18

DICEVANO che Brasida fosse morto con il canto di trionfo degli spartani nelle orecchie. Dicevano che fosse morto con un sorriso malinconico sulle labbra. Pochi avevano visto davvero la sua fine terribile sulla punta della lancia di Deimos. Mentre l’Adrestia si allontanava dalla Baia di Amfipoli, Kassandra contemplava l’entroterra arrossata dal sole morente e punteggiata di pire funerarie e montagnole celebrative. Ora la collina su cui si era combattuto era sgombra di cadaveri, ma i caduti non sarebbero stati dimenticati. Soprattutto Sparta aveva trovato un nuovo eroe in Brasida. Già il suo esercito poliglotta era stato ribattezzato con il nome di «I brasidani». Quand’era partita, spartani e iloti erano ancora accampati insieme. Per una volta la vittoria aveva sciolto in fratellanza le differenze di classe.

Nonostante il trionfo il viaggio verso sud avvenne in un’atmosfera depressa, con Barnaba e i suoi uomini, diventati taciturni, a trascorrere le sere appartati a bere e raccontarsi l’un l’altro aneddoti delle loro avventure con Kassandra. Si fermarono ad Atene, dov’era stato eletto un nuovo generale, Nicia, sostenuto da Socrate e da coloro che nei giorni più bui del governo di Cleone erano rimasti fedeli ai principi di Pericle. Aveva addirittura avviato colloqui con Sparta e si diceva che fosse in vista un trattato di pace, un giuramento di armonia della durata di cinquant’anni. Era un’iniziativa encomiabile, rifletté Kassandra. Sparta e Atene avevano sofferto molto da quella guerra e nessuna delle due aveva ottenuto altro che un numero sconsiderato di vedove e orfani. Ad Atene si trattenne per il tempo di una luna, tornando ripetutamente a sedersi in silenzio davanti alle tombe di Febe e di Pericle prima di salpare di nuovo verso casa.

Arrivarono a Sparta ai primi di agosto. In una limpida tarda mattina d’estate lasciò il porto di Trinisia diretta alla Conca accompagnata da Barnaba che camminava accanto al suo cavallo. Molto tempo era passato dalla disastrosa sconfitta di Sfacteria, quando aveva visto sua madre per l’ultima volta. Ora le sembrava di rivivere le stesse emozioni di quando anni prima era in viaggio per Naxos. Myrrine sapeva che sua figlia era ancora viva? Era ancora in salute? Quando entrarono nei villaggi spartani, il cuore le batteva forte nel petto. Gli iloti sospesero quello che stavano facendo e si alzarono a guardarla.

«Il misthios», sussurrò uno di loro.

«L’eroina della Beozia», disse un altro.

«È proprio lei? Quella che ha combattuto ad Amfipoli al fianco di Brasida e ha conquistato il Nord?»

Persino gli spartiate che in quel momento si trovavano nel ginnasio ad allenarsi smisero di schiamazzare e fecero silenzio. La osservarono come sempre con cipigli di disprezzo. Poi, tutti insieme, cominciarono ad alzare le lance. Per un momento Kassandra pensò che volessero aggredirla, ma le lance continuarono a sollevarsi, impugnate da una sola mano, rivolte al cielo in segno di saluto. In coro gli spartiati lanciarono un grido che la commosse fin nell’anima.

«Aroo!»

Vide in lontananza la porta della sua casa aprirsi di uno spiraglio. Da esso scivolò fuori Myrrine con una mano sul petto come per tenere a bada il cuore. Kassandra scese dal cavallo, le andò incontro a passi incerti e cadde tra le braccia di sua madre.

Quasi tutte le sere sedevano al focolare a bere vino abbondantemente allungato e a consumare olive e fette di torta di farina d’orzo. Ci vollero molte serate per spiegare tutto, la batosta subita a Sfacteria, le lunghe, insopportabili lune nella prigione ateniese e il giorno in cui tutto era cambiato. La libertà, la commedia di Aristofane e infine il viaggio a nord alla volta di Amfipoli.

«La luna scorsa sono giunte fin qui notizie di quello che stava succedendo lassù», disse Myrrine. Bevve un sorso di vino. «Hanno parlato di un gran numero di caduti, ma di una vittoria gloriosa. Si è saputo della morte di Brasida.»

«È stato un esempio per tutti noi», ribatté Kassandra. «Gli efori gli avevano messo a disposizione poco o niente con cui combattere ed è riuscito lo stesso a preservare i territori settentrionali dall’assalto di Cleone. Ho sentito che hanno intenzione di erigere un cenotafio in suo onore vicino alla Tomba di Leonida. Sarebbe in giusta compagnia.»

«Quando ho saputo della sua morte, ho pianto. Ma poi ho sentito la gente parlare di un’altra persona presente in quella battaglia, una mercenaria. Ho subito sperato con tutto il cuore che in qualche maniera, chissà come, fossi tu. Da quando ti avevo mandata a Sfacteria, non avevo più saputo nulla, solo racconti di cadaveri carbonizzati sull’isola bruciata. Ma non mi sono mai permessa di credere fino in fondo che ad Amfipoli fossi tu. In certi momenti pregavo il contrario... perché dicevano che ci fosse anche Deimos.»

Un nodo si formò nella gola di Kassandra. «C’era.»

Myrrine staccò lentamente gli occhi dalle fiamme e i suoi occhi luccicarono come gemme nel suo volto illuminato solo per metà. «Già, e allora devono essere vere anche le voci secondo cui è stato lui a uccidere Brasida.»

«Tu... tu mi avevi chiesto di riportarlo a casa», mormorò Kassandra. «Non ci sono riuscita.»

A quel punto Myrrine sembrò chiudersi in se stessa e il suo sguardo tornò al focolare fissandosi sperduto sulle fiamme.

«Ci ho provato, madre. Ma Cleone di Atene lo ha ucciso per pura invidia.»

Passò del tempo prima che Myrrine muovesse la testa. «Così se n’è andato un altro della nostra famiglia», commentò sottovoce. Si alzò per tornare a sedersi di fianco a Kassandra e passarle un braccio intorno alle spalle. «Adesso siamo rimasti in pochi», disse ravviandole una ciocca di capelli che le era sfuggita dall’acconciatura e guardandola negli occhi. «Credo che ora dovrei darti la risposta alla domanda che mi hai rivolto molto tempo fa.»

«Non capisco.»

«Tuo padre, Kassandra, il tuo vero padre.»

Myrrine le avvicinò le labbra all’orecchio.

Il nome che le bisbigliò riverberò in Kassandra dalla testa ai piedi. Fu come sentir suonare una campana. Allora capì...

* * *

Passarono le stagioni e l’autunno portò con sé venti forti e tempeste. Una mattina Kassandra si svegliò nel caldo confortevole del suo letto, con la mente fresca e il corpo finalmente libero dagli acciacchi e i dolori che l’avevano tormentata per anni. Vide fuori di casa un cielo imbronciato incorniciare le vette del Taigeto. Fu forse la vicinanza del sonno o fu la sfumatura precisa di quelle nuvole, fatto sta che qualcosa le toccò il cuore evocando i ricordi di quella notte della sua infanzia. Per la prima volta lasciò senza paura che la memoria facesse il suo corso. Da quando era tornata a Sparta aveva visitato tutti i cinque antichi villaggi, presenziando alle feste e alle serate di poesia, esercitandosi al ginnasio e nuotando quasi tutte le mattine alle luci dell’alba nelle acque tonificanti dell’Eurota. Per quel giorno aveva in programma di portare Icaro a cacciare nel bosco, ma si rese conto ora che c’era un luogo dove non era ancora stata.

Ci andò da sola, senza dir niente a sua madre e a Barnaba. Portando con sé solo acqua e formaggio, s’incamminò respirando a fondo l’aria fresca e profumata di pino e terra umida per schiarirsi la mente. Quando cominciò a salire, si staccò dal fianco la famosa mezza lancia e cercò di usarla come un bastone per aiutarsi nel cammino. Con un mesto sorriso prese atto di quanto fosse inadatta a quello scopo e di quanto fosse stata ancora piccola tanti anni prima quando la usava in quel modo. Salendo per il sentiero immaginò di essere accompagnata dai fantasmi di quell’epoca lontana, gli odiosi efori e sacerdoti. Nicolao, Myrrine e, in braccio a lei... il piccolo Alexios.

Le lacrime cominciarono a bruciarle gli occhi e i pensieri le impedirono di udire i richiami di Icaro che volava con lei. Quando arrivò sull’altopiano, si fermò a contemplare il vecchio e triste altare, teatro di quei tragici avvenimenti. Per un attimo credette che tutto lo sconforto che aveva dentro stesse per esplodere. Per poco non lasciò che succedesse. Solo una cosa la fermò.

L’altra persona che sostava davanti all’altare.

Le girava le spalle, con lo sguardo rivolto allo strapiombo.

«A... Alexios?...» balbettò.

Ora i richiami di avvertimento di Icaro che volteggiava strillando sopra di lei le furono improvvisamente chiari.

Alexios non rispose.

«Ma ti ho visto cadere ad Amfipoli.» Fissava il brutto cordone di pelle che rimarginava una recente ferita da freccia tra le spalle nude, nascosto solo in parte dai lunghi riccioli scuri.

«La ferita è solo una decorazione.» Si girò verso di lei, impassibile. «Ho trascorso quest’ultima luna quassù in attesa. Sapevo che prima o poi saresti venuta.» C’era una luce terribile nei suoi occhi, glaciale. Allora Kassandra si rese conto che non stava guardando lei, ma qualcosa dietro le sue spalle.

«Agnello mio, figliolo», disse Myrrine fermandosi di fianco a sua figlia.

«Madre?» esclamò Kassandra. «Mi hai seguita?»

«È la montagna ad averci attirato quassù tutti e tre», rispose Myrrine posandole con delicatezza una mano sulla spalla mentre s’incamminava. «Avevi promesso di riportarlo a casa, Kassandra, e lo hai fatto.»

Kassandra la fermò prendendola per un polso. «Non è prudente, madre.»

Ma gli occhi di Myrrine luccicarono di lacrime mentre protendeva una mano verso il figlio.

Alexios abbassò la testa, corrucciato. «Sul ciglio del mondo una madre porge la mano al figlio. Commovente.»

«Alexios, ti prego», lo supplicò Myrrine.

«Usi quel nome come se per me potesse significare qualcosa», ribatté lui con disprezzo.

«È il nome che ti abbiamo dato io e tuo padre.»

Alexios rialzò la testa di scatto inclinandola su un lato per guardarla con diffidenza. «È stato prima di portarmi quassù a morire?»

Myrrine si premette una mano al petto. «È stato il Culto a portare tutti noi quassù quella notte. Io feci tutto il possibile per salvarti.»

Alexios chiuse i pugni e la tensione lo fece fremere.

Kassandra vide il fuoco che si accendeva dentro di lui. «È finita, Alexios. La guerra, il Culto. Spazza via le loro nubi dalla tua mente. Ricorda chi sei.»

Lui scosse molto lentamente la testa. «Il Culto voleva portare ordine nel mondo. Io ero il loro prescelto e ora sarò io a stabilire quell’ordine.»

«Noi siamo dello stesso sangue, Alexios», gli fece notare Kassandra. «La mia famiglia è la sola cosa che ho sempre desiderato. E credo che anche tu abbia lo stesso sentimento.»

Alexios abbassò nuovamente la testa. Per un po’ rimase in silenzio. «Una volta, da bambino, quando era Criside a occuparsi di me, ho trovato un cucciolo di leone intrappolato in una tagliola. Il mio amico ha cercato di liberarlo... ed è stato allora che ho sentito il ringhio minaccioso della madre.» La sua testa cominciò a risollevarsi. «Ho guardato la leonessa sbranare il mio amico. Nel mondo degli animali, la famiglia protegge i suoi piccoli.» Ora la sua testa si era alzata del tutto e i suoi occhi erano tenebrosi e lucidi.

«Io ti amo, Alexios», singhiozzò Myrrine. Per un momento fece una smorfia come se in lotta con se stessa. «A dispetto delle tradizioni spartane, io ti ho amato... e ti amo ancora.»

La mano di Alexios si avvicinò lentamente alla guaina che portava appesa alla spalla e cominciò a estrarre la spada. «Il mio nome è Deimos. Quello che ami è morto. Il mio destino è chiaro e tu non mi ostacolerai.» Avanzò verso di lei ed estrasse la spada in un lampo.

Ci fu uno schiocco metallico e la lancia di Kassandra parò il suo colpo e salvò sua madre. Con la lama del figlio a non più di un dito dalla testa, Myrrine non batté ciglio, ma la sua faccia si inondò di nuove lacrime.

«Alexios, no!» proruppe Kassandra.

Saliva schizzò tra i denti serrati di Alexios per lo sforzo di calare la lama sulla testa di sua madre.

Kassandra gridò di nuovo e chiamò a raccolta tutte le forze respingendolo e puntandogli poi la lancia al petto. «Non voglio combattere con te.»

«Te l’ho detto già ad Amfipoli, sorella. Uno di noi due deve morire», rispose lui e attaccò.

Le loro lame si incrociarono in un’esplosione di scintille e nel cielo sopra la vetta risuonò il canto terribile dei ferri.

«No, no!» implorò Myrrine indietreggiando e cadendo in ginocchio.

Deimos si scatenò in una serie di colpi all’impazzata, ferendola alle braccia, aprendole uno squarcio sulla fronte, spingendola quasi a precipitare dalla rupe, e se non fosse stato per la sua straordinaria reattività e per una fortunosa nuvola di polvere sollevata da un calcio, suo fratello l’avrebbe sopraffatta. Le nuvole scure sopra di loro si addensarono e, mentre brontolava il primo tuono, Kassandra si sentì invadere da una collera incontenibile. Mentre la pioggia cominciava a cadere, colpì ripetutamente la spada di Alexios, vide spegnersi nei suoi occhi la luce demoniaca, guardò la sua arma sfuggirgli dalla mano e precipitare nel vuoto. Quando suo fratello si raggomitolò alzando le mani per servirsene come scudo, sentì il braccio armato tendersi e il proprio corpo contrarsi in preparazione del colpo da infliggere.

La punta della lancia si fermò a un centimetro dal suo sterno.

Ansimavano tutti e due, gli occhi negli occhi, Kassandra curva su di lui a tenerlo bloccato sulla soglia della morte. Nel cielo un brontolio annunciò la nascita di un nuovo tuono.

Myrrine accorse con le mani nei capelli. «No, ti prego!»

«Ho fatto cose terribili», mormorò Alexios. «Sorella, sarebbe potuto essere tutto molto diverso.»

Kassandra sentì il guizzo caldo della fiamma che le si riaccendeva nel cuore. «È ancora possibile, fratello.»

«Ti avevo detto che uno di noi deve morire», rispose lui scuotendo la testa. «Nessuno aveva la forza di sovrastarmi... finché non ho combattuto contro di te a Sfacteria. Quella volta sei stata mia pari. E poi di nuovo ad Amfipoli. Se non mi avesse ferito Cleone, mi avresti battuto.»

«Non ha nessuna importanza», dichiarò lei implorante. «Pensa a quello che ci si offre. Essere la famiglia che avremmo dovuto.»

Si guardarono e fu esattamene come in quel momento della loro infanzia quando per poco Kassandra non era riuscita a salvarlo. Una lacrima scivolò sulla guancia di Alexios a mescolarsi con la pioggia. «Io non posso essere quello che vorresti tu.» Scosse di nuovo lentamente la testa e gli tremarono le labbra. «Le radici dell’erba cattiva sono profonde.»

Kassandra vide la sua mano strisciare verso l’orlo della gambiera, lo vide sfilare il coltello che vi teneva nascosto, lo vide allungare il braccio verso il collo di Myrrine. Il tempo rallentò. Kassandra sentì la contrazione del proprio corpo nel momento in cui affondava la lancia di Leonida nel petto di Alexios. Il coltello cadde dalla mano del fratello e i suoi occhi si alzarono verso il cielo accompagnati da un lungo, lento rantolo finale.

Myrrine emise un lamento straziato e il pianto di Kassandra fu lungo e costellato di singhiozzi. Il boato di un tuono riempì il cielo e solo quando si spense Myrrine smise di piangere.

«Ho cercato di salvarlo, madre», si scusò Kassandra mentre la pioggia cominciava a diradarsi.

«Ho visto cos’è successo», rispose con la voce rotta Myrrine. «Adesso è libero.»

Si abbracciarono l’un l’altra e abbracciarono il corpo di Alexios per ore. A un certo punto le nuvole si aprirono e fasci di luce di un intenso arancione scesero ad allungarsi sulle cime del Taigeto.