominciò a trattarla come una figlia traviata, con una autorità brusca che riusciva appena a nascondere la tenerezza. La giovane era terrorizzata nel vedere le perniciose trasformazioni nel proprio corpo, quella deformità che aumentava senza controllo, quella vergogna di andare a orinare ad ogni istante e di camminare come un papero, quella repulsione incontrollabile e quella voglia di morire. Certi giorni si svegliava ammalatissima e non poteva alzarsi dal letto, allora Antonia faceva fare i turni ai bambini per curarla mentre lei partiva a compiere i suoi lavori di gran carriera, per ritornare presto da lei; ma in altre occasioni Concha si svegliava più in forze e quando Antonia tornava stremata trovava la cena pronta e la casa pulita. La ragazza le serviva il caffè e rimaneva in piedi accanto a lei, in attesa che lo bevesse, con uno sguardo liquido di animale grato.

Il bimbo nacque nell'ospedale della città, perché non volle venire al mondo e dovettero aprire Concha Díaz per tirarglielo fuori. Antonia rimase con lei otto giorni, durante i quali la Maestra Inés si occupò dei suoi bambini. Le due donne rientrarono sulla camionetta dello spaccio e tutta Agua Santa venne fuori a dar loro il benvenuto. La madre sorrideva, mentre Antonia esibiva il neonato con un urlo di trionfo da nonna, annunciando che sarebbe stato battezzato Riad Vargas Díaz, in doveroso omaggio al turco, perché senza il suo aiuto la madre non avrebbe portato a termine la maternità e inoltre era stato lui a incaricarsi delle spese quando il padre aveva fatto il sordo e si era finto più ubriaco del solito per non disseppellire il suo oro.

Prima di due settimane Tomás Vargas volle esigere che Concha Díaz tornasse nella sua amaca, benché la donna avesse ancora una cicatrice fresca e un bendaggio da guerra attorno al ventre, ma Antonia Sierra gli si piazzò davanti con le mani sui fianchi, decisa per la prima volta in vita sua a impedire che il vecchio facesse secondo il suo capriccio. Suo marito accennò a togliersi il cinturone per impartirle le frustate abituali, ma lei non gli lasciò finire il gesto e gli si gettò addosso con tale fierezza che l'uomo indietreggiò, sorpreso. Quel vacillamento lo perse, perché lei seppe allora chi era il più forte. Intanto Concha Díaz aveva posato suo figlio in un angolo e impugnava un pesante vaso di terracotta, con l'evidente proposito di fracassarglielo in testa. L'uomo comprese il proprio svantaggio e uscì di casa lanciando bestemmie.. Tutta Agua Santa venne a conoscenza dell'accaduto perché lui stesso lo raccontò alle ragazze del postribolo, le quali dissero anche che Vargas non funzionava più e che tutte le sue vanterie di stallone erano pure fanfaronate senza nessun fondamento.

A partire da quell'incidente le cose cambiarono. Concha Díaz si riprese rapidamente e mentre Antonia Sierra usciva a lavorare lei badava ai bambini e si occupava dell'orto e della casa. Tomás Vargas inghiottì il dispiacere e tornò umilmente alla sua amaca, dove non ebbe compagnia. Alleviava il dispetto maltrattando i figli e dicendo alla taverna che le donne, come i muli, capiscono solo le bastonate, ma in casa non tentò più di picchiarle. Quand'era ubriaco strillava ai quattro venti i vantaggi della bigamia, e il curato dovette dedicare diverse domeniche a ribattergli dal pulpito, perché l'idea non attecchisse e gli andassero in malora tutti gli anni che aveva predicato la virtù cristiana della monogamia.

 

Ad Agua Santa si poteva tollerare che un uomo maltrattasse la sua famiglia, fosse un fannullone e un attaccabrighe, non restituisse i soldi presi a prestito; ma i debiti di gioco erano sacri. Alla lotta dei galli le banconote si tenevano ben piegate fra le dita, dove tutti potessero vederle, e al domino, ai dadi o a carte si posavano sul tavolo a sinistra del giocatore. A volte i camionisti della Compagnia Petrolifera si fermavano per qualche partita a poker, e anche se loro i soldi non li mettevano in vista, prima di andarsene pagavano fino all'ultimo centesimo. Il sabato arrivavano le guardie del Penitenziario di Santa Maria per visitare il bordello e giocare alla taverna la paga settimanale. Neanche loro che erano molto più banditi dei detenuti che sorvegliavano osavano giocare se non avevano di che pagare. Nessuno violava questa regola.

Tomás Vargas non puntava, ma gli piaceva guardare i giocatori, poteva passare ore a osservare un domino, era il primo a installarsi nelle lotte dei galli e seguiva i numeri della lotteria che annunciavano alla radio, anche se lui non ne comprava mai uno. Era difeso da questa tentazione dalla potenza della sua avarizia. Tuttavia, quando la ferrea complicità di Antonia Sierra e Concha Díaz gli stroncò definitivamente l'impeto virile, si diede al gioco. All'inizio scommetteva solo poste misere e solo gli ubriachi più poveri accettavano di sedersi al tavolo con lui, ma con le carte ebbe più fortuna che con le sue donne, e presto gli venne il tarlo del denaro facile e cominciò ad alterarsi fino al midollo stesso della sua natura meschina. Con la speranza di diventare ricco in un solo colpo di fortuna e di recuperare insieme mediante l'illusoria proiezione di quel trionfo il suo umiliato prestigio di maschio, cominciò ad aumentare i rischi. Presto si misurarono con lui i giocatori più bravi, e gli altri facevano cerchio per seguire l'alternarsi di ogni incontro. Tomás Vargas non metteva le banconote ben stirate sul tavolo, come voleva la tradizione, ma quando perdeva pagava. In casa la povertà aumentò e anche Concha uscì a lavorare. I bambini rimasero soli e la Maestra Inés dovette alimentarli perché non andassero per il paese imparando a mendicare.

Le cose si complicarono per Tomás Vargas quando accettò la sfida del Tenente e dopo sei ore di gioco gli vinse duecento pesos. L'ufficiale confiscò lo stipendio dei subalterni per pagare la perdita. Era un bruno ben piantato, con un paio di baffi da tricheco e la casacca sempre aperta perché le ragazze potessero apprezzare il suo torso villoso e la sua collezione di catenine d'oro. Nessuno lo stimava ad Agua Santa, perché era un uomo dal carattere imprevedibile e si attribuiva l'autorità di inventare leggi a suo capriccio e convenienza. Prima del suo arrivo, il carcere era solo un paio di stanze per passare la notte dopo qualche rissa non ci furono mai delitti gravi ad Agua Santa, e gli unici malfattori erano i detenuti in transito per il penitenziario di Santa Maria ma il Tenente si incaricò di far sì che nessuno passasse dalla caserma senza prendersi una buona dose di bastonate. Grazie a lui la gente contrasse la paura della legge. Era indignato per la perdita dei duecento pesos, ma consegnò la somma senza batter ciglio e persino con una certa elegante noncuranza, perché neanche lui, con tutto il peso del suo potere, si sarebbe alzato dal tavolo senza pagare.

Tomás Vargas passò due giorni vantandosi del suo trionfo, finché il Tenente lo avvertì che l'aspettava il sabato per la rivincita. Stavolta la posta sarebbe stata di mille pesos, gli annunciò con un tono tanto perentorio che l'altro si ricordò delle manganellate ricevute sul sedere e non si azzardò a rifiutare. Il pomeriggio del sabato la taverna era piena di gente. Nella calca e nella calura mancava l'aria, e si dovette trasferire il tavolo in strada perché tutti potessero essere testimoni della partita. Non si era mai puntato tanto denaro ad Agua Santa, e per assicurare la correttezza del procedimento designarono Riad Halabí. Questi cominciò con l'esigere che il pubblico si tenesse a due passi di distanza, per impedire qualsiasi trucco, e che il Tenente e gli altri poliziotti lasciassero le armi in caserma.

"Prima di iniziare i due giocatori devono mettere i soldi sul tavolo," disse l'arbitro.

"La mia parola basta, turco," replicò il Tenente.

"In questo caso anche la mia parola basta," aggiunse Tomás Vargas.

"Come pagherete se perdete?" volle sapere Riad Halabí.

"Ho una casa nella capitale, se perdo Vargas avrà i documenti domani stesso."

"Benissimo. E tu?"

"Io pago con l'oro che ho nascosto."

La partita fu la più emozionante verificatasi in paese da molti anni. Tutta Agua Santa, perfino i vecchi e i bambini, si ammassò in strada. Le uniche assenti erano Antonia Sierra e Concha Díaz. Né il Tenente né Tomás Vargas ispiravano simpatia alcuna, per cui chiunque vincesse faceva lo stesso, il divertimento consisteva nell'indovinare le angosce dei due giocatori e di chi aveva scommesso sull'uno o sull'altro. Tomás Vargas era favorito dal fatto che fino allora era stato fortunato con le carte, ma il Tenente aveva il vantaggio del suo sangue freddo e del suo prestigio di prepotente.

Alle sette di sera terminò la partita, e secondo le norme stabilite Riad Halabí proclamò vincitore il Tenente. Nel trionfo il poliziotto mantenne la stessa calma che aveva dimostrato la settimana precedente nella disfatta, né un sorriso beffardo, né una parola fuori posto, rimase semplicemente seduto dov'era frugandosi i denti con l'unghia del mignolo.

"Bene, Vargas, è venuta l'ora di dissotterrare il tuo tesoro," disse quando si placò il vocio degli astanti.

La pelle di Tomás Vargas era diventata color cenere, aveva la camicia inzuppata di sudore e sembrava che l'aria non volesse entrargli nel corpo, rimanesse bloccata nella bocca. Per due volte tentò di alzarsi in piedi e gli mancarono le ginocchia. Riad Halabí dovette sostenerlo. Finalmente trovò la forza per avviarsi in direzione dello stradone, seguito dal Tenente, dai poliziotti, dall'arabo, dalla Maestra Inés e più a distanza da tutto il paese in rumorosa processione. Camminarono per un paio di miglia e poi Vargas piegò a destra, infilandosi nel tumulto della vegetazione lussureggiante che circondava Agua Santa. Non c'era sentiero, ma si aprì il passo senza grandi incertezze fra gli alberi giganteschi e le felci, fino all'orlo di un burrone appena visibile, perché la selva era un sipario impenetrabile. Lì si fermò la folla, mentre lui scendeva con il Tenente. Faceva un caldo umido e soffocante, benché mancasse poco al tramonto. Tomás Vargas fece segno che lo lasciassero solo, si mise a quattro zampe e scomparve strisciando sotto alcuni filodendri dalle grandi foglie carnose. Passò un lungo minuto prima che si sentisse il suo urlo. Il Tenente si ficcò nel fogliame, lo prese per le caviglie e lo trascinò fuori a strattoni.

"Che succede?"

"Non c'è, non c'è!"

"Come non c'è!"

"Lo giuro, Tenente, non so, non so, me l'hanno rubato, mi hanno rubato il tesoro!" E scoppiò a piangere come una vedova, talmente disperato che non si accorgeva nemmeno dei calci che gli propinava il Tenente.

"Maiale! Mi devi pagare! Mi devi pagare, sulla testa di tua madre!"

Riad Halabí si lanciò giù per il burrone e glielo tolse dalle mani prima che ne facesse polpette. Riuscì a convincere il Tenente a calmarsi, perché con le botte non avrebbe risolto la faccenda, poi aiutò il vecchio a risalire. Tomás Vargas aveva le ossa in poltiglia per lo sbigottimento, soffocava dai singhiozzi e tanti erano i suoi tentennamenti e deliqui che l'arabo dovette quasi portarlo in braccio per tutta la via del ritorno, fino a depositarlo finalmente nel suo casale. Sulla soglia c'erano Antonia Sierra e Concha Díaz, sedute su due sedie impagliate, a bere il caffè e a guardare la notte che scendeva. Non mostrarono alcun indizio di costernazione nell'apprendere l'accaduto e continuarono a sorbire il caffè, impassibili.

Tomás Vargas ebbe la febbre per più di una settimana, delirando di monete d'oro e di carte segnate, ma era di complessione robusta e invece di morire di dolore, come tutti supponevano, recuperò la salute. Quando poté alzarsi non si azzardò a uscire per diversi giorni, ma infine il suo amore per la gozzoviglia poté più della sua prudenza, prese il cappello, e ancora tremolante e sbigottito si diresse alla taverna. Quella notte non rientrò e due giorni dopo qualcuno portò la notizia che si era sfracellato nello stesso burrone in cui aveva nascosto il suo tesoro. Lo trovarono squartato a colpi di machete, come una bestia da macello, proprio come tutti sapevano che avrebbe finito i suoi giorni, presto o tardi.

Antonia Sierra e Concha Díaz lo seppellirono senza grandi mostre di sconforto e senza altro corteo che Riad Halabí e la Maestra Inés, che andarono per accompagnare loro e non per rendere un omaggio postumo a colui che avevano disprezzato in vita. Le due donne continuarono a vivere insieme, pronte ad aiutarsi reciprocamente nel tirar su i figli e nelle vicissitudini di ogni giorno. Poco dopo il funerale comprarono galline, conigli e maiali, andarono in città con l'autobus e tornarono con abiti nuovi per tutta la famiglia. Quell'anno sistemarono il casale con legname nuovo, aggiunsero due stanze, lo dipinsero di azzurro e poi installarono una cucina a gas, dando inizio a un'industria di cibo da recapitarsi a domicilio. Ogni mezzogiorno partivano con i bambini per distribuire le vivande alla caserma, alla scuola, alla posta, e se avanzavano porzioni le lasciavano sul bancone dello spaccio, perché Riad Halabí le offrisse in vendita ai camionisti. E così uscirono dalla miseria e imboccarono il cammino della prosperità.