Si stanno fregando i nostri soldi
Perché non sopportiamo più i politici? Perché ci rubano i soldi.
E allora perché non odiamo gli economisti e i finanzieri? Semplice, perché non abbiamo ancora capito quanti soldi ci fregano.
E perché non l’abbiamo capito? Facile, perché non ce lo raccontano. Perché il sistema bancario e finanziario mantiene tutti. Dai giornali alla politica. Quindi il corpo del reato non lo vediamo mai. Eppure la crisi che stiamo vivendo non nasce soltanto dalle creste che i politici fanno sugli appalti. No, la crisi che stiamo vivendo è causata da un sistema. Che io chiamo GangBank. E le creste che questo sistema fa sono un crimine che stiamo ancora pagando.
GangBank ha rubato i nostri soldi, ci ha privato del lavoro dopo averne annullato i diritti. GangBank mira a toglierci di mezzo come cittadini. A loro bastiamo come clienti.
Si stanno fregando i nostri soldi. Soldi guadagnati con sudore, con sacrificio. Soldi che magari qualcuno ha messo via in nero, che per questo diventa il bersaglio della reprimenda di commentatori che poi tengono i loro speech ai convegni promossi o sponsorizzati da multinazionali ingrassate con l’elusione fiscale. La retorica dei nostri commentatori e dei nostri tromboni si è abbattuta sugli artigiani evasori, provocando un danno economico, sui dipendenti pubblici che fanno il doppio lavoro e cose simili, facendo credere che i guai dell’Italia dipendessero da costoro. Le gazzette mantenute dai diretti interessati hanno sputato sulle tute blu, generando così i presupposti per riforme del lavoro all’insegna della flessibilità che hanno prodotto così tanti posti di lavoro che i nostri figli girano da un posto a un altro con contratti da stagisti o pagati a voucher.
Al bar si fa ancora casino sulle auto blu e sui vitalizi dei parlamentari perché l’informazione mantenuta dal neoliberismo non racconta con la stessa insistenza l’arroganza e l’avidità di banchieri e finanzieri. Scrivono libri sugli sprechi del settore pubblico (la siringa che al Nord costa 5 e al Sud costa 50), ma non si racconta della montagna di soldi che ci costa salvare i disastri provocati dalla finanza coi suoi algoritmi.
Sì, i politici rubano e molti andrebbero presi per la collottola e sbattuti fuori dalle istituzioni. Ma se tutta la rabbia finisce lì, allora non abbiamo capito nulla. E nulla capiremo. I politici meritano tutta la nostra rabbia perché hanno tradito la Costituzione, l’hanno svenduta alle lobby che scrivono in nome e per conto dell’Europa. I trattati internazionali e i trattati europei sono stati la nostra rovina, ma sono stati scritti col linguaggio dell’ipertecnicismo per allontanarci dalla conoscenza. La crisi parte dal linguaggio. Purtroppo i politici parlano come al bar, sono un branco di ignoranti pagati profumatamente. Ma li capiamo. Perché parlano a slogan. La finanza non parla a slogan. L’economia non parla a slogan. Il sistema GangBank non ha bisogno di prendere i voti, usa quelli degli altri.
La scena è questa: noi cittadini e i politici ci scanniamo in un combattimento da strada, la finanza scommette su di noi. Non si sporcano mai le mani, loro. Sebbene siano i responsabili. Chi ha scatenato questa crisi finanziaria? Chi non ha avvertito che il gioco era truccato, che il prodotto venduto era un virus mortale (titoli spazzatura, derivati, inganni finanziari…)? Loro. Quelli del GangBank. Quelli che prima che saltasse il sistema mettevano nero su bianco sui loro report che andava tutto bene. Sentenziavano persino che Lehman Brothers fosse una banca solida, un mese e mezzo prima che saltasse. I banchieri centrali. Le merchant bank coi loro sicari economici sguinzagliati nelle istituzioni. Le agenzie di rating. Pensate che questi non siano corrotti come lo sono i politici contro cui ci scagliamo? Certo che lo sono. Lo sono molto di più. E sarebbe ora quindi di smetterla di pendere dalle loro labbra.
Come fare per depotenziarne il verbo? Semplice, ripuntando sullo Stato. Sì, su quello Stato che ci fa arrabbiare dalla mattina alla sera ma che almeno vediamo e possiamo controllare. Attraverso la democrazia e la Costituzione che è sempre meglio di quegli stupidi trattati europei in nome dei quali ci siamo impoveriti. Riprendiamoci lo Stato. RIPRENDIAMOCI TUTTO QUELLO CHE CI SPETTA PER COSTITUZIONE! Chi l’ha detto che dobbiamo assistere a questo arrogante processo di “sdemocratizzazione”? Come? Decidendo noi se premiare o punire quei politici che vanno a braccetto con le multinazionali, che vanno a pranzo con i capi delle banche d’affari. Decidendo di non ascoltare più quei soloni che parlano a vanvera sul debito pubblico e non sanno che il debito pubblico, negli anni di austerity, è aumentato ugualmente senza generare quella ricchezza che negli anni del cosiddetto “spreco” ci ha permesso di vivere bene. Decidendo di rompere quella retorica per cui il pubblico è male e il privato è bene. Le privatizzazioni e le liberalizzazioni sono state una fregatura. Il libero mercato è tutt’altro che libero: è il regno del potere neoliberista. Nel libero mercato si pensano, si scrivono e si comandano le nuove regole del lavoro, del risparmio, della nostra quotidianità.
Gente avida di denaro e di potere peggio della casta parlamentare sta impoverendo l’Italia e gli italiani. Solo che non va nei talk show a farsi vedere. Fateci caso. Lascia agli altri le baruffe chiozzotte. Così non facendosi vedere non muovono ad antipatia. Però non è vero che sono invisibili. Costoro ci circondano ma non ci facciamo caso. Il sistema GangBank è dentro le pubblicità delle banche, delle assicurazioni, delle società di investimento, delle auto vendute a debito, dei telefonini che ci controllano h24, dei social che ci hanno ridotto a un branco di beoti. Andiamoli a stanare, questi truffatori, questi nuovi criminali con il colletto bianco.
Da soli, singolarmente, non riusciremo a vincere. Abbiamo bisogno di ripartire dallo Stato, che alla fine è meno ladro di questi altri. Solo che questi altri pagano e mantengono esperti e commentatori per dire il falso. Lo Stato ha gli strumenti per fermare il neoliberismo. Certo, ci vuole una classe dirigente che abbia il coraggio di servire lo Stato e non di servire se stessa pensando di essere lei lo Stato. Rivediamo il debito pubblico contratto con l’inganno e con il ricatto, altrimenti tanti saluti. Facciamo come fanno loro: bad company e good company. Per quale motivo il neoliberismo combina i guai (cioè scatena la crisi) e poi noi dobbiamo pagare il conto?
La finanza non ha bisogno di particolari segreti da svelare o di codici da decriptare: qualche volta entreremo anche nei dettagli, ma se vi annoiano, saltateli. Vi basti capire una cosa, facile facile. Sotto gli occhi di tutti. SI STANNO FREGANDO I NOSTRI SOLDI. Li prendono come fossero i loro. E oltre ai soldi SI SONO IMPOSSESSATI DELLE NOSTRE VITE. Per loro è facile: saremo presto sostituiti da robot che lavoreranno al posto nostro. Per chi resta ci sarà la riffa dei posti disponibili, con i contratti che ci sono.
Michele era un ragazzo, trentenne, friulano. Ha detto addio alla vita. Si è ucciso stanco del precariato accusando chi ha tradito la sua generazione, lasciata senza prospettive. Ha scritto una lettera che per volontà dei genitori è divenuta pubblica. Lo hanno fatto perché la sua denuncia non cadesse nel vuoto. Mi sembra giusto che il suo suicidio politico, che il suo manifesto di cittadino invisibile, non si smarrisca nel menefreghismo del dibattito politico italiano. Ecco il testo.
Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi.
Ho cercato di essere una brava persona, ho commesso molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte.
Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di inutili colloqui di lavoro come grafico, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.
Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia.
Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.
A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.
Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.
Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.
Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno.
Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.
Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, il modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri.
Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza sì, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino.
Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.
Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.
P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho potuto.
Michele ha consegnato un manifesto politico che solo la inadeguatezza e la superficialità della nostra classe politica poteva non vedere. Quella lettera è troppo alta, troppo impegnativa, per il nanismo di Poletti e di tutti gli altri. «Non strumentalizzate questa morte» hanno detto alcuni politici evidentemente con la coda di paglia. E perché dovremmo farlo quando è proprio Michele che lancia accuse precise, con nomi precisi? Il suicidio di Michele e di tutti coloro che si sono impiccati nei capannoni o altrove, perché il lavoro è un tema che da decenni viene sacrificato sull’altare delle politiche neoliberiste, non vale meno del suicidio di Mohamed Bouazizi, il giovane ambulante tunisino che si diede fuoco davanti alla sede del governatorato di Sidi Bouzid. Quel gesto nel 2011 scatenò la Rivoluzione dei gelsomini in Tunisia. Non c’è depressione, c’è antagonismo politico. Michele non è dissimile da Mohamed o da Jan Palach, eroe della Primavera di Praga (ricordate, compagnucci dalla memoria corta e dalla dignità svenduta a prezzi di saldo? Certo che non potete ricordare, visto che il vostro punto di riferimento oggi è quel Giorgio Napolitano che allora arrivò a solidarizzare con l’Unione Sovietica), anch’egli suicida. Suicidi politici, com’è politico il gesto estremo del “fantasma” friulano. Altro che strumentalizzazioni. È tutto rivendicato, non c’è niente da “manipolare”.
Ecco perché politicamente tutta questa classe dirigente è responsabile. Sono loro le firme sulle leggi che istituiscono il precariato sociale, il disagio sociale. Se Poletti non è capace si scansi, tanto non se ne accorgerebbe nessuno. Non è più tempo dei nani. E a tal proposito faccio mie le parole del Cirano di Guccini: «Tornate a casa nani, levatevi davanti; per la mia rabbia enorme mi servono giganti». Peccato che di giganti non ce ne siano.
Ci siamo dimenticati di avere una Costituzione come guida. Michele e i tanti che si sono tolti la vita sono stati svenduti da una classe politica che ha tradito non solo lo spirito della Costituzione ma anche le sue norme. Ci siamo fatti narcotizzare dal mito dell’Europa unita e della cittadinanza europea. Non è vero. Non c’è alcuna cittadinanza europea. Non c’è una Carta che sancisca così cristallinamente quello che è scritto nella Costituzione italiana, non quella che l’eurofanatismo ha mutilato con il pareggio di bilancio. È imbarazzante come GangBank chieda esplicitamente – e lo vedremo in questo libro – di stracciare la nostra Carta in nome dei trattati europei e internazionali. Se l’Europa vuole ripartire, ricominci dai diritti dei cittadini, non dai privilegi per la finanza. Il neoliberismo ci sta indebitando, ci costringe alla “vita a rate”. Il neoliberismo ha sostituito il welfare pubblico con il business privato, che costa di più e non è immune a quei ladrocini che contestiamo alla classe politica. Il neoliberismo, dopo aver annullato il lavoro, è pronto a calare la carta della supermodernità, della supertecnologia: la robotizzazione perfetta.
Richard Freeman, economista di Harvard, afferma che la robotizzazione «rischia di dividere le società tra i proprietari dei robot e degli algoritmi da una parte e i lavoratori dall’altra. Il maggior rischio non è un futuro senza lavoro bensì un futuro in cui i salari saranno in calo o stagnanti (perché le macchine si prenderanno la quota maggiore di lavori ad alta produttività) e la fetta di guadagno che andrà ai proprietari aumenterà».
Lavoratori e imprenditori dell’economia reale non potranno che allearsi: Brexit, Trump e Marine Le Pen dimostrano che le appartenenze ideologiche sono sospese in questa guerra allo strapotere del neoliberismo. I ruggiti della finanza speculativa, quindi ladra, si saldano con l’ingordigia dei nuovi guru della Silicon Valley, ai quali abbiamo consegnato le nostre vite private.
Facebook ha in mano una licenza bancaria e da qui partirà per entrare anche nel mondo della raccolta e della gestione del credito; scommettete? Per ora le regole se le fa scrivere dai politici, ma il Manifesto sociale vergato da Mark Zuckerberg ci fa capire che questi ragazzini miliardari sono pronti a scendere in campo raccontandoci la favoletta della modernità, della globalizzazione e della pace.
Fa specie pensare che un giovane leader – Matteo Renzi – sia andato in California per imparare «dai più bravi», come egli ha spiegato. Mi muove tristezza pensare che i campioni del nuovismo, della rottamazione, guardino all’America con la sudditanza culturale di chi ha già mollato l’Italia. Non abbiamo bisogno degli americani, né tanto meno di quelli della Silicon Valley. Le nostre province hanno innovato producendo “cose”, non dati. Il mondo dei capannoni e dei distretti – che mai tanta attenzione ha avuto dai governi, nemmeno quando governava il cosiddetto “fronte del Nord” – non è per nulla finito. È stato tradito in nome della rottamazione culturale. Gli italiani hanno sempre avuto una marcia in più. «Vado a imparare da chi è più bravo» è una frase meschina: altro che leadership, questo è servilismo verso i nuovi padroni. Per ripartire occorre rispettare l’Italia e gli italiani, le sue storie di piccole imprese. Qualità, design, organizzazione. Non tutto è perduto. Nemmeno in tempo di crisi.
GangBank ha pronta la sua società, basata sugli algoritmi e sui dati. Una società dove comandano le nuove élite. Molto più odiose e pericolose di quella Casta contro cui urliamo.