Capitolo quindicesimo

La presenza nella realtà

La realizzazione di questo potere, il secondo nel nostro progetto di buddhità, non è possibile se si ha la mente invasa dai pensieri.

Vediamo quindi come il potere precedente, il controllo della mente, che conduce all’attenuazione del pensiero, sia necessario alla realizzazione di questo secondo potere.77

Non solo, ma esso permette e agevola la sua realizzazione.

Una volta attenuato il pensiero o addirittura svuotata la mente, infatti, ti riuscirà spontaneo rivolgere la tua attenzione alla realtà.

Ma qual è, la realtà?

La realtà è l’ambiente che ci circonda.

 

La realtà è l’ambiente che ci circonda

 

L’ambiente che ci circonda è infatti, per ognuno di noi, la nostra realtà.

Non è così banale, questo fatto.

Ti metto alla prova.

Siamo a New York, seduti nella veranda della Times Square Brewery.

Ti domando: «Per te, place Pigalle a Parigi è reale?»

Probabilmente tu mi rispondi: «Sì».

Invece no.

Se tu ti trovi a New York, in Times Square, l’ambiente che ti circonda è Times Square a New York, non place Pigalle a Parigi.

Quindi la tua realtà è Times Square a New York.

Parigi e place Pigalle non sono l’ambiente che ti circonda.

Non sono la tua realtà.

Essi sono soltanto nella tua mente, nella tua memoria, non sono nella tua realtà.

Ma nemmeno Herald Square di New York è reale per te, se ti trovi in Times Square.

Perché nemmeno Herald Square è l’ambiente che ti circonda.

Nemmeno Herald Square per te è reale.

Riesci a capire?

La tua realtà è l’ambiente che ti circonda e che tu percepisci con i tuoi sensi.

Quindi la tua realtà è Times Square a New York.

Nient’altro.

Parigi e place Pigalle saranno la realtà di chi si trova a Parigi in place Pigalle, ma non la tua realtà.

La tua realtà è soltanto Times Square a New York, perché tu ti trovi precisamente in Times Square a New York, e quella, e soltanto quella, è per te la tua realtà.

Se tu ti comportassi in Times Square a New York come se fossi a place Pigalle a Parigi, non saresti in sintonia con la realtà.78

Non saresti presente alla tua realtà.

Non dirmelo.

Ti viene alle labbra l’obiezione: «E la guerra?»

Certo, la guerra è reale, ma è reale per quelli che ci sono dentro, non per noi che ce ne stiamo qui tranquillamente seduti a leggere questo libro.

Se telefoni ai soldati in guerra te lo confermano subito e ti mandano anche subito a dare via il salvadanaio.

Perché per noi che ce ne stiamo qui tranquillamente seduti a leggere questo libro, la guerra è soltanto nella nostra mente, non nella nostra realtà.

Come disse il paracadute, adesso mi spiego meglio.

Ho già detto in un mio precedente libro che esistono due mondi:



1 il mondo della mente

2 il mondo della realtà.79



Banalmente



Il mondo della realtà è reale,
il mondo della mente non è reale.


Degli oggetti presenti alla nostra coscienza, infatti, alcuni appartengono alla realtà che ci circonda, altri appartengono alla nostra mente, cioè alla nostra memoria.

Noi tendiamo a credere reali entrambi tali oggetti, ma non è così.

Sono reali soltanto gli oggetti che appartengono all’ambiente che ci circonda, non quelli che appartengono alla nostra memoria.

La cosa ti può sembrare discutibile, se sei ancora fortemente ancorato al mondo della tua mente, ma ti do una prova drammaticamente incontrovertibile.

Un tuo parente deceduto è indubbiamente ancora presente nella tua memoria, ma è evidente che egli non è presente nell’ambiente che ti circonda (e nemmeno in quello che non ti circonda) e quindi non è reale.

Purtroppo.

Altri esempi meno forti ma altrettanto incontrovertibili sono oggetto della nostra esperienza quotidiana.

Un esempio per tutti.

Totò, il grande napoletano, un giorno arriva tardi a un appuntamento.

L’amico gli chiede:

«Che ti è successo?»

«Ho fatto tardi perché mi ha fermato uno e mi ha detto: ‘Vincenzo, brutto disgraziato!’»

«E tu?»

«Io niente. Zitto».

«E poi?»

«E poi ha continuato. ‘Vincenzo, figlio di un cane!’»

«E tu che hai fatto?»

«Io sempre niente. Zitto».

«E lui ha continuato ancora?»

«Sissignori. E ha caricato la dose: ‘Vincenzo’ mi ha detto, ‘io ti devo ammazzare!’»

«E tu che hai fatto?»

«Io me ne sono andato».

«Come? Non hai reagito?»

«No».

«E perché?»

«Che me frega a me? Mica sono Vincenzo, io!»

Questa distinzione fra parole, pensiero e realtà a Napoli, dove i buddha abbondano, è ben chiara.80

Più si va al Nord più questa distinzione si attenua.

In Svezia se dite «scemo» a uno, quello si suicida.

L’attribuzione di realtà agli oggetti della nostra mente è precisamente la causa tecnica della nostra sofferenza psichica.

Noi soffriamo a causa dei fantasmi della nostra mente.

 

I fantasmi del vostro pensiero non sono reali.

Essi sono generati dal vostro attaccamento, e quindi dal vostro desiderio, dal vostro odio, dalla vostra ira, dalla vostra paura.

Fratelli, i fantasmi del vostro pensiero sono generati da voi stessi.81

 

Noi soffriamo perché prendiamo per reali i fantasmi della nostra mente.

È fondamentale, quindi, che tu impari a distinguere la realtà dai fantasmi della tua mente.

Un buddha è sempre consapevole di questa distinzione.

 

Lo stato di buddhità comporta
la consapevolezza della distinzione fra
mondo della mente e mondo della realtà.


Questa consapevolezza deve diventare permanente.

È essa che ci induce ad abbandonare il mondo della mente e a entrare nel mondo della realtà.

 

Fratelli, private i vostri fantasmi immaginari del vostro consenso ed essi svaniranno.82

 

So che tu puoi avanzare l’obiezione che avanzano a buon diritto tutti coloro che non soltanto sono affezionati al mondo della propria mente ma esaltano la bellezza e la potenza delle sue creazioni.

La realizzazione del secondo potere della buddhità, la presenza nella realtà, non nega né quella bellezza né quella potenza, ma ti offre semplicemente una via d’uscita alla tua sofferenza, che è generata dalla tua stessa mente.

Il buddhismo ha infatti questo solo scopo: la liberazione dalla sofferenza.

Esso ti dice soltanto questo: non puoi sconfiggere i fantasmi della tua mente rimanendo nella mente.

Devi uscire dalla tua mente ed entrare nella realtà.

È proprio per questo, che l’avere attenuato il pensiero ci permette con grande naturalezza e senza nessuno sforzo, cioè spontaneamente, di attuare il secondo potere della buddhità: la presenza nella realtà.

Nella realtà non c’è mai sofferenza.

Anche questa verità, lo so, ti è difficile da credere.

Prendiamo, se vuoi, ancora una volta un caso estremo.

Ti viene a mancare una persona cara.

Tu credi che sia la realtà la causa della tua sofferenza, perché nella realtà quella persona non c’è più.

Ma è proprio qui il punto.

Nella realtà non c’è più quella persona, ma è tutto qui.

Nella realtà non c’è nessuna sofferenza.

Il sole continua a sorgere, le nuvole continuano a correre in cielo e gli uccellini continuano a cantare.

La sofferenza è solo dentro di te.

Tu credi che sia la realtà, la causa della tua sofferenza e quindi attribuisci la tua sofferenza alla realtà stessa.

Ma la sofferenza non è un oggetto che si possa rinvenire nella realtà.

È uno stato psichico.

Cioè una cosa che sta dentro la tua mente.

Un famoso koan zen recita:

 

Mostrami la mano nella quale tieni la tua sofferenza.83


Farlo non è possibile perché la sofferenza appartiene al mondo della mente e non al mondo della realtà.

Tanto è vero che una stessa realtà ad alcuni procura sofferenza, ad altri no.

La presenza nella realtà è l’esperienza zen.

È per questa ragione, che l’esperienza zen non può essere descritta a parole ma soltanto vissuta, come dichiarano candidamente tutti quelli che scrivono libri su di essa.84

Proprio perché l’esperienza zen è appunto l’esperienza della presenza nella realtà.

Possiamo allora ricorrere proprio alla tradizione zen, per dare un’idea di tale esperienza.

Essa riporta il seguente aneddoto.

 

Mentre Yao-shan Wei-yen stava quietamente seduto a gambe incrociate, un monaco venne da lui e chiese:

«Cosa stai pensando in questa posizione immobile?»

«Penso a ciò che è al di là del pensiero».

«Come procedi nel pensare a ciò che è al di là del pensiero?»

«Col non pensare».85

 

Ma non occorre andare in Cina o in Giappone, per incontrare persone zen.86

Basta andare in Sardegna.

Un giorno a Orgòsolo incontrai un pastore di pecore.

Gli chiesi:

«Cosa fa tutto il giorno?»

«Guardo le pecore».

«E a cosa pensa?»

«A cosa devo pensare? Guardo le pecore che non me le rubano!»

La presenza nella realtà non ha bisogno di spiegazioni ulteriori, perché non è una cognizione intellettuale ma un’esperienza.

Per capirlo definitivamente fai una cosa.

Metti giù questo libro e vai in bagno.

Infilati nella doccia o nella vasca da bagno e apri il rubinetto.

E pensa: «Sto facendo una doccia. Una cosa normale».

Quando avrai preso coscienza che fare una doccia vestiti non è del tutto normale, avrai preso contatto con la realtà e avrai visto la differenza fra la realtà e il pensiero.87

La pratica a cui devi applicarti per realizzare la presenza nella realtà è la seguente:



ESERCIZIO 2



1 calmo il respiro, rilasso il corpo, osservo con distacco i pensieri;

2 esco dalla mente e osservo l’ambiente che mi circonda;

3 compio delle azioni qualsiasi (interazioni con la realtà);88

4 rimango nella realtà.89



Ti applicherai a questo esercizio per una settimana.90

Non avrai bisogno né di condizioni né di ambienti particolari.

Questo esercizio può essere praticato dovunque.91

Con la frequenza e la durata che vorrai.

Ma più lo farai meglio sarà.92

In questa seconda settimana il tuo obiettivo principale sarà questo:



vivere nella realtà



Se vuoi, in questa settimana puoi usare un mantra di rinforzo, da recitare mentalmente, nei tempi che decidi tu:

 

io vivo

inspirazione

nella realtà

espirazione

io sono

inspirazione

un buddha

espirazione

Per le signore:

 

io vivo

inspirazione

nella realtà

espirazione

io sono

inspirazione

un’illuminata

espirazione