11
Si era seduta e si intuiva che, sotto quelle sottane, quei panni, quei tessuti non proprio puliti che la infagottavano, c’era soltanto il corpo magro di una vecchia. Il velo era così scuro che non si riusciva nemmeno a capire da che parte guardava, e il giudice Monnerville, con un tono di voce incoraggiante, disse:
«Signora, sono costretto a chiederle di scoprirsi il viso, per cortesia...».
Una mano guantata di nero sollevò il velo e apparve un volto rugoso e giallastro, con due occhi pallidi che, pur evitandolo, spiavano Petit Louis. Si sarebbe detto che la signora Bert avesse paura di suo figlio, come certe persone che, non avendoli mai visti, hanno paura dei moribondi. Lo osservava furtivamente, come se appartenesse già a un altro mondo, misterioso e temibile; poi, constatando che non era cambiato, che era sempre il solito Petit Louis, prese il fazzoletto dalla borsetta e si mise a piangere.
«Le chiedo scusa se sono costretto a sottoporla a questa prova, ma è necessario, nell’interesse della Giustizia».
Petit Louis si era trincerato dietro un’immobilità scostante e minacciosa. Si poteva cogliere soltanto il fremito impercettibile di una narice, mentre il suo sguardo rimaneva incollato al giudice.
«Se è stato lui, ne morirò!...» gemette la vecchia tirando su col naso. «Non posso credere che dopo tutte le disgrazie che ho passato, Dio abbia voluto mandarmene un’altra... Se lei sapesse, signor giudice...».
Piagnucolava, con una smorfia che dava al suo viso di vecchia un’espressione infantile. C’era da non credere che fosse una creatura che aveva vissuto, e capito, la vita; era una figura evanescente, che assisteva attonita all’abbattersi su di lei di nuove sciagure.
«Si calmi, signora. Le farò solo un paio di domande, alle quali, del resto, lei ha già risposto quando l’ha interrogata il commissario... Mi guardi».
Lei sollevò docile la testa e tentò, per educazione, di rivolgere al magistrato una specie di pietoso sorriso.
«Cerchi di ricordarsi dell’ultima visita di suo figlio. Che cosa ha detto la mattina dopo alla sua vicina?».
La signora Bert lanciò un’occhiata ansiosa a Petit Louis, poi una seconda che pareva dire:
«Peggio per te!... È la verità!...».
E disse:
«Credo di aver detto che aveva un’aria strana...».
«Lei non ha parlato di “farle male”?».
«Cioè... Io non pensavo a quello... Pensavo che forse aveva fatto a botte... Era un attaccabrighe... Da piccolo mi tornava sempre a casa pieno di ferite e bernoccoli...».
Gli occhi le si riempirono di lacrime.
«... Se lei sapesse, signor giudice, che cosa non ho sofferto in vita mia!...».
Petit Louis non voleva più guardarla e si sforzava di fissare il mogano della scrivania, rivestito di percalle verde.
«Se lei ha sofferto, è soprattutto per colpa di suo figlio, che è sempre stato un cattivo soggetto...».
Lei assentì con un lieve cenno del capo.
«Dopo il 20 agosto, non ha trovato in casa o nel vigneto qualche oggetto che potrebbe aver portato Petit Louis? E non ha notato anche un po’ di terra smossa di fresco?...».
«No, signor giudice!».
Lei tentò, timidamente, di fissare suo figlio, e questo la fece piangere più di prima. Allora lui mosse impercettibilmente le braccia, un gesto non più ampio di un centimetro e che fu subito bloccato dalle manette. Le sue narici fremettero. Le sue pupille fissarono il giudice con una tale intensità che l’avvocato, imbarazzato, tossicchiò.
«Ha ripetuto diverse volte alle sue vicine che Petit Louis l’aveva minacciata. Lo riteneva davvero capace di farle del male? Che cosa temeva esattamente da parte sua?».
Il dramma era tutto sul viso di Petit Louis. I cani destinati alla vivisezione, i cani che hanno creduto nell’uomo e si ritrovano con i nervi messi a nudo dal bisturi, i cani che soffrono e che non capiscono più devono avere quello sguardo lì, e anche, di colpo, quegli accessi di istinto omicida nel cervello.
«... Che cosa temeva esattamente da parte sua?».
La vecchia non sapeva più che cosa rispondere. Voleva essere gentile con il giudice e si sentiva imbarazzata davanti a Petit Louis.
«Sono cose che uno dice quando è arrabbiato...».
«Non l’ha mai minacciata?».
«Con una pistola giocattolo... Lo faceva per divertirsi... Era troppo piccolo per capire...».
«Ciò non toglie che le chiedesse continuamente del denaro, a lei che non ne possedeva!».
La signora Bert abbassò la testa e tirò su col naso. Poi cominciò, come se recitasse una litania:
«Sono sempre stata disgraziata, sempre!... Anche all’epoca del mio povero marito, che lavorava in miniera mentre doveva stare in un sanatorio... E adesso, signor giudice, la gente del paese mi indica a dito... I monelli mi tirano le pietre... Dutto è morto, e lei sa cos’è successo?... È arrivato un nipote dall’Italia, si è piazzato in casa e mi ha scacciata senza neppure darmi il tempo di portar via le mie cose... Che cosa devo fare, a questo punto?... I giornalisti mi tormentano perché dica loro cose che non so... Ho soltanto la mia pensione di vedova di guerra e non c’è più nessuno che mi vuole per le faccende domestiche...».
Era il pianto di un bambino, di una creatura incosciente, incapace di sottrarsi alla propria disgrazia. Lanciava brevi sguardi al giudice, all’avvocato, a Petit Louis, come per accertarsi di impietosirli.
«Non so che ne sarà di me... Guardi!... È tutto quel che mi resta...».
Si mise a frugare febbrilmente nella borsetta, mentre il giudice, imbarazzato, rivolgeva un cenno alla guardia.
«La ringrazio, signora, e mi scusi se l’ho disturbata... Per il momento non abbiamo più bisogno di lei...».
Si alzò educatamente, si inchinò, come se fosse in un salotto, davanti alla vecchia che raccoglieva le sue sottane.
«Prima di andarsene, le chiederò di firmare il verbale di questo confronto...».
Lei si chinò sul documento che il cancelliere le porgeva. Quando si rialzò, Petit Louis si levò dalla sedia, chiamò:
«Ma’!...».
Restarono faccia a faccia per qualche secondo, tutti e due in lacrime, poi Petit Louis voltò la testa e mormorò:
«Ti giuro che non sono stato io, che non l’ho uccisa!».
Dopo, non la vide più. La guardia l’aveva portata via. E laggiù, in fondo al corridoio, lei veniva assalita da cronisti e fotografi.
Il giudice, imperturbabile, diceva rivolto al cancelliere:
«Legga il verbale e lo faccia firmare all’imputato... A meno che non decida per il meglio e confessi...».
Per quanto lo riguardava, la sua giornata, una dura giornata, era finita, e andò a lavarsi le mani a un rubinetto situato dentro un armadio a muro.
Petit Louis cambiò e il suo sguardo assunse definitivamente quell’espressione sorniona che aveva mentre fissava il giudice.
Il giorno dopo, l’arabo che era in cella con lui tentò come al solito di scherzare, e allora, freddamente, Petit Louis decise di rompergli la faccia, perché era l’unico mezzo per sbarazzarsene mandandolo in infermeria.
Lui era steso per terra, come ogni mattina, e l’arabo, a cui mancavano tre denti davanti, rideva in quel suo modo ripugnante. Petit Louis si alzò, apparentemente calmo, afferrò il compagno per il collo e cominciò a martellargli la faccia col pugno chiuso.
La vista del sangue che sgorgava dal labbro spaccato non lo placò, e in realtà lui non pensava a quel che faceva, ma all’altro, al giudice, e a cose che era incapace di esprimere.
Le guardie accorsero alle grida. Dopo aver separato i due uomini, misero a Petit Louis la camicia di forza e lo picchiarono a loro volta.
Non aveva importanza! Lui non aveva paura delle botte e aveva ottenuto quel che voleva, perché l’arabo era stato portato via.
Ci teneva a stare da solo, cupo e ringhioso come una bestia malata, a covare il suo odio. Rivedeva quell’incartamento mostruoso, sul tavolo del giudice, i cui fogli rappresentavano ciascuno una testimonianza, un uomo o una donna che erano andati a ripescare dal passato come dal letame e ai quali avevano estorto qualche particolare schiacciante.
E non era finita! Petit Louis ci pensava sogghignando. Non gli avevano ancora parlato né di Niuta, né della portinaia, né di un mucchio di gente che aveva incontrato a Nizza, né soprattutto di Louise Mazzone.
Vero è che il giudice non aveva neppure parlato dell’omicidio! Faceva un lavoro accurato, coscienzioso, lui!
Tant’è che, ancora una volta, i giorni passavano senza che nessuno venisse a prendere Petit Louis per interrogarlo.
Non l’avevano lasciato da solo nella sua cella, come sperava, ma gli avevano assegnato come compagno uno jugoslavo che non diceva una parola di francese, un colosso, anzi, un mostro, muscoloso e peloso come una scimmia, che sul petto, oltre a una serie di tatuaggi pornografici, aveva uno scapolare.
Petit Louis aveva capito. L’altro era lì per domarlo nel caso gli fosse saltato il ticchio di dare di nuovo in escandescenze, e i due rimasero ciascuno sulle proprie posizioni, ignorandosi del tutto, vivendo in quella cella come se fosse stata divisa da un muro di pietra.
L’atteggiamento dei carcerieri cambiò, divenne più brutale, e Petit Louis non sapeva che era un effetto dell’opinione pubblica, esaltata dai giornali.
Ce l’avevano con lui proprio perché non si trovava niente, né il corpo della signora Ropiquet né un indizio qualsiasi che potesse rappresentare una pista seria, scevra da falsità e imbrogli.
«... Non siamo lontani dal delitto perfetto...» aveva scritto un giornalista.
Al punto tale che Petit Louis, agli occhi della folla, appariva come un uomo dotato di un’intelligenza superiore e di un sangue freddo senza precedenti!
Parpin era morto. Nessuno, fino a quel momento, aveva fatto il suo nome. Un giornale aveva accennato, di sfuggita e in forma vaga, a un vecchio amico di Constance. Ciò non toglie che il poveretto avesse inghiottito – per sbaglio, si diceva – una pesante dose di veronal.
Petit Louis non ne sapeva niente. Del suo avvocato non aveva notizie. Aveva a disposizione giornate intere per rimuginare sui suoi pensieri e, fatto curioso, ingrassava, il che gli dava un’aria equivoca.
Trascorsero quindici giorni prima che il furgone lo riconducesse al Palazzo di Giustizia e, guarda caso, era di nuovo un pomeriggio di pioggia.
Si sedette al suo posto e guardò freddamente il giudice che, adesso, aveva davanti a sé due fascicoli, uno giallo, quello dell’altra volta, e uno rosso, nuovo.
Era presente l’avvocato, preciso e indifferente come un impiegato alla sua scrivania. Petit Louis notò che c’erano due guardie invece di una e abbozzò un sorriso di disgusto.
«Vorrei che oggi lei mi chiarisse la natura dei suoi rapporti con Louise Mazzone, che è stata rintracciata in una casa di Béziers e ha potuto essere interrogata...».
Petit Louis rimase all’erta, senza dire nulla.
«La ascolto!».
Allora lui, con cinismo:
«Che cosa le ha detto?».
Poi, siccome il giudice non rispondeva subito:
«Louise è quasi sicuramente dietro la porta e lei è pronto a rifarmi lo scherzetto di mia madre...».
«La prego di usare un altro tono, altrimenti la rispedisco in cella».
«Se ci tiene!».
«Le ho chiesto di chiarirmi la natura dei suoi rapporti con la signorina Mazzone».
«Non sono abbastanza chiari? O glieli devo spiegare con degli esempi?».
«Forse non così chiari come lei vorrebbe far credere! Guardie, fate entrare la signorina Mazzone...».
Diamine! L’aveva intuito, lui! Non trovavano niente di meglio che rifargli lo scherzo dell’altra volta. Louise si presentò con indosso un cappottino invernale così dimesso che sembrava un’operaia. Perfino la sua andatura, il suo saluto al giudice e all’avvocato erano studiati!
«Prego, si sieda... Ho sotto gli occhi il verbale dell’interrogatorio fattole dal commissario di polizia di Béziers e desidererei che lei ne confermasse alcuni punti in presenza dell’imputato...».
Louise abbassò la testa in segno di assenso, mentre Petit Louis fingeva di pensare ad altro.
«Lei ha dichiarato che all’inizio Petit Louis era solo un cliente come gli altri, un cliente abituale, e che le si è affezionato poco per volta...».
«È esatto».
«Dunque, all’epoca, l’imputato non apparteneva a quella che i giornali chiamano la malavita?».
«Non ne ha mai fatto parte».
«Non ne ha mai fatto parte, certo! O è forse più corretto dire che le persone dell’ambiente non lo accettavano fra di loro e lo consideravano un dilettante?».
«Non si fidavano di lui».
«È quello che lei ha detto. Però poi gli si è affezionata...».
«Il fatto è che lui voleva “tirarmi fuori di là”, così diceva. Sosteneva che ero sfortunata e che mi avrebbe aiutato a rifarmi una vita...».
«Lui lavorava, allora?».
«Saltuariamente».
«Saltuariamente, lo sottolineo. Poi che cosa è successo?».
«Ho lasciato la casa di Marsiglia per mettermi con lui, ma presto mi sono accorta che non aveva un soldo e sono tornata in una casa di tolleranza, a Hyères».
«Gli passava i suoi guadagni?».
«No! Quando veniva gli davo piccole somme, perché era sempre al verde. Ma io avevo l’altro mio amante che...».
«Non le chiedo precisazioni in merito!» si affrettò a dire il giudice. «Questo non riguarda la giustizia...».
Petit Louis alzò gli occhi e sorrise, con un sorriso che esprimeva tutto il suo disprezzo.
Louise non si era girata neppure una volta verso di lui, e di lei Petit Louis vedeva solo un profilo sfuggente.
«Che cosa è successo dopo?».
«Ha continuato a insistere perché io mi mettessi con lui e cambiassi vita. Un giorno, è venuto a dirmi che sua zia, che abitava a Nizza ed era ricca, si occupava di lui e che io potevo raggiungerlo».
«Ha detto sua zia?».
«Altrimenti non ci sarei andata. Quando ho capito cosa succedeva, ho preferito andarmene, perché temevo che la situazione mi avrebbe procurato delle noie».
«Prevedeva sin da allora quello che è accaduto?».
«Non proprio...».
«Che intende dire?».
«Che Petit Louis è uno complicato. Non si sa mai che cosa gli passa per la testa. Capivo benissimo che lui mi immischiava in storie strane, come quando mi ha fatto cenare con il vecchio...».
«Le chiedo di non parlare dei morti...».
«Scusi!» disse lei precipitosamente.
E Petit Louis alzò di nuovo la testa, perché non aveva saputo della scomparsa di Parpin.
«Petit Louis e la sua cosiddetta zia litigavano spesso?».
«Capitava».
«Immagino che fosse per questioni economiche».
«Be’, lei non era sempre generosa come lui avrebbe voluto, questo è certo».
«Per farla breve, lei ha preferito ritornare nella casa, come dice, piuttosto che trovarsi invischiata in storie che le sembravano losche...».
«Sì, più o meno è così».
«La ringrazio. Non ho altre domande. Prima di andarsene, la invito a firmare il verbale. Lei, Louis Bert, non ha nulla da obiettare alla deposizione chiara e precisa della testimone, vero?».
Petit Louis, soltanto per poter guardare Louise in faccia, borbottò:
«Vorrei proprio sapere come ha fatto a credere che era mia zia, visto che facevamo l’amore in tre!».
Lei trasalì, in effetti, e rivolgendosi al giudice balbettò:
«Non capisco cosa vuol dire».
E il magistrato ribatté, con severità:
«Gradirei che questa istruttoria non assumesse una piega più scandalosa del necessario...».
Era una partita truccata, su! Lui lo sospettava da tempo! Adesso ne aveva la prova ed era nauseato. Non si voltò neppure per veder uscire Louise Mazzone, che camminava a passettini, imitando le signorine perbene.
«È finita?» domandò in tono sdegnoso. «Firmo anch’io?».
Il giudice divenne paonazzo e replicò:
«Qui dentro c’è una sola persona che ha il diritto di fare domande: io!».
«Allora potrebbe forse chiedermi se ho ucciso Constance, perché io non l’ho uccisa e lei sta per prendere una solenne cantonata!».
«Silenzio!».
«Mi si consentirà almeno di spiegarmi, o no? Sono io che sto in prigione e nessuno mi ha ancora detto di che cosa mi si accusa in questa faccenda!».
Il giudice picchiò un pugno sul tavolo. L’avvocato intervenne.
«Forse, signor giudice, si potrebbe, in effetti, chiedere al mio cliente se...».
«Mi scusi, avvocato. Lei potrà chiedere tutto quello che vorrà in udienza. Questa è la mia istruttoria e intendo condurla a modo mio, senza lasciarmi influenzare dal comportamento inammissibile di questo individuo...».
Petit Louis rise. Si rimise a sedere. Guardò il magistrato con l’aria di dire:
«Procedi allora, continua a pestare l’acqua nel mortaio!...».
Per punizione, venne lasciato cuocere a bagnomaria per mezz’oretta, mentre il giudice Monnerville andava a bere un bicchier d’acqua subendo l’assalto dei giornalisti.
Louise Mazzone aveva raggiunto Gène e Charlie, che l’aspettavano in un piccolo bar dei dintorni e la fecero salire in macchina.
Al suo ritorno, il giudice disse con autorevolezza:
«Voglio sperare che mi si consenta di finire quest’interrogatorio come si conviene. Abbiamo ancora due testimoni da mettere a confronto con l’imputato: prima di tutto Laure Moneschi, prostituta di Mentone, che il 24 agosto si è recata, dietro le insistenze di Louis Bert, all’ufficio postale, dove, presentando una carta d’identità della defunta...».
L’avvocato ritenne di dover intervenire almeno una volta e a bassa voce disse:
«Mi perdoni, signor giudice! Non c’è nessuna prova che Constance Ropiquet sia morta e non possediamo ancora il suo certificato di...».
Petit Louis non poté fare a meno di guardare con ironia quel giovane avvocato che non aveva trovato niente di meglio da dire.
Fecero entrare la Moneschi. Al contrario di Louise, si era vestita in modo vistoso, con molto viola luccicante. Era carnosa e morbida. Aveva un leggero difetto di pronuncia, e ci teneva a spiegarsi in ogni minimo particolare.
«Quando, una volta entrati in camera, ho visto che non si spogliava, gli ho chiesto perché era salito... Allora mi ha detto che preferiva chiacchierare e mi ha chiesto se mi andava di guadagnare cinquecento franchi... “Se si tratta di una faccenda onesta!” gli ho risposto... E lui mi ha giurato sulla testa di sua madre...».
«Prego?» interruppe il giudice.
«Come no! Me l’ha giurato... Io non avevo motivo per non credergli... Ho una figlia piccola in convitto, in Piemonte, ed è a lei che ho pensato accettando...».
«Louis Bert, ammette i fatti?».
«In effetti, mi sono servito di questa persona per riscuotere un vaglia di diecimila franchi, ma non ho ucciso Constance Ropiquet».
«Firmi, signora... Ha finito».
«Non era vero?».
«Di che cosa parla?».
«Mi hanno detto che stavo per essere indagata perché...».
«La sua buona fede è sufficientemente accertata. Firmi qui! Il suo vero nome, sì... Grazie...».
«Posso tornare a Mentone? Perché devo dirle...».
«Può tornare a Mentone. Guardia, porti via la testimone e faccia entrare la signorina... Aspetti!...».
Dovette cercare il nome nei suoi fascicoli.
«La signorina Niuta Ropičeck! Informi le altre persone in attesa che oggi non le ascolterò e che le convocherò in seguito...».