amo Diego

più di me stessa.

La mia volontà è grande

La mia volontà resta...

 

Tra gli ultimi disegni del diario ci sono due autoritratti nudi, in cui Frida sta dritta sulla gamba finta. Uno è dedicato con amore al suo "bambino Diego".

Nell'altro, la gamba non è altro che un palo di legno, la sua "pata de palo", e una serie di frecce puntate verso vari punti del suo capo e del suo corpo suggeriscono sofferenza psichica e fisica.

Una volta Frida scrisse nel diario che la morte non era "altro che un processo per "esistere""; per lei il processo della morte - il lento degrado causato dalla osteomielite e dalla cattiva circolazione - non poteva essere arrestato nonostante tutte le operazioni e tutti i trattamenti medici a cui si sottopose.

Le parole scritte nel diario il 27 aprile 1954 fanno pensare che fosse appena uscita da una crisi, forse un altro tentativo di suicidio, o che semplicemente la sua salute avesse subito un miglioramento. Il tono è euforico come se fosse stata sotto l'effetto della droga, ma l'urgenza con cui stende una litania di ringraziamenti allude a una sotterranea disperazione, come se avesse saputo che il distacco dalla vita era ormai prossimo.

Si aggrappò alle nozioni di speranza e gratitudine come se, altrimenti, dovesse sprofondare nell'amarezza e nella disperazione. Forse, anche, le doveva sembrare che la gratitudine e l'"alegría" fossero, come "retablos" o preghiere, riti di devozione carichi di qualche potere: anch'essi potevano metterla in contatto con le persone di cui aveva bisogno e che amava.

A causa della perdita di controllo, sia fisica che mentale, a Frida cominciarono a capitare cose terribili. Un incidente le capitò quando, obbligata a rimanere a letto, cercò di raggiungere qualcosa che le serviva e che non era a portata di mano. Non tollerando di essere incapace di fare le cose da sé e rifiutandosi di chiedere aiuto, Frida si alzò. Come scrisse poi nel diario "Ieri, 7 maggio...

quando sono caduta sulle mattonelle di pietra del pavimento, un ago mi è penetrato nella natica. Mi hanno immediatamente portata in ospedale con un'ambulanza. Ho sofferto orribilmente e ho gridato per tutta la strada da casa all'ospedale inglese - Hanno fatto una radiografia - molte. Hanno individuato l'ago e uno di questi giorni lo tireranno fuori con una calamita. Grazie a Diego amore di tutta la mia vita Grazie ai dottori."

Quando non era sotto l'effetto delle droghe o addormentata, Frida era spesso nervosa fino all'isteria. Il suo comportamento era imprevedibile. Si arrabbiava per piccole cose, cose che normalmente non le avrebbero dato alcun fastidio.

Maltrattava la gente, lanciando insulti, persino contro Diego. Judith Ferreto ricorda che "talora anche una sola parola, una cosa malfatta, qualcosa di sporco, o anche soltanto un atteggiamento facevano esplodere Frida per via della sua sensibilità. Se ti amano, ti amano davvero, in particolare Frida. Se ti amava, potevi stare tranquillo che ti amava. Non sarebbe mai stata capace di mostrare una cosa che non sentiva e non era capace di tenersi dentro niente, eccetto il dolore, la sofferenza".

Certe volte il male e il comportamento selvaggio di Frida erano più di quanto Rivera potesse sopportare. Raquel Tibol racconta che una volta Frida stava molto male e giaceva al piano di sopra, quasi fuori conoscenza per colpa della droga.

"Diego e io eravamo di sotto in soggiorno. Era venuto a casa per mangiare, ma non aveva voluto toccare cibo. Cominciò a piangere come un bambino e a dire: "Se avessi coraggio, la ucciderei. Non posso vederla soffrire così." Piangeva come un bambino, piangeva e piangeva..."

Il dolore che provava davanti alla sofferenza di Frida lo allontanò da lei.

Spesso spariva per giorni e giorni e Frida si riempiva di solitudine, rabbia, disperazione. "Ma nel momento in cui Diego ricompariva," ricorda Rosa Castro "si trasformava e diceva: "Bambino mio, dove sei stato?" con il tono di voce più morbido e affettuoso che si possa immaginare. Allora Diego si avvicinava a lei e la baciava. Accanto al letto c'era un piatto di frutta e lei gli diceva: "Bimbo caro, vuoi un pochino di frutta?" Diego le rispondeva "cì" invece di "sì", come un bambino piccolo."

Una volta che Adelina Zendejas e Carlos Pellicer stavano pranzando nel giardino della casa di Coyoacán, Frida scagliò una bottiglia d'acqua contro Diego. Lui si abbassò e evitò per un pelo di essere colpito alla testa. Il rumore di vetro infranto sul pavimento di pietra la strappò brutalmente alla sua furia. Cominciò a piangere. "Perché l'ho fatto?" chiedeva. "Ditemi, perché l'ho fatto? Se deve continuare così, preferisco morire!"

Accompagnandola a casa dopo pranzo, Rivera disse a Adelina: "Devo farla mettere in un istituto. Devo affidarla a qualcuno. Non è possibile andare avanti così."

Come tutti gli altri, con l'eccezione di Cristina, Diego si allontanò da Frida.

Judith Ferreto tentò di spiegarle che Diego doveva fuggire lontano da lei, perché la amava così tanto che non poteva tollerare di fare da testimone alla sua sofferenza. Qualche volta la spiegazione la consolava, ma di solito Frida era amara:

 

Di notte resta alzato. Non torna a casa presto, nemmeno una volta. Dove va? Non gli chiedo più niente. Può andare a teatro con i suoi amici architetti o a conferenze. Ogni giorno [compare] verso le undici o mezzogiorno; all'una o alle quattro del pomeriggio. Da dove? Chi lo sa! La mattina dopo si alza, viene a dirmi ciao "Come stai, "linda" [bella]?" "Bene, e tu?" "Meglio." "Vieni a casa per pranzo?" "Non lo so, te lo farò sapere." Di solito mangia allo studio. Il pranzo gli viene portato da Osvaldo. Io mangio da sola. Alla sera non lo vedo, perché arriva così tardi. Prendo le mie pillole e non lo vedo mai, non è mai con me e è un orrore e non vuole che fumi, non gli piace che dorma, fa un tale scandalo di tutto che finisce per svegliarti. Ha bisogno della sua libertà e ce l'ha.

 

"In questo tragico periodo finale i suoi rapporti con Diego erano irregolari"

ricorda la scrittrice Lolò de la Torriente. "Qualche volta erano facili, dolci, affettuosi, altre tempestosi e furibondi. Con pazienza, il maestro la

alleggeriva con il suo humour, la sosteneva nei momenti di rabbia, la trattava con indulgenza, ma finiva poi per chiamare il medico, che la calmava con i farmaci. Si addormentava e allora tutto, in quella grande casa, era come una tomba... Frida in questo periodo parlava poco. Rimaneva sdraiata o seduta accanto alla grande finestra della sua camera da letto e guardava i piccioni, i rami e la fontana in giardino."

I sentimenti di Frida verso Diego mutavano da un'ora all'altra, da un minuto all'altro. "Nessuno sa quanto io ami Diego" diceva. "Ma nessuno sa neanche quanto sia difficile vivere con quel "señor". E vive in maniera così strana che devo indovinare se mi ama; perché io penso che mi ami, se pur "a modo suo". Dico questa frase ogni volta che si discute del nostro matrimonio: che abbiamo unito "la fame con il desiderio di mangiare"." Presumibilmente intendeva dire che lei era affamata e Diego avido: la fame si accontenta di quel che c'è; l'avidità afferra quello che vuole, qua e là, per il suo piacere.

I suoi eccessi emotivi avevano molto a che fare con la crescente dipendenza dalle droghe. Aveva un'autorizzazione ufficiale a procurarsele, ma il suo bisogno andava ben al di là di quanto le era consentito acquistare, tanto che spesso si rivolgeva a Diego; lui sapeva sempre dove trovarne. Qualche volta Frida perdeva completamente la testa e faceva telefonate disperate agli amici per farsi prestare del denaro. A un certo punto Rivera tentò di arrestare la sua dipendenza dalle droghe, sostituendole con l'alcol. Frida consumava due litri di cognac al giorno - ma senza rinunciare alle droghe.

Frida non aveva dipinto quasi nulla per un anno quando, nella primavera del 1954, si forzò ancora una volta a lasciare il letto e a tornare nel suo studio.

Lì, legata alla sedia a rotelle da una fascia in modo da sorreggere la schiena, lavorava al cavalletto finché non soccombeva al dolore, poi continuava a dipingere dal letto.

Dipingere era ormai diventato un atto di devozione. Fece quadri che comunicavano la sua fede politica e varie "nature vive"; tutte fornite di una qualità visionaria e di un tipo di esuberanza evidentemente legati agli effetti euforizzanti del Demerol.

Per trovare lo scenario adeguato a esprimere la fede politica, ancora una volta Frida si rivolse ai "retablos". In "Frida e Stalin", siede davanti a un enorme ritratto di Stalin che è balzato sul suo cavalletto; come il dipinto del suo medico in "Autoritratto con ritratto del dottor Farill", l'immagine di Stalin ha la funzione dell'intercessore divino negli ex voto.

In giugno chiese che il suo letto a baldacchino fosse spostato dall'angolo della camera da letto all'adiacente corridoio che portava allo studio. Voleva, disse, riuscire a vedere più verde; il piccolo passaggio aveva porte metalliche dalle ante in vetro che si aprivano su una scala che portava al giardino. Mariana Morillo Safa ricorda: "Negli ultimi giorni restava sdraiata, incapace di muoversi. Era tutta occhi. Non fui capace di vederla ancora. Il suo carattere si era completamente trasformato. Litigava con tutti. Dato che io rimasi solo per poco, con me fu gentile, ma era come se stesse pensando a qualcos'altro e si sforzasse di essere carina. Non sopportava il rumore e non voleva troppa gente attorno. Non voleva vedere bambini. Muoveva soltanto le mani e le braccia e lanciava oggetti contro la gente. "Smettetela di darmi noia! Pace!" gridava colpendo la gente con il bastone. Urlava: "Portatemi questo! Parlo con voi!"

Teneva il bastone accanto al letto e se non si facevano le cose in fretta, lo usava. Era molto impaziente, perché non riusciva a farsi le cose da sola. Tutto quello che riusciva a fare era pettinarsi i capelli e mettersi il rossetto. In precedenza, ad esclusione del rossetto, non aveva fatto uso di trucco. Ma verso la fine usava il trucco e non riusciva a controllare i colori. Era grottesco.

Era una imitazione orrenda della vecchia Frida Kahlo."

Judith Ferreto: "In quei giorni, andava declinando rapidamente... Penso che avesse previsto che sarebbe andata sempre peggio. Quella mattina mi chiamò.

Dalla sua voce sapevo sempre come stava; è molto facile accorgersi dalla voce quando una persona è completamente disperata e quel giorno lei era completamente disperata. E disse: "Oh, per favore, Judy, vieni! Puoi venire qui, Judy, a aiutarmi? Non riesco a fare niente. Sono così fuori di me. Per favore vieni a aiutarmi."

"Andai e passai con lei la maggior parte della giornata. Era nello studio a dipingere... era sempre così bella, con i suoi bellissimi vestiti. Ma quel giorno era diversa. Le pieghe non cadevano come avrebbero dovuto. I capelli erano in un disordine assoluto, aveva gli occhi fuori dalle orbite. Dipingeva e aveva colore sulle mani, sulle nocche, ovunque... La presi con tutto l'amore di cui ero capace. La misi a letto e le dissi: "Vuoi che ti metta in ordine?" Lei rispose: "Sì." Chiesi: "Che abito vuoi mettere?" "Per piacere portami quello che hai preparato prima di uscire, perché tutto è stato fatto con amore e adesso qui intorno a me non c'è amore. E tu sai che l'amore è l'unica ragione per vivere.

Dunque porta quello che è stato fatto con amore." Le sistemai i capelli e tutto il resto e si mise a riposare... così dolce, così arrabbiata, così distante."

Verso la metà di giugno sembrò che la sua salute migliorasse. Era piena di speranza e di piani per il futuro. Disse che voleva adottare un bambino. Parlò del desiderio di viaggiare. Un invito in Russia la riempì di entusiasmo e speranza, ma disse che non ci voleva andare senza Rivera, che non era stato riammesso nel Partito comunista, nonostante le molte richieste che aveva avanzato. Era eccitata all'idea di andare in Polonia, dove progettava di sottoporsi a un trattamento raccomandato dal dottor Farill. Diego, disse, pensava che fosse una buona idea; aveva offerto di accompagnarla. Ma la cosa che Frida aspettava con più ansia erano le loro nozze d'argento. L'11 agosto avrebbero festeggiato il loro venticinquesimo anniversario di matrimonio. A un amico disse: "Traigan mucha raza" [portate un sacco di gente], perché ci sarà una grande festa messicana!" Aveva già comprato il suo regalo di anniversario per Diego. Si trattava di un bellissimo anello d'oro antico. Frida voleva che la celebrazione dell'anniversario fosse un evento popolare, come una "posada". Ci sarebbe stata tutta la gente di Coyoacán.

Era una di quelle giornate fredde e umide, tipiche della stagione delle piogge, quando, il 2 luglio 1954, Frida disobbedì ai medici e lasciò il letto per partecipare a una manifestazione comunista. Nonostante fosse convalescente da una broncopolmonite, voleva esprimere i suoi sentimenti di solidarietà insieme alla folla di più di diecimila messicani che invasero le strade, da Plaza Santo Domingo allo Zócalo, per protestare contro l'espulsione di Jacobo Arbenz, presidente del Guatemala con simpatie di sinistra, e l'imposizione al paese decisa dalla CIA di un regime reazionario guidato dal generale Castillo Armas.

Fu questa la sua ultima uscita pubblica e Frida si presentò come uno spettacolo di eroismo. Mentre Diego spingeva lentamente la sua seggiola a rotelle lungo le strade disselciate, le più importanti figure del mondo culturale del Messico la seguivano, come a vegliare su di lei.

Come in tanti dei murali di Rivera, Frida era un campione vivente di forza morale, un punto di riferimento per lo zelo rivoluzionario. Le fotografie scattate durante la manifestazione la mostrano con la bandiera ricoperta dal simbolo di pace della colomba bianca nella mano sinistra e la mano destra chiusa a pugno a simboleggiare la volontà di lotta. Il volto segnato e esausto sembra più vecchio della sua età, un campo di battaglia della sofferenza. Troppo malata per preoccuparsi della civetteria, non si è acconciata i capelli nella solita corona di trecce. Si è invece semplicemente coperta il capo con un vecchio fazzoletto spiegazzato. Gli unici segni del suo abituale stile fiammeggiante sono i molti anelli che fanno scintillare come uno scettro il suo pugno chiuso.

Frida sopportò il disagio di rimanere seduta per quattro ore sulla sedia a rotelle, unendosi al grido delle masse: "Gringos, asesinos, fuera!" (Yankee, assassini, andatevene!) Quando finalmente tornò a casa, ebbe la soddisfazione di sapere che la sua presenza aveva avuto un grande significato per gli altri dimostranti. A un amico confidò: "Voglio soltanto tre cose dalla vita: vivere con Diego, continuare a dipingere e fare parte del Partito comunista."

Non avrebbe avuto a lungo nessuna delle tre. A seguito della partecipazione alla manifestazione di protesta le ritornò la broncopolmonite e, per peggiorare le cose, qualche giorno dopo si alzò nel cuore della notte e, disobbedendo di nuovo ai medici, fece un bagno, cosa che scatenò la ripresa violenta della malattia.

 

Nelle ultime pagine del diario di Frida compaiono strane figure femminili alate, disegnate in modo assai più caotico degli autoritratti alati di qualche mese prima. L'ultimo appunto è il disegno di un nero angelo che ascende al cielo: senza dubbio l'angelo della morte. Tali figure alludono a un desiderio di trascendenza che fa da contraltare al desiderio di radicamento terreno espresso da Frida in altri disegni: persino la sua idea della morte era divisa fra tradizioni cattoliche e pagane. Le ultime parole del diario rivelano con assoluta vivacità la sua volontà di osservare con "alegría" anche le realtà più orrende.

"Spero che l'uscita sia gioiosa - e spero di non tornare mai indietro - Frida."

Queste parole e l'ultimo disegno fanno pensare che Frida si sia uccisa, eppure la causa della sua morte, avvenuta martedì 13 luglio 1954, venne attribuita a un "embolo polmonare". Il racconto della morte della moglie fatto da Rivera non preclude di certo l'ipotesi del suicidio. Ma nello stesso tempo Diego conserva l'immagine di indomabile lotta per la vita di Frida. Rivera disse che la notte prima di morire Frida era in preda a una polmonite gravissima.

 

Rimasi seduto accanto al suo letto fino alle 2.30 del mattino. Alle quattro prese a lamentarsi di stare molto male. Al suo arrivo, all'alba, il medico ne riscontrò la morte, avvenuta poco prima per embolia polmonare.

Quando entrai nella camera per guardarla, il suo viso era tranquillo e sembrava più bello che mai. La notte precedente mi aveva dato un anello che mi aveva comprato come regalo per il nostro venticinquesimo anniversario di matrimonio, a cui mancavano ancora diciassette giorni. Le avevo chiesto perché me lo desse con tanto anticipo e lei aveva replicato: "Perché sento che ti lascerò molto presto."

Ma sebbene sapesse che stava per morire, non aveva smesso di lottare per la vita. Perché, altrimenti, la morte fu costretta a sorprenderla rubandole il respiro nel sonno?

 

Tra gli amici di Frida sono in molti a non credere che si sarebbe tolta la vita.

Anche alla fine, dicono, aveva conservato la speranza e la sua coraggiosa forza di volontà. Altri sospettano che la morte fosse stata provocata da una dose eccessiva di droga, presa forse non accidentalmente. E' vero che la circolazione di Frida era in pessime condizioni e che la ricaduta di broncopolmonite l'aveva lasciata estremamente fragile.

Dopo la morte di Frida, la sua amica Bambi pubblica su "Excelsior" un lungo articolo in cui ne raccontava le ultime ore di vita.

Alle undici di sera, dopo aver bevuto un succo di frutta, Frida era andata a dormire, con Diego seduto al suo fianco. Sicuro che si fosse subito

addormentata, Rivera l'aveva lasciata e aveva passato il resto della notte nello studio di San Angel. Alle quattro Frida si svegliò e prese a lamentarsi per il male. L'infermiera la calmò e le aggiustò le lenzuola. Rimase accanto a Frida, finché non si riaddormentò. Era ancora buio, verso le sei del mattino, quando la "señora" Mayet sentì bussare alla porta e, andando a aprire, si fermò da Frida a rincalzarle le coperte. Frida aveva gli occhi aperti e sbarrati. Le toccò le mani. Erano fredde. La "señora" Mayet chiamò l'autista di Rivera, Manuel, e gli disse quello che era accaduto. Il vecchio autista, che aveva lavorato per Guillermo Kahlo e conosceva Frida da quando era nata, portò la notizia a Diego.

"Señor," gli disse "murió la niña Frida", la piccola Frida è morta.

 

Viva la vita.

 

Alla morte di Frida, il viso grasso e generalmente pieno di energia di Diego si afflosciò e si ingrigì. "In poche ore diventò un vecchio, pallido e brutto"

ricorda un'amica. Un cronista dell'"Excelsior" venne per fotografarlo e fargli fare qualche dichiarazione, ma Rivera rifiutò di farsi intervistare. "Vi scongiuro di non chiedermi niente" disse. Girò la faccia verso la parete e rimase in silenzio.

La notizia della morte di Frida si diffuse rapidamente. All'alba Diego chiamò Lupe Marín che insieme a Emma Hurtado, di lì a poco destinata a diventare la quarta moglie di Rivera, lo raggiunse a casa della terza moglie. "Diego era completamente solo" ricorderà Lupe. "Mi misi accanto a lui e gli presi la mano.

Alle 8.30 cominciarono a arrivare gli amici di Frida e io salutai e me ne andai."

Frida giaceva sul suo letto a baldacchino vestita di una gonna nera da tehuana e di un bianco "huipil" dello Yalalag. Le amiche le intrecciarono i capelli di nastri e fiori. La adornarono di orecchini, collane d'argento, corallo e giada e le incrociarono le mani sul petto; a ogni dito portava un anello. Un cuscino bianco arricchito di pizzo messicano inamidato le incorniciava il volto. Accanto al capo aveva un vaso di rose. L'unico piede, con le unghie smaltate di un rosso brillante, spuntava dall'orlo della lunga gonna. Accanto le avevano messo tralci di fiori rossi. Dagli scaffali accanto al letto, bambole cinesi e idoli precolombiani osservavano la scena.

Alle sei e mezzo di sera tutti i gioielli, ad eccezione degli anelli, di una catena di Tehuantepec e di qualche perla scintillante ma di scarso valore, vennero tolti dal corpo di Frida, che venne deposta in una bara grigia e portata al Palazzo delle belle arti. "Diego la seguì con l'autista, tutto solo in macchina" disse Bernice Kolko. "Non volle essere accompagnato da nessuno."

Là, nello spazioso atrio della grandiosa struttura neoclassica, il più grande centro culturale del Messico, Frida Kahlo venne esposta al pubblico, con Rivera agitatissimo al suo fianco. Aveva chiesto al dottor Velasco y Polo un

certificato di morte, in modo da poter fare cremare Frida, ma il medico glielo aveva rifiutato, per ragioni apparentemente di natura legale. Rivera ottenne dunque il certificato dall'amico e ex cognato, dottor Marín. Ma, pur in possesso del certificato, non era ancora convinto che la moglie fosse morta.

Rosa Castro racconta quanto segue: "Quando Frida venne esposta al pubblico nel Palazzo delle belle arti, Diego le rimase accanto in compagnia del dottor Federico Marín, fratello di Lupe. Mi avvicinai e dissi: "Cosa c'è, Diego?"

Rispose: "C'è che non siamo sicuri che Frida sia morta." Il dottor Marín disse: "Diego, ti assicuro che è morta." Diego disse: "No, ma mi fa inorridire il pensiero che abbia ancora un'attività capillare. I suoi peli sono ancora sollevati. Mi fa orrore che la seppelliamo in questo stato." Io dissi: "Ma è molto semplice. Lascia che i medici le aprano le vene. Se il sangue non scorre, è perché è morta." Così le tagliarono la pelle e il sangue non uscì. Le tagliarono la giugulare e ne uscirono solo poche gocce. Era morta. Diego non ci voleva credere, perché non voleva separarsi da lei. L'amava moltissimo. Quando Frida morì, sembrava un'anima spezzata in due."

Per tutta quella notte e la mattina seguente, Frida rimase esposta nell'enorme atrio dagli alti soffitti. Il catafalco era montato su un panno nero disteso a terra e era circondato da migliaia di fiori rossi.

L'autorizzazione a rendere onore a Frida in quella forma era stata data da Andrés Iduarte, suo antico compagno di scuola alla Preparatoria e allora direttore dell'Istituto nazionale delle belle arti, a condizione che Rivera promettesse di tenere la politica fuori dalla cerimonia. "Niente bandiere politiche, niente slogan, niente discorsi, niente politica" aveva avvertito.

Diego aveva fatto un cenno con il capo: "Sì, Andrés." Ma quando la prima guardia d'onore, formata da Iduarte e da vari altri funzionari del dipartimento delle belle arti, fece il suo ingresso nell'atrio dove era stata sistemata la bara di Frida, Arturo García Bustos, allievo di Frida Kahlo, emerse dal gruppo raccolto intorno a Rivera e si spostò rapidamente verso la bara. All'improvviso la cassa venne coperta da una squillante bandiera rossa adorna di una falce e martello sistemati al centro di una stella bianca.

Iduarte e i suoi assistenti si ritirarono costernati. Dall'ufficio al piano soprastante, mandò un messaggio a Diego per ricordargli le promesse. Una nota gli fece sapere che Rivera era così sconvolto dal dolore che non lo si poteva disturbare. Sfortunatamente per Iduarte, in quel momento il presidente Ruiz Cortínez era lontano dalla capitale; fu così che il direttore dovette rivolgersi al segretario del presidente per averne un parere. Gli venne detto che doveva persuadere Rivera a rimuovere la bandiera comunista, ma anche evitare ogni scandalo. Rivera, circondato dai suoi amici di sinistra, non accettò nessuna condizione. Minacciò di portare in strada il corpo di Frida e di spostare la veglia all'esterno se la bandiera veniva rimossa.

Iduarte fu enormemente sollevato quando l'ex presidente Lázaro Cárdenas arrivò a prendere il suo posto nella guardia d'onore di Frida; se un uomo del suo rango era disposto a tollerare la bandiera rossa, dopo tutto non ci doveva essere niente di improprio. Una telefonata al segretario presidenziale gli confermò la sua sensazione. "Se il generale Cárdenas sta montando la guardia," gli fu detto "dovresti montarla anche tu."

Fu così che un idolo nazionale venne trasformato, almeno temporaneamente, in un'eroina comunista. Uno dei risultati di questa "farsa russofila", come la chiamò la stampa, fu che Iduarte perse il suo posto di direttore (ritornò alla cattedra di professore di letteratura latinoamericana alla Columbia University).

Da parte sua, Rivera fu contentissimo di essere riammesso nel Partito comunista a due mesi dal funerale di Frida.

Per tutta la notte e la mattina seguente, le guardie d'onore rimasero ai quattro angoli della bara di Frida.

L'ultima guardia d'onore era formata da Rivera, Iduarte, Siqueiros, Covarrubias, Henestrosa, oltre che dal famoso agronomo e uomo politico di sinistra César Martino, dall'ex presidente Cárdenas e da suo figlio Cuauhtémoc. A mezzogiorno del 14 luglio più di seicento persone avevano reso omaggio alla bara di Frida.

Alle 12.10 Cristina Kahlo chiese alla folla che si era radunata di cantare l'inno nazionale e poi il "Corrido de Cananea", una ballata che combina l'indignazione per le ingiustizie sofferte dal popolo messicano a una infelice storia d'amore. Con grande solennità, Cárdenas si mise a muovere le braccia per tenere il ritmo. Rivera, Siqueiros, Iduarte e altri si issarono la bara di Frida sulle spalle e scendendo gli ampi scalini marmorei del Palazzo delle belle arti la trasportarono all'esterno sotto la pioggia. Quando il carro funebre su cui era stata caricata la bara si mosse lentamente lungo Avenida Juárez, un corteo di circa cinquecento persone prese a seguirlo a piedi.

Il forno crematorio al Panteón Civil de Dolores (il cimitero civile) era piccolo e estremamente primitivo. Assiepati all'interno della piccola stanza

surriscaldata c'erano amici e familiari, rappresentanti culturali di vari paesi socialisti, i segretari del Partito comunista messicano e dell'organizzazione giovanile comunista, ma anche luminari dell'ambiente artistico e letterario.

All'esterno, centinaia di persone si erano raccolte tra le lapidi sotto una pioggia incessante. La bara fu portata nel vestibolo e aperta. Frida giaceva con un diadema di garofani rossi sul capo e un "rebozo" sulle spalle. Qualcuno mise un enorme mazzo di fiori alla testa della bara. Poi, in piedi accanto a Frida e con Rivera al suo fianco, Andrés Iduarte pronunciò un magniloquente discorso funebre:

 

Frida è morta. Frida è morta.

La creatura brillante e piena di volontà che, quando eravamo giovani, riempiva di luce le aule della Scuola nazionale preparatoria è morta... Un'artista straordinaria è morta avvertita nello spirito, generosa nel cuore, sensibilità fatta carne, amore per l'arte fino alla morte, intima del Messico in vertigine e in grazia... Amica, sorella del popolo, grande figlia del Messico tu sei ancora viva... Tu continui a vivere...

 

All'una e un quarto, Rivera e vari membri della famiglia estrassero Frida dalla bara e la deposero sul carrello automatico che scorrendo su binari metallici l'avrebbe trasportata dentro al forno crematorio. Rivera rimase al suo fianco con le mani strette a pugno, il viso e il corpo sommersi dalla desolazione. Si piegò a baciarle la fronte. Gli amici le si fecero intorno per darle l'ultimo saluto.

Rivera voleva congedarsi da Frida con la musica. Con le braccia alzate e le mani chiuse a pugno, i presenti intonarono l'"Internazionale", l'inno nazionale, "La guardia rossa", la marcia funebre di Lenin e altri canti politici. All'una e cinquanta la porta del forno si aprì e il carrello che trasportava il corpo di Frida cominciò a muoversi in direzione del fuoco.

Fu a questo punto che accadde qualcosa di così grottesco da poter essere paragonato soltanto a uno dei "Capricci" di Goya. Adelina Zendejas ricorda: "Erano tutti aggrappati alle mani di Frida, quando il carrello cominciò a tirare il suo corpo verso l'entrata del forno. Si gettarono su di lei, strattonandole le dita per toglierle gli anelli, perché volevano avere qualcosa che le fosse appartenuto."

La gente piangeva. Cristina diventò isterica e cominciò a urlare quando vide il corpo della sorella scivolare verso il forno. Dovettero portarla fuori. E "pour cause": nel momento in cui Frida entrava nella fornace, il calore intenso la sollevò a sedere e i capelli, prendendo fuoco, le si aprirono intorno al viso come un'aureola. Siqueiros raccontò che quando le fiamme le aggredirono i capelli, si ebbe l'impressione che il suo volto sorridesse al centro di un grande girasole.

Le fiamme di quel vecchio crematorio impiegarono quattro ore a fare il loro lavoro. Durante l'attesa, la gente continuò a cantare. Diego pianse e continuò a conficcarsi le unghie nel palmo delle mani fino a farle sanguinare. Finalmente, la porta del forno si aprì e il carrello incandescente con le ceneri di Frida scivolò fuori. Una ventata di calore soffocante obbligò ancora una volta la gente a appiattirsi contro le pareti della stanza e a proteggersi il volto con le mani. Solo Rivera e Cárdenas rimasero immobili al loro posto.

Le ceneri di Frida conservarono la sagoma del suo scheletro per qualche minuto prima di essere disperse dalle correnti d'aria. Quando se ne avvide, Rivera abbassò lentamente il pugno serrato e raggiunse la tasca destra della giacca, da cui estrasse un piccolo blocco per appunti. Con il viso completamente assorto in quello che stava facendo, disegnò lo scheletro argenteo di Frida. Poi, amorevolmente, raccolse le ceneri in un panno rosso e le mise in una scatola di cedro. Chiese che alla sua morte le sue ceneri venissero mescolate a quelle di Frida. (La richiesta non fu mai soddisfatta; si ritenne che al grande muralista si addicesse assai meglio di essere sotterrato dove riposano i cittadini più famosi del Messico, la Rotonda de los Hombres Ilustres.)

Nell'autobiografia, scrisse: "Il 13 luglio del 1954 è stato il giorno più tragico della mia vita. Ho perso la mia adorata Frida, per sempre... Troppo tardi mi sono reso conto che la parte più bella della mia vita è stato il mio amore per lei."

 

All'inaugurazione del Museo Frida Kahlo, nel luglio del 1958, la borsa contenente le ceneri di Frida venne appoggiata sul suo letto; sopra di essa venne sistemata la sua maschera mortuaria in gesso, avvolta in uno dei suoi "rebozo": il fantasma di Frida seduto sul letto.

Più tardi le ceneri vennero disposte in un'anfora precolombiana dalla forma di donna, arrotondata e priva della testa, alla cui sommità, appoggiata su un piedistallo, fu posta l'impronta in bronzo della maschera mortuaria.

Oggi, come quando lei era in vita, la casa di Frida è aperta ai visitatori. Nel 1955, per mantenere viva la memoria della moglie, Rivera la regalò al popolo del Messico con tutto quello che conteneva, inclusi i suoi quadri e le altre opere d'arte di proprietà di Frida, (La collezione di Frida comprendeva lavori di Paul Klee, Yves Tanguy, Marcel Duchamp, José Maria, Velasco e José Clemente Orozco) oltre a tutti gli oggetti folkloristici che la arredavano.

Tra i visitatori del museo ci sono gli amici di Frida. Gli altri, coloro che non ebbero occasione di conoscere Frida, lo lasciano con la sensazione di averla conosciuta, perché le reliquie in mostra nei locali della casa - i costumi di Frida, i gioielli, i giocattoli, le bambole, le lettere, i libri, i materiali da lavoro, i suoi messaggi d'amore a Diego, la sua meravigliosa collezione di arte popolare - offrono una immagine vivida della sua personalità e dell'ambiente in cui visse e lavorò. Esse creano lo scenario ideale per i quadri e i disegni da lei realizzati, oggi appesi alle pareti di quello che un tempo era stato il soggiorno. Al piano di sopra, nello studio di Frida, la sedia a rotelle è accostata al cavalletto. Uno dei suoi busti di gesso, adorno di piante e puntine da disegno, è appoggiato sul letto a baldacchino dal soffitto a specchi. Le bambole che avevano sostituito i figli occhieggiano ancora dagli scaffali.

Accanto al letto di Frida c'è un letto da bambola, ora vuoto. Uno scheletro penzola dal baldacchino di un altro letto e le stampelle di Frida sono appoggiate ai piedi del letto.

Il museo fa qualcosa di più che ricreare un'atmosfera; serve a persuaderci della specificità e del realismo delle immagini fantastiche dei dipinti di Frida e del legame strettissimo che collegava la sua arte alla vita. Poiché era un'invalida, la casa di Coyoacán divenne il suo mondo. Poiché era un'artista, i dipinti appesi alle pareti di quella casa erano un'espansione e una trasformazione di quel mondo; evocavano e commemoravano con potenza la vita eccezionale che si era svolta tra quei muri.

L'ultimo quadro di Frida è appeso nel soggiorno. In esso, contro un cielo dall'azzurro brillante, scuro a sinistra e chiaro a destra, si vedono alcune angurie, il più popolare dei frutti messicani, intere, a metà, a quarti, spaccate. Rispetto a altre nature morte degli ultimi anni, il dipinto mostra un controllo maggiore: le forme sono solidamente definite e altrettanto lo è la composizione. Come se Frida avesse raccolto e messo a fuoco quel poco di vitalità che ancora le rimaneva per riuscire a dipingere quest'ultima

dichiarazione di "alegría". Aperti e fatti a pezzi, i frutti parlano dell'imminenza della morte, ma la loro rossa, carnale esuberanza è un omaggio alla pienezza della vita. Otto giorni prima di morire, quando le sue ore erano immerse nell'oscurità della fine ormai prossima, Frida Kahlo intinse il pennello in una vernice rosso sangue e scrisse il suo nome, la data e il luogo dove il quadro era stato eseguito, Coyoacán, Messico, sulla polpa scarlatta della fetta centrale. Poi, in maiuscolo, tracciò il suo saluto finale alla vita: VIVA LA VIDA.

 

Ringraziamenti.

 

Questo libro è stato reso possibile dalla disponibilità e dalla generosa collaborazione di molte persone. Un debito particolare mi lega a Dolores Olmedo, presidente del Comitato tecnico del Fondo Diego Rivera, non soltanto per l'acutezza dei suoi suggerimenti e per il sostegno ininterrotto, ma anche per avermi concesso di consultare il diario di Frida Kahlo e il suo archivio personale e per avermi autorizzata a citarne alcune parti. Inoltre la signora Olmedo mi ha permesso di riprodurre la sua meravigliosa collezione di dipinti di Frida Kahlo. Ho contratto un analogo debito di gratitudine nei confronti di Alejandro Gómez Arias che, in una serie di conversazioni, ha fatto luce sugli anni giovanili di Frida Kahlo e si è, con fiducia e gentilezza, spinto fino a prestarmi le lettere scrittegli da Frida e a leggere con intelligenza e attenzione il mio manoscritto. Un ringraziamento particolare va anche a Isolda Kahlo per avermi mostrato le fotografie di famiglia e per avermi parlato per ore della zia Frida. Tra le altre persone che vorrei ringraziare per avermi lasciato frugare nella corrispondenza e nelle carte private di Kahlo ci sono Joyce Campbell, Alberto Misrachi, Mariana Morillo Safa, Mimi Muray, Emmy Lou Packard e Ella Wolfe. Ognuno di loro mi ha offerto un aiuto prezioso anche in vari altri modi.

Numerose persone mi hanno fatto dono del loro tempo e dei loro ricordi in interviste che hanno avuto luogo in Messico, negli Stati Uniti e in Francia.

Lucienne Bloch, che durante gli anni trenta fu intima amica di Frida, mi ha messo a disposizione il diario tenuto nel periodo passato a Detroit in casa dei Rivera e la vivacità dei suoi aneddoti mi ha aiutata a cogliere l'intelligenza, la vitalità e la passionalità di Frida. Jean van Heijenoort, segretario di Trockij dal 1932 al 1940, mi ha fornito un quadro acuto, preciso e di

incalcolabile valore dell'amicizia fra Trockij e i Rivera. Clare Boothe Luce, una narratrice piena di brio, mi ha raccontato con arguzia e con un occhio attento agli usi e costumi degli anni trenta la vicenda del suicidio di Dorothy Hale. Gli animati racconti di Isamu Noguchi mi hanno insieme divertita e arricchita. In Messico, la critica Raquel Tibol ha generosamente diviso con me i ricordi che la legavano a Frida oltre a darmi intelligenti suggerimenti e mettere a mia disposizione le sue fotografie. Antonio Rodríguez, storico dell'arte e amico di Frida, ha voluto farmi parte del suo punto di vista, insieme acuto e affettuoso, sulla pittrice sia mostrandomi le fotografie che le aveva fatto sia in lunghe conversazioni e scambi epistolari. Adelina Zendejas mi ha raccontato con grande humour gli scherzi ideati e messi a segno dall'amica d'infanzia durante gli anni della scuola e mi ha prestato molti degli articoli da lei dedicati a Frida e comparsi su vari quotidiani. Gli studenti di Frida, Arturo García Bustos, Arturo Estrada, Guillermo Monroy e Fanny Rabel mi hanno fornito un'immagine affettuosa e piena di vita di Frida come insegnante e come donna e il suo medico, Guillermo Velasco y Polo, mi ha descritto con spirito e simpatia le malattie di Frida e il suo rapporto con Diego.

Sono riconoscente anche verso le persone qui di seguito elencate, perché i loro ricordi mi hanno permesso di ricostruire l'immagine di Frida: Margot Albert, Dolores Alvarez Bravo, Manuel Alvarez Bravo, Carmen Corcuera Baron, Beryl Becker, Roberto Behar, Heinz Berggruen, Adolfo Bergrunder, Lucille Blanch, Suzanne Bloch, Paul Boatine, Elena Boder, Jacqueline Breton, Sophia Caire, Nicolas Calas, Mercédes Calderón, Olga Campos, Lya Cardoza, Rosa Castro, Olga Costa, Dolores del Río, Stephen Pope Dimitroff, Baltasar Dromundo, Marjorie Eaton, Eugenia Farill, il dottor Samuel Fastlich, Judith Ferreto, Gisèle Freund, Fernando Gamboa, Enrique García, José Gómez Robleda, Ernst Halberstadt, Andrés Henestrosa, José de Jesús Alfaro, Margarita Kahlo, María Luisa Kahlo, Edgar Kaufmann junior, Katherine Kuh, Marucha Lavín, Parker Lesley, Julien Levy, Antonio Luna Arroyo, David Margolis, Lupe Marín, Elena Martínez, Concha Michel, Enrique Morales Pardavé, Guadalupe Morillo Safa, Annette Nancarrow, il dottor Armando Navarro, Margarita Nelkin, Juan O'Gorman, il signor Pablo O'Higgins e sua moglie, Esperanza Ordóliez, Antonio Peláez, Michel Petitjean, Carmen Phillips, Alice Rahon, Aurora Reyes, Jesús Ríos y Valles, Lupe Rivera de Iturbe, Mala Rubinstein, Rosamund Bernier Russell, Peggy de Salle, Bernarda Bryson Shahn, Mary Sklar, Juan Soriano, Carletto Tibón, Elena Vázquez Gómez, Esteban Volkow, Héctor Xavier.

Per avere avuto il privilegio di riprodurre le opere d'arte in loro possesso, sono riconoscente ai proprietari, privati e pubblici, dei dipinti, dei disegni e delle fotografie contenuti nel volume. Una speciale nota di apprezzamento è dovuta a Dolores del Río, al dottor Samuel Fastlich, Eugenia Farill, Jacques Gelman, Isolda Kahlo, Edgar Kaufmann junior, Michel Petitjean, Mary Sklar e Jorge Espinosa Ulloa, che mi hanno permesso di vedere e di fotografare le loro splendide collezioni di lavori di Fridla Kahlo. Il mio grazie va anche a Noma Copley per il suo entusiasmo e il costante incoraggiamento; a Mary-Anne Martin di Sotheby Parke Bernet per i suggerimenti e l'esperienza che mi ha messo a disposizione; a Max e Joyce Kozloff per avere per primi proposto alla mia attenzione il caso Frida Kahlo e per avere continuato nel corso degli anni a essere disposti a sentirne parlare, a Frances McCullough per avermi chiesto di scrivere questo libro; a Miriam Kaiser e all'Istituto nazionale di belle arti del Messico per avermi messa a parte della loro conoscenza dei movimenti delle opere di Frida Kahlo e di altri dettagli di importanza incalcolabile; ai professori Milton W. Brown, Linda Nochlin, Eugene Goossen e Edward Sullivan per la loro attenta lettura critica delle prime bozze del mio manoscritto e a Karen e David Crommie per tutte le loro molte gentilezze, incluso il prestito delle interviste registrate su cassetta da loro realizzate nel 1968 in occasione del loro pluripremiato film "La vita e la morte di Frida Kahlo".

I miei sinceri ringraziamenti vanno anche alla Graduate School e all'University Center della City University di New York per tutto l'aiuto e l'incoraggiamento che ho ricevuto, incluso un finanziamento concessomi dall'Art History Program Dissertation Fund. Svariate persone hanno, con allegria e tenacia, battuto a macchina l'intero libro. Tra loro: Jean Zangus, Kriss Larsen, Leslie Palmer e Liza Pulitzer. Ringrazio anche Toni Rachiele, redattore esecutivo, che ha dedicato molte delle sue serate a fare in modo che il mio manoscritto potesse trasformarsi in libro. Un apprezzamento particolare a Corona Machemer, la redattrice che si è occupata in prima persona del mio testo per il suo impegno, il suo entusiasmo, l'ininterrotta comprensione. Per concludere, la mia gratitudine profonda va in primo luogo a mio marito, Philip Herrera, e ai nostri bambini, Margot e John, per avermi sostenuta con pazienza durante la stesura di "Frida".

 

Bibliografia scelta.

 

Brenner, Anita, "Idols Behind Altars", New York, Passon & Clarke, 1929.

Breton, André, "Il surrealismo e la pittura, 1928-1965!, Firenze, Marchi & Bertolli, 1966.

Charlot, Jean, "The Mexican Mural Renaissance: 1920-1925", New Haven-London, Yale University Press, 1967.

Comitato organizzatore dei Diciannovesimo Giochi Olimpici, "The Frida Kahlo Museum". Catalogo con testi di Lola Olmedo de Olivera, Diego Rivera e Juan O'Gorman, México.

Comitato organizzatore dei Diciannovesimo Giochi Olimpici, 1978. Comitato tecnico del Fondo Diego Rivera, "Museo Frida Kahlo", Catalogo del Museo, con testi di Carlos Pellicer e Diego Rivera, México, Comitato tecnico del Fondo Diego Rivera, 1958.

Conde, Teresa, "Vida de Frida Kahlo", México, Secretaría de la Presidencia, Departamento Editorial, 1976.

Dromundo, Baltasar, "Mi Calle de San Ildefonso", México, Editorial Guarania,