25.
Il camion catturato portò sfortuna ai partigiani. Czerw aveva deciso di nasconderlo in una segheria abbandonata, nei pressi di Wierki, fino alla primavera. Krylenko si era violentemente opposto a questo progetto.
«Questo camion non ci serve a niente», affermava. «Propongo di bruciarlo. C’è benzina quanto basta per fare un bel rogo».
E guardava Czerw con aria di provocazione. Ma una mattina Czerw salì sul camion e si mise al volante.
«Chi comanda qui?» si arrabbiò Krylenko. «Ho detto: bruciate questo camion».
«Nessuno», disse Czerw, «nessuno comanda qui».
E avviò il motore.
«Porca miseria!» bestemmiò Krylenko. «Ho detto...»
Il camion si mosse; l’ucraino fece appena in tempo a saltare sul predellino. Il camion avanzava lentamente sulla neve molle, tra i pini. I corvi lo seguivano gracchiando; di sicuro speravano che il mostro si lasciasse dietro una manna di sterco. Krylenko bofonchiava. Czerw lo guardò e ammiccò con l’occhio.
«Tu te ne infischi di me?» urlò il vecchio.
«Ma no», disse Czerw sincero. «Lo sai bene che è solo nervoso... un tic!»
I corvi gracchiavano: cominciavano a essere delusi. Costeggiarono un bosco di abeti, dalle barbe bianche di neve... Uno sparo improvviso. Il parabrezza volò in frantumi.
«Tradimento!» urlò Krylenko.
Il camion sbandò da una parte, andò a fermarsi contro un albero.
«Czerw!»
Czerw era caduto sul volante.
«Czerw!»
Krylenko lo sollevò, lo scosse. Czerw stringeva i denti. Era ancora vivo. Cercò di parlare.
«Ch... ch...» rantolò.
Il sangue gli colò dalla bocca. La faccia gli si fece grigia. Si raddrizzò con uno sforzo, sorrise e ammiccò con l’occhio.
«Czerw, porca miseria! Fai finta, eh? Tu te ne freghi di me, eh? Non hai niente, vero? Parla, Czerw!»
«N... no», rantolò Czerw. «Te l’ho d... detto, è nervoso».
Cadde pesantemente sul volante. Krylenko gli sollevò la testa: aveva un occhio aperto, l’altro chiuso.
«Czerw!»
Ma Czerw era morto. Era stato colpito al petto. Krylenko saltò giù dal camion.
«E allora?» urlò. «Che cosa aspettate?»
E offrì il petto, con un gesto drammatico.
«Sparate, sparate dunque!»
I tre uomini si erano avvicinati al camion, lo guardavano stupiti. Krylenko li riconobbe subito: erano partigiani d’una foresta vicina, molto isolati. Ascoltarono, a testa bassa, le ingiurie dell’ucraino.
«Abbiamo visto il camion da lontano, un camion tedesco... Non potevamo mica sapere... Abbiamo appena fatto in tempo a prendere la mira e a sparare... Tflu, kurwa go mac!»
Non si capiva a chi fosse destinata l’ingiuria: a Czerw, al camion, alla sfortuna o al mondo in generale.
«Non potevamo sapere... Disdetta... Kurwa go mac...»
Non trovavano altro da dire. Rimasero così per un momento a sputare, a bestemmiare sordamente e a scuotere la testa con aria colpevole.
«Aiutatemi a spingere il camion», disse Krylenko, troppo infelice per reagire.
Lo aiutarono. Distesero all’interno il corpo di Czerw.
«Guarda», osservò uno, «si direbbe che fa l’occhiolino...»
Krylenko disse malinconicamente:
«È nervoso...»
Mise in marcia il camion. I tre uomini lo guardavano allontanarsi.
«Senza rancore, eh?» gli gridarono dietro.
Krylenko bestemmiò tra i denti. Grosse lacrime gli scesero sui baffi. Ogni tanto guardava il corpo dell’amico, e singhiozzava con l’abbandono di un ragazzo infelice.