22.

Un venerdì sera Yankel Cukier si lucidò gli stivali, si lavò la barba, avvolse il talles di seta intorno al libro delle preghiere e se ne andò. I partigiani lo guardarono con simpatia, mentre si allontanava. Soltanto Machorka grugnì:

«A un ebreo non piace pregare da solo. Ha paura di restare solo con Dio».

Yankel camminava spedito: era in ritardo. Tutti i venerdì sera si avventurava a questo modo fino ad Antokol, un sobborgo di Vilna, e si insinuava tra le macerie della vecchia polveriera. Questa polveriera fungeva da sinagoga di fortuna e da luogo di riunione per gli ebrei nascosti nella foresta: le truppe russe l’avevano fatta saltare quando si erano ritirate, nel ’41, ma parecchi sotterranei erano rimasti quasi intatti. L’accesso era difficile, e nessuno vi entrava mai, a eccezione dei fedeli che erano stati risparmiati dai pogrom. Non erano molti, e la loro parola d’ordine era “prudenza”. Innanzitutto Cymes, il briccone, sgattaiolava tra le macerie, ispezionava i luoghi – di solito non vi erano che pipistrelli e topi affamati – poi emetteva un fischio stridulo: allora i fedeli entravano tra le macerie, uno a uno, silenziosi e spauriti... Yankel giunse un po’ in ritardo. Nel sotterraneo Cymes aveva trionfalmente installato una lanterna antivento, rubata il giorno prima nella stazione centrale di Vilna. C’era già una decina di uomini, magri e nervosi, dai gesti convulsi, dalle lunghe mani tragiche. Sioma Kapelusznik, il vecchio mercante di berretti di via Niemiecka, faceva le funzioni del cantore. Con il cappello sugli occhi, si batteva il petto, si dondolava; le sue labbra si muovevano, di tanto in tanto la sua voce saliva in un lungo lamento cantato, poi si riabbassava, e soltanto le labbra continuavano a muoversi, silenziose. I suoi occhi non guardavano mai il libro delle preghiere, aperto davanti a sé, ma andavano furtivamente qua e là, pieni di terrore: alle facce dei fedeli, agli angoli in ombra, ai muri di pietra. Al minimo rumore trasaliva, poi si irrigidiva bruscamente e ascoltava: soltanto le labbra, che gli si erano sbiancate, continuavano a mormorare, e il pugno, per un attimo sospeso in aria, cadeva a battergli sul petto incavato, in un gesto automatico. Gli ebrei pregavano: un lungo mormorio sostenuto, con timbro uguale, e poi, improvvisamente, un lungo singhiozzo si sprigionava da un petto, un lungo lamento, a metà cantato a metà parlato, una specie di disperata domanda, eternamente condannata a restare senza risposta. Allora gli altri fedeli alzavano la voce, facevano risentire questa domanda tragica, quel singhiozzo vibrante, poi le voci si riabbassavano e ridiventavano mormorio.

«Leku nranenà ladonai narià letzur ishenu», singhiozzò Sioma. «Shemà Israel Adonai... Chi, chi è rimasto fuori a fare la guardia?»

«Cymes», rispose in fretta un fedele, gli occhi sul Libro, mentre si batteva il petto. «Cymes è rimasto... Shemà Israel Adonai elohenu Adonai echad».

«Baruch shem kavod malkuto leolam waed...» salmodiò piamente la voce di Cymes. «Sono qui, rabbi. Anch’io voglio pregare, come voi».

«Arbaim shanà aqut bedor waomar», salmodiò, dondolandosi, il cantore. «Allora chi, chi è rimasto fuori a far da palo?»

«Arbaim shanà aqut bedor waomar», anche Cymes si lamentò, senza compromettersi.

«Adonai echad», urlò il cantore, abbassando l’estremità del talles e battendosi selvaggiamente il petto. «Nessuno è rimasto fuori a far da palo. Arbaim shanà aqut... Dico che così non va. Bisogna che qualcuno vada fuori a far da palo! Arbaim shanà aqut...»

«L’avete già cantato tre volte, rabbi!» osservò bruscamente il giovane Cymes.

«...bedor waomar», finì Sioma. «Non ho bisogno che mi si dica quello che faccio o non faccio».

«Siamo venuti qui per pregare o per discutere?» fece un piccolo ebreo dai capelli rossi, con tono furioso.

«Non ho bisogno che mi si ricordi perché siamo venuti qui», squittì il cantore. «Shiru ladonai shir chadosh».

«Shiru ladonai».

«Oy, shiru ladonai. Cantate, cantate il nuovo cantico davanti al Signore. Kaminski, vai fuori a fare la guardia».

«Oy, shiru ladonai», riprese fedelmente Kaminski, con gli occhi in estasi.

Era un ebreo gigantesco, barbuto, ex vetturino di fiacre di Vilna.

«Ladonai shir chadosh», salmodiò il cantore. «Kaminski, mi pare di averti detto qualche cosa. Ti ho detto: vai fuori a fare la guardia».

«La... A... Adonai shir chadosh».

«Kaminski, ti ho detto...»

«Non mi rompere le scatole!» muggì il gigante, con gli occhi iniettati di sangue. «Mi confondo quando mi si rompono le scatole. E quando mi confondo... Shiru ladonai shir chadosh».

«Baruch shem kavod malkuto leolam waed», salmodiò rapidamente il cantore. «Quando saremo stati tutti quanti massacrati da qualche pattuglia, allora me la riderò!»

«Adonai echad».

«Me la riderò, quando saremo stati tutti quanti massacrati da qualche pattuglia, oy, come me la riderò! Shemà Israel Adonai...»

«Me la riderò, me la riderò, quando sare... pfu!» sputò Kaminski incollerito. «Mi fai confondere, Kapelusznik. Non puoi dire tranquillamente la tua preghiera, non puoi?»

«Come volete che possa dire tranquillamente la mia preghiera quando gli assassini ci gironzolano intorno, pronti a sgozzarci, e fuori non c’è nessuno a far la guardia? Lifnè Adonai ki ba ki ba lishpot haaretz. Come volete?»

«Ba lishpot haaretz. Tu vedi assassini ovunque. Ki ba, ki ba, Adonai ki ba... In piedi, in piedi al cospetto del Signore!»

«Adonai ki ba; shemà Israel Adonai... Cos’è che sento?»

«Rabbi, non senti proprio niente».

«Ho sentito qualcosa. Shemà Israel Adonai elohenu...»

«Adonai echad... Oy... Che cosa era? Non mi far paura, rabbi... Ho una moglie che è al sesto mese, è brutta la paura per la gravidanza. Melek leolam waed. Potrebbe farla partorire prima del tempo».

«Potrebbe farla par... pfu, pfu, pfu!» sputò ancora Kaminski. «Io divento matto! Melek leolam waed».

Finite le preghiere, gli ebrei scivolarono fuori nella notte, si dispersero nella foresta. All’uscita, Yankel era andato a cercare Kaminski.

«Dunque?»

«Il camion passa tutti i giorni per quella strada, lungo il Wilejka. Porta gli approvvigionamenti ai posti isolati. Ho visto munizioni, armi...»

«Molti uomini?»

«Generalmente tre uomini, oltre l’autista. Uno davanti e gli altri due all’interno... Non hanno timori».

«A che ora?»

«Alle quattro il camion passa per il grande gomito del Wilejka: la strada ha una forte pendenza, di circa cinquecento metri. È il posto più adatto».

Si separarono. Yankel scomparve nella notte.

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