20.
Ogni tanto Czerw mandava Janek a Vilna, da un vecchio ciabattino che lavorava in uno scantinato della Zawalna. Era un uomo grande e cupo, con i lunghi baffi all’ingiù come i szlachcic, i nobili dei tempi passati.
«Digli che io sto bene», diceva Czerw.
Ogni volta che entrava nello scantinato, il ciabattino gli gettava uno sguardo rapido e subito si rimetteva a lavorare. All’inizio Janek era a disagio a causa di questa accoglienza, ma poi aveva finito per abituarsi. Scendeva nella bottega, si toglieva il berretto, diceva:
«Lui sta bene».
Il ciabattino non gli rispondeva, e Janek se ne andava. Alla fine si decise a domandare a Czerw:
«Ma chi è?»
«È mio padre».
Al ritorno da una di queste strane visite, Janek si trovò a passare dalla Pohulanka. Davanti alla casa in cui aveva abitato panna1 Jadwiga, si fermò. Guardò un momento il portone e, senza riflettere, entrò, attraversò il cortile, salì al primo piano... Ebbe paura. Il cuore gli batteva con violenza. Gli venne voglia di fuggire. Dietro alla porta suonavano il piano. Janek riconobbe la musica. Era Chopin: quello stesso pezzo che panna Jadwiga aveva suonato tante volte per lui... Janek si calmò e se ne stette lì a lungo, in ascolto, nascosto nell’ombra, ma non appena cessò la musica si sentì riprendere dalla paura e fuggì via. Non disse niente a nessuno, nella foresta; ma era a disagio, irrequieto.
«Cosa c’è?» gli domandò Zosia.
«Niente».
Il giorno dopo ritornò a Vilna, alla stessa ora. Si mise in ascolto... Questa volta non era la musica di Chopin, ma era una melodia bella, molto bella... Janek non aveva più paura. Da allora, ogni volta che andava in città a trovare il vecchio ciabattino, prese l’abitudine di passare, al ritorno, dalla Pohulanka, e di fermarsi sul pianerottolo buio ad ascoltare il musicista invisibile.
«Suona bene, sai», diceva qualche volta a Zosia, con un sospiro. «A me piace tanto la musica...»
«Ti piace più di me?»
Janek la baciava.
«No».
Una mattina Zosia scomparve e tornò la sera, tutta sorridente.
«Ho un bel regalo per te».
«Che cos’è?»
«Ti piacerà».
Zosia rise.
«Chiudi gli occhi».
Janek obbedì. Prima sentì uno stridore, un orribile scricchiolio, poi una voce fessa e volgare che urlava:
Czy pani Marta
Jest grzechu warta...2
Gli scricchiolii, lo stridore, gli urli si succedevano senza fine.
«Musica!» disse fieramente Zosia. «Per te!»
Janek aprì gli occhi. La ragazza sorrideva, felice del piacere che credeva di procurargli.
«Me lo ha trovato Yankel, da un ebreo della foresta...»
Janek avrebbe voluto scagliarsi sul fonografo, spaccare il disco. Ma si dominò. Non voleva dare un dispiacere a Zosia. Perciò soffrì in silenzio.
«Bello, non è vero?»
La ragazza ricaricò il fonografo.
Czy pani Marta...
Dolcemente, Janek fermò l’apparecchio. Poi prese la pistola, la nascose sotto la giacca. Disse:
«Andiamo».
La ragazza si alzò. Non fece domande. Lo seguì. Uscirono dalla tana. Il crepuscolo scendeva sulla foresta, l’aria era calma e ghiacciata, la neve scricchiolava sotto i passi. Non parlavano. Solo una volta la ragazza domandò:
«Andiamo a Vilna?»
«Sì».
Vi giunsero di notte. Le vie erano deserte. Janek attraversò il cortile, salì la scala. Zosia lo seguiva. Lui le prese la mano, la strinse nella sua.
«Ascolta».
Da dentro si sentiva il piano. Janek tirò fuori la pistola. Zosia disse solo:
«Non è prudente».
Janek bussò alla porta. La musica tacque. Si sentì un rumore di ciabatte, la chiave girò nella serratura e la porta si aprì. L’uomo reggeva in mano una lampada col paralume giallo. Janek guardò per un secondo, un solo secondo, le risaie, le pagode e gli uccelli neri... Poi il suo sguardo, carico di odio, si fissò sull’uomo. Era un uomo maturo, con i capelli grigi. Aveva il naso lungo e rosso, e gli occhiali cerchiati di nichel vi stavano aggrappati sopra, sul punto di cadere. Guardava Janek al di sopra degli occhiali, la testa leggermente piegata di lato. Indossava una vecchia vestaglia d’un verde stinto e portava una grossa sciarpa intorno al collo. Pareva raffreddato. Disse in polacco, con un forte accento:
«Che cosa vo...»
Lo sguardo gli si fermò sulla pistola. Alzò una mano e si riassestò gli occhiali sul naso. Non pareva spaventato, nemmeno sorpreso. Aprì del tutto la porta. Disse:
«Entrate».
Zosia richiuse la porta. Il vecchio starnutì, si soffiò rumorosamente il naso, sospirò e disse:
«Poveri ragazzi!»
Janek teneva la pistola con mano ferma. Non aveva paura. Sapeva che non avrebbe avuto alcuna pietà per il vecchio. Ricordava panna Jadwiga... Non avrebbe avuto alcuna pietà.
«Il denaro è nella mia giacca. Arrivi proprio giusto, ragazzo mio. Ho appena avuto il mio stipendio di capitano».
E l’uomo rise.
«È tuo».
Janek guardava le pagode, le risaie e gli uccelli sul paralume giallo. Gli si stringeva il cuore.
«Non dirò niente a nessuno», disse l’uomo in tono amichevole. «Non voglio che tu sia fucilato, ragazzo mio. Ne fucilano già troppa di gente come te».
Prese il portafoglio dalla tasca della giacca, glielo tese. Janek non lo prese. L’uomo parve stupito.
«Hai fame? In cucina c’è ancora...»
«Non ho fame».
L’uomo impallidì visibilmente. Disse con voce rauca:
«Capisco. Tu vivevi qui, prima. Capisco. Ma io non c’entro per niente. Questo alloggio mi è stato assegnato, io non lo avevo chiesto. Sono stato contento, certo, per il pianoforte. Ma non ho scacciato la tua famiglia da qui, ragazzo».
La lampada gli tremava in mano. Le pagode, le risaie e gli uccelli creavano ombre immense sui muri.
«Forse i tuoi sono stati uccisi? Io non sapevo. Non avrei accettato questo alloggio...»
«Suonate!» ordinò Janek.
L’uomo non capì.
«Mettetevi al piano e suonate!»
L’uomo posò la lampada sul piano, sedette. Gli tremavano le mani.
«Che cosa devo suonare? Qui c’è Schubert, e qui...»
«Suonate».
L’uomo cominciò a suonare. Ma le mani gli tremavano troppo.
«Suonate un po’ meglio!» gridò Janek.
«Abbassa la pistola, ragazzo. Non è incoraggiante sentirsela sulla schiena».
Si mise a suonare. Suonava bene.
Sì, pensava Janek con tristezza, sa suonare. Prese una mano di Zosia.
«Ascolta. Questa è musica».
Zosia gli si strinse vicina.
«Ora, Chopin», disse Janek.
...Quando tornò sulla terra, Janek vide l’uomo, in piedi davanti al piano, che lo guardava.
«Ragazzo, avrei potuto disarmarti. Avevi dimenticato tutto».
Janek corrugò la fronte.
«Vai», disse a Zosia.
«E tu?»
«Io rimarrò qui perché lui non possa chiamare...»
«Non chiamerò nessuno», disse l’uomo.
«Vai. Non aver paura. Ti ritroverò nella foresta».
La ragazza obbedì.
«Vuoi che suoni ancora?» domandò il tedesco.
«Sì».
L’uomo suonò dei pezzi di Mozart. Suonò per quasi un’ora, a memoria. Quando ebbe finito domandò:
«Ti piace molto la musica?»
«Sì».
«Puoi tornare quando vuoi. Non devi aver paura. Sarò ben contento di suonare per te, ragazzo mio. Vuoi fermarti a cena con me?»
«No».
«Come vuoi. Io mi chiamo Schröder, Augustus Schröder. Fabbricavo giocattoli musicali, da borghese».
Sospirò.
«Io amo molto i miei giocattoli musicali. Li preferisco agli uomini. Amo anche i bambini. Non amo la guerra. Ma mio figlio, che ha la tua età, lui ama molto la guerra...»
Diede un’alzata di spalle.
«Perciò, ho dovuto scegliere tra partire o perdere mio figlio. Ma io sono nell’Intendenza e non possiedo nemmeno un fucile. Noi, ragazzo mio, possiamo diventare amici».
«No», disse Janek.
Esitò.
«Ma tornerò», aggiunse Janek.
«Sarò sempre contento di suonare per te».
Janek se ne andò. Zosia lo aspettava nella tana.
«Avevo paura per te».
«E allora?» fece Janek. «Era bello, vero?»
La ragazza chinò la testa con aria colpevole. Cominciò a piangere.
«Zosia!»
Lei singhiozzava disperatamente, come un bambino che le ha prese.
«Zosia», implorava Janek. «Zosienka... Cosa c’è?»
«Io non ho trovato che fosse bello», singhiozzò la ragazza. «Per niente, per niente...»
«Zosia...»
Janek la strinse tra le braccia, l’attrasse a sé.
«Ora che te l’ho detto, tu non mi amerai più».
«Oh sì, ti amo, oh sì... Non piangere, Zosienka».
«E tu ami quella musica più di me... Oh mio Dio, come sono disgraziata!»
Janek non sapeva più che cosa dirle. Se la stringeva al petto. Le accarezzava i capelli. Le ripeteva:
«Zosia, Zosienka...»
1 Signorina.
2 La bella signora Marta / ben vale un peccato.