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Era la felicità perfetta (o comunque poco ci mancava), almeno come Petit Louis se l’immaginava quando, dai laboratori dove aveva lavorato, vedeva i Marsigliesi con le mani pulite e le scarpe eleganti trascorrere le loro giornate ai tavolini di un bar.

Adesso anche lui aveva le mani pulite, e senza doversele strofinare con la pietra pomice. Tanto più che, il giorno precedente, per la prima volta in vita sua, si era fatto fare la manicure dal miglior barbiere di cours Albert-Ier.

Attraverso le palpebre socchiuse si stava appunto guardando compiaciuto le dita squadrate, le unghie laccate di rosa, e intanto tendeva l’orecchio ai rumori della casa.

Rimaneva a letto fino a mezzogiorno, non soltanto per pigrizia, ma per principio, per vendicarsi del periodo in cui era stato costretto ad alzarsi prima dell’alba dal trillo penetrante della sveglia.

I giornali erano lì, a portata di mano. Constance gli aveva servito il caffè nero e gli aveva acceso la prima sigaretta, poi aveva aperto leggermente le persiane, giusto una fessura, per permettere a un raggio obliquo, non più grande di quelli che si vedono sui dipinti dell’Annunciazione, di penetrare nella stanza e raggiungere il letto.

Anche Louise era lì, in vestaglia, intenta a spolverare il salotto. Era davvero comico! E la cosa più comica era che l’idea era stata della stessa Constance, che aveva dichiarato:

«Perché andare a dormire in casa di estranei, quando c’è posto da suo fratello?».

La prima notte, le due donne avevano dormito nello stesso letto e al mattino Louise Mazzone aveva sussurrato a Petit Louis:

«Ha un odore disgustoso! Mi chiedo come fai a sopportarlo!».

In seguito, avevano sistemato un divano per Louise in un angolo del salotto e adesso lei era di casa, al punto che non ci si ricordava più da quando era lì e non si parlava più di quando se ne sarebbe andata.

Va detto che aveva pazienza e, come diceva Constance, era molto dolce. Poteva ascoltare per ore le storie che la vecchia le bisbigliava mentre erano tutte e due sedute accanto alla finestra, a lavorare a maglia o all’uncinetto. Lei approvava, e in tono serio diceva:

«È proprio vero!».

Oppure:

«Come la capisco!».

La mattina erano tutt’e due in vestaglia, con un fazzoletto in testa, a sbrigare le faccende, poi toccava all’una o all’altra, a seconda dei giorni, fare il giro delle botteghe di rue de France.

Quando era Louise a uscire, Constance si precipitava da Petit Louis e, incapace di contenere il suo entusiasmo, annunciava maliziosamente già dalla porta:

«Tua sorella è uscita!».

Altrimenti, era Louise ad andare da lui, più calma, e di solito si accontentava di sedersi sul bordo del letto per chiacchierare tranquillamente.

Attorno a Petit Louis risuonavano altri rumori: quelli della strada, che al mattino hanno una freschezza pungente, e quelli del palazzo, compreso il rumore che lui cercava di captare con sempre maggiore impazienza: la voce di Niuta, nella stanza adiacente, dietro la parete divisoria.

Sapeva dalla portinaia che la ragazza studiava canto. E non era proprio romena, a dire il vero. La questione era più complicata. Sua madre era una grande attrice che adesso viveva in America, e suo padre doveva essere russo.

I genitori l’avevano mandata a Nizza, da sola, per sbarazzarsi di lei quando aveva appena sedici anni e mezzo, e tramite una banca le versavano una rendita mensile.

Petit Louis era sicuro che fosse perdutamente innamorata di lui. Lei doveva spiarlo per ore intere, perché non c’era una volta che non aprisse la porta nel momento esatto in cui lui usciva.

Un giorno lui aveva persino cercato di entrare, col berretto sull’occhio e l’aria spavalda, ma lei era fuggita in una stanza in fondo all’appartamento e si era chiusa dentro a doppia mandata.

Da allora Petit Louis pensava spesso a lei, e al mattino, nel suo letto, la ascoltava cantare dimenticandosi di leggere il giornale.

Era felice, che dubbio c’era? Certo lo sarebbe stato di più se fosse riuscito ad andare a letto con Niuta, a sentirla timidamente rannicchiata tra le sue braccia e a incollare le labbra alle sue, fino a restare senza fiato...

Ma un giorno sarebbe successo, ne era sicuro. L’aveva spaventata perché aveva voluto correre troppo, senza pensare che era solo una ragazzina. Adesso le sorrideva come sapeva fare lui, con un sorriso allegro, infantile, disarmante.

Era felice... E la prova era proprio quella specie di vaga inquietudine quasi fisica che lo invadeva... È logico! È inevitabile, quando si è felici, si sente sempre un brivido di angoscia all’idea di perdere ciò che si ha...

Gène e gli altri non li aveva rivisti, né aveva avuto notizie dirette da loro. Louise, però, aveva ricevuto una lettera da Hyères, che diceva che la padrona era andata a Marsiglia, per causa sua, il che lasciava supporre diverse cose.

Al piano di sopra qualcuno, come ogni mattina dalle nove in poi, stava battendo a macchina. Si trattava di una donna di una certa età, vedova di un funzionario, che svolgeva lavori di copiatura a domicilio.

Petit Louis, infatti, aveva preso informazioni su tutti gli abitanti del palazzo, in primo luogo per curiosità, e poi perché non si sa mai, può sempre servire.

Dovevano essere le undici. Il campanello della porta d’ingresso suonò, il che era insolito, perché i visitatori abituali, come l’impiegato del gas e i fornitori, sapevano che la porta non era chiusa a chiave ed entravano gridando:

«Signora Constance!».

Senza muoversi, con la sigaretta fra le labbra, la testa sul cuscino, Petit Louis tese l’orecchio; riconobbe una voce maschile, ma non capì che cosa stava succedendo finché, dopo un bel po’, Louise entrò nella stanza, e con aria mesta gli fece cenno di non far rumore, sussurrando:

«È un ispettore di polizia...».

«Chi?».

«Non lo conosco... Mi ha chiesto di uscire...».

A quel punto si alzò e, a piedi nudi, a proprio agio nel pigiama di seta a righe, andò a incollare l’orecchio alla porta, accanto a Louise che faceva altrettanto.

«Si accomodi...» diceva, dall’altra parte dell’uscio, la voce di Constance. «Perdoni il disordine e il mio abbigliamento, ma è l’ora in cui faccio i lavori di casa...».

Era anche l’ora in cui aveva gli occhi gonfi e il volto cadaverico.

«Mi può dire se questa è sua?» chiedeva il poliziotto porgendole qualcosa che Petit Louis non poteva vedere.

«È mia, sì... Apparteneva alla mia povera mamma... Come ne è venuto in possesso?... Qualcuno l’ha trovata per strada?...».

«Purtroppo no. Questa croce d’oro è stata venduta l’altro ieri a una gioielleria di avenue de la Victoire... Il ladro...».

Constance emise un gridolino, mentre Petit Louis vedeva vicinissime a lui le sopracciglia aggrottate di Louise.

«Perché dice il ladro?» chiedeva Constance con voce sconvolta.

«Perché suppongo che questo gioiello le sia stato rubato...».

«E se l’avessi regalato a qualcuno?».

«A chi?».

«Se avessi incaricato il mio segretario Louis Bert di venderlo per conto mio?».

«L’ha incaricato di vendere anche questo anello?».

«Ma sì... Non ne potevo più di questi vecchi gioielli... Volevo sbarazzarmene, e ho chiesto a lui di farlo».

Un occhio di Petit Louis si chiuse e le sopracciglia folte di Louise cominciarono a distendersi.

«In questo caso non ho nulla da dire... Se proprio ci tiene!».

«Ma...».

«Tuttavia, ho il dovere di metterla al corrente di certi fatti... Lo sa che questo Petit Louis, che lei chiama il suo segretario, è stato due volte in prigione?».

«Me l’ha detto, sì...».

«Sa che, molto probabilmente, un giorno o l’altro avrà delle noie per il colpo all’ufficio postale di Le Lavandou?».

«E allora? Ha delle prove contro di lui?».

Brava Constance! Petit Louis non poteva fare a meno di sorridere e si chiedeva se non fosse il caso di aprire subito la porta e salutare con ironia quell’idiota di ispettore.

«È affar suo!... Lei lo ospita e la cosa la riguarda, sebbene la prudenza... Comunque!... Il mio dovere si limita a metterla in guardia, e quindi se dovesse succederle qualcosa se la potrà prendere solo con se stessa...».

Stavolta Petit Louis alzò le spalle e poi, come un ragazzino, fece finta di prendere a pugni l’impudente.

«Cosa vuole che mi capiti?».

«Lei non è più giovanissima... Presumo che il suo patrimonio possa far gola a un uomo privo di mezzi di sussistenza...».

«Come, prego?» rispose lei in un sussulto di dignità.

«Va bene, va bene! Non si arrabbi! Un’ultima domanda: Petit Louis le ha fornito l’identità della persona che dorme attualmente sotto il suo tetto e che ho notato entrando?».

«È sua sorella...».

Non era più il caso di ridere. Petit Louis, cupo, ascoltava trattenendo il respiro, mentre Louise sospirava:

«L’avevo detto!».

L’ispettore proseguiva, soddisfatto di avere finalmente la meglio:

«Mi duole contrariarla, ma è mio dovere informarla che la persona in questione è una certa Louise Mazzone, nata ad Avignone nel 1912 e dal 1932 sotto sorveglianza della polizia in quanto prostituta. È arrivata qui, una decina di giorni fa, da una casa di tolleranza di Hyères dove Petit Louis, che viveva dei suoi guadagni, l’aveva sistemata... È tutto!... Le segnalo che in caso di problemi o per ulteriori ragguagli, siamo a sua completa disposizione... Le basterà contattarmi alla polizia...».

Silenzio. Un silenzio ancor più impressionante in quanto non si riusciva a capire che cosa stava succedendo nell’altra stanza. Poi, di colpo, il rumore di una porta che si apriva e si richiudeva, dei passi sulle scale.

Petit Louis e Louise si guardarono, mogi mogi, e Petit Louis cercò di mostrarsi sicuro di sé, grattandosi la testa e abbozzando una smorfia.

«Che facciamo?» sussurrò lei.

Per prima cosa, camminando senza far rumore, lui andò a darsi una pettinata. Poi si accese una sigaretta e rimase ancora un po’ in ascolto: gli parve di sentire, a tratti, dei singhiozzi. Sospirò, girò la maniglia ed entrò nella stanza.

Per un attimo non vide Constance, perché questa era talmente sprofondata nel letto disfatto che non le si vedevano né il corpo né la testa, ma soltanto la vestaglia bordata di piume.

L’anziana donna si stava struggendo nel vero senso della parola. Se ne stava sdraiata a pancia in giù sul piumino imbottito, con la faccia sprofondata nel morbido strato di lenzuola e coperte, e il tutto si muoveva dolcemente, a un ritmo lento, con uno scossone di tanto in tanto.

«Uuuh... Uuuh...» si lamentava con una voce così strana che si stentava a credere provenisse da una robusta cinquantenne.

Petit Louis girò intorno al letto in silenzio, come fa intorno a un malato chi non ne ha esperienza, con l’aria di chiedersi da che parte prenderlo.

«Uuuh... Uuuh...».

Lei sapeva che lui era lì? L’aveva sentito entrare? Continuava a piangere, con una regolarità esasperante e, neanche a farlo apposta, il poco che si vedeva di lei era la sua parte più brutta: le gambe pallide, livide, striate di vene varicose bluastre.

«Uuuh...».

Le due finestre erano spalancate e si vedevano quelle della casa di fronte, a una delle quali era affacciato un vecchio invalido che fumava la pipa guardando con tale fissità nella stanza da sembrare una statua di cera.

«Uuuh...».

Petit Louis aprì la bocca, poi la richiuse. L’aria che veniva dalla strada spingeva il fumo della sua sigaretta verso il letto e Constance dovette avvertirne l’odore. Subito, invece di «Uuuh...» disse, ma con la stessa voce, come un lamento:

«Cattivo!».

E ricominciò a struggersi più di prima, commossa dalla parola che aveva appena pronunciato.

Allora Petit Louis si sedette sul bordo del letto. Siccome lei non lo guardava, il suo compito era più facile, perché non aveva bisogno di controllare l’espressione del proprio volto. Appoggiò con dolcezza una mano sulla spalla di Constance. Poi, dopo aver tossicchiato, esordì con tono diligente:

«Ho sentito tutto... Ero dietro la porta... Immaginavo che sarebbe successo prima o poi...».

Silenzio. Constance piangeva sempre, senza far rumore, per non perdersi nulla di quello che lui diceva.

«Tanto per cominciare, anche se sono andato due volte in prigione, non ho mai commesso nulla di disonorevole... Capita a tutti di menar le mani, in una rissa, e di tirare una pedata nelle tibie a un agente in mantellina che ti minaccia...».

Non era questo che le stava a cuore, lui lo sapeva bene, ma cominciava di lì per darsi il tempo di entrare nella parte.

«La faccenda di Le Lavandou, non dico di no... Ma a esser stato derubato è soltanto il governo, e questo non fa torto a nessuno... Devono solo sorvegliare meglio i soldi dei contribuenti!...».

Lei accennò un lieve movimento, con ogni probabilità perché era impaziente di sentirlo arrivare al dunque.

«Ora, per quanto riguarda Louise... Quelli che parlano così delle donne farebbero meglio a chiedersi da dove vengono e perché sono finite a quel modo... La madre di Louise aveva sette figli e ad Avignone la conoscevano tutti, perché adescava chiunque, per un po’ di soldi...».

Ebbe un attimo di disattenzione, perché la voce di Niuta stava intonando la Ninna nanna di Chopin, che cantava quasi tutti i giorni, forse non a caso, e che aveva il potere di commuoverlo come una romanza.

«Quando ho conosciuto Louise, lei era già in una casa, a Marsiglia... Ho cercato di tirarla fuori di là, ma si trovava sotto le grinfie di un tale chiamato Gène e tutto quello che ho potuto fare...».

All’improvviso si accorse che un occhio, uno solo, lo guardava, un occhio che era già asciutto.

«Mi sono dato da fare per trovarle una sistemazione a Hyères, poi quando, grazie a te, ho avuto un po’ di soldi, sono andato a cercarla...».

L’occhio complicava tutto. Petit Louis era costretto ad adeguare le espressioni del viso a ciò che diceva e il vecchio, al terzo piano, dall’altra parte della strada, li guardava sempre con la sua faccia impenetrabile.

«Quando ho detto che era mia sorella, non ho detto una vera bugia, visto che io e Louise siamo legati soprattutto da un affetto fraterno...».

Ed ecco che Constance parlava, o meglio che una voce lamentosa usciva dalla massa di carne e di biancheria.

«Non ci hai mai fatto niente?».

«Non dico questo... All’inizio, sì, tre anni fa, quando frequentavo come cliente la casa di Marsiglia dove lavorava... Poi, a poco a poco, la situazione si è quasi modificata...».

«Quasi?».

«Ci conosciamo troppo bene per...».

E la voce, di nuovo, più nitida, perfino più insidiosa:

«Non avete fatto nulla qui, a casa mia, mai?».

«Mai!».

«Quando andavo a fare la spesa, al mattino?...».

Cominciò a dimenarsi. Adesso non appariva più come una massa informe, prima venne fuori la testa, poi i contorni del suo corpo si delinearono, e lei si sedette sul letto, gonfia, con i capelli in disordine e una guancia bagnata.

«Mi avresti fatto una cosa simile, tu?».

«No! Da quando siamo qui, io e Louise non siamo mai andati a letto insieme, te lo giuro...».

«Non vi siete neanche baciati sulla bocca?».

Il fatto è che lo diceva in tono tragico, e Petit Louis faticava a restare serio.

«No! Sulla bocca, no!».

«E accarezzati?».

«Ma se ti dico di no, sciocchina!».

Pazienza! Non c’era altro da fare! Si chinò, la prese tra le braccia, incollò la guancia a quella umida di lei e, dato che adesso Constance non poteva più vederlo, parlò e parlò, usando quella sua voce bassa e lievemente incrinata con la quale sapeva di commuovere.

«Non pretendo di essere un santo, ma questo non l’avrei mai fatto!... E preferisco essere ciò che sono piuttosto che fare il mestiere del signore che è venuto poco fa... È facile giudicare gli altri quando si ha avuto tutto quel che si è voluto... Da ragazzino, mi chiamavano il Rifugiato...

«“Non buttare via i tuoi pantaloni vecchi!” dicevano. “Tienili per il piccolo rifugiato...”.

«E io portavo i vestiti usati di tutti i bambini di Le Farlet...

«E in casa del vecchio Dutto i lavori pesanti era mia madre a sobbarcarseli, al punto che non aveva più nemmeno l’aspetto di una donna...».

«Taci!» mormorò Constance.

Ma lui non aveva alcuna intenzione di tacere. Sentiva che stava andando bene. Inoltre, nei suoi piagnistei c’era un fondo di sincerità. La musica di Chopin e la voce di Niuta, nella camera accanto, lo commuovevano. Avrebbe potuto starsene incollato a lei allo stesso modo, a lamentarsi, a spiegarle che erano due poveretti, loro due, e a piangere sulla propria sorte, a baciarsi tra le lacrime...

«... e Dutto,» continuava «se gli saltava il ticchio, non si faceva nemmeno scrupolo di chiamare mia madre in camera e sbattermi la porta in faccia... Era schifoso... Lo è ancora... È un italiano che vive in Francia da quarant’anni senza essere mai riuscito a imparare il francese... Non parla con nessuno... Odia tutti e sospetta che tutti vogliano il suo denaro... Un giorno l’ho beccato mentre cercava di molestare mia sorella, che aveva quattordici anni... L’ho detto a mia madre... E mia madre è stata picchiata... Che razza di infanzia è, questa?...».

«Zitto!... Non pensare più a queste cose...».

«Che razza di vita è spaccarsi la schiena per fare l’ebanista, quando c’è un mucchio di gente che vale la metà di quel che valgo io e non fa niente dalla mattina alla sera?... Io non ho voluto essere più tonto di un altro, ecco la verità...».

Fu lei ad arretrare un po’ il volto per guardarlo. E allora, in uno slancio di tenerezza, gettandoglisi addosso, ripeté:

«Cattivo!».

«Senta, Louise...».

«Sì, signora...».

Louise non era mai riuscita a chiamare Constance per nome, anche se lei glielo aveva chiesto diverse volte.

«So tutto...».

«Sì, signora...».

Louise, meno scaltra di Petit Louis, teneva la testa bassa con troppa umiltà, con l’aria di una domestica a cui si dia il ben servito.

«So tutto della sua vita e di quella di Petit Louis. So che siete stati amanti, ma che adesso vi volete bene come fratello e sorella...».

Intorno a lei aleggiava ancora un po’ dell’odore del recente amplesso, e nel letto umidiccio era rimasto un incavo profondo. Constance si era rimessa cipria e rossetto. Ma forse, chissà, le faceva anche piacere ostentare quella espressione languida e lasciare che l’altra ne intuisse la causa...

«Non intendo darla vinta a quei mascalzoni di poliziotti. Hanno voluto fare del male a entrambi...».

In fondo, doveva sentirsi piuttosto compiaciuta di poter assumere un tono un po’ più arrogante e darsi arie da benefattrice... Aveva fatto uscire Petit Louis e questi ronzava intorno all’appartamento vicino, più tormentato che mai dal desiderio di stringere Niuta tra le braccia.

«Tra di noi non cambierà niente... No! Non protesti... Ho preso la mia decisione... Se voi ve ne andaste, sarebbe come ammettere che vi siete fatti beffe di me alle mie spalle... Invece, sono sicura che non oserete abusare della mia fiducia... Vi autorizzo, soltanto per oggi, ad andare a dormire in albergo, perché aspetto la visita del mio amico diplomatico... Anzi, no... Ci andrà lei sola... Petit Louis resterà in camera sua...».

La macchina per scrivere ticchettava nella stanza di sopra. Il vecchio, di fronte, aveva tra i denti una pipa che ormai doveva essersi spenta, perché lui non si era mosso, e alla sua sinistra un canarino saltellava ogni tanto nella gabbia.

«Adesso mi aiuti a mettere un po’ in ordine... Pranzeremo al ristorante... Il mio amico arriva soltanto alle tre e abbiamo il tempo di andare a mangiare in riva al mare, a Juan-les-Pins... Prenderemo un taxi...».

«Posso rientrare?» domandò Petit Louis che non aveva visto la vicina.

«Vieni, brutto cattivo!... Vestiti in fretta... Mettiti il vestito buono, vi porto tutt’e due in macchina a Juan-les-Pins per pranzo...».

Petit Louis e Louise si scambiarono uno sguardo. Petit Louis fece per entrare in camera sua.

«Non è necessario...» gli disse Constance. «Adesso che so che non è tua sorella, lei può vestirsi davanti a te... Vero, Louise?».

«Sì, signora...».

«Bene!... Togliti la vestaglia, allora...».

Petit Louis girò la testa soffocando un sorriso, e si chiese se per caso Constance non fosse un po’ perversa.

Un’ora dopo, eccoli spuntare tutti e tre sul marciapiede soleggiato della via, vestiti a festa, rimessi a nuovo, al punto che un tassista si fermò spontaneamente, fiutando il convegno galante.

«A Juan-les-Pins... Non troppo in fretta... Può abbassare la capote?».

Constance, nonostante tutto, si era seduta in mezzo, e i loro tre diversi profumi si mescolavano nell’aria, evaporando a poco a poco.

Petit Louis indossava per la prima volta un cappello di paglia che aveva comprato il giorno precedente e che sembrava assorbire da solo tutto il sole.