9
La camera dava sulla piazza e le finestre erano aperte. Ecco perché, mentre gettava alla rinfusa i vestiti in una valigia, riuscì a vedere, al di là del grande quadrato luminoso circondato dall’ombra degli eucalipti come uno specchio d’acqua, la porta dell’ufficio postale che si apriva.
Era proprio lì, a fianco della chiesa. Un ometto nervoso scendeva i gradini e attraversava la piazza di sbieco, senza preoccuparsi della calura, puntava dritto verso la casupola adiacente all’albergo che fungeva da municipio.
Petit Louis non ebbe bisogno di vedere il giornale che l’impiegato teneva in mano. Anche da lontano, anche ridotto a una sagoma, l’uomo aveva intenzioni così trasparenti che Petit Louis smise di fare i bagagli. Avrebbe giurato che l’impiegato postale stesse parlando da solo. Gli sarebbe piaciuto vederlo afferrare il poliziotto per il bavero ed esclamare:
«Non sa chi c’è qui? L’assassino della ricca vedova di Nizza...».
Petit Louis, in ogni caso, non batté ciglio. Continuò a guardare la piazza, poi lanciò un’occhiata indifferente alla valigia aperta e ai vestiti spiegazzati.
Era in trappola. Il tempo di salire su una barca e avrebbe avuto la polizia alle calcagna; se per caso avesse tentato di prendere il largo, tutti i porticcioli della costa sarebbero stati allertati.
Si guardò allo specchio, soddisfatto di sé, della sua calma, del sorriso amaro che gli si disegnava a poco a poco sulle labbra; poi alzò le spalle e s’infilò nella penombra delle scale sospirando:
«Petit Louis, vecchio mio...».
Fu il suo unico momento di commozione. Quando entrò nel bar, si accese una sigaretta, con mano ferma, e si ricordò che anche la cameriera aveva ammirato il suo accendino.
«Tieni!» le disse. «Te lo regalo!... Forse guardandolo ti pentirai di quello che hai fatto ieri sera...».
«Ancora?».
Ovviamente lei non poteva capire che importanza avesse per lui. Il locale era semideserto. Due marinai di yacht, con una maglia su cui era ricamata di traverso una parola inglese, sonnecchiavano, e presto, sulla piazza, apparve il poliziotto che camminava con la stessa decisione dell’impiegato postale.
«Dammi un tomate, va’!».
Era un aperitivo a base di pernod, con una goccia di granatina. Di solito non beveva alcolici, ma aveva voglia di sentire ancora una volta l’odore del pernod.
«Che cosa guarda?» chiese la cameriera.
«Il tizio che chiacchiera laggiù con il poliziotto è il sindaco, vero?».
«Sì... Perché?».
Il sindaco, che era anche il droghiere, aveva folti baffi scuri e indossava un camiciotto grigio da fabbro o da linotipista. I due uomini discutevano, in pieno sole.
A Petit Louis non restava che aspettare. Si chiese se gli altri avrebbero osato farlo e sorrise quando il poliziotto lasciò finalmente il suo interlocutore e avanzò fin sulla soglia, con la mano destra contratta sulla fondina della rivoltella.
«Entri, Bonnet!» gli disse Petit Louis, che aveva avuto occasione di offrirgli due o tre volte un bicchierino.
E l’altro, imbarazzato:
«È lei il Louis Bert di cui si parla?».
«Non posso negarlo».
«Louis Bert, le chiedo di facilitare il mio compito e di non dare scandalo. La avverto che al primo gesto sarò costretto a sparare. Mani in alto...».
Petit Louis non poté non sorridere e, sollevando le mani, lanciò un’occhiata alla cameriera.
«Già le manette?» lo rimproverò gentilmente.
Sulla piazza, una decina di persone si era radunata intorno al sindaco, mentre Bonnet conduceva il prigioniero verso il municipio, un edificio minuscolo, formato da due sole stanze anguste, con l’asta di una bandiera sulla facciata.
Bonnet fu molto soddisfatto. Le situazione era, per lui, della massima serietà, perché l’indomani tutta la stampa avrebbe parlato di quell’arresto.
«Entri!» disse educatamente a Petit Louis aprendogli il suo ufficio, in un angolo del quale erano arrotolate le bandiere del 14 luglio, con i petardi inutilizzati e alcune lanterne veneziane. «Si accomodi...».
Richiuse la porta a chiave e poi, siccome qualcuno si affacciava alle finestre, accostò le persiane, in modo tale che loro due rimasero quasi al buio.
«Ovviamente, non ho ancora un mandato, ma credo sia mio dovere innanzitutto non permetterle di allontanarsi. Adesso vado a telefonare a Hyères per chiedere istruzioni».
«Diamine!» approvò Petit Louis.
«È una faccenda più delicata di quanto lei pensi. Non c’è, propriamente parlando, flagranza di reato...».
Sembrava felice di avere un interlocutore in grado di capire i suoi problemi. Al tempo stesso, non poteva fare a meno di trattarlo come un ospite di riguardo e, fra le altre cose, mentre era al telefono, di lanciargli sguardi di ammirazione più che di biasimo.
«Parlo con Hyères?... Il commissariato di polizia?... Pronto! Vorrei parlare col commissario... Sì, qui Bonnet, di Porquerolles... Pronto! È lei, signor commissario?...». Strizzatina d’occhio a Petit Louis. «Ho il piacere di annunciarle una notizia di una certa importanza... Si tratta del caso di Nizza... Ha presente?... Sì, l’assassino è qui di fronte a me, nel mio ufficio... Avrebbe la compiacenza di dirmi che cosa devo farne?... Sì... Bene... Non mi muovo di qui...».
Riattaccò, guardando Petit Louis con imbarazzo.
«Non credo che spetti a me farle un interrogatorio ufficiale» disse, esitando. «Il commissario sta chiedendo istruzioni a Nizza. Mi richiamerà...».
Faceva fresco, in quella stanzetta dove troneggiavano una litografia del presidente della Repubblica e una Marianne coperta di polvere e di macchie d’inchiostro. All’improvviso, Bonnet aprì le persiane e gridò:
«Se continuate con questo chiasso, faccio sgomberare la piazza!».
E così, fino alle tre, la situazione fu cordiale, quasi divertente. Ma alle tre sbarcarono dal battello due gendarmi incaricati di prendere in consegna il prigioniero. Uno dei due era giovane, rasato di fresco, impeccabile, e Petit Louis non ebbe di che lamentarsi. L’altro, grasso e già alticcio, con una spalla più alta dell’altra, l’aria flaccida e malsana, assunse fin dal primo momento nei suoi confronti un atteggiamento brusco.
«È questo qui, il magnaccia che ammazza le vecchie?».
Intanto, faceva apposta a pestare i piedi a Petit Louis, che non protestò e sostenne il suo sguardo.
«Non vuoi mica sfidarmi, vero, bastardo?».
E pàffete! La sua mano si abbatté sulla guancia di Petit Louis, che si limitò a sputare per terra.
«Be’? E questo che significa? Non mi stai insultando, vero?».
Non c’era bisogno di scaldarlo. Ci pensava già da solo, e non ci mise molto a togliersi la giacca e a riempirlo di botte.
Petit Louis non accennò neanche una smorfia. A operazione conclusa, aveva il labbro superiore gonfio e una forte contusione alla tempia sinistra. Inoltre, gli erano stati strappati la cravatta e il colletto della camicia.
«Vedrai come ti sistemiamo quel bel faccino!».
Alle cinque i due gendarmi lo condussero al battello. C’erano soltanto duecento metri da percorrere. Alla partenza assistette, in un silenzio sbigottito, un gruppo di curiosi, e tutto si svolse, a conti fatti, con molta dignità.
Probabilmente avevano paura che Petit Louis si buttasse in mare, perché lo sistemarono nella cabina che puzzava di nafta, e i passeggeri dovettero rimanere sul ponte.
Alla Tour Fondue li aspettavano dei rinforzi: un tenente di gendarmeria e un brigadiere con una macchina. Mezz’ora più tardi arrivarono a Tolone, e Petit Louis fu accompagnato su una banchina della stazione, dove poco dopo salì sul rapido Parigi-Nizza.
Non beveva né mangiava da undici ore, ma gli sarebbe spiaciuto perdere il suo sangue freddo.
Alla stazione di Nizza li attendeva una quindicina fra giornalisti e fotografi, e Petit Louis fu spinto in fretta in una macchina che, pochi minuti dopo, lo depositava al comando di polizia.
Rimase quasi un’ora seduto su una panca, in una stanza dove alcuni ispettori erano al lavoro, telefonavano, andavano e venivano, e ognuno entrando gli lanciava uno sguardo incuriosito. Le luci erano accese già da un po’. Due poliziotti in borghese si erano fatti portare delle birre, senza pensare di offrirne una anche a lui.
Alla fine si sentì suonare un campanello e uno degli uomini, alzandosi, fece un cenno a Petit Louis.
«Arriva!».
Si aprì una porta imbottita. In piedi c’era un uomo tutto rotondo, corpo rotondo, viso rotondo, naso rotondo, occhi rotondi, tre piccoli menti rotondi che si susseguivano, uno sopra l’altro, sotto la bocca carnosa.
«Lasciaci soli. Janvier! Chiudi la porta. Avvisa che non voglio essere disturbato...».
A quel punto, in un angolo, Petit Louis notò un secondo personaggio, l’ispettore che aveva fatto visita a Constance. Stava zitto, in disparte, con l’aria di non volersi immischiare, di trovarsi lì in qualità di semplice osservatore.
Si chiamava Mine. Petit Louis lo sapeva. Sapeva anche che i suoi colleghi lo chiamavano Minable,1 perché era scialbo e grigio, malvestito, sempre poco pulito e con la barba incolta, e parlando sputacchiava e metteva in mostra una dentatura giallognola che gli faceva puzzare l’alito.
«Siediti, Petit Louis!... Qui... Sigaretta?».
Balestra, il commissario capo, andava su e giù per l’ufficio chiedendosi da dove cominciare. Accese la sigaretta a Petit Louis, le cui mani erano sempre ammanettate, poi toccò un foglio di carta che si trovava sulla scrivania.
«Ti segnalo per ogni evenienza che ho qui il mandato d’arresto... So che gli avvocati amano cercare il pelo nell’uovo... Per prudenza, questo mandato è stato telegrafato alle tre a Porquerolles, quindi è tutto in regola...».
L’altro, Minable, seduto nel suo angolino, fingeva di consultare degli appunti su un taccuino sudicio chiuso da un elastico.
Petit Louis aveva sete, ma piuttosto che ammetterlo si sarebbe lasciato tagliare un dito del piede, e li guardava alternativamente con durezza, e la sua faccia lasciava capire che non aveva paura di loro.
Sulle prime non ebbe sospetti. Non si lasciava certo abbindolare dall’atteggiamento bonario di Balestra, perché non era la prima volta che la polizia lo interrogava e sapeva bene come funzionava. Dopo ogni domanda, rifletteva un attimo e non poteva fare a meno di interrogare con lo sguardo il Minable, come se tra loro ci fosse stata una sorta di intesa.
Nell’ufficio vicino si udivano i giornalisti che si spazientivano e discutevano ad alta voce. Uno di loro dettava al telefono il suo articolo a Parigi e gridava così forte che si sentiva ogni sillaba.
«... in questo stesso momento, Balestra, il brillante commissario capo della Pubblica Sicurezza di Nizza, sta sottoponendo l’infame a un abile interrogatorio... Balestra, sì!... B come Berthe... A come Arthur...».
Petit Louis abbozzò un sorriso e anche il poliziotto fu costretto a sorridere, ma se ne pentì e roteando gli occhi bovini andò ad aprire la porta.
«Un po’ di silenzio, là dentro!».
Alcune teste si sporsero per vedere Petit Louis seduto davanti alla scrivania, poi la porta si richiuse.
«Allora, dicevamo?... Quanto ti dava al mese?».
Petit Louis storse il naso. Era la terza o quarta domanda del genere che gli facevano e non gli sembrava normale. Cercava l’inghippo, ma non lo trovava.
«Non avevo uno stipendio fisso!» replicò con stizza.
«Allora lavoravi a cottimo?» ribatté il commissario in tono di scherno. «Di’ un po’, in quale giorno ti ha dato questo brillante che porti al dito?».
«E che ne so? Di certo un giorno che aveva vinto al gioco...».
«Giocava forte, eh?».
Lui esitò prima di rispondere. Sapeva che Constance non giocava forte. Sembrava un fatto irrilevante, ma il poliziotto insisteva:
«Giocava forte?».
«Può darsi. Non le stavo mica sempre dietro...».
«D’accordo! Dovevi tenere la sua contabilità. Insomma, eri il suo segretario prima che il suo amante...».
A Petit Louis la faccenda non piaceva affatto. Alle dieci e mezzo di sera non gli avevano ancora rivolto una sola delle domande che si aspettava. Neanche la più importante! Perché, neppure per un momento, gli avevano chiesto:
«L’hai uccisa tu, la signora Ropiquet?».
Oppure:
«Con che cosa hai fatto fuori la vecchia?».
Non un cenno alla storia di Le Lavandou e ai suoi rapporti con la banda di Marsiglia! Non una parola su quella cena di compleanno alla quale, del resto, il Minable aveva assistito da lontano!
C’era da supporre che l’ispettore non avesse informato il suo superiore! Ma no, visto che si trovava lì! La sua presenza aveva dunque una ragione! Che cosa cercavano esattamente?
«Vorrei fare una deposizione» borbottò Petit Louis guardando in cagnesco l’ispettore. «D’altro canto, il signore, laggiù, potrà dire se...».
«Dopo!» tagliò corto Balestra. «Ti daremo il tempo di fare tutte le deposizioni che vuoi. Per adesso, sono io che ti faccio le domande e non ammetto alcuna inversione di ruoli. Nel portafoglio che i gendarmi ti hanno sequestrato poco fa, ho trovato questa ricevuta del Monte di Pietà. È datata 21 agosto ed è intestata alla signora Ropiquet. Dunque, il 21 agosto, lei era ancora viva, se ha portato la pelliccia di visone al banco dei pegni...».
Nessuna risposta. Petit Louis avrebbe voluto disporre di un foglio e di una matita per risolvere quei problemi di date. Era rimasto per giorni a Porquerolles con le mani in mano, e non aveva pensato di prepararsi le risposte a domande di quel tipo.
«Mi segui, vero? Il 21 lei impegna la sua pelliccia e ti chiede di conservare la ricevuta. Forse, sapendo di essere disordinata, preferiva non tenerla lei. Affidava a te i documenti importanti, cosa naturale, dato che eri il suo segretario...».
L’atteggiamento di Petit Louis cambiava. Cominciava a raggomitolarsi su se stesso, a incassare il collo nelle spalle e il suo sguardo, a furia di diffidenza, diventava sornione.
«Che cosa dici? Ti ha consegnato la ricevuta?».
«E con ciò?».
«Ammetti il fatto?».
«Supponiamo che io l’ammetta...».
Si sarebbero decisi, una buona volta, a parlargli del delitto e del cadavere? Non ancora!
«Quel giorno, il 21, eravate dunque tutti e due a Nizza. C’eravate nel pomeriggio, mentre, secondo la portinaia, alle sei del mattino avete preso un taxi per andare alla stazione...».
Petit Louis non reagì. Balestra ogni tanto faceva il giro dell’ufficio, agitava una scatoletta di gomme da masticare e ne prendeva una posandosela delicatamente sulla grossa lingua.
«Ti faccio notare che sarà il giudice istruttore a chiarire questi dettagli. Io mi limito a informarmi, per conto mio, a grandi linee, diciamo. Sicché avete preso un altro treno, al pomeriggio o alla sera...».
Il labbro superiore di Petit Louis era imperlato di sudore. Sapeva che tutto quanto avrebbe detto quella sera sarebbe stato definitivo, e che, in seguito, se ne sarebbero serviti per cercare di incastrarlo.
«Che treno hai preso?».
«Non mi ricordo».
«Qualcuno dice di aver riconosciuto la signora Ropiquet, con indosso un vestito azzurro, sulla littorina delle dieci...».
Non era vero, ovviamente, perché a quell’ora Constance si trovava già, tagliata in due pezzi, in fondo al porto! Ciò non toglie che ogni frase del commissario, anche la più insignificante, aveva la sua ragion d’essere e che questa ragione la si doveva indovinare.
«Da Lione hai telefonato alla portinaia. Da quale albergo telefonavi?».
«Da una cabina pubblica».
«Una cabina dell’ufficio postale?».
«No... della stazione...».
«Che stazione?».
«La stazione principale...».
Petit Louis era stato a Lione soltanto una volta e aveva dimenticato il nome della stazione di Lyon-Perrache.
«È una cabina col telefono a gettoni?».
«Sì...».
Il Minable, nel suo angolo, continuava a consultare il taccuino, come se avesse contenuto le Tavole della Legge.
«Sei stanco? Vuoi che per oggi smettiamo?».
«Come preferisce» ribatté Petit Louis, che non aveva mai avuto tanta sete in vita sua.
«I gendarmi ti hanno dato da mangiare, almeno?».
«Come no! Castagne!» ironizzò Petit Louis mostrando il viso malconcio.
«Non hai fame? Non hai sete?».
«Veda un po’ lei!».
Sapeva quel che faceva. Non voleva lasciarsi ammansire da un panino e un bicchiere di birra. Balestra uscì. Si udì per un attimo il brusio dei giornalisti. Petit Louis pensò che Mine stesse per dirgli qualcosa, ma l’ispettore rimase nel suo cantuccio, in silenzio. Quindi, se il commissario era uscito, è perché sperava che Petit Louis ne approfittasse per parlare all’ispettore.
Balestra tornò.
«Ti portano una birra... Dove eravamo rimasti? A proposito! Come ti è saltato in mente di andare a seppellirti a Porquerolles?... Dicono che sia niente male... Comunque... È vero che là non eri lontano da tua madre... Lei abita a Le Farlet, no?».
Questo continuo saltare di palo in frasca lo stancava. Che c’entrava sua madre in quel discorso, adesso? Che cosa sapevano? Dove volevano andare a parare?
«Il vecchio Dutto non è ancora morto?».
«Non lo so».
«Quand’è l’ultima volta che sei andato a trovarla?».
«Parecchio tempo fa».
«Un mese?».
«Non lo so».
«Ho fatto telefonare a Le Farlet, per dire a tua madre che, se ha voglia di vederti, le basta presentarsi qui. Le procurerò un permesso per venirti a trovare in prigione...».
«Mia madre non potrà venire».
«Perché?».
«Deve curare Dutto».
Il cameriere di un caffè vicino entrò con le birre e Petit Louis poté finalmente bere. Avrebbe vuotato i tre bicchieri, tanto era assetato. La birra, però, era fredda e il risultato fu che cominciò subito a sudare copiosamente.
«Che cosa dovevi comprarle?».
«A chi?».
«A Constance...».
«Non capisco».
Erano le undici e mezzo, nell’ufficio si soffocava e il commissario si era tolto la giacca.
«Ci sarà un motivo se si è disfatta della sua pelliccia di visone. Evidentemente aveva bisogno di soldi. Le servivano almeno venticinquemila franchi, dato che questa è la somma che ti ha affidato e che ti è stata ritrovata addosso...».
«E poi?».
«Voleva forse comprarsi una casetta a Porquerolles?».
«È un suo diritto!».
Non voleva dire né sì né no. Cercava di aggirare gli ostacoli, e per lo sforzo i suoi lineamenti si indurivano al punto da farlo sembrare un altro.
Il bel ragazzo atletico che, mani in tasca e berretto bianco portato sulle ventitré, passeggiava con aria disinvolta sulle piazze di paese con un sorriso ironico, be’, quel ragazzo non esisteva più.
Al suo posto c’era un uomo del Nord, basso e robusto, figlio di un minatore, cresciuto in un quartiere operaio e capace, per ore e ore, di dar prova di una volontà ferrea, senza un attimo di cedimento.
«Ne riparleremo domani... O meglio, sarà il giudice a parlartene... Il caso è molto semplice e credo che l’istruttoria si chiuderà in fretta...».
Chi volevano prendere in giro? Quale istruttoria, visto che non si era neppure parlato della morte di Constance? Se si era accennato a lei, si era fatto in modo che la si poteva immaginare sia viva che morta.
E quell’ispettore che era lì, che si era occupato soltanto del caso di Le Lavandou e non diceva una parola?
«Riposati un momento... Per stanotte, dormirai in guardina e domani ti troveremo un posto in prigione... Un’altra sigaretta?...».
Per una mezz’ora, Balestra consultò dei fascicoli, fece delle telefonate che non c’entravano niente con il caso, telefonò anche a casa sua per avvisare che non sarebbe tornato prima delle due o le tre del mattino.
«... Eccomi a te!...» disse alla fine sospirando. «Bisogna che ne usciamo, in un modo o nell’altro... Come al solito, i problemi capitano sempre tutti insieme... A proposito di quei soldi...».
Alle due e mezzo l’interrogatorio era ancora in corso, senza che si fosse mai parlato di omicidio premeditato, né di cadavere, né di ferro da stiro!
Erano stati affrontati soltanto dettagli marginali, l’orario di un treno, la destinazione di una certa somma, una data sulla quale Petit Louis e il commissario di Pubblica Sicurezza non riuscivano a mettersi d’accordo.
«A domani!... O meglio, a non so quando, perché sarà il giudice a continuare... In ogni caso, il tuo avvocato non potrà certo dichiarare che la polizia ti ha strapazzato... Sigaretta?...».
Chiamò due ispettori, che portarono via Petit Louis, e per quel giorno fu tutto.
1. Poveraccio.