21.
Janek tornò parecchie volte da Augustus Schröder. Ci andava di nascosto, vergognandosi: ogni volta ne soffriva come se stesse compiendo un tradimento. Da principio si teneva in guardia, stringeva la pistola nella tasca, sorvegliava sospettosamente i gesti del tedesco. Ma poi Augustus Schröder aveva saputo ispirargli un po’ di fiducia. Gli aveva mostrato la fotografia del figlio: un adolescente dal viso cupo, in divisa hitleriana.
«Ha la tua età», disse tristemente. «Ma a lui la musica non piace. A lui non piacciono i miei giocattoli».
Gli mostrò anche i suoi giocattoli: figurine di gnomi e di borghesi tedeschi del tempo antico, lavorati con arte delicata.
«Ho fatto quasi tutti i personaggi dei racconti di Hoffmann e di Grimm», gli disse con infantile fierezza. «Io amo il passato... Amo la Germania dei suonatori di flauto e di zampogna, dei berretti da notte e dei fiutatori di tabacco, dei lunghi pastrani e delle parrucche bianche...»
Sorrise.
«A quei tempi gli orchi vivevano soltanto nei racconti di fate, erano buoni diavoli e non divoravano mai nessuno; amavano soprattutto le pantofole, una pipa vicino al caminetto, un bicchiere di birra e una buona partita a scacchi...»
Tutti i giocattoli erano animati da un meccanismo. Bastava premere un bottone e la figurina si muoveva, faceva un saluto o un passo di danza, al chiaro suono di un accordo melodioso.
«Non ho mai fatto dei soldatini di piombo, nemmeno per il mio bambino», diceva Augustus Schröder.
Sedeva al piano e suonava. Soprattutto gli piacevano i lieder e li suonava meravigliosamente. Janek sentiva che questi erano i motivi che corrispondevano meglio all’anima del vecchio, ai suoi sogni, ai suoi amori passati. Ascoltava con piacere quelle musiche dolci e malinconiche. Una volta domandò:
«Ma voi siete veramente tedesco?»
«Sì. Più di quelli...»
Fece un gesto verso la finestra: dei carri armati passavano con frastuono per la strada.
«Io sono l’ultimo tedesco».
Aveva vissuto a lungo a Cracovia e conosceva bene la Polonia. Non aveva mai avuto il coraggio di domandare a Janek qualcosa della sua famiglia.
Un giorno gli domandò timidamente:
«Dove vivi?»
«Nella foresta».
«Vorresti venire a vivere qui, con me?»
«No».
Augustus Schröder curvò un po’ le spalle e non insistette. Regalò a Janek uno dei suoi giocattoli. Era un borghese bavarese in berretto da notte, che sorrideva, fiutava tabacco, starnutiva e scuoteva la testa con soddisfazione al suono di Ach, mein lieber Augustin. Janek portava sempre con sé quel giocattolo. Lo mostrò a Zosia. Spesso, nella buca, ridevano tutt’e due come matti guardando il vecchio che fiutava, starnutiva...
«Ach, mein lieber Augustin, Augustin, Augustin...» Qualcosa suonava nei suoi visceri. E l’uomo scuoteva il capo con un’aria profondamente soddisfatta.