Non smettere di dissetare
l'albero di cui sei il sole, l'albero
che ha fatto tesoro del tuo seme
"Diego" è il nome dell'amore.
Questa "pinchísima" Parigi.
Nel gennaio del 1939, quando Frida salpò per la Francia, l'Europa era in uno stato di pace instabile. Hitler era stato "rabbonito" a Monaco e la guerra civile spagnola stava volgendo al termine: il 27 febbraio la Gran Bretagna e la Francia riconobbero il regime di Franco. Nella capitale mondiale della cultura fascisti e trockisti, comunisti e capitalisti, liberali e conservatori, tutti presi nelle loro battaglie verbali, disquisivano di finezze teoriche, mentre la prima ondata di quella che sarebbe diventata un'inondazione di rifugiati doveva affrontare le incertezze del destino.
Nei primi tempi Frida stette con André e Jacqueline Breton nel loro piccolo appartamento di Rue Fontaine 42, ma il soggiorno non fu dei più felici. Tanto per cominciare, la mostra che Breton doveva avere organizzato era stata rimandata: "La questione della mostra è tutta un maledetto casino" Frida scrisse a Nickolas Muray il 16 febbraio:
Quando sono arrivata i quadri erano ancora bloccati alla dogana, perché quel f.
di p. di Breton non si è preso il disturbo di recuperarli. Le fotografie che tu hai mandato "secoli fa, non le ha mai ricevute" - almeno così dice - la galleria che dovrebbe ospitare la mostra non è stata "affatto" predisposta e da tempo Breton non ha più una galleria tutta sua. Così ho dovuto aspettare giorni e giorni, come un'idiota, fino a che non ho incontrato Marcel Duchamp (pittore meraviglioso) che, in mezzo a questo branco di rimbecilliti lunatici figli di puttana dei surrealisti, è l'unico a avere i piedi ben piantati per terra. Ha immediatamente sdoganato i miei dipinti e si è messo a cercare una galleria.
Finalmente una galleria chiamata "Pierre Colle" ha accettato la maledetta mostra. Ora, insieme ai miei lavori, Breton vuole presentare 14 ritratti del Diciannovesimo secolo (messicano), circa 32 fotografie di Alvarez Bravo e un mucchio di oggetti comuni comprati nei mercati messicani: "tutta quella spazzatura", roba da non credersi. La galleria dovrebbe essere pronta per il 15
marzo. Ma...... i 14 dipinti a olio del Diciannovesimo secolo devono essere "restaurati" e per il dannato restauro ci vuole un mese intero. Ho dovuto prestare a Breton i 200 dollari necessari, perché non ha neanche un soldo. (Ho mandato un cablogramma a Diego per spiegargli la situazione e per dirgli che ho prestato questi soldi a Breton - era furibondo, ma ora è "fatta" e non ci posso fare niente.) Ho ancora denaro per rimanere qui fino all'inizio di marzo quindi non mi devo preoccupare troppo.
Bene, dopo che le cose si sono, come ti ho detto, più o meno sistemate, pochi giorni fa Breton mi ha detto che il socio di Pierre Colle, un vecchio bastardo e figlio di puttana, ha visto i miei quadri e ha trovato che soltanto "due"
possono essere esposti, perché gli altri sono troppo "scandalosi" per il pubblico!!! Quel tipo io potrei ucciderlo e poi mangiarmelo, ma sono così nauseata e stufa dell'intera storia che ho deciso di mandare tutto al diavolo e battermela da questa marcia Parigi prima di dare anch'io i numeri.
In secondo luogo, Frida si ammalò; la lettera del 16 febbraio venne scritta da un letto dell'ospedale americano. Stufa di Breton e non potendone più di dover dividere una stanza microscopica con Aube, la piccola figlia della coppia, alla fine di gennaio si era spostata all'hotel Regina in Place des Pyramides, da cui venne prelevata e portata in ospedale con un'ambulanza "perché non riuscivo neanche a camminare". Le era venuta una infiammazione di origine colibatterica ai reni. Il 27 febbraio scrisse a Muray:
Mi sento piuttosto debole dopo tanti giorni di febbre, perché la maledetta infezione da colibacilli ti fa sentire marcio. Il medico dice che devo aver mangiato qualcosa che non era stato lavato bene (insalata o frutta fresca).
Scommetto sui miei stivali che lo schifoso colibacillo me lo sono preso in casa Breton. Non hai idea della sporcizia in cui vivono e del cibo che mangiano. E'
qualcosa di incredibile. In vita mia non mi era mai capitato di vedere niente del genere. Per una ragione che ignoro, l'infezione si è spostata dall'intestino alla vescica e alle reni, di modo che per due giorni non sono riuscita a fare pipì e mi sentivo continuamente sul punto di esplodere. Fortunatamente adesso "va tutto bene" e l'unica cosa che devo fare è riposare e seguire una dieta speciale.
Una variazione sul tema compare in una lettera a Ella e Bertram Wolfe:
Vedete, avevo la pancia piena di anarchici e ognuno di loro aveva messo una bomba in qualche angolo del mio povero intestino. Credevo che non ci fossero speranze, perché ero sicura che la "pelona" mi avrebbe portata via. Tra il mal di pancia e la tristezza di essere sola in questa "pinchísima" [orribile]
Parigi, che per me è come un pugno nello stomaco, vi assicuro che avrei preferito che il diavolo mi avesse portata via con un solo strattone. Ma quando mi sono ritrovata all'ospedale americano, dove potevo "abbaiare" in inglese e spiegare la mia situazione, ho cominciato a sentirmi un po' meglio.
Non ritornò "al maledetto albergo, perché non potevo stare da sola". Invece Mary Reynolds, "una meravigliosa donna americana che vive con Marcel Duchamp, mi ha invitata a stare a casa sua e io ho accettato con gioia perché è davvero una bella persona e non ha nulla a che fare con gli orrendi "artisti" del gruppo di Breton. E' molto gentile nei miei confronti e si prende meravigliosamente cura di me".
A quel punto, la questione mostra si era finalmente sistemata e Frida scrisse a Muray:
Marcel Duchamp mi ha aiutata davvero molto e di tutta questa orribile gente è l'unico a essere un vero uomo. La mostra aprirà il 10 marzo in una galleria chiamata "Pierre Colle". Dicono che qui sia una delle migliori. Questo Colle è il mercante di Dalí e di qualche altro grosso calibro del surrealismo. Durerà due settimane, ma io ho già sistemato le cose in modo da ritirare i miei quadri il 23, per poterli imballare e portarli via con me il 25. I cataloghi sono già in corso di stampa, dunque sembra che tutto vada bene. Volevo partire l'8 marzo a bordo dell'"Ile de France", ma ho mandato un cablogramma a Diego e lui vuole che aspetti fino alla conclusione della mostra, perché non crede che questa gente mi rispedirebbe i miei lavori. In un certo senso ha ragione, perché in fin dei conti sono venuta "soltanto" per la dannata mostra e sarebbe stupido partire due giorni prima che apra. Non credi?
Nonostante le sue disgrazie, Frida prese parte ai piaceri "surrealisti" di Parigi. Ebbe modo di conoscere luminari dei circoli surrealisti come il poeta Paul Eluard e Max Ernst, di cui la attiravano gli intensi occhi azzurri, i capelli bianchi e il naso aquilino e di cui le piacevano i dipinti, ma di cui trovava un pochino inaccessibile la personalità gelida e asciutta. I nuovi amici la scortavano nei caffè degli artisti e nei night club dove si poteva sentire il jazz e dove, come al solito, Frida guardava gli altri danzare. Anche il mondo dell'alta moda le si strinse attorno. Schiaparelli si lasciò incantare a tal punto dai costumi tehuani di Frida da disegnare un "abito Madame Rivera" per le parigine alla moda e la mano inanellata della Kahlo apparve sulla copertina di "Vogue".
Eppure, nonostante tutti i divertimenti, e persino dopo avere lasciato casa Breton e avere recuperato la salute, Frida continuò a trovare Parigi decadente; quello che più odiava erano le pose vuote dei bohémien.
Non hai idea di quanto siano puttane queste persone. Mi fanno vomitare. Sono così maledettamente "intellettuali" e guasti che non riesco più a sopportarli.
Per il mio carattere è veramente troppo. Piuttosto che avere a che fare con queste "artistiche" puttane parigine preferisco mettermi seduta sul pavimento del mercato di Toluca a vendere tortillas. Stanno per ore al "caffè" a scaldarsi i loro preziosi didietro e parlano senza smettere mai di "cultura", "arte", "rivoluzione" e via di questo passo, convinti di essere i signori dell'universo, sognando i più fantastici nonsense e ammorbando l'aria di teorie e teorie che tanto non diventeranno mai realtà. Il mattino dopo, a casa non hanno nulla da mangiare, perché "nessuno di loro lavora" e vivono come parassiti di quel manipolo di ricche puttane che ammirano il loro "genio" di "artisti". Sono "merda" e nient'altro che "merda". Non mi è mai capitato di vedere Diego o te [Muray] sprecare il vostro tempo in pettegolezzi stupidi e in discussioni "intellettuali". Ecco perché siete veri "uomini" e non "artisti" da quattro soldi. Per dio! Valeva veramente la pena di venire fino qui, se non altro per vedere come mai l'Europa stia marcendo, perché tutta questa gente, buona a niente, è la causa di tutti gli Hitler e di tutti i Mussolini. Scommetto sulla mia vita che odierò questo posto e la sua gente fintanto che vivrò. In loro c'è qualcosa di così falso e irreale da farmi impazzire.
Fu colta dalla disperazione davanti alla sconfitta dei lealisti nella guerra civile spagnola e vide con i suoi occhi le sofferenze dei rifugiati spagnoli.
Con l'aiuto di Diego, organizzò la partenza per il Messico di quattrocento di loro.
Se sapessi in che condizioni vive questa povera gente che ce l'ha fatta a sfuggire ai campi di concentramento ti si spezzerebbe il cuore. Manolo Martínez, il "compañero" di Rebull [Daniel Rebull era uno dei miliziani spagnoli che Frida aveva incontrato in Messico nel 1936 o '37] mi ha raccontato che Rebull è stato l'unico a rimanere dall'altra parte, perché non poteva lasciare la moglie che era in fin di vita. Forse, mentre te ne scrivo, quel pover'uomo sarà già stato eliminato. Questi asini di francesi si sono comportati come maiali con tutti i rifugiati, sono un mucchio di bastardi del genere peggiore che io abbia mai conosciuto. Ho la nausea di tutti questi europei marci e corrotti e queste "democrazie" del cazzo non valgono una cicca.
Sebbene avesse rappresentato il Messico a una o più riunioni trockiste e continuato a fare riferimento al gruppo fino alla partenza da Parigi - in effetti aveva avuto una breve relazione con uno di loro e era stata con lui per una settimana nella casa di Montparnasse di Mary Reynolds - Frida era pronta a sostenere Diego quando, poco dopo l'arrivo a Parigi, venne a sapere che aveva rotto con Trockij. "Diego adesso si è messo contro la Quarta Internazionale e ha detto in modo molto serio al "piochitas" [Trockij] di andare all'inferno"
scrisse a Ella e Bertram Wolfe. "...Diego ha pienamente ragione."
Il problema reale era che il trockismo di Rivera non era mai stato né profondo né consistente. Aveva l'abitudine di dire frasi come "Sai, sono un po' un anarchico" e alle spalle di Trockij lo accusava di essere uno stalinista. Con il suo atteggiamento anarchico nei confronti di ogni dogma o sistema che non fossero i propri, Rivera era incapace di starsene obbediente sotto l'ala ideologica di Trockij e di servire la causa con l'affidabilità richiesta a un funzionario di partito. Inoltre, come molti intellettuali nel periodo
immediatamente precedente la seconda guerra mondiale, Rivera aveva perso ogni illusione nei confronti della Quarta Internazionale di Trockij, che vedeva come un "gesto vanaglorioso" e futile.
All'inizio del nuovo anno Rivera dette le dimissioni dall'organizzazione. L'11
gennaio, Trockij dichiarò alla stampa messicana di non sentire più alcuna "solidarietà morale" verso Rivera e che, di conseguenza, non poteva accettare di essere ospite in casa sua. Eppure il 12 gennaio Trockij sperava ancora di poter riportare Rivera all'ovile, visto che scrisse a Frida del loro conflitto, chiedendo il suo aiuto:
Cara Frida,
desidero comunicarti alcune complicazioni nel rapporto con Diego, che sono molto dolorose per me, per Natalja e per la vita domestica nel suo complesso. Mi è molto difficile individuare la vera fonte dello scontento di Diego. Due volte ho provato a provocare una discussione franca sull'argomento, ma in entrambi i casi è stato molto generico nelle sue risposte. La sola cosa che sono riuscito a fargli tirare fuori è la sua indignazione davanti alla mia riluttanza a riconoscere in lui quelle caratteristiche indispensabili a un buon funzionario della rivoluzione. Ho insistito a dire che non doveva accettare una posizione all'interno dell'organizzazione, perché un "segretario" che non scrive mai, non risponde alle lettere, non va in orario alle riunioni e fa sempre il contrario di quanto è stato deciso collettivamente non è un buon "segretario". E a te chiedo, perché Diego dovrebbe essere "segretario"? Che sia un autentico rivoluzionario non c'è bisogno di provarlo, ma è un rivoluzionario moltiplicato dal grande artista e è proprio questa "moltiplicazione" che lo rende assolutamente inadatto al lavoro di routine del partito...
Qualche giorno fa Diego ha dato le dimissioni dalla Quarta Internazionale. Spero che le sue dimissioni non vengano accettate. Da parte mia farò tutto il possibile per sistemare almeno le questioni politiche, anche se non riuscissi a aggiustare le questioni personali. In ogni caso credo che in questa crisi il tuo aiuto sia essenziale. La rottura tra Diego e noi non sarebbe soltanto un duro
colpo per la Quarta Internazionale, ma ho paura che vorrebbe dire anche la morte morale di Diego. Fuori dalla Quarta Internazionale e dai suoi simpatizzanti dubito che riesca a trovare un ambiente che sappia capirlo e essere in sintonia con lui non solo come artista, ma come rivoluzionario e come persona.
Ora, cara Frida, conosci la situazione. Non riesco a credere che non ci siano speranze. In ogni caso, io sarei l'ultimo a abbandonare gli sforzi per ristabilire l'amicizia politica e personale e spero sinceramente che tu voglia collaborare con me in questa direzione.
Natalja e io ti auguriamo il massimo della salute e del successo artistico e ti abbracciamo come una buona e vera amica.
Dopo la rottura, Trockij tentò di persuadere Rivera a accettare del denaro per l'affitto mentre cercava un altro posto dove andare a vivere. Rivera rifiutò.
Finalmente, nell'aprile del 1939, Trockij e il suo entourage si spostarono in una casa di Avenida Viena a Coyoacán, a poche centinaia di metri dalla casa blu di Calle Londres. Alle spalle, insieme a altri ricordi, egli si lasciò l'"Autoritratto" datogli da Frida e una penna che aveva ricevuto in regalo da lei in un'altra occasione.
Sebbene avesse approvato il distacco di Diego da Trockij, Frida mantenne intatto il suo affetto per lui fino alla morte.
Quando il giorno dell'inaugurazione finalmente arrivò, Frida disse a Muray che non le importava più nulla "se la mostra avrà successo o no... In generale la gente ha una paura mortale della guerra e tutte le mostre sono state un fallimento, perché le puttane ricche non vogliono comprare niente". La mostra era intitolata "Messico" e, se non era esattamente una personale (di fatto Breton aveva circondato i lavori di Frida di sculture precolombiane, dipinti del diciottesimo e diciannovesimo secolo, fotografie di Manuel Alvarez Bravo e della sua collezione di oggetti che Frida aveva definito "tutta quella spazzatura": giochi, un candelabro di ceramica, un grande teschio di zucchero, ex voto e altri oggetti dell'arte popolare acquistati in Messico), Frida ne era certamente l'elemento di punta. Jacqueline Breton ricorda che il vernissage era stato un evento vivace, ma che per quasi tutto il tempo Frida era rimasta in un angolo; visto che il suo francese era limitato, è verosimile che si sentisse tagliata fuori. E, come aveva temuto, la mostra non fu un successo finanziario. I francesi erano troppo nazionalisti, dice Jacqueline Breton, per essere davvero interessati al lavoro di uno straniero sconosciuto. Inoltre, "le donne continuavano a essere sottovalutate. Essere pittrici era molto duro. Frida diceva: "Gli uomini sono dei re. Dirigono il mondo."
Il lavoro di Frida fu comunque recensito favorevolmente da "La Flèche". E il Louvre ritenne opportuno acquistare "La cornice", un incantevole ritratto in cui Frida ha i capelli raccolti fermati da un nastro giallo-verde e sormontati da un enorme fiore giallo, che oggi fa parte della collezione del Museo nazionale d'arte moderna del Centre Pompidou.
Di tutti i suoi ammiratori, fu naturalmente Diego quello che più ebbe da dire sui suoi trionfi parigini. A poche settimane dall'arrivo, egli scrisse, sua moglie aveva conquistato i cuori del mondo artistico di Parigi: "Più rigorosi erano i critici, più entusiastica era la loro reazione. Kandiskij fu così commosso dai quadri di Frida che, davanti a tutti, la sollevò tra le braccia e la baciò su entrambe le guance e sulla fronte mentre lacrime di schietta emozione gli scorrevano lungo il viso. Persino Picasso, il più difficile dei difficili, cantò le lodi delle qualità artistiche e personali di Frida. Dal momento del loro incontro fino al suo ritorno a casa, Picasso rimase sotto l'incantesimo di Frida."
Il 17 marzo Frida sintetizzò le sue impressioni scrivendo a Ella e Bertram Wolfe:
...un mucchio di gente al vernissage e molte congratulazioni per la "chicua", tra le altre un grande abbraccio da "Juan Miró" e grosse lodi per i miei quadri da "Kandinskij", congratulazioni da "Picasso" e "Tanguy", da Paalen e dagli altri "gran caca" del surrealismo. Insomma posso dire che è stato un successo e, tenendo conto della qualità dei pubblico (vale a dire il gruppo di quelli che mi facevano le congratulazioni), credo che la cosa sia andata abbastanza bene....
La vostra "chicua" che non vi scorda mai
Frida.
Una settimana dopo avere scritto ai Wolfe, Frida fu finalmente in grado di andarsene dall'Europa "che sta marcendo". Il 25 marzo salpò da Le Havre, con destinazione New York.
Ciò che l'acqua mi ha dato.
La risposta di Frida all'accoglienza nel pantheon surrealista voluta dal suo padre fondatore fu un'esibizione di candida sorpresa. "Non avevo mai saputo di essere una surrealista," disse "fino a quando André Breton non è venuto in Messico e me lo ha detto. La sola cosa che so è che dipingo perché ne ho bisogno e dipingo sempre quello che mi passa per la testa, senza altre considerazioni."
E' probabile che all'ingenuità si mescolasse il calcolo. Frida Kahlo voleva essere percepita come un'originale, la cui personale fantasia era nutrita dalla tradizione popolare messicana in generale piuttosto che da un qualsiasi "ismo"
di origine straniera. Questo era esattamente il modo in cui anche Breton e Rivera volevano vederla e è vero che la sua arte colpisce proprio per inventiva e candore, per l'apparente libertà dall'influenza dei movimenti artistici europei. Ma Frida era troppo sofisticata, troppo informata sull'arte passata e contemporanea, per essere un'artista perfettamente pura e, ammettendo che questo sia possibile, autogenerata. Di fatto, il suo enfatico diniego suona
ambiguamente simile alla definizione di surrealismo coniata da Breton: "Puro automatismo psichico con cui si intende esprimere a parole, attraverso la scrittura o con altri metodi, il funzionamento reale della mente. Dettatura operata dal pensiero, in assenza di un qualsiasi controllo esercitato dalla ragione e scavalcando ogni preoccupazione di ordine estetico o morale."
Le teorie di Breton lo avevano sicuramente preceduto in Messico e è certo che Frida non le ignorasse. Per di più sapeva che l'etichetta surrealista avrebbe contribuito a procurarle l'approvazione dei critici e era contenta di essere ammessa nei circoli surrealisti, innanzi tutto a New York, dove la galleria di Julien Levy era un punto focale del movimento, e poi a Parigi. Se Frida avesse avuto delle obiezioni a farsi classificare come tale, nel catalogo della mostra "Venti secoli di arte messicana" del Museo d'arte moderna di New York l'amico Miguel Covarrubias non l'avrebbe definita una surrealista. D'altro canto Frida fece in modo di non attribuirsi quell'etichetta con le sue stesse mani. Lo storico dell'arte Antonio Rodríguez ne cita le parole: "Adoro la sorpresa e l'imprevisto. Mi piace andare al di là del realismo. Per questa ragione, da quello scaffale mi piacerebbe vedere uscire non libri, ma leoni. La mia pittura naturalmente riflette queste preferenze e anche il mio stato mentale. E è indubbiamente vero che la mia pittura è collegata in molti modi a quella dei surrealisti. Ma io non ho mai avuto l'intenzione di creare un lavoro che avesse le caratteristiche giuste per finire in quella categoria."
Non ci sono dubbi su quale fosse nel 1940 il movimento più alla moda nei circoli artistici internazionali. Il 17 gennaio l'apertura della "Mostra internazionale del Surrealismo" alla Galleria d'arte messicana di Inés Amor a Città del Messico fu l'evento culturale e sociale della stagione. La mostra era già stata a Parigi e a Londra; era stata organizzata da André Breton in collaborazione con il poeta peruviano César Moro e con il pittore surrealista Wolfgang Paalen, che nel 1939
era emigrato in Messico con la moglie Alice Rahon, buona amica di Frida e a sua volta pittrice e poetessa surrealista. L'elenco degli invitati al vernissage della mostra, pubblicato sui quotidiani, comprendeva "il Messico che conta".
La maggior parte delle critiche furono positive. Intelligentemente i recensori notarono che, con poche eccezioni, i partecipanti messicani alla mostra in realtà non avevano nulla a che fare con il surrealismo. Frida ad esempio non era qualificata a fare parte del movimento per via della sua "genuinità spirituale".
Frida stessa, in una lettera a Nickolas Muray, commentò che tutti in Messico stavano diventando surrealisti soltanto per poter partecipare alla mostra, ma in ogni caso mandò due suoi lavori: "Le due Fride", 1939, e "La tavola ferita", 1940, le uniche tele di grandi dimensioni da lei mai prodotte e a cui aveva lavorato con particolare urgenza, in parte perché voleva che fossero pronte per la mostra.
Se da un lato la "Mostra internazionale del Surrealismo" fu un fatto importante come primo contatto diretto del Messico con l'arte surrealista europea, il suo impatto sull'arte messicana fu assai meno drammatico di quanto gli organizzatori avessero sperato. Avevano visto il Messico come un terreno fertile e adatto alla crescita del surrealismo, eppure i messicani non si dimostrarono particolarmente ricettivi. Un ostacolo era rappresentato dalla predominanza del movimento muralista, impegnato sul fronte del realismo. Un altro impedimento, più difficile da aggirare, era costituito dal fatto che il Messico aveva una tradizione magica e miti suoi propri e quindi non aveva bisogno di nozioni fantastiche d'importazione. La ricerca consapevole di verità subconscie che aveva forse fornito ai surrealisti europei una qualche emancipazione dai confini del mondo razionale e dall'ordinarietà della vita borghese aveva scarso fascino in un paese dove realtà e sogni erano percepiti come fusi e dove i miracoli erano considerati esperienza quotidiana.
Ma se la "Mostra internazionale del Surrealismo" e la presenza di numerosi rifugiati europei identificati con il surrealismo non produssero un movimento surrealista messicano, esse ebbero però un ruolo importante nello stimolare lo sviluppo del realismo fantastico negli anni quaranta, periodo durante il quale vari artisti messicani respinsero l'egemonia del movimento muralista. Frida fu certamente tra coloro per i quali il contatto con il surrealismo ebbe la funzione di rafforzare l'inclinazione sia personale che culturale verso il fantastico. Sebbene ella fosse una scoperta dei surrealisti più che una surrealista, dopo il contatto diretto con il surrealismo nel 1938, nel suo lavoro è riconoscibile un cambiamento deciso. Dipinti realizzati nei primi anni trenta quali "Luther Burbank" o "Henry Ford Hospital" mostrano uno stile ingenuo e una fantasia fondata sull'arte popolare messicana. Dopo il 1938 i suoi lavori si fanno più complessi, più penetranti, di un'intensità più inquietante. Via via che i tratti della personalità di Frida acquistavano forza e che le ombre si riempivano di ambiguità, l'impetuosità maliziosa dell'Autoritratto del 1929 e il diabolico fascino femminile dell'Autoritratto dedicato a Trockij fecero posto a un nuovo mistero e magnetismo, a una maggiore profondità e consapevolezza di sé.
E se questo nuovo umore dipende in buona parte dagli anni di sofferenza che Frida ha accumulato, non si può d'altro canto sottovalutare l'istigazione surrealista che pone l'accento sull'inconscio come fonte della creatività artistica. Senza dubbio le teorie di Breton contribuirono a produrre
l'enigmaticità e le allusioni psicologiche del suo dipinto più surrealista, "Ciò che l'acqua mi ha dato", un dipinto a cui Frida dava una speciale importanza. Si tratta di una "revêrie" che ha come perimetro la vasca da bagno: immagini di paura e memoria, di sessualità, dolore e morte, galleggiano sull'acqua al di sopra delle gambe sommerse di chi si sta bagnando. L'atmosfera è elusiva e rarefatta. I ricordi sono solo accennati, non descritti. Questa sensazione di insostanzialità è accentuata dalla generale tonalità grigio-blu trasparente e da un espediente pittorico: la vernice è distribuita in strati eccezionalmente sottili. Piena di rimandi a Dalí nell'insistenza sui dettagli minuti e non razionalmente contrapposti, ma anche sintomo dell'ammirazione per Bosch e Brueghel, questa tela è, tra le opere di Frida, la più complessa e la più deliberatamente enigmatica.
Frida ha dipinto le proprie gambe dal punto di vista di chi è immerso nella vasca da bagno, parzialmente oscurate dall'acqua. Le punte dei piedi, emergendo dall'acqua, sono grottescamente duplicate dal riflesso tanto da sembrare dei granchi carnosi. Il pollice del deformato piede destro è squarciato: riferimento all'incidente e alle successive operazioni. Come in un film dell'orrore, da uno dei fori di scolo vicino al piede ferito sbuca, attorcigliato e spezzato, un rampicante. che sgocciola sangue nell'acqua. (La fascinazione di Frida per il sangue, già chiara nei suoi dipinti a partire dal 1932, assunse alla fine degli anni trenta un'intensità più sottilmente sessuale e sadomasochistica, quando la sua attenzione andò concentrandosi sui percorsi intricati compiuti dal sangue, sia che esso sgoccioli, coli, scorra.) A fare pensare alla scena di un film dell'orrore (Forse Frida tu influenzata dagli insetti e dal sangue di "Un chien andalolou", il film surrealista di Luis Buñuel e Salvador Dalí, che venne presentato a Città del Messico nel 1938, durante il soggiorno di André Breton, proprio quando Frida stava lavorando al quadro "Ciò che l'acqua mi ha dato") provvede anche la parata d'insetti, accompagnati da un serpente e da una minuscola ballerina, in bilico su una corda tesa tra una roccia/fallo, la sommità di una montagna e un uomo mascherato e seminudo. La corda stringe il collo e la vita di una Frida annegata, dalla cui bocca sgorga il sangue e la cui carne nuda ha assunto una inquietante sfumatura grigia. Un ultimo,
raccapricciante dettaglio è la grossa zanzara, che tende dalla corda le lunghe, esili zampe fino a sfiorare il viso di Frida.
Non stupisce che "Ciò che l'acqua mi ha dato" venisse scelto da André Breton per illustrare il saggio su Frida Kahlo, che venne ripubblicato nel suo libro "Surrealismo e pittura". (A. Breton, "Il surrealismo e la pittura", p. 144.) Disse che quando era in Messico, Frida stava terminando il quadro. ""Ciò che I 'acqua mi ha dato" illustrava, senza che lei se ne rendesse conto, la frase che una volta avevo udito dalle labbra di Nadja [l'eroina di "Nadja", romanzo surrealista di Breton]: "Sono il pensiero di un bagno in una stanza senza specchi."" In una stanza senza specchi ci si percepisce soltanto dal petto in giù. La mente può rivolgersi verso l'interno e il corpo, non inibito dalla propria immagine riflessa, è libero di giocare a qualsiasi gioco.
E' facile capire perché in tanti abbiano definito surrealista Frida. I ritratti in cui fa strazio di se stessa mettono surrealisticamente l'accento sul dolore e hanno una ben precisa, sotterranea corrente di erotismo represso. L'uso di figure ibride (parte animali, vegetali o umane) è diventato familiare grazie all'iconografia surrealista, in cui dagli arti umani germogliano i rami e i corpi possono avere testa d'uccello o di toro. L'abitudine di Frida di esporre l'interno del corpo umano o di ridurlo a porzioni separate rimanda alle teste decollate, alle mani o ai torsi cavi visti così di frequente nei quadri surrealisti. L'uso di collocare scene di drammatica fissità in spazi
smisuratamente grandi e aperti - spazi totalmente sconnessi dalla vita di tutti i giorni - può anch'esso essere assunto come un espediente surrealista per dissociare lo spettatore dal mondo razionale. Persino gli spazi claustrofobici, chiusi su se stessi, di Frida potrebbero avere una matrice surrealista: le sue pareti di foglie tropicali dall'aspetto onnivoro, formicolanti di insetti mimetizzati, rinviano ai lussureggianti paesaggi della giungla di Max Ernst.
Ma la visione di Frida era assai diversa da quella dei surrealisti. La sua arte non era il prodotto della disillusa cultura europea alla ricerca di una via d'uscita dai limiti della logica attraverso l'immersione nel subconscio. La sua immaginazione era piuttosto il prodotto del suo temperamento, della sua vita e del luogo; era un modo di scendere a patti con la realtà, non di scavalcarla per accedere a un altro territorio. Il suo simbolismo era quasi sempre
autobiografico e relativamente semplice. Sebbene avessero una funzione privata, i dipinti di Frida, esattamente come i murali, intendevano produrre un significato accessibile. Nell'arte di Frida l'elemento magico non sta negli orologi che si liquefanno, quanto piuttosto nel desiderio di infondere alle immagini, simili a ex voto, una certa efficacia: da esse ci si aspetta che agiscano sulla vita. Frida esplorava la sorpresa e l'enigma dell'esperienza immediata e delle sensazioni reali.
I surrealisti inventavano immagini di sessualità minacciata. Frida produceva immagini della rovina del proprio sistema riproduttivo. Quando in "Radici", 1943, unì il proprio corpo a un verde rampicante, ciò che stava comunicando era una specifica e personale sensazione: lo struggente desiderio di fertilità di una donna senza figli. La sua emozione è assolutamente chiara. L'erotismo scorreva più nelle vene che nella testa di Frida: per lei il sesso era un fatto della vita molto più che una mistificazione freudiana. Né le serviva la guida di de Sade per descrivere con una franchezza che rasentava la crudeltà il dramma della sofferenza fisica. Quando Frida dipinge i colpi di pugnale sul corpo di una donna nuda, di una Vergine dei Dolori o sulla sua stessa carne non siamo di fronte a immagini anonime di dolore e neppure a un simbolo freudiano come nel caso del dito perforato che sporge dalla finestra nell'"Edipo Re" di Max Ernst.
Quando si squarcia il torace per rivelare che al posto della colonna vertebrale ha una colonna classica in rovina, non si tratta di uno stratagemma retorico; Frida ci sta semplicemente aggiornando sulle sue condizioni fisiche. Quando in "Albero della speranza", 1946, si dipinge due volte, la prima seduta e la seconda coricata, il suo non è un fare ricorso alla tecnica della
contrapposizione non razionale allo scopo di creare una "subrealtà". Non si tratta di quel paradigma del surrealismo descritto dal poeta francese
Lautréamont, l'"incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello sul tavolo anatomico". Si tratta di una paziente particolare, sdraiata su una lettiga d'ospedale dopo essere stata sottoposta a intervento chirurgico e sorvegliata da quella parte di sé ancora capace di speranza e di volontà. Una franchezza così diretta contrasta in modo evidentissimo con le ellissi e le tortuosità dei surrealisti.
Persino "Ciò che l'acqua mi ha dato" è infatti più reale che surreale. Perché se l'accumulazione di dettagli minuti e fantastici fa sì che questo dipinto sembri meno coerente e meno fondato sulla materialità del reale di altri lavori, tutte le immagini in esso contenute sono strettamente collegate a eventi o sensazioni della vita di Frida e la scena nel suo insieme è perfettamente plausibile come descrizione "reale" della sognatrice e del suo sogno.
Julien Levy ha detto che Frida di rado parlava del suo lavoro, ma che di "Ciò che l'acqua mi ha dato" gli aveva parlato.
"E' decisamente esplicito," è la spiegazione di Levy. "E' un'immagine del passare del tempo. L'indicazione fornita da Frida, tanto per cominciare, era che si trattava di un'opera sul tempo, sui giochi dell'infanzia e sulla tristezza di ciò che le era accaduto nel corso della vita. I sogni, via via che invecchiava, si facevano tutti tristi. I sogni della bambina erano felici. Da bambina giocava con i suoi giocattoli nella vasca da bagno. Aveva fatto dei sogni in cui quei giochi ricomparivano. Le immagini del quadro sono collegate ai giochi che faceva nella vasca da bagno. E ora si guarda nella vasca da bagno e, come sognando a ritroso, tutti i suoi sogni sono sfociati in un finale triste. Aveva anche l'abitudine di parlare molto di masturbazioni nella vasca da bagno. E poi parlava della prospettiva su se stessa mostrata nel dipinto. Da un punto di vista filosofico la sua idea riguardava l'immagine che si ha di se stessi perché non si riesce a vedere la propria testa. La testa è qualcosa che compie l'atto del guardare, ma non è visibile. E' ciò che ci si porta in giro per guardare la vita."
Ciò che l'acqua offriva a Frida era una pacificante sospensione del mondo oggettivo che le consentiva di immergere la fantasia in una costellazione di immagini evanescenti simili a quelle che attraversano l'occhio interiore quando le soglie della coscienza si abbassano. Eppure anche in questo, che è il più immaginifico dei suoi dipinti, Frida tiene i piedi ben piantati per terra. Di fatto si è limitata a descrivere nel modo più letterale e diretto alcune immagini "reali". Può darsi che noi non sappiamo cosa ogni singolo dettaglio significhi, ma a lei tutto è noto. La poesia di Frida non conosce le
sottigliezze delle sfumature. Nulla è amorfo o sfocato. Le linee vengono disegnate da lei e la mano con cui le traccia è perfettamente ferma.
Rendendosene conto e ben sapendo che realismo e marxismo vanno a braccetto, Diego sosteneva che Frida era una "realista". In un articolo del 1943 intitolato "Frida Kahlo e l 'arte messicana scrisse":
Nel panorama della pittura messicana degli ultimi vent'anni, il lavoro di Frida Kahlo splende come un brillante in mezzo a molti gioielli di qualità inferiore; limpido e duro, dalle sfaccettature precise...
Una serie di autoritratti, sempre diversi tra loro e sempre più somiglianti a Frida, tra loro interscambiabili eppure eterni come la dialettica universale.
Nel lavoro di Frida è evidente un realismo monumentale. Un occulto materialismo è presente nelle teste decollate, nel sangue che scorre sui tavoli, nelle vasche da bagno, le piante, i fiori, le arterie bloccate dai forcipi emostatici del pittore.
Nelle più piccole dimensioni si esprime un realismo monumentale; teste minuscole sono scolpite come se fossero colossali. E' così che appaiono quando la magia di un proiettore le porta al formato della parete. Quando un fotomicroscopio ingrandisce lo sfondo dei quadri di Frida, la realtà si mostra in tutta la sua evidenza. La rete delle vene e il reticolato delle cellule, pur difettando di qualche elemento, hanno una loro precisione e contribuiscono a dare una nuova dimensione all'arte del dipingere...
L'arte di Frida è individuale-collettiva. Il suo realismo è così monumentale che tutto acquista "n" dimensioni. Di conseguenza, Frida dipinge nello stesso tempo l'esterno e l'interno di se stessa e del mondo...
Nel cielo composto di ossigeno più idrogeno più carbonio e del motore primo, l'elettricità, gli spiriti della pace, Huarakan, Kukulkan e Gukamatz sono soli con genitori e nonni e lei è nella terra e nella materia, nel tuono e nel lampo e nei raggi della luce, che trasformandosi hanno creato l'uomo. Ma per Frida ciò che è tangibile è la madre, il centro di ogni cosa, la madre-mare, tempesta, nebula, donna.
Se quanto è qui descritto somiglia assai poco al genere di realismo che possiamo considerare accessibile alle masse e capace di farle pensare in termini di riforme sociali, esso è cionondimeno realismo nel contesto del pensiero di Rivera. I dipinti di Frida, come i murali di Rivera e effettivamente molta dell'arte messicana dai "retablos" alle incisioni di Posada, intrecciano fatti e fantasia come se fossero inseparabili e ugualmente reali.
Anche lo humour di Frida si differenzia dal sofisticato e disincantato gusto del paradosso tipico del surrealismo europeo. "Surrealismo" diceva Frida "è la magica sorpresa di trovare un leone nell'armadio, dove eri "sicuro" di trovare le camicie." La sua idea di surrealismo era giocosa: "Uso il surrealismo come strumento per farmi gioco degli altri senza che loro se ne accorgano e per diventare amica di quelli che se ne rendono conto." Il surrealismo di Frida consisteva nel gusto di sorprendere la gente mettendo lo scheletro di un Giuda sopra il baldacchino del letto o decorandosi il busto di gesso con puntine e iodio. Per suo divertimento e per farne regalo, a Frida piaceva assemblare bizzarri oggetti ricavati da un assortimento di elementi disparati.
Probabilmente l'idea le venne da Breton, da Mirò e dagli "assemblaggi"
surrealisti di Dalí, o da Marcel Duchamp e Joseph Cornell, ognuno dei quali rese omaggio a Frida costruendo per lei una scatola contenente vari oggetti contrapposti senza seguire una logica razionale.
Nel Museo Frida Kahlo, al riparo di una sfera di vetro, c'è un assemblaggio di piccoli oggetti - un cowboy a cavallo di un teschio, soldatini di piombo, dadi, angeli-giocattolo, tutti su piedistalli - che potrebbe essere uno dei lavori di Frida. Sicuramente creato da lei era il mappamondo coperto di farfalle e di fiori, che Frida regalò a Alejandro Gómez Arias. In seguito, quando era malata e infelice, lo volle indietro e coprì farfalle e fiori di vernice rossa, a simboleggiare sia le sue convinzioni politiche che il suo dolore.
Frida costruiva questi oggetti-collage con lo stesso spirito con cui sistemava i mobili o combinava i vestiti. A differenza dei surrealisti, non pensava che le sue incongrue giustapposizioni avessero un significato profondo. Per lei l'ambiguità era un gioco. Meno complesso e ironico, più fatalistico e
concretamente sardonico di quello dei surrealisti, lo humour di Frida aveva come bersagli il dolore e la morte. Lo humour dei surrealisti, al contrario, è irrimediabilmente serio. "Il guaio con il "señor" Breton" disse Frida una volta "è che si prende così sul serio."
Anni dopo, Frida negherà violentemente di essere stata surrealista. E probabile che a questo diniego avesse contribuito il fatto che negli anni quaranta il surrealismo aveva cessato di essere di moda. Come disse Julien Levy, "il gallo stava cantando. Praticamente tutti, al canto del gallo, negarono di riconoscersi nel surrealismo, perché la cosa non era chic". Molti artisti che si erano infatuati del surrealismo giunsero a considerarlo un movimento decadente e europeo. Dopo la guerra, Parigi non era più la capitale culturale del mondo; gli americani sentivano che New York era il luogo dove si andava inventando un'arte nuova e vitale e i messicani continuavano a essere orgogliosi della loro cultura indigena. Ma, dietro la defezione di Frida, c'erano anche altre ragioni. Dopo la rottura sua e di Diego con Trockij, l'ardente trockismo di Breton doveva esserle sembrato esasperante; e certamente nel 1940 la decisione di cercare di rientrare nel Partito comunista li avrebbe portati entrambi a denunciare il movimento artistico capeggiato dal francese. Verso il 1952, Frida formulò alcuni dei suoi pensieri sull'argomento in una lettera a Antonio Rodríguez:
Alcuni critici hanno tentato di classificarmi come surrealista; ma io non mi considero tale... In realtà non so se i miei dipinti siano surrealisti o no, ma quel che so è che sono l'espressione più franca di me stessa... detesto il surrealismo. Mi sembra che sia una manifestazione decadente di arte borghese.
Una deviazione dalla vera arte che la gente si aspetta da un artista... Spero, con la mia pittura, di essere degna del popolo a cui appartengo e delle idee che mi danno forza... Voglio che il mio lavoro sia un contributo alla lotta del popolo per la pace e la libertà.
E' interessante che il lavoro forse più surrealista di Frida sia il diario, iniziato all'incirca nel 1944 e tenuto fino alla morte Nelle sue pagine (oggi ne restano soltanto 161, perché negli ultimi giorni di vita di Frida gli amici ne strapparono intere sezioni) riversò un commovente poetico monologo fatto di immagini e di parole. Dal momento che il diario è un fatto privato e dunque non deve necessariamente porsi problemi di accessibilità e di chiarezza dei significati, l'attaccamento al realismo verso cui Frida si sentiva impegnata nei dipinti è qui del tutto assente. I disegni venivano prodotti in maniera giocosa e improvvisata, come gli oggetti assemblati o le decorazioni sui busti di gesso.
Che quanto disegnava o scriveva nel diario fosse destinato soltanto a lei - o a Diego - le dava la libertà, se ne aveva voglia, di essere davvero surrealistica.
Immagini e parole scorrevano con una libertà che doveva esserle venuta dalla conoscenza dell'"automatismo" surrealista. Ci sono pagine di parole o frasi apparentemente sconnesse e ci sono liste di parole che iniziano con la stessa lettera, occasionalmente organizzate come se fossero poesie. Forse a Frida piaceva semplicemente il suono delle parole. Ad esempio scrisse (in spagnolo):
Adesso egli viene, mia mano, mia rossa visione. più grande, più tuo, martire di vetro. La grande sragione. Colonne e valli. le dita del vento. bambini sanguinanti. la micron mica. Non so cosa pensi il mio sogno scherzoso.
L'inchiostro, la macchia. la forma. il colore. Sono un uccello. Sono tutto, senza più confusione. Tutte le campane, i canoni. Le terre. il bosco boscoso. la tenerezza più grande. l'immensa marea. spazzatura. vasca da bagno. lettere di cartone. dadi, dita duetti debole speranza di fare costruzioni. i tessuti. i re.
così stupidi. le mie unghie. il filo e i capelli. il nervo scherzoso, ora vado con me stessa. Un minuto assente, tu mi sei stato rubato e io me ne vado piangendo. Lui è un "vacilón".
Il diario comprendeva messaggi d'amore per Diego, pagine autobiografiche, dichiarazioni di fede politica, espressioni d'ansia, solitudine, dolore e pensieri di morte. Frida amava i nonsense e il diario ne è pieno. Ci sono zone ossessivamente affollate di ghirigori, dove i segni ripetuti somigliano a liste di parole prive di senso. Frida inventa forme e creature fantastiche, personaggi bizzarri, cerimonie selvagge.
I disegni del diario sono realizzati con inchiostri colorati e brillanti, matite e pastelli maneggiati, se si tiene conto della meticolosità con cui Frida realizzava i suoi olii, con una libertà pittorica impressionante. Molti danno l'impressione di essere stati fatti in stato di trance o sotto l'influenza della droga. Il colore straripa selvaggiamente dai contorni, le linee si urtano o si piegano come se Frida stesse scarabocchiando. Le figure sono frammentate e distorte. Le facce sono spesso maschere grottesche e alcune hanno profili multipli che denunciano l'influenza di Picasso, di cui Frida aveva ammirato le opere esposte al Museo d'arte moderna di Città del Messico nell'estate del 1944.
Ci sono pagine piene di corpi e di parti di corpi che non hanno alcun nesso logico tra loro. Per molte immagini il punto di partenza era una macchia d'inchiostro. Altre volte Frida iniziava un disegno mettendo una macchia di colore sulla pagina e poi, quando il colore era ancora fresco, chiudendo il diario, in modo che la macchia cambiasse sagoma e si raddoppiasse. Usando queste sagome come punti di partenza, le elaborava inventandosi bestie o draghi come l'"orrendo Ojosauro primitivo".
Di tali tattiche surrealiste mirate a incorporare nell'arte la casualità, Frida scrisse: "Chi direbbe che le macchie abbiano una loro vita e aiutino a vivere?!
Inchiostro, odore di sangue. Non so che inchiostro userei che volesse lasciare la propria traccia in tali forme. Ne rispetto i desideri e farò il possibile per liberarmi delle parole, mondi di inchiostro - terra libera e mia. In lontananza soli che mi chiamano perché io formo parte del loro nucleo. Follia... Cosa farei senza l'assurdo e la possibilità di svanire?"
L'idea di usare linee e forme per catturare le immagini fantastiche prodotte dall'inconscio ricorre anche in vari disegni realizzati su piccoli fogli sparsi nel corso degli anni quaranta. Molti di essi comprendono intricati, complessi reticolati di linee nei quali l'immagine di facce, seni, piedi, vene e occhi sembra metamorfizzarsi proprio dalla energia contenuta nella sostanza stessa del disegno. Le griglie e gli scarabocchi di Frida hanno l'aspetto ossessivo dei disegni dei matti. Eppure talora essi sembrano il frutto di un'intenzionalità.
Come se Frida avesse coscientemente usato la tecnica dell'automatismo
surrealista per verificare le sue nevrosi; il risultato non è l'autenticità emotiva pura (ammettendo che possa esistere). Il risultato è pieno di artificio come ogni arte.
E paradossalmente c'è una qualche forma di "realismo" anche in questi disegni e schizzi, in cui Frida cerca di dare sfogo ai processi spontanei di pensiero attraverso il libero disporsi di colore e forma. Dopo tutto, per un'invalida spesso costretta a letto, le avventure dell'inconscio e i suoi sempre mutevoli incontri al crocevia della coscienza sono una realtà di primo piano, "reale"
quanto i sogni a occhi aperti. In fondo aveva ragione Frida a dire: "Pensavano che fossi una surrealista, ma non lo ero. Non ho mai dipinto sogni. Ho dipinto la mia realtà."
Una collana di spine.
A New York, dopo il soggiorno parigino, Frida rimase per breve tempo ospite di un'amica, la pianista Ella Paresce; partì precipitosamente per il Messico prima della fine di aprile. La sua storia con Nickolas Muray era arrivata alla conclusione.
"Cara, cara Frida" le scrisse Muray a metà maggio:
Ti avrei dovuto scrivere molto prima. E' un mondo difficile quello in cui tu e io viviamo.
So la tua disperazione, quando ti ho lasciata a New York, ma la mia non è stata minore. E ho sentito tutto sulla tua partenza da Ella[Paresce].
Non ero sconvolto o arrabbiato. Sapevo quanto eri infelice, quanto avevi bisogno dell'ambiente che ti è familiare, dei tuoi amici, di Diego, della sua casa e delle tue abitudini.
Sapevo che New York ti bastava soltanto come sostituto temporaneo e spero che al tuo ritorno tu abbia trovato intatto il tuo rifugio. Di noi tre c'eravate soltanto voi due. L'ho sempre sentito. Me lo dicevano le tue lacrime quando sentivi la sua voce. Quell'uno che io sono ti sarà grato in eterno per la Felicità che la metà di te gli ha così generosamente dato. Mia carissima Frida -
come te sono stato affamato d'amore vero. Quando sei partita, ho saputo che era tutto finito. Il tuo istinto ti guidava con tanta saggezza. Hai fatto l'unica cosa che era logico fare, perché io non potevo trapiantarmi da New York al Messico per te e ho imparato quanto questo fosse essenziale per la tua felicità...
Curiosamente il mio affetto per te non è cambiato, né cambierà mai. Spero che tu lo capisca. Vorrei avere un'occasione per provartelo. Il tuo quadro è per me una gioia. Molto presto ti spedirò il ritratto a colori che ti ho promesso. In questo momento è esposto al Los Angeles Art Center. Di te voglio sapere tutto quello che tu desideri farmi sapere.
Con affetto Nick.
Se Frida ritornò a casa perché aveva bisogno dell'"ambiente che le era familiare", è chiaro però che Muray l'aveva profondamente ferita, probabilmente lasciandosi coinvolgere nel rapporto con la donna che sarebbe diventata sua moglie in giugno. Un amico ricorda che, dopo essere tornata in Messico, Frida era infelice perché un "bell'americano" l'aveva abbandonata, e per una ragione crudele: l'infermità le impediva la libera espressione sessuale. L'uomo poteva benissimo essere Muray. Di certo il paragrafo finale della lettera scritta da Muray in maggio era affettuoso, ma non appassionato.
Disperata, Frida gli telefonò dal Messico e Nickolas rispose:
Cara, devi rimetterti in sesto e tirarti su con le tue forze. Hai nelle mani un dono che l'amore, dio o i pettegolezzi non possono portarti via. Devi lavorare lavorare dipingere dipingere lavorare lavorare. Devi credere in te stessa e nei tuoi poteri. Voglio anche che tu creda che ti sarò amico indipendentemente da quello che succederà a te o a me...
Tuo Nick.
Il 13 giugno lei gli rispose con un addio che ha qualcosa della causticità del suo primo "Autoritratto" e niente dell'allegria delle altre lettere a Muray o degli sfacciati autoritratti dell'anno precedente.
Nick caro,
ho ricevuto lo splendido ritratto che mi hai mandato, lo trovo ancora più bello che a New York. Diego dice che è bello come un Piero della Francesca. Per me è ancora di più, è un tesoro e inoltre mi ricorderà per sempre quel mattino che abbiamo fatto colazione insieme nel negozio del Barbizon Plaza e poi siamo andati al tuo studio a fare le fotografie. Il ritratto che mi hai mandato è stato scattato quel giorno. E adesso ce l'ho qui con me. Sarai sempre dentro il "rebozo" color magenta (a sinistra). Un milione di volte grazie per avermelo mandato.
Quando ho ricevuto la tua lettera, qualche giorno fa, non sapevo cosa fare. Devo dirti che non ce l'ho fatta a non piangere. Mi sentivo qualcosa in gola, un po'
come se avessi inghiottito il mondo intero. Non so ancora se ero triste, gelosa o arrabbiata, ma la sensazione che avevo era prima di tutto di grande
disperazione. Ho letto molte volte le tue lettere, troppe credo, e adesso mi rendo conto di cose che all'inizio non riuscivo a vedere. Adesso capisco tutto con perfetta chiarezza e l'unica cosa che voglio è dirti con le mie migliori parole che nella vita tu meriti il meglio, il meglio che ci sia, perché in questo miserabile mondo sei una delle poche persone che siano veramente oneste con se stesse e questa è l'unica cosa che conti realmente. Non so perché mi sentivo così ferita perché tu eri felice, è così sciocco il modo in cui le ragazze messicane (come me) vedono qualche volta la vita! Ma tu lo sai, e sono sicura che mi perdonerai se mi comporto così da stupida. Comunque devi capire che qualunque cosa ci succeda nella vita tu per me sarai sempre lo stesso Nick che ho incontrato una mattina a New York al 18 est della 48esima strada. Ho detto a Diego che presto ti sposerai. Lui lo ha detto a Rose e Miguel
[Covarrubias] l'altro giorno quando sono venuti a trovarci e così ho dovuto dirgli che era vero. Sono terribilmente spiacente di averglielo detto prima di chiederti se per te andava bene, ma adesso è fatta e ti prego di perdonarmi per la mia indiscrezione.
Voglio chiederti anche un grande favore, mandami per posta il piccolo "cuscino", non voglio che ce l'abbia qualcun altro. Ti prometto che te ne farò un altro, ma voglio quello che adesso tieni sul divano di sotto, vicino alla finestra. Un altro favore: non lasciare che "lei" tocchi i segni di fuoco sulle scale (quelli che tu sai). Se puoi, e se non ti crea troppi fastidi, non andare a Coney Island, in particolare al "Half Moon", con lei. Togli la mia fotografia che sta sopra il camino e mettila nella stanza di Mamma nello studio, sono sicura che lei mi vuole ancora bene come prima. Inoltre non è bello per l'altra signora vedere il mio ritratto in casa sua. Vorrei poterti dire molte cose, ma credo sia inutile annoiarti. Spero che tu capisca tutti i miei desideri senza bisogno che te li dica...
Quanto alle lettere che ti ho scritto, se ti stanno tra i piedi, basta che tu le dia a Mamma e lei me le rispedirà. Non voglio in nessun caso crearti dei problemi.
Ti prego di perdonarmi se mi comporto come una fidanzata vecchio stile chiedendoti di restituirmi le mie lettere, è ridicolo da parte mia, ma lo faccio per te, non per me, perché immagino che tu non abbia alcun interesse a avere con te quelle carte.
Mentre scrivevo questa lettera, Rose ha telefonato e mi ha detto che ti sei già sposato. Non ho nulla da dire su cosa ho provato. Spero che tu sia felice, molto felice.
Se di tanto in tanto hai tempo, ti prego di scrivermi anche solo qualche parola per dirmi come stai, lo farai?...
Ancora grazie per la magnifica foto. Grazie per la tua ultima lettera e per tutti i tesori che mi hai dato.