Si ves el ciervo herido

que baja por el monte acelerado,

buscando, dolorido,

alivio al mal en un arroyo helado,

y sediento al cristal se precipita

no en el alivio, en el dolor me imita.

(Se il cerbiatto tu vedi lasciare precipitoso la montagna, e, colpito, cercare in freddo rivo sollievo alla ferita, tuffando la sua sete in acque chiare, / non del sollievo, nel dolore mi fa specchio").

 

Ritratti di un matrimonio.

 

Pur a distanza di anni dalla loro morte, gli amici continuarono a ricordare Frida e Diego come dei "mostri sacri". Le loro avventure e eccentricità non erano neppure sfiorate dalla censura meschina della morale corrente; non per semplice tolleranza, ma perché erano considerate un tesoro nazionale e facevano parte del mito.

Dopo il matrimonio, oltre al legame che li univa, anche la loro reciproca autonomia andò approfondendosi. Nonostante abitassero insieme, le assenze di Diego erano lunghe e frequenti. Entrambi avevano relazioni sentimentali: quelle di lui avvenivano alla luce del sole, mentre quelle di Frida (con uomini) continuarono a essere tenute segrete, perché Diego ne era selvaggiamente geloso.

Non deve stupire che la loro vita fosse piena di scontri violenti seguiti da amare separazioni e tenere riconciliazioni.

A partire dal "ritratto di matrimonio" del 1931, Frida tenne l'inventario delle vicissitudini della loro unione. I molti dipinti che la mostrano insieme a Diego o che includono Diego solo per via indiretta - per esempio attraverso le lacrime che le scorrono sulle guance - rivelano fino a che punto la relazione tra i Rivera andò trasformandosi nel corso degli anni nonostante certe realtà di fondo rimanessero inalterate.

Nell'"Autoritratto da tehuana" del 1943, l'amore ossessivo di Frida per l'imprendibile marito la porterà a imprigionarsene l'immagine sulla fronte, sotto forma di "pensiero". Un anno dopo, in "Diego e Frida 1929-1944", si intreccerà a lui così strettamente che i loro volti finiranno per formare un'unica testa: uno stato simbiotico che chiaramente non è un'unione comoda e armoniosa. In "Diego e io", la disperazione di Frida per i tradimenti continui di Diego è quasi isterica; il ritratto del marito le sta alloggiato al centro della fronte, ma Diego è altrove e Frida sembra sul punto di essere strangolata dal vortice dei suoi stessi capelli: una donna che annega nella solitudine.

Quando dipinge "Abbraccio d'amore" Frida sta ancora piangendo di dolore, ma la relazione sembra in qualche modo aver trovato soluzione; Frida tiene Diego in un abbraccio piuttosto che in un nodo strangolante. Se nel ritratto matrimoniale del 1931 Frida aveva un ruolo di figlia e se nel 1944 la coppia sembrava aver raggiunto, se non la reciprocità, almeno una parità guerreggiata, in "Abbraccio d'amore" Frida finalmente possiede Diego nel modo presumibilmente più funzionale per entrambi: Diego è un grosso bambino che giace pacificato sul grembo materno di Frida.

I Rivera avevano molto in comune: humour, intelligenza, amore per la cultura messicana, coscienza sociale, un approccio alla vita del tutto fuori schema. Ma il legame più forte era forse l'enorme rispetto che avevano l'uno per l'altra.

Rivera era orgoglioso dei successi professionali della moglie e ammirava la sua crescente sapienza artistica. Diceva a tutti che Frida aveva avuto l'onore di vedere una propria opera appesa alle pareti del Louvre prima di lui o di qualunque altro suo collega e gli piaceva esibire la moglie davanti agli amici.

Una visitatrice ricorda che la prima cosa che Rivera le disse quando si incontrarono fu che doveva conoscere Frida. "In Messico non c'è un solo artista che possa competere con lei!" mi disse Rivera, raggiante. "Mi disse immediatamente che, quando era a Parigi, Picasso aveva preso un disegno di Frida, lo aveva guardato a lungo e poi aveva detto: "Guarda questi occhi: né tu né io siamo capaci di fare niente del genere." Notai che mentre me lo diceva gli occhi sporgenti gli brillavano di lacrime."

Parlando del genio di Frida, Rivera diceva: "Accanto a Frida siamo tutti delle mezze cartucce. Frida è il più grande pittore della nostra epoca." Nell'articolo del 1943 "Frida Kahlo e l'arte messicana" scrisse: "Nel panorama della pittura messicana degli ultimi vent'anni, il lavoro di Frida Kahlo brilla come un diamante in mezzo a gioielli di qualità inferiore; limpido e duro, dalle sfaccettature precise. Frida era, disse, "la prova più grande del rinascimento dell'arte messicana".

Frida gli restituì il complimento. Per lei Diego era "l'architetto della vita".

Ne ascoltava i racconti e le teorie con divertito scetticismo, interloquendo di tanto in tanto con un: "Diego, non può essere vero" o scoppiando nella sua contagiosa risata di petto. Nel suo "Ritratto di Diego" scrisse:

La sua supposta mitomania è in diretta relazione con una formidabile

immaginazione. Vale a dire che è bugiardo come possono esserlo i poeti o i bambini che non sono ancora stati trasformati in idioti dalla scuola o dalla madre.

 

Frida tollerava e addirittura incoraggiava le idiosincrasie egocentriche di Rivera e era estremamente protettiva nei suoi confronti. Ad esempio si precipitava a difenderlo quando qualcuno lo accusava di fare un'arte da milionari o di essere lui stesso un milionario. In "Ritratto di Diego" sfidò con infuocato slancio retorico chi aveva osato criticarlo.

 

Contro i codardi attacchi che gli vengono sferrati, Diego reagisce sempre con fermezza e con grande senso dell'umorismo. Non scende mai a compromessi né fa concessioni: affronta a viso aperto i nemici, che in maggioranza sono sfuggenti e in qualche raro caso coraggiosi. Si basa sempre sulla realtà, mai su "illusioni" o "ideali". In Diego l'intransigenza e lo spirito ribelle sono fondamentali, perché ne completano il ritratto.

Tra le tante cose che vengono dette di Diego, queste sono le più comuni: dicono che è un mitomane, un cacciatore di pubblicità, e - quel che è più ridicolo - un milionario... E' davvero incredibile che gli insulti più bassi, più vigliacchi e più stupidi contro Diego siano stati vomitati proprio a casa sua: il Messico.

Attraverso la stampa, attraverso atti barbari e vandalici volti a distruggere il suo lavoro con qualsiasi mezzo, dagli innocenti ombrellini delle signore "perbene" che, come per caso, passando graffiano ipocritamente i suoi dipinti, agli acidi, ai coltelli da tavola, senza dimenticare i banali sputi, degni dei possessori di tanta saliva e di così poco cervello; attraverso gruppi di ragazzi "di buona famiglia" che tirano sassi contro la sua casa e il suo studio, distruggendo i preziosissimi oggetti d'arte messicana preispanica che fanno parte della collezione di Diego; attraverso coloro che scappano dopo essersi fatti una risata grazie a una lettera anonima (non c'è bisogno di parlare del coraggio di chi le manda) o attraverso il silenzio neutrale e filisteo di chi detiene il potere e ha la responsabilità di proteggere o importare cultura per il buon nome della nazione e non dà alcuna importanza a questi attacchi rivolti al lavoro di un uomo che, con tutto il suo genio, il suo sforzo creativo unico, cerca soltanto di difendere la libertà d'espressione non solo per sé, ma per tutti...

Ma gli insulti e gli attacchi non cambiano Diego. Essi fanno parte della fenomenologia sociale di un mondo in decadimento, niente di più. La vita nel suo insieme continua a interessarlo, a sorprenderlo per la sua mutevolezza e tutto ciò che è bello continua a stupirlo, ma non c'è nulla che lo deluda o lo metta in soggezione, perché Diego conosce il meccanismo dialettico dei fenomeni e degli eventi.

 

Frida era pronta a difendere il marito sia a parole che con i fatti. Una volta, in un ristorante, un ubriaco seduto a un tavolo vicino al loro attaccò briga con Diego, chiamandolo maledetto trockista. Diego lo stese al suolo con un pugno, ma uno degli amici dell'uomo estrasse una pistola. Furibonda, Frida gli balzò davanti, gridando e insultandolo. Venne atterrata da un colpo in pieno stomaco.

Fortunatamente i camerieri intervennero ma in ogni caso Frida aveva richiamato a tal punto l'attenzione che gli aggressori se l'erano dovuta svignare.

C'è chi dice che a Frida piacesse ascoltare da Diego il racconto delle sue avventure sentimentali e è vero che spesso la pittrice scherzava

sull'incorreggibile passione per le donne del marito. In pubblico si scherniva: "Essere la moglie di Diego è la cosa più meravigliosa che ci sia al mondo.... Lo lascio giocare al matrimonio con altre donne. Diego non è il marito di nessuna e non lo sarà mai, ma è un gran "camarada"." Nel "Ritratto di Diego", spiegò meglio ciò che intendeva:

Non parlerò di Diego come "marito", perché sarebbe ridicolo. Diego non è mai stato né sarà mai il "marito" di nessuna. Né parlerò di lui come amante, perché per me egli trascende il territorio del sesso e se parlassi di lui come di un figlio non farei altro che descrivere o dipingere le mie emozioni, una specie di autoritratto, non il ritratto di Diego.

...Probabilmente da me qualcuno si aspetta un ritratto molto personale, "femminile", aneddotico, divertente, pieno di lamentele e persino di un certo quantitativo di pettegolezzi, pettegolezzi "decenti", interpretabili o usabili a seconda della morbosità del lettore. Forse sperano di sentirmi lamentare di "quanto si soffre" a vivere con un uomo come Diego. Ma io non credo che le rive del fiume soffrano, perché lasciano scorrere l'acqua o che la terra soffra perché piove o che l'atomo soffra perché scarica energia... per me tutto ha una compensazione naturale. Nel mio difficile e oscuro ruolo di alleata di un essere straordinario, ho lo stesso tipo di ricompensa che una certa quantità di rosso garantisce a un puntino verde: la ricompensa dell'"equilibrio". I dolori o le gioie che nella nostra società, marcia di menzogne, danno regolarità alla vita non mi appartengono. Se ho dei pregiudizi e se gli atti degli altri, persino quelli di Diego Rivera, mi feriscono, ne ritengo responsabili me stessa e la mia incapacità di vedere con lucidità; se invece non ne ho, non posso non ammettere che per i globuli rossi è naturale combattere senza il minimo pregiudizio contro i globuli bianchi e che questo fenomeno non significa altro che salute.

 

Questo atteggiamento aperto e di larghe vedute può forse avere rappresentato davvero Frida negli ultimi anni o quando le relazioni extraconiugali di Diego non avevano alcuna importanza. Eppure con gli amici più intimi si lamentava delle difficoltà del suo matrimonio.

"Quando ero sola con lei" ricorda Ella Wolfe "mi diceva quanto era triste la sua vita con Diego. Non riuscì mai a abituarsi ai suoi amori. Ogni volta la ferita era nuova; continuò a soffrire fino a quando morì. Diego non se ne preoccupò mai. Diceva che avere rapporti sessuali era come urinare. Non riusciva a capire perché la gente li prendesse così sul serio. Ma lui "era" geloso di Frida: due pesi, due misure, "el gran macho"."

Che lei "continuasse a soffrire" è evidente negli autoritratti e è particolarmente chiaro nei due in cui porta l'acconciatura tehuana dei giorni di festa. Sia in "Autoritratto da tehuana", del 1943, sia in "Autoritratto!", del 1948, il volto di Frida, dallo sguardo penetrante sotto le scure sopracciglia unite, le labbra rosse e carnose e l'ombra dei baffi, sembra perverso, persino diabolico. Nel lavoro del 1948 ha quarant'anni e i contorni del viso le si sono fatti più pieni, più spessi, meno ovali; i cinque anni che separano questi due ritratti hanno lasciato il segno. Ma Frida affronta il degrado dell'età senza la cosmesi consolatoria dell'illusione.

C'è qualcosa di sinistro nel modo in cui Frida, nel primo dei due dipinti, esprime il suo desiderio di possedere Diego. E' divorante come un fiore tropicale carnivoro. Intrecciate ai fili bianchi che si irradiano dal motivo vegetale del collare di pizzo ci sono nere radici che altro non sono se non la continuazione delle venature delle foglie che le adornano i capelli. Questo animato reticolo di tentacoli sembra un'estensione di Frida, sentieri di energia e di sentimento per chi, nella solitudine e nell'isolamento, dispera e vorrebbe estendere la propria vitalità oltre i limiti fisici del corpo. Come un ragno femmina in agguato dal centro della ragnatela, Frida si imprigiona l'immagine di Diego sulla fronte; la sensazione è che abbia consumato la sua preda e ne abbia sistemato il pensiero dentro di sé in forma di ritratto miniaturizzato nel ritratto.

Nell'"Autoritratto" del 1948 la frustrazione amorosa è trattata in modo diverso.

Eccettuati un accenno di tensione attorno alla bocca e lo splendore triste degli occhi, il volto di Frida ha la deliberata compostezza di sempre. Eppure sotto la superficie si agitano emozioni violente. Alla sommità del dipinto, su una foglia, il suo nome e l'anno sono scritti nello stesso colore usato per le venature della foglia: rosso sangue. Le tre lacrime che le scendono scintillanti lungo la pelle scura fanno pensare che nei momenti di lutto dovesse essere affascinata dalla propria immagine: il narcisismo della pena. Come se, disperata, le gote umide di lacrime calde, si fosse rivolta allo specchio in cerca di consolazione e di contatto, per trovare un'altra persona, la seconda, forte Frida e farne il ritratto. Una così precisa coscienza di sé mitigava il senso di disperazione, sdoppiandolo. Dipingendo sia la persona in preda alla disperazione sia colei che la stava osservando, Frida divenne il voyeur delle sue stesse emozioni.

In questo dipinto il rapporto tra Frida e il suo costume da tehuana è

eccezionalmente denso e giocato sulla scissione: il fatto che il viso sia nettamente separato dai merletti che lo incorniciano sottolinea il dualismo psicologico della piangente Frida, l'impressione che senta e abbia nello stesso tempo la percezione di sentire. Lo sdoppiamento appare particolarmente doloroso, perché è facile immaginare come mai Frida si fosse adornata di pizzi e veli da sposa: questi autoritratti altro non sono che una dichiarazione del suo bisogno dell'amore di Diego. Ma il bel piumaggio era tanto una maschera quanto un magnete; parlava di bellezza e d'amore e nello stesso tempo nascondeva i sentimenti più negativi: il senso di essere stata rifiutata, la gelosia, la rabbia, la paura di essere abbandonata. Ecco perché, più seria era la minaccia di perdere Diego, più elaborata e lugubremente da giorni di festa si faceva la sua acconciatura.

Se adornarsi di pizzi e merletti era un trucco per riconquistare Diego, un altro sistema era quello di fargli capire che le pene le si potevano dimostrare fatali. In "Pensando alla morte", dipinto nello stesso anno di "Autoritratto da tehuana", un'apertura sulla fronte di Frida mostra un teschio e le ossa incrociate sullo sfondo di un paesaggio. Alle spalle di Frida c'è una fitta parete di foglie grandi e carnose. Davanti alle foglie e intrecciati a esse ci sono rami marroni forniti di crudeli spine rosse. Frida guarda verso di noi con uno sguardo saggio e mesto, che nella sua imperturbabilità risulta quasi egiziano; in effetti, l'abito e i lineamenti di questo autoritratto fanno pensare al famoso busto della indistruttibile Nefertiti, che Frida ammirava. Una volta parlò della "meravigliosa Nefertiti, moglie di Akhenaten; immagino che, oltre che straordinariamente bella, dovesse essere anche "una scatenata" e la più intelligente collaboratrice del marito".

Due disegni realizzati negli anni quaranta dicono con chiarezza che l'angoscia di Frida non si era mitigata. Nell'"Autoritratto" del 1946 piange e in "Rovine", un regalo del 1947 per Diego, sillaba la sua miseria con le parole "Avenida Engaño" (viale dell'inganno). Una testa attraversata da una crepa, siglata come "ROVINA" e che potrebbe essere l'amalgama di Frida e Diego, si allaccia a una struttura architettonica, una cui parte è un albero dai rami tagliati. Da questa struttura si dipartono venti proiezioni numerate; si dice che si riferissero alle relazioni extraconiugali di Diego. Sulla destra, ciò che sembra un monumento celebrativo è attraversato da un'iscrizione: "Rovina/Casa degli uccelli/Nido d'amore/Tutto per niente."

Come si è visto, Frida non era in alcun modo la vittima passiva degli appetiti sessuali di Diego: ne ricambiava le infedeltà con numerose relazioni

extraconiugali, casuali e meno casuali. Nonostante la fragilità, le malattie, le varie operazioni e malgrado i molti periodi in cui non riuscì a condurre un'attiva vita sessuale, Frida non aveva nulla della passività associata (almeno in letteratura) allo stereotipo della donna messicana "abituata da sempre a soffrire". Uno dei suoi amanti ricorda che i problemi fisici non erano assolutamente un ostacolo: "Non ho mai visto nessuno esprimere con maggior vigore la propria affettività!" Né si faceva scrupolo a dare la caccia a tutti gli uomini che voleva. Era convinta che ciò che chiamava "la raza" - un popolo non rovinato dagli ipocriti dettami della civilizzazione - fosse meno inibita sul piano della sessualità e, visto che voleva avere comportamenti

primitivistici, si fece un punto d'onore nell'essere esplicita in materia di sesso (anche se non parlava dei dettagli della sua privata vita sessuale).

Pensava spesso al sesso, come risulta evidente dai quadri e dai disegni, oltre che dal diario.

La relazione amorosa più lunga e profonda Frida la ebbe con un rifugiato politico spagnolo e pittore, che desidera mantenere l'anonimato e che allora viveva in Messico. Dai suoi racconti risulta che di fatto abitava nella casa di Coyoacán e che Rivera aveva accettato con equanimità la sistemazione, anche se le lettere di Frida rivelano il suo tentativo di nascondere la relazione a Diego. Nell'ottobre del 1946, per esempio, dopo essere stata per alcuni mesi a New York con l'amante, scrisse a Ella Wolfe per chiederle di farle da base postale finché lui fosse rimasto negli Stati Uniti.

L'amante di Frida continua ancora oggi a esserle appassionatamente devoto e a fare tesoro del piccolo "Autoritratto ovale" - una miniatura di cinque centimetri circa d'altezza - che lei gli fece verso il 1946. La tiene in una scatola insieme a altre reliquie - un nastro da capelli rosa, un orecchino, qualche disegno e la testa Tlatilco montata su una base d'argento per farne una spilla. La relazione durò fino al 1952, ma con il passare degli anni e via via che le sue delicate condizioni fisiche le rendevano più difficili i rapporti con l'altro sesso, Frida si rivolse sempre di più verso le donne, sovente le donne legate sentimentalmente a Diego in quel momento. A sentire Raquel Tibol, "si consolava coltivando l'amicizia delle donne con cui Diego aveva una relazione d'amore".

Che nei tardi anni quaranta la parte mascolina di Frida si facesse più pronunciata è visibile negli autoritratti: diede ai suoi lineamenti un tocco più mascolino che mai, facendosi i baffi ancora più scuri di quanto in realtà non fossero. E' vero comunque che tanto Frida che Diego avevano sempre avuto un ben preciso versante androgino; entrambi erano attratti da ciò che del proprio sesso vedevano nel partner. Rivera amava "l'aria da ragazzino" di Frida e i suoi baffi da "Zapata": una volta che se li rasò, andò su tutte le furie. Del marito lei amava la morbidezza e la vulnerabilità e anche i seni da uomo grasso; era quella la parte di Diego che Frida sapeva le avrebbe assicurato per sempre il bisogno del marito. Scrisse: "Del suo petto bisogna dire che, se fosse sbarcato sull'isola governata da Saffo, non sarebbe stato giustiziato dalle guerriere. La sensibilità dei suoi seni meravigliosi lo avrebbe fatto ammettere. Persino così la sua virilità, così specifica e strana, lo rende desiderabile anche dove dominano imperatrici avide di amore mascolino."

Una delle "imperatrici" era la stella cinematografica María Félix, la cui relazione con Diego diventò un pubblico scandalo. I guai cominciarono mentre Diego stava preparando un'immensa retrospettiva per il Palazzo delle belle arti.

Del ritratto di María Félix a cui stava lavorando aveva deciso di fare il centro della mostra; naturalmente, il quadro fece sensazione ancora prima di essere terminato. La stampa si domandava: durante le quaranta sedute con la modella (a cui nessuno era stato ammesso), María aveva posato nuda per Rivera? Il diafano abito, fu notato, le celava a mala pena i contorni del corpo. Vennero pubblicate fotografie in cui Rivera fissava con sguardo innamorato gli occhi della modella.

(Alla fine, María Félix rifiutò di prestare il ritratto alla mostra e Rivera lo rimpiazzò con un altro, non meno provocante, il nudo a grandezza naturale di un'altra bellezza, la poetessa Pita Amor.)

Non dando retta alle smentite di Rivera, la stampa affermava anche che il "muy distinguido pintor" intendeva sposare l'attrice non appena avesse potuto ottenere il divorzio. Tre importanti quotidiani pubblicarono la "notizia" che María Félix aveva accettato la proposta di Diego a condizione che la sua amica ventiduenne, una bellissima rifugiata spagnola che aveva fatto da infermiera e da dama di compagnia a Frida, venisse ammessa nel matrimonio come parte di una sorta di ménage-à-trois. Rivera sosteneva che la sua storia d'amore con María Félix non aveva nulla a che vedere con l'intenzione, che non negava, di divorziare da Frida. "Adoro Frida," diceva con dolcezza "ma credo che la mia presenza le faccia molto male alla salute." Ammetteva l'infatuazione per María Félix: "come centinaia di migliaia di messicani", era innamorato di lei.

I ricordi della loro storia sono tanti quante le persone che li hanno. I più dicono che Rivera era infatuato, ma non profondamente innamorato di María Félix e che lei non aveva mai veramente avuto intenzione di sposarlo, che le piaceva l'attenzione che lo scandalo le procurava. C'è chi dice che all'epoca, per essere indipendente da Diego, Frida avesse preso in affitto per qualche mese un appartamento nel centro di Città del Messico non lontano dal monumento alla rivoluzione. Fu forse l'incidente che quasi le costò la vita - una candela lasciata a bruciare sul tavolo le diede fuoco alla gonna e Frida venne salvata da un impiegato del palazzo che sentì le sue grida - a convincere Diego a tornare da lei. Altri dicono che la storia della Félix divertiva Frida, che Rivera la teneva informata dei progressi del suo corteggiamento

raccontandogliene ogni dettaglio e ogni problema e mandandole disegni e brevi note di questo tono: "Da parte del tuo Rospo-rana innamorato", oppure aggiungendo una didascalia a un disegno di se stesso con fattezze da rana piangente, "Ecco come piange il tuo Rospo-rana". Frida faceva finta che non le importasse. Arrivò persino a scrivere una nota a María Félix, offrendole di darle Diego in regalo (María respinse l'offerta).

E' tipico di Frida che il suo rapporto con María Félix continuasse sia durante la relazione con Diego sia in seguito. Effettivamente Frida, María e Pita Amor -

si dice che anche con lei Diego avesse avuto una storia - erano tutte intime amiche. (La fotografia di Pita Amor era tra quelle che, in segno d'amore, Frida aveva appeso alla spalliera del letto e il nome di María Félix è il primo della lista che adorna la camera da letto di Coyoacán.)

Sebbene in quell'occasione qualche amico la definisse un'idiota, molto "idiota"

Frida non doveva essere, visto che riuscì a tenersi sia l'amicizia di María Félix che il marito. Nell'autobiografia Rivera racconterà con inconsueta stringatezza l'epilogo della vicenda. Quando María Félix rifiutò di sposarlo, disse, ritornò da Frida, che era "miserabile e ferita. Nel giro di breve tempo, però, andava di nuovo tutto bene. Mi ripresi dal rifiuto di María. Frida era felice di riavermi con sé e io ero grato di essere ancora sposato con lei ".

Nessuna delle storie sulla relazione tra Diego e María e sulle reazioni di Frida (che siano vere o meno) può smentire l'ira e la pena evidenti nei piangenti autoritratti del 1948 e 1949. "Diego e io" era soltanto uno schizzo, in cui si vedeva Frida con una acconciatura di fiori tra i capelli intrecciati, quando la fotografa e scrittrice Florence Arquin e il marito, Samuel A. Williams, lo acquistarono in Messico; il ritratto che arrivò negli Stati Uniti la mostrava in lacrime (in questo dipinto persino i lineamenti sembrano piangere), con una massa di capelli sciolti che le turbinavano attorno al collo come se volessero soffocarla. Come in "Autoritratto da tehuana", un piccolo ritratto di Diego le sta appoggiato sulle sopracciglia: Diego, l'intruso costantemente presente nei suoi pensieri. Checché ne dicesse, che alzasse le spalle e ci ridesse sopra pubblicamente, certo è che "Diego e io" è la prova dipinta della passione solitaria di Frida per il marito e della sua disperazione di fronte alla possibilità di perderlo.

Un documento analogo compare anche nel diario. Molte delle sue pagine formano quello che potrebbe essere descritto come un poema in prosa indirizzato a Diego.

Il suo nome è ovunque. "Amo Diego - nessun altro" scrisse. In un momento di solitudine esclamò: "Diego, sono sola." Poi, poche pagine più avanti: "DIEGO" e infine, giorni, mesi o forse anni dopo (Frida d'abitudine non metteva date alle pagine del diario e talvolta aggiungeva una pagina scritta in un periodo precedente): "Mio Diego. Non sono più sola. Tu mi tieni compagnia. Mi metti a letto e mi ridai la vita." In un altro punto, dopo una pagina piena di parole prive di significato e di frasi assemblate secondo la tecnica del flusso di coscienza, c'è un'annotazione che sembra fare riferimento alla solitudine di Frida quando Rivera è assente "Vado con me stessa" scrisse. "Momento assente. Tu mi sei stato rubato e io piango mentre vado. E' un "vaciló" [uno che non fa sul serio, uno che va con tutte]."

Sono in molti a dire che tra i Rivera non ci fu mai un legame d'ordine sessuale, che erano soprattutto dei buoni compagni. E non c'è dubbio che alla base dell'atteggiamento di Frida verso il marito ci fosse in buona parte proprio del cameratismo. Ma Frida conservò nei suoi confronti anche un inequivocabile, forte amore erotico, persino quando, dopo i primi anni di matrimonio, Rivera smise di desiderarla fisicamente e addirittura dopo il secondo matrimonio, quando Frida stabilì e ottenne che la loro relazione fosse assolutamente casta. L'amore carnale per Diego dà al grosso del suo diario le tinte di una lettera d'amore erotica: "Diego: non c'è niente che possa essere paragonato alle tue mani e niente che uguagli il verde dorato dei tuoi occhi. Il mio corpo rimane pieno di te per giorni e giorni. Sei lo specchio della notte. La luce violenta del lampo.

L'umidità della terra. La tua ascella è il mio rifugio. I miei polpastrelli toccano il tuo sangue. La mia gioia è tutta nel sentire la tua vita esplodere dal tuo fiore-sorgente che il mio trattiene per riempire tutti i sentieri dei miei nervi che ti appartengono." Oppure, qualche pagina dopo:

 

Mio Diego:

Specchio della notte.

La tua spada verde mi guarda dentro la carne. Onde tra le nostre mani. Tu, intero, nello spazio pieno di suoni: nella penombra e nella luce. Tu sarai chiamato AUXOCROMO, colui che attira il colore. Io CROMOFORO, colei che dà colore. Tu sei tutte le combinazioni del numero. vita. Ciò che desidero è saper distinguere la linea dal movimento. Tu riempi e io ricevo. La tua parola attraversa tutto lo spazio e raggiunge le mie cellule che sono le mie stelle di tanti anni racchiuse nel nostro corpo. Parole incatenate che non potremmo dire se non sulle labbra del sonno. Ogni cosa era circondata dal miracolo vegetale del paesaggio del tuo corpo. Se ti sfioro, attraverso le tue forme mi rispondono i filamenti dei fiori, i suoni dei fiumi. Ogni frutto era nel succo delle tue labbra, il sangue del melograno... della papaya e dell'ananas puro. Ti ho stretto al seno e il prodigio della tua forma mi è penetrato nel sangue attraverso la punta delle dita. Odore di essenza di quercia, della memoria del noce, del verde respiro del frassino. Orizzonti e paesaggi, che ho attraversato con un bacio. Un oblio di parole formerà l'idioma per capire senza errore gli sguardi dei nostri occhi chiusi

Sei presente, intangibile e sei tutto l'universo che io formo nello spazio della mia stanza. La tua assenza prorompe tremante nel suono dell'orologio, nel pulsare della luce; il tuo respiro attraverso lo specchio. Da te alle mie mani, percorro tutto il tuo corpo e sono con te un minuto e sono con te un istante e il mio sangue è il miracolo che viaggia nelle vene dell'aria dal mio cuore al tuo.

LA DONNA.

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L'UOMO.

Il miracolo vegetale del paesaggio del mio corpo è in te la natura tutta intera.

La attraverso con un volo che con le dita accarezza le colline arrotondate, le... valli, smaniosa di possesso e l'abbraccio dei soffici verdi freschi rami mi copre. Penetro il sesso dell'intera terra, il suo calore mi abbraccia e nel mio corpo tutto sa della freschezza di tenere foglie. La sua rugiada è il sudore di un amante sempre nuovo. Non è amore, non tenerezza, non affetto, è la vita intera, la mia che ho trovato quando l'ho vista nelle tue mani, nella tua bocca e nel tuo seno. Ho sulla bocca il sapore di mandorla delle tue labbra. I nostri mondi non si sono mai volti all'esterno. Soltanto una montagna sa l'interno di un'altra montagna. Ci sono volte che la tua presenza fluttua continua come avvolgendo tutto il mio essere nell'attesa ansiosa del mattino. E mi accorgo di essere con te. In questo momento ancora pieno di sensazioni ho le mani immerse nelle arance e il mio corpo si sente circondato da te.

 

Data l'intensità dell'amore carnale che Frida aveva per Diego, non c'è da stupirsi che le sue infedeltà sessuali la ferissero. Per proteggersi, assunse l'atteggiamento della madre indulgente: relazione non meno sensuale di quella tra partner, ma con modalità diverse. Invece di sentire "la verde spada" di Diego "guardar[la] dentro la carne", invece di sentirsi il corpo "circondato" e "penetrato" dal "prodigio" della forma di Diego, Frida lo teneva in grembo, gli faceva il bagno, si prendeva cura di lui come una madre. Di fatto, questo legame madre-figlio era così fisico che Frida annunciò nel suo diario il desiderio di "dare vita" a Diego: "Sono l'embrione, il germe, la cellula prima che - in potenza - lo ha generato: io sono lui a partire dalle cellule più primitive e più antiche, che con il "tempo" sono diventate lui" scrisse nel 1947. Un'altra volta confessò: "In ogni momento è il mio bambino, il mio bambino nato ogni momento, ogni giorno, da me stessa." E in "Ritratto di Diego" disse: "Le donne... io tra le altre, vorrebbero sempre tenerlo tra le braccia come un neonato."

E è esattamente ciò che fa in "L'abbraccio d'amore dell'universo, la terra (Messico), Diego, io e il signor Xolotl", dipinto più o meno in contemporanea a "Diego e io". In questo dipinto Frida è una specie di madre terra messicana e Diego è il suo bambino. Un crepaccio rosso vivo le squarcia il collo e il petto e una magica sorgente di latte le sgorga nel punto dove dovrebbero trovarsi il seno e il cuore, nutrimento per il grosso, pallido Diego bambino che le giace in grembo. Rivera tiene in mano una pianta di agave arancione aggressivo, gialla e grigia: emblema della sua "sorgente-fiore", la metafora usata da Frida per indicarne il sesso. Le lacrime fanno di Frida una Madonna del pianto, una Madonna che ha perso, o ha paura di perdere il suo bambino.

In "Ritratto di Diego", scritto nello stesso anno in cui realizzò "Abbraccio d'amore", Frida descrisse il Diego che aveva dipinto con tutta la penetrante fisicità di una madre innamorata del figlio:

 

La forma con la sua testa di tipo asiatico su cui crescono capelli scuri e così sottili e belli che sembrano fluttuare nell'aria, Diego è un immenso bambino dalla faccia amabile e lo sguardo leggermente triste... e è molto raro che il suo sorriso ironico e tenero, il fiore della sua immagine, gli scompaia dalla bocca di Budda dalle labbra carnose.

A vederlo nudo, viene subito da pensare a un ranocchio ritto sulle gambe posteriori. La sua pelle è bianco verdastra come quella di un animale acquatico.

Soltanto le mani e la faccia sono più scure perché il sole le ha bruciate. Le sue spalle infantili, strette e arrotondate confluiscono senza angolosità nelle braccia femminee che terminano in mani meravigliose, piccole e di forma delicata, sensibili e sottili come antenne che comunicano con l'intero universo.

E' stupefacente che queste mani siano servite a dipingere così tanto e che ancora infaticabilmente lavorino

 

Per Frida era un piacere darsi da fare per Diego. Rideva degli enormi capi di biancheria intima di semplice cotone che gli faceva fare su misura,

preferibilmente in un bel rosa messicano brillante. (Rivera era troppo grasso per comprare capi già confezionati.) O brontolava affettuosamente: "Oh, quel bambino si è già rovinato la camicia." Quando Rivera lasciava cadere gli abiti sul pavimento, Frida lo rimproverava gentilmente. La risposta di lui, persino quando lei era veramente arrabbiata, era di chinare la testa in silenzio come un bambino colto in fallo contento di ricevere la sua attenzione.

A Rivera piaceva essere trattato come un bambino. Il bagno era uno dei momenti più felici della sua giornata. Ai tempi della scuola, Frida aveva detto all'amica Adelina quanto le piaceva Rivera, quanto le sarebbe piaciuto "lavarlo e pulirlo!" Quel piacere le fu ampiamente concesso, perché, come già era capitato alle precedenti mogli, scoprì che Diego andava incoraggiato perché si decidesse a fare il bagno. Frida comprò vari giocattoli che galleggiavano nell'acqua e sfregare il marito con spugne e spazzole divenne un rito domestico.

In "Ritratto di Diego", a proposito del suo infantile egocentrismo, Frida scrisse:

 

Le idee e le immagini gli scorrono nel cervello a un ritmo diverso da quello comune e, proprio per questa ragione, l'intensità delle sue fissazioni e il desiderio di fare sempre di più è incontenibile. Questo meccanismo lo rende indeciso. La sua indecisione è superficiale, perché alla fine riesce comunque a fare tutto quello che vuole con volontà sicura e ben pianificata... Anche se raramente arriva alla decisione di scegliere, Diego ha dentro di sé un vettore che va direttamente al centro della sua volontà e del suo desiderio.

 

Per assecondare il "vettore" della volontà e del desiderio di Diego, Frida era insieme protettiva e oblativa. "Nessuno saprà mai quanto io ami Diego" scrisse nel diario. Non permetterò che niente lo ferisca, niente lo deve disturbare o portargli via l'energia di cui ha bisogno per "vivere" - vivere come desidera, dipingere, vedere, amare, mangiare, dormire, sentirsi solo, sentirsi in compagnia - ma mi piacerebbe dargli "tutto". Se avessi la salute vorrei dargli "tutto". Se avessi la giovinezza, potrebbe prendersela tutta."

Frida non si sarebbe sacrificata a questo modo per un amore semplicemente romantico o materno. Lo fece per Diego perché, pur nel suo prepotente

"infantilismo", vedeva i segni della sua superiorità. Per Frida Diego era un uomo la cui Visione abbracciava l'universo persino quando, come in "Abbraccio d'amore", l'universo abbracciava lui. Per mostrarlo, nel quadro gli mise un terzo occhio al centro della fronte e lo chiamò l'occhio della "supervisibilità"

o l'"ojo avisor" (l'occhio che dà le informazioni). E in "Ritratto di Diego"

scrisse: "I suoi grandi, scuri, intelligentissimi occhi sporgenti - gli escono quasi dalle orbite - sono a mala pena tenuti al loro posto dalle palpebre gonfie e protuberanti come quelle di una rana. Sono assai più distanti tra loro di quanto non sia normale per gli occhi. Permettono dunque alla sua visione di abbracciare un campo ottico molto più ampio, come se fossero stati costruiti appositamente per un pittore di spazi e moltitudini. Tra questi occhi, così lontani tra loro, si indovina l'occhio invisibile della sapienza orientale."

Frida tiene Diego e è a sua volta tenuta da una dea della terra che rappresenta il Messico e somiglia a un idolo precolombiano. L'idolo è di fatto una montagna a forma di cono, che forse si riferisce al simbolismo della montagna-piramide della religione precolombiana o alla caratterizzazione fatta da Frida (nel diario) di sé e di Diego come montagne. I suoi declivi sono per metà verdi e per metà marroni, forse per includere sia la terra del Messico che le piante che vi crescono o forse per indicare il contrasto tra il deserto messicano e la giungla o ancora l'alternanza di stagioni secche e stagioni piovose. Come Frida, la montagna-idolo ha lunghi capelli sciolti, non neri, bensì fatti di cactus. E il petto, come quello di Frida, è squarciato da una "barranca". Accanto alla ferita germoglia un ciuffo di erba verde: un modo tipico di Frida per dire che la natura alterna cicli di distruzione e di rinascita, di vita e di morte. La fenditura arriva dritta fino al capezzolo della dea, da cui cade una goccia di latte che somiglia a una lacrima.

Come sempre nei dipinti di Frida, il collegamento concreto e specifico di "Abbraccio d'amore" con una vicenda reale (la storia d'amore con María Félix) non è la sola e unica verità sebbene sia ferita e in lacrime, Frida è anche contenuta in una serie di abbracci d'amore, inseriti l'uno dentro l'altro, che non solo esprimono la sua convinzione che tutte le cose dell'universo fossero tra loro collegate, ma formano anche la matrice che unisce e sostiene sia lei che il marito. Strappata alla terra, la montagna fluttua nel cielo e le radici dei cactus che crescono verso l'alto e verso il basso dai suoi pendii pendono nello spazio. Queste radici, in parte rosse come se fossero vene, sono, come sempre nei quadri di Frida, bizzarramente vive. Una volta Frida disegnò la sua idea d'amore dandole la forma di un intrico di rosse radici che crescevano verso il basso: in "Abbraccio d'amore" le radici penzolanti ma vive simboleggiano la fermezza dell'amore di Frida e Diego.

Nella straordinaria cosmologia di Frida, la montagna-idolo (terra, Messico) è, a sua volta, abbracciata da una divinità più grande, una dea dell'universo dall'aspetto precolombiano, divisa in una zona di luce e una zona d'ombra e a mala pena distinguibile dalle due metà, diurna e notturna, del cielo.

In conclusione Frida riuscirà a tenersi accanto il marito. Era lei la donna che Diego amava più di ogni altra. "Se fossi morto senza conoscerla," Rivera confidò un giorno a Carmen Jaime "sarei morto senza sapere che cos'è una vera donna!" In un'altra occasione Carmen Jaime sentì che Frida diceva a Diego: "Per che cosa vivo? Con che scopo?" e lui le rispose: "Per far vivere me!" E per Frida Diego era tutto. Nel diario scrisse:

Diego. inizio

Diego. costruttore

Diego. mio fidanzato

Diego. mio ragazzo

Diego. pittore

Diego. mio amante

Diego. "mio martirio"

Diego. mio amico

Diego. mia madre

Diego. io

Diego. Universo

Diversità nell'unità

Perché lo chiamo il "Mio" Diego? Non è mai stato e non sarà mai mio. Diego appartiene a se stesso.

 

Natura viva.

 

La fusione spinale del 1946, scrisse Cachucha Miguel N. Lira, diede inizio "al calvario che avrebbe portato alla fine". Agli inizi del 1950 Frida era così malata da dover entrare in ospedale a Città del Messico. Ci sarebbe rimasta per un anno.

In Messico per un breve viaggio, il dottor Eloesser la vide poco prima che venisse ricoverata e il 26 gennaio 1950 buttò giù qualche nota relativa alle sue condizioni. Il 3 gennaio, scrisse, Frida "svegliandosi, ha scoperto di avere la punta di quattro dita del piede destro completamente nere. La sera prima, quando era andata a letto, le dita erano a posto. Il dottore che è venuto a visitarla l'ha mandata in ospedale. Nell'ultimo anno ha continuato a mangiare pochissimo -

perso... peso Negli ultimi 3 anni ha continuato a prendere molto Seconal Niente alcol per 3 anni". Il dottor Eloesser annota che Frida ha dipinto fino a tre mesi prima della sua visita, che ha sofferto di emicranie e che per un certo periodo ha avuto continuamente la febbre. La gamba le procurava un dolore costante. Il resto, eccettuata la parola "cancrena", è illeggibile.

L'11 febbraio, da Coyoacàn, Frida scrisse al dottor Eloesser di aver visto cinque medici, compreso il dottor Juan Farill. Si fidava di lui, disse, perché sembrava il più "serio"; consigliava l'amputazione del piede, fino al tallone.

 

Mio carissimo "doctorcito":

ho ricevuto la tua lettera e il libro; mille grazie per tutta la meravigliosa tenerezza e l'immensa generosità che hai verso di me. Come stai? Quali sono i tuoi piani? Io sono nello stesso stato in cui ero l'ultima sera che ci siamo visti prima della tua partenza.

Il dottor Glusker mi ha fatta visitare da un certo dottor Puig, un chirurgo delle ossa catalano che ha studiato negli Stati Uniti. La sua opinione è identica alla tua, amputare le dita, ma lui pensa che sarebbe meglio amputare fino al metatarso in modo da ottenere una cicatrizzazione meno lenta e meno pericolosa.

Finora le cinque opinioni che ho avuto sono identiche: "amputazione". Con un'unica variante: in che punto amputare. Non conosco bene il dottor Puig e non so cosa decidere di fare, perché è così importante per me, questa operazione, che ho paura di fare qualcosa di "stupido". Ti voglio pregare di darmi il tuo parere sincero su quello che dovrei fare in questo caso. Per le ragioni che sai, mi è impossibile venire negli Stati Uniti, anche perché vorrebbe dire un mucchio di denaro e so che in questo momento rappresenterebbe uno sforzo troppo grande per lui [Diego] dato che il peso vale meno di "merda". Se l'operazione in quanto tale non è qualcosa di troppo estraneo a questo mondo, credi che questa gente potrebbe farmela? O è meglio che aspetti fino a quando tu riesca a tornare o dovrei procurarmi i soldi e farla lì da te? Sono disperata, perché se davvero è da fare, la cosa migliore sarebbe affrontare il problema il prima possibile, non credi?

Qui a letto mi sento vegetare come un cavolo, ma nello stesso tempo penso che il caso vada studiato per arrivare a un risultato positivo da un punto di vista puramente meccanico. Vale a dire riuscire a camminare,- riuscire a lavorare. Ma mi dicono che, essendo la gamba così mal messa, la cicatrizzazione sarà lenta e per qualche mese non sarò in grado di camminare.

Un giovane medico, il dottor Zimbrón, propone uno strano trattamento di cui ti voglio chiedere, perché non so fino a che punto possa essere una buona idea.

Dice che garantisce che la cancrena scomparirà. Si tratta di alcune iniezioni sottocutanee di gas leggeri, elio-idrogeno e ossigeno... Che impressione ti fa?

Credi che ci sia qualcosa di vero? Non c'è rischio di embolia? Ne ho una certa paura. Dice di essere convinto che grazie a questo trattamento non avrò bisogno dell'amputazione. Credi che sia vero?

Mi stanno facendo diventare matta e riducendo alla disperazione. Che cosa devo fare? E' come se mi stessi trasformando in un'idiota e sono molto stanca di questo fottutissimo piede; mi piacerebbe rimettermi a dipingere e non dovermi preoccupare di tutti questi problemi. Ma non c'è niente da fare, devo tenermi la mia miseria fino a quando la situazione non sarà risolta...