13

 

Mi svegliai con tutti i postumi di una sbronza gigantesca.

Poi ricordai che Mercedes mi aveva fatto un'iniezione perché dormissi.

Ero a casa, a casa di Pablo, ed era giorno, la luce del sole entrava fino in mezzo alla stanza attraverso le imposte socchiuse.

Lui non era con me.

Le ferite mi facevano male.

L'ambiente puzzava di tintura di iodio.

Mi sollevai a sedere con grande difficoltà.

Solo allora avvertii la presenza di un segno infinitamente potente, una tensione familiare intorno alla vita, mi palpai istintivamente davanti e sorrisi.

Lui non era con me, ma lì, sotto la mia mano, due farfalle sostenevano una ghirlanda di sette fiorellini, ricamati con minuscole palline bianche.

Vi passai sopra le dita, due volte, le accarezzai e le contai per controllare che non ne mancasse nessuna, erano tutte lì, le perle, perle false, intatte, splendenti, plastica incalcolabilmente preziosa sopra la mia blusa bianca, un camicino da neonato fatto su misura per una bambina grande, batista così fina che sembrava garza.

Mi sdraiai di nuovo, e chiusi gli occhi.

Pablo avrebbe tardato ad arrivare, non gli piaceva essere presente nei momenti decisivi.

Non ci sarebbe stato nessun momento decisivo.

Mi rotolai sulle lenzuola, fino dalla sua parte, e mi concentrai, fiutavo il letto per rintracciare il suo odore, non mi fu facile, quella mattina non avevo un olfatto molto fine, ma alla fine trovai una nota rivelatrice sopra il cuscino, afferrai con le dita un pezzettino di stoffa per accostarlo al naso, e rimasi immobile, rannicchiata, sorridendo, appesa a quell'odore, lasciando passare il tempo.

Il suo arrivo fu preceduto dall'inconfondibile profumo delle porras appena fatte.

Poi si sdraiò accanto a me, mi toccò la punta del naso e aspettò.

Cercai di simulare un sonno profondo, ma le mie labbra a poco a poco si andarono incurvando in un sorriso di nuovo innocente.

Lui avvicinò la sua testa alla mia e mi parlò in un sussurro.

«Apri gli occhi, Lulù, so che non dormi...»